È significativo che la striscia di otto vittorie consecutive senza subire gol della Juventus sia stata interrotta nel peggiore dei modi dalla squadra più spettacolare del campionato: una sconfitta che potremmo definire “di lungo muso”, in casa del Napoli, in quella che avrebbe potuto essere una partita fondamentale per rientrare prepotentemente nel discorso scudetto. La squadra di Allegri esce invece dal Maradona con la sensazione chiara di una netta inferiorità al cospetto di un Napoli sempre più dominante, fluido, cinico e aggressivo. Una manifestazione di superiorità talmente schiacciante che ha seppellito anche l’argomento che aveva tenuto banco nelle scorse settimane, cioè la capacità quasi esoterica dei bianconeri di non prendere gol nonostante uno stile difensivo remissivo che li aveva portati a concedere diverse occasioni agli avversari.
Sin dai primi minuti di gioco il Napoli ha schiacciato la Juventus con due armi: un’alta velocità di palleggio e una grande intensità nella riaggressione a palla persa. Anche se nel quarto d’ora che ha preceduto il primo gol la squadra di Spalletti non aveva ancora creato una vera e propria occasione diretta, si può dire che la rete di Osimhen sia stata il coronamento di uno spezzone di gara che aveva visto la Juventus totalmente in balia del possesso degli azzurri, incapace di uscire dalla propria metà campo una volta intercettato il pallone.
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Il Napoli di Spalletti è un animale strano, una squadra che non solo è capace di fare tante cose bene, ma di farne anche tante diverse, soprattutto quando è in possesso del pallone. Questa partita è stata un simbolo di tutto ciò: attraverso molteplici alternative (movimenti, scelte, giocate) il Napoli è sempre riuscito a trovare una soluzione ai problemi di gioco posti da una Juventus che, come al solito, si era presentata in campo con una forte identità distruttiva, cercando di portare la partita nel terreno fangoso in cui aveva vinto le 8 partite precedenti senza subire gol.
Alla barricata bianconera il Napoli ha risposto sfruttando proprio questa versatilità. L’azione iniziava spesso con un palleggio reiterato tra i quattro difensori e Lobotka, che muovevano il pallone tra di loro ad alta velocità andando da un lato all’altro, prevalentemente all’altezza della riga di centrocampo. Il blando pressing della Juventus, orientato più a ostacolare passivamente le linee di passaggio interne che a forzare un errore, veniva circumnavigato senza patemi, fino a trovare uno sfogo che consentisse di accelerare la manovra.
Un pattern che sembrava particolarmente ricercato dal Napoli era quello che vedeva Osimhen attaccare la profondità, o come direbbe Spalletti «andare a vedere cosa c’è in quello spazio dietro la difesa», quando il pallone veniva scambiato nella zona tra Mario Rui e Kim. Il centravanti nigeriano ci ha messo qualche minuto a prendere le misure e a stabilire un’intesa con i due compagni, ma sono state diverse le occasioni in cui il Napoli ha cercato di arrivare in area con una soluzione di questo tipo, che è certamente più diretta rispetto a quello che ci aspetteremmo dal Napoli.
Contatto visivo tra Mario Rui e Osimhen prima del lancio, verticalizzazione di Rui dopo passaggio ricevuto da Kim, verticalizzazione di Kim dopo scarico ricevuto da Rui.
Questa situazione è stata molto ricercata anche da Spalletti, che nei primi minuti urlava spesso il nome di Osimhen quando il pallone transitava in quella zona, come a suggerirgli di ricercare quello spazio. La disposizione della Juventus, in effetti, poteva portare ad aprire questa opportunità di uno contro uno tra il centravanti del Napoli e Bremer: con Chiesa basso, Mario Rui veniva pressato da McKennie, mentre Kvarastkhelia si accentrava attirando l’attenzione di Danilo e Zielinski si abbassava attirando Locatelli. Lo strapotere di Osimhen in queste situazioni è un’arma molto potente per il Napoli, che proprio per questo, però, spesso si limitano alla verticalizzazione, con il rischio di allungarsi sul campo e perdere le distanze. La squadra di Spalletti, in questo caso, ha avuto l'intelligenza di non appiattirsi su questa soluzione, attraverso un repertorio offensivo quasi sterminato.
Il Napoli semina pazientemente il terreno di gioco di dubbi per l’avversario, con connessioni corte e movimenti che instillano comunque la sensazione che lo sfondamento possa avvenire con una triangolazione o un filtrante. Una squadra, insomma, che sta dimostrando sempre più di essere capace non solo di cogliere l’opportunità (sfruttare gli spazi che si creano, ovunque siano) ma soprattutto di creare i presupposti affinché queste arrivino, portando l’avversario a compiere in continuazione delle scelte difensive differenti, stressandolo parecchio. Sul lato destro del campo, per esempio, è stato più frