
6. Milan-Stella Rossa
La sfida contro la Stella Rossa ovviamente fa venire in mente la partita nella nebbia del 1988. La Stella Rossa al suo momento di picco di sfoggio del talento, che riusciva a schierare contemporaneamente Savicevic, Prosinecki e Stojkovic. Erano gli ottavi di finale di ritorno di Champions League; all’andata la Stella Rossa era riuscita a pareggiare 1-1 a San Siro e al Marakana era favorita. Il primo tempo finisce 0-0, poi scende la nebbia, fittissima. La Stella Rossa passa in vantaggio ma è un gol che nessuno ha visto e che nessuno può raccontare. Pochi minuti dopo i rossoneri sono finiti in dieci per l’espulsione di Virdis. Alcuni dirigenti del Milan si impuntano per far sospendere la partita, uno di loro è Paolo Taveggia, il direttore organizzativo, che col favore delle tenebre si era messo a rompere le scatole al guardalinee per far fischiare la fine. L’arbitro ha fischiato la sospensione, pregando le squadre di attendere 45 minuti che la nebbia si diradasse: «Io inizialmente restai fuori dagli spogliatoi e cominciai a fumare come un pazzo per la tensione. Io facevo il tifo per la nebbia, probabilmente stavo fumando una sigaretta dietro l’altra anche per cercare di farla aumentare».
A quanto pare una volta rientrato negli spogliatoi Taveggio ha visto i giocatori del Milan già sotto la doccia, maglie gettate a terra. Era così disperato che è andato dall’arbitro e ha fatto quella che ha definito “Una sceneggiata alla Alberto Sordi”: «Pauly aprì la finestrella della sua casetta, guardò fuori e mi disse “Si gioca domani alle 15”».
Incredibilmente il giorno dopo la partita è ricominciata dallo zero a zero. Per molti è stato uno dei furti più clamorosi della storia del calcio, per altri ne ha invertito il corso rappresentando la prima mattone dell’epica europea del Milan di Berlusconi. Da qui a febbraio sentirete raccontare mille volte questa storia, e magari sentirete parlare meno di come gioca oggi la Stella Rossa. Magari non è così interessante: non c’è nessun Savicevic, nessuno Stojkovic, ma stiamo parlando comunque una delle versioni migliori della squadra di Belgrado.
La Stella Rossa è prima nel campionato serbo, dove è ancora imbattuta. Sta facendo un torneo fuori scala per le altre: ha il miglior attacco (50 gol segnati) con 12 gol di differenza dal Partizan secondo; e ha anche la miglior difesa con appena 7 reti subite in 18 partite. La Stella Rossa domina in campionato da anni, va detto, vince il titolo dal 2015/16 ininterrottamente. Ma quella di quest’anno sembra una versione particolarmente competitiva, e le conferme sono arrivate in Europa, dove si è qualificata dietro all’Hoffenheim nel girone L destando un’ottima impressione. 11 punti totalizzati, frutto di 2 pareggi, 1 sconfitta e 3 vittorie. Il rischio in campo europeo è di fronteggiare le difficoltà classiche di squadre che militano in campionato poco allenanti, dove possono permettersi di dominare e di non giocare mai fasi di difesa posizionale.
Dall’anno scorso sulla panchina siede Dejan Stankovic, leggenda dell’Inter, che aggiunge un altro strato narrativo sulla partita. Il suo sistema di base è il 4-2-3-1, ma nel girone ha aggiunto un difensore alcune partite, passando al 3-4-2-1 forse per essere più coperto nel difendere le transizioni. La Stella Rossa ne fronteggia diverse attaccando spesso in modo diretto e non disdegnando il lancio diretto su Falcinelli. L’attaccante italiano è una figura chiave della squadra di Stankovic per la sua capacità di giocare a muro ma anche per la tendenza a svariare e a scambiarsi la posizione in modo fluido con gli altri due attaccanti, in genere Katai e Ben. Non ci sono giocatori di grande talento da tener d’occhio: è una squadra esperta, con un’età media tra i titolari piuttosto alta. Gli unici giovani sono Nikolic e Petrovic: due centrocampisti che Stankovic ha progressivamente inserito tra i titolari dal suo arrivo, a dicembre 2019.
La Stella Rossa è una squadra che tende a spezzarsi in due, e che accetta anche l’inferiorità numerica a centrocampo. Con l’Hoffenheim, l’unico avversario di alto livello affrontato in questa stagione, si è accontentata del 30% del possesso palla sia all’andata che al ritorno, dove ha ottenuto un pareggio senza gol in casa. Col Milan dovrebbe adottare lo stesso piano, fidandosi della fisicità dei suoi centrali nella difesa dell’area. Nemanja Milunovic è stato uno dei migliori difensori del girone: uno dei migliori per tiri bloccati e per duelli aerei vinti.
La partita d’andata con l’Hoffenheim però ha mostrato le fragilità di una squadra che quando attacca è un po’ naif: perde controllo e distanze.
Nel primo gol subito la squadra perde palla a centrocampo mentre provava a ripartire. Il battere e levare che accetta la Stella Rossa ne manda fuori misura le distanze. Il lato sinistro è scopertissimo e da lì arriverà il gol dei tedeschi.
In particolare la Stella Rossa sembra sfilacciarsi sui cambi di gioco e nella copertura dell’ampiezza, una situazione che le catene di fascia del Milan dovrebbero saper sfruttare. Poteva andare decisamente peggio.
5. Napoli-Granada
Il passaggio in prima posizione in un girone difficile poteva portare in dote al Napoli un sorteggio sicuramente migliore, tuttavia il Granada è un avversario ampiamente alla portata della squadra di Gattuso, a meno che non ci si voglia appellare alla mistica delle squadre spagnole nei confronti dell’Europa League. Il Granada si è classificato secondo nel proprio girone più per inerzia che per meriti: dopo una brillante vittoria alla prima giornata fuori casa contro il PSV, ha costruito il passaggio del turno sulla pochezza delle avversarie, vincendo con scarti minimi contro l’Omonia Nicosia e pareggiando due volte per 0-0 contro il Paok Salonicco, prima di perdere all’ultima giornata con gli olandesi. In totale ha segnato 6 gol (meno di ogni altra squadra qualificata) e ne ha subiti 3.
Ad allenarla è il quarantenne Diego Martinez, formatosi al Siviglia, dove è stato vice di Unai Emery (e questo non è un buon segno per il Napoli, almeno a livello scaramantico). Dal suo arrivo nel 2018 ha centrato una promozione immediata e subito dopo uno storico settimo posto, il miglior risultato per la società andalusa da quarant’anni a questa parte, che poi è quello che gli ha permesso di qualificarsi in Europa League. Anche in questa stagione il Granada sta ottenendo risultati simili, a oggi è settimo in Liga, anche se le prestazioni dell’ultimo periodo sono state piuttosto misere (nelle ultime 5 ha messo insieme 3 sconfitte, un pareggio e una vittoria). Il Granada ha uno dei peggiori differenziali tra xG prodotti e subiti della Liga (-4.8) e la sua posizione in classifica in questo momento forse va oltre i propri meriti.
La squadra si schiera in campo con un 4-3-3 (o se preferite 4-1-4-1) più attento a contenere che non ad attaccare. L’idea è quella di avere un blocco basso, rinunciando quasi totalmente al pressing per lunghe fasi di difesa posizionale, una strategia che finora ha funzionato più in Europa che in Liga, dove il Granada ha subito 20 gol (anche se incide la sconfitta per 6-1 contro l’Atletico Madrid).
In fase difensiva si schiera con un 4-5-1 molto compatto che punta a non lasciare spazi tra le linee.
A centrocampo il Granada schiera Gonalons davanti alla difesa, con ai suoi fianchi due mezzali dinamiche, Luis Milla, più tecnico, e Yangel Herrera, in prestito dal Manchester City, più atletico. Sono loro due forse i due elementi più importanti della squadra, che permettono a Diego Martinez di tenere un baricentro basso grazie alle loro corse e alla loro intensità. Soprattutto Milla, dopo una lunga gavetta nelle serie inferiori, è fondamentale in una squadra che ha poca qualità.
La creazione di occasioni, invece, è quasi totalmente affidata alle due ali della squadra, Luis Suarez e Darwin Machis, che forse ricorderete per un rapido e non particolarmente brillante passaggio all’Udinese. Sono i due giocatori che provano più tiri e che creano più occasioni per i compagni. Al centro dell’attacco invece si alternano Jorge Molina, 38 anni, e Roberto Soldado, 35 anni, ormai lontano dai fasti di Valencia.
Insomma il Granada non è una squadra con doti particolarmente spiccate. Non di certo un grande tasso tecnico, come raccontano le statistiche: è tra le sei peggiori squadre della Liga per possesso palla, tiri in porta, precisione passaggi e dribbling riusciti a partita. Anche nei sedicesimi contro il Napoli, l’idea è che il Granada sceglierà di lasciare totalmente il controllo del gioco alla squadra di Gattuso. Tuttavia anche nella difesa dell’area di rigore la squadra spagnola ha mostrato diversi limiti. In un recente pareggio per 3-3 contro l’Huesca ha subito due gol su inserimenti da dietro finiti con un tiro dal cuore dell’area e un terzo regalato per un pasticcio tra portiere e difensore.
La stessa partita però racconta di quale sia il pregio un po’ intangibile del Granada: sotto di due gol a due minuti dalla fine, è stata in grado di rimontare con due colpi di testa praticamente nel recupero, rischiando di vincere addirittura con un palo colpito negli ultimi secondi di gioco. Gli spagnoli non sono una bella squadra, la loro virtù migliore sembra quella di “far giocare male l’avversario”, riuscendo modulare l’intensità delle proprie prestazioni su livelli molto differenti.
La Liga abitua le squadre di media fascia a competere contro avversari tecnicamente molto superiori, un impegno costante che richiede grande concentrazione e che torna utile nelle sfide a eliminazione diretta, dove non conta necessariamente essere la squadra migliore, ma quella in grado di interpretare meglio le diverse fasi delle due partite. Non a caso è possibile vedere squadre spagnole anche non di primo piano fare bene in Europa League spesso, come il Getafe lo scorso anno.
Commentando l’accoppiamento Gattuso è stato vago: «È un sorteggio difficile e insidioso. Il Granada è un’ottima squadra e sarà dura». Nelle prossime settimane studierà meglio l’avversaria, trovando spunti che vadano oltre la definizione di squadra “rognosa” che molti danno e che sembra calzare al Granada, una squadra il cui primo imperativo è quello di rimanere compatta, aiutarsi a vicenda, sporcare ogni possesso avversario. Il Napoli avrà per molti dei 180 minuti della sfida il pallone tra i piedi e dovrà mostrare la propria versione più propositiva, in grado di stanare un avversario chiuso con il palleggio e la tecnica individuale dei propri giocatori. Comunque sembra un compito all’altezza del Napoli.
4. Juventus-Porto
Anche quest’anno, come quasi ogni anno, il Porto è arrivato agli ottavi di finale di Champions League senza qualità apparenti dopo una fase a gironi non impossibile. Dal 2011 a oggi, in nove edizioni di Champions League, solo una volta la squadra portoghese è stata sorteggiata in un girone con una tra Real Madrid, Barcellona, Juventus, Bayern, Liverpool o Manchester City, cioè quest’ultima, in cui la testa di serie del gruppo era chiaramente la squadra di Guardiola. Il Porto, nonostante abbia ottenuto solo un punto nella doppia sfida con il City, è arrivata agilmente seconda vincendo tutte le altre partite contro Marsiglia e Olympiakos.
Sergio Conceição, che è sulla panchina del Porto da tre anni abbondanti ormai, sembra aver imparato dalla sua lunga esperienza in Italia l’arte del pragmatismo tattico tanto caro alla nostra scuola. Se in patria il Porto è infatti una squadra dal gioco tecnico che cerca di dominare l’avversario, in Champions League indossa la sua veste più reattiva, abbassando il baricentro, a volte modificando il suo modulo (in entrambe le partite contro il Manchester City, ad esempio, è passata dall’abituale 4-2-3-1 al 3-5-2), attaccando con pochissimi uomini attraverso contropiede vecchio stile. Se in campionato il Porto è seconda per possesso palla dietro al solo Benfica (58%) e prima per tiri dentro l’area (10.3 a partita), in queste stesse statistiche in Champions League scende alle ultime posizioni in classifica (più precisamente: terzultima per possesso palla, 42,5%, davanti solo a Lokomotiv Mosca e Krasnodar, e ultima per tiri da dentro l’area, 3.2 a partita).
La Juventus, insomma, con ogni probabilità affronterà una squadra che le lascerà molto volentieri il possesso palla e che penserà a togliergli ogni spazio nell’ultimo terzo di campo, provando probabilmente a spostare la partita anche sul piano nervoso. Ovviamente non possiamo sapere oggi quale sarà lo stato di avanzamento delle idee di Pirlo a metà febbraio, quando si terranno gli ottavi. Quel che è certo è che per quei giorni la Juventus dovrà essere cresciuta molto nei meccanismi offensivi, che oggi sembrano ancora farraginosi contro squadre chiuse, e nella riaggressione immediata del possesso avversario, che sappiamo essere un pallino del nuovo allenatore dei bianconeri e che è l’arma principale con cui mantenere la compattezza in fase di transizione difensiva quando si attacca con molti uomini.
In questo senso, la Juventus dovrà studiare con attenzione soprattutto quei giocatori con cui il Porto proverà a lanciare le sue sporadiche azioni d’attacco. A partire da Marega, che anche quest’anno viene utilizzato come ariete per ripulire le palle lunghe con cui il Porto prova a risalire velocemente il campo, e “El Tecatito” Corona, trequartista molto creativo e molto tecnico (con 2.5 passaggi chiave per 90 minuti in campionato, è il primo per la squadra portoghese per questa statistica) che con ogni probabilità sarà al suo fianco. Con una partita che è a rischio stasi e che può essere indirizzato da un singolo momento, attenzione anche ai giocatori offensivi che potrebbero partire dalla panchina. A questo proposito bisogna per forza di cose segnalare anche Luis Diaz, giovane talento colombiano arrivato la scorsa estate in Portogallo, che a sprazzi sta mostrando grandi cose. L’unico gol segnato dal Porto al Manchester City durante la fase a gironi, ad esempio, è stata opera sua, dopo una conduzione in dribbling partita dal centrocampo e terminata con un letale tiro a incrociare. Nel campionato portoghese, per dire, Luis Diaz è il giocatore che supera più volte l’avversario in dribbling (4.8 per 90 minuti, su 6.1 tentativi) e anche contro la Juventus potrebbe essere utilizzato in corso d’opera per “spaccare” la partita, come si dice.
La Juventus, insomma, è attesa da una partita spigolosa, in cui forse dovrà fare affidamento anche a qualità diverse a quelle che Pirlo sta cercando di affinare in questi primi mesi a Torino. D’altra parte, ai bianconeri non mancano certo l’esperienza europea e la fisicità, due caratteristiche che potrebbero pesare molto per il superamento degli ottavi di finale.
3. Roma-Braga
Il Braga è scritto nella storia di Paulo Fonseca. Con il Braga, infatti, l’attuale allenatore della Roma ha vinto il primo trofeo veramente suo, ovvero la Coppa di Portogallo del 2016, dopo aver battuto in finale il Porto (una piccola rivincita per lui che nell’estate del 2013 aveva vinto la Supercoppa di Portogallo proprio sulla panchina del Porto all’inizio della stagione che lo vedrà esonerato dopo una crisi di risultati). Un trofeo storico per la piccola società portoghese, che non lo vinceva da precisamente 50 anni, come storico fu il percorso in Europa League quell’anno, concluso ai quarti di finale dallo Shakhtar Donetsk. Fonseca ha comunque già incontrato il Braga da avversario, da allenatore dello Shakhtar durante la fase a gironi dell’Europa League 2016/17, e lo rincontrerà di nuovo da allenatore della Roma, questa volta ai sedicesimi di finale. Quando l’allenatore portoghese dice che «è un club che conosco bene» e che è una squadra da non sottovalutare, insomma, non è certo retorica pre-partita.
In effetti il Braga è un buon sorteggio per la Roma solo per il nome non certo altisonante. La squadra allenata da Carlos Carvalhal propone un calcio offensivo e interessante che sta raccogliendo grandi risultati anche in questa stagione, dopo la Coppa di Lega vinta in finale con il Porto nella scorsa. In campionato il Braga è quarto in classifica dietro la triade inscalfibile Sporting-Benfica-Porto ad appena cinque punti dal primo posto, mentre in Europa League è arrivata a pari punti con il Leicester in un gruppo complicato che includeva anche AEK Atene e Zorya Luhansk, ed è finita seconda solo per via dei risultati ottenuti negli scontri diretti. Risultati che, anche se grossolanamente, parlano della bontà del gioco del Braga, che quando può giocare palla a terra in velocità è un piacere per gli occhi.
Il Leicester ne sa qualcosa.
Per una strana coincidenza, oltre alla storia comune di Paulo Fonseca, Braga e Roma condividono anche modulo e principi di gioco. Anche la squadra di Carvalhal, infatti, si schiera con un 3-4-2-1 che ama risalire il campo con il palleggio corto e che cerca di fare densità centralmente portando molto dentro al campo i due trequartisti mentre i terzini, larghissimi e altissimi, attaccano l’ampiezza. Una possibile indicazione che nella sfida per il superamento dei sedicesimi di Europa League conterà un po’ di più la differenza tecnica tra le due squadre, che sembra francamente molto netta. Nonostante questo, il Braga non manca di giocatori interessanti. Iuri Medeiros, ad esempio, dopo la sua breve parentesi al Genoa sembra aver trovato la dimensione giusta per far fiorire il suo talento fatto di controlli al velcro e tiri a giro sul palo più lontano. A centrocampo fondamentale anche la presenza di Al Musrati, centrocampista difensivo molto fisico ma non banale nella fase di costruzione - in ogni caso, uno dei pochissimi argini del Braga in fase di transizione difensiva, in cui sembra essere particolarmente fragile.
La difesa del Braga sembra in effetti il reparto su cui la Roma può più fare forza del suo mismatch tecnico, calcolando che la squadra portoghese non ha centrali né veloci nella copertura della profondità né particolarmente aggressivi nell’anticipo. Lo si è già visto nelle partite contro le squadre più blasonate quest’anno - Benfica, Porto e Leicester - dove ha subito 12 dei 19 gol subiti in totale in questa stagione tra campionato ed Europa League (e in appena 4 partite giocate). Insomma, nonostante la squadra di Fonseca non sia di certo conosciuta per la spietatezza dei suoi finalizzatori, è probabile che non le mancheranno le occasioni per segnare.
In ogni caso, la Roma non si porta di certo la qualificazione da casa, come si dice. Il Braga ha dimostrato nelle ultime settimane di giocarsela anche con squadre tecnicamente superiori - vincendo in casa del Benfica, e facendosi recuperare dal Leicester per 3-3 all’ultimo secondo - grazie a un gioco raffinato che il tecnico Carvalhal, una vecchia volpe del calcio portoghese, vorrebbe portare a un livello successivo. A Fonseca, insomma, non basterà un tuffo nella nostalgia per rendere dolce questo terzo ritorno al passato. Il tecnico portoghese avrà bisogno della Roma migliore per arrivare a un obiettivo che dalla piazza e dalla società è giudicato come un minimo sindacale.
2. Atalanta-Real Madrid
Vale per tutte le partite, ma per questa in particolare: l’equilibrio dipenderà dallo stato di forma delle due squadre a febbraio, che oggi sembra impronosticabile. L’Atalanta sta vivendo il suo primo vero momento di crisi da quando Gasperini siede sulla panchina. Una crisi che passa attraverso cambiamenti alle fondamenta della squadra: quanti avrebbero potuto dire anche solo un mese fa che l’Atalanta doveva re-immaginare sé stessa senza Ilicic e il “Papu” Gomez?
Se davvero Gomez prossimamente non dovesse rientrare tra i titolari, come è nell’aria, l’Atalanta diventerà un’enigma da scoprire partita dopo partita.
Dall’altra parte il Real Madrid è al momento forse più basso della gestione Zidane, e qualche settimana fa la sua guida tecnica è stata addirittura messa in discussione. Il Madrid quest’anno ha alternato partite disastrose e decadenti (le sconfitte con Shakhtar e Valencia per esempio), a prove di grande autorità tecnica degne dei bei tempi. Queste ultime sono arrivate negli ultimi giorni, quando la squadra ha mostrato segni di ripresa dalla ormai tradizionale crisi autunnale - il periodo dell’anno in cui gli allenatori del Real Madrid cadono come foglie dagli alberi. Questa ha coinciso col ritorno tra i titolari di Luka Modric, che come per magia sembra aver restituito alla squadra di Zidane quella capacità tattile di controllo delle partite, dei ritmi e dei momenti. Siamo lontani da una condizione ottimale ma in pochi giorni il Real Madrid è riuscito a battere, in serie, Siviglia, Borussia Moenchengladbach e Atlético Madrid.
In queste partite il Real Madrid è sembrato avere più controllo del pallone, e maggiore prudenza nel pressing. Nella prima parte dell’anno la squadra voleva conquistare la palla in alto e in fretta, esponendosi però molto alle transizioni, su cui pesava anche il brutto stato di forma di Sergio Ramos e in particolare di Varane. Come ha detto Courtois: «Siamo più offensivi, pressiamo più in alto sul campo, ma gli avversari possono superarci più facilmente». Come avevamo scritto in occasione del Clasico vinto, nonostante il grande rinnovamento lo spessore del Real Madrid continua a passare dallo stato di forma dei suoi senatori: Sergio Ramos, Toni Kroos, Luka Modric e Karim Benzema. Sono loro ad aver restituito alla squadra di Zidane il controllo tecnico sulle partite. A loro si aggiunge anche un contributo in grande crescita di Ferland Mendy, che a sinistra costruisce il lato forte di costruzione del Real Madrid, dove Benzema si defila spesso per creare densità vicino al pallone. Poi spesso è Toni Kroos a cercare il cambio di gioco sul lato debole, dove si stanno alternando Rodrygo e Lucas Vazquez.
La vittoria contro il Monchengladbach è particolarmente preoccupante per l’Atalanta. Il Real Madrid ha dimostrato la calma dei migliori momenti, non soffrendo una squadra che ama portare i suoi avversari fuori giri sul piano del ritmo e dell’intensità.
L’Atalanta dovrà confermare i miglioramenti mostrati in questa Champions League, dove ha saputo giocare anche gare furbe e solide in fase di difesa posizionale. Ora però deve pensare a immaginare una nuova forma per sé stessa, sperando a febbraio di trovare un Real Madrid in condizioni peggiori di quelle attuali.
Lazio - Bayern Monaco
Basterebbe ricordare che il Bayern Monaco è la squadra “campione in carica” per dare un tono alla sfida che attende la Lazio. Ma se detenere un titolo non ti dà reali vantaggi sul campo, intorno al trionfo dello scorso anno la squadra tedesca ha costruito la narrazione di nuova squadra più forte d’Europa, rubando lo scettro al Real Madrid. Praticamente tutte le agenzie di scommesse la danno come favorita alla vittoria finale (l’unico a non farlo è il modello statistico di fivethirtyeight che premia il Manchester City). Insomma se già in generale per la Lazio superare il Bayern Monaco sarebbe apparsa come un’impresa proibitiva, nell’ultimo anno e mezzo ogni volta che suona l’inno della Champions la squadra tedesca è se possibile ancora più forte. Quest’anno, pronti via, ha battuto 4-0 l’Atletico Madrid alla prima giornata come se fosse la cosa più semplice del mondo.
La Lazio al contrario non superava il primo girone della Champions League da esattamente 20 anni. Contro Borussia Dortmund, Genk e Zenit San Pietroburgo ha alternato grandi prestazioni ad altre più scialbe, riuscendo però a non perdere mai nonostante diverse assenze per infortuni e per il Covid-19. A commento del sorteggio Inzaghi ha sottolineato come questa sfida «sarà di grande stimolo per tutti e un motivo di crescita». L’idea è infatti quella di costruire una mentalità europea consolidata per gli anni a venire al di là del passaggio del turno. La Lazio non è in un grande momento di forma, ma anche la scorsa stagione un deciso cambio di passo era arrivato in inverno. Inzaghi proverà in ogni modo ad arrivare a febbraio nella miglior condizione possibile, per dimostrare il valore della sua squadra e per iniziare anche lui a costruirsi una dimensione europea.
Anche il Bayern Monaco non è in un momento di forma eccezionale dopo una partenza brillante che gli ha permesso di dominare il proprio girone di Champions League. Nelle ultime due partite ha trovato due pareggi consecutivi contro RB Lipsia e Union Berlin, perdendo la testa della Bundesliga, per quel che vale a questo punto della stagione. Soprattutto l’1-1 contro la squadra della capitale è stato abbastanza sorprendente. Nel primo tempo i due centrali del Bayern sono stati in balia degli attacchi di Awoniyi, la punta centrale dell’Union Berlin. Boateng e Alaba sono l’anello debole di una squadra di altissimo livello. Non per offenderne il valore assoluto, ma l’idea del Bayern Monaco di difendere molto alta sul campo mal si sposa con le caratteristiche dei due centrali (ma anche di Sule, l’alternativa) e spesso in questa stagione li abbiamo visti infilati dagli attacchi avversari.
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Il terzino dell’Union Berlin ha il tempo di alzare la testa e giocare a palla scoperta, mentre la difesa del Bayern ai piedi sulla linea del centrocampo. Gli basta aspettare il taglio del compagno per mandarlo in porta.
La Lazio dovrebbe essere in grado di sfruttare a suo favore la scelta di Flick di tenere la propria linea difensiva sulla linea del centrocampo. Dopotutto la miglior qualità della squadra di Inzaghi è quella di giocare rapidamente in verticale grazie alle connessioni tra Luis Alberto e Ciro Immobile, uno dei migliori centravanti nell’attaccare la profondità. Per farlo però bisognerà mettere lo spagnolo nella condizione di ricevere palloni puliti, non facile contro una squadra che fa una riaggressione feroce e spesso efficace, ma insomma: per giocarsi il passaggio del turno contro il Bayern Monaco, la Lazio dovrà essere praticamente perfetta.
Perché se è vero che i tedeschi concedono qualcosa nella fase difensiva, il loro attacco è stupefacente. In campionato hanno segnato 9 gol più del secondo migliore in appena 11 partite e basterebbe mettere in fila alcuni nomi per scoraggiare qualunque speranza di passare il doppio confronto indenni. Lewandowski ha già segnato 16 gol in stagione e oggi starebbe probabilmente festeggiando il Pallone d’Oro se fosse stato assegnato; Muller e Coman sono quasi in doppia cifra per gli assist. Alla squadra che in estate ha segnato 8 gol al Barcellona è stato aggiunto Leroy Sane. La difesa a tre della Lazio dovrà stare attenta a non concedere troppo l’ampiezza che i tedeschi riescono a sfruttare grazie alle qualità di un terzino come Alphonso Davies, ma al tempo stesso difendere con attenzione l’area di rigore dove oltre al centravanti polacco riescono a portare molti giocatori, tutti abili nella finalizzazione.
Buona fortuna con questo...
La Lazio dovrà difendersi nella propria metà campo per molte fasi della doppia sfida, abbassando gli esterni e provando a togliere ogni spazio alla manovra del Bayern Monaco, ma rinunciare totalmente ad aggredire i tedeschi sarebbe un errore. Con la cessione di Thiago Alcantara, sostituito in mezzo al campo da Kimmich, il Bayern Monaco sembra aver perso qualcosa nella gestione del pallone. Per sfruttarne il limiti difensivi, la Lazio dovrà provare a recuperare il pallone alta sul campo e verticalizzare rapidamente, mettere in campo un’aggressività simile a quella che gli ha permesso di vincere contro il Borussia Dortmund. Forse non basterà, ma più di tutto per la squadra di Inzaghi sarà importante non avere rimpianti alla fine dei 180 minuti.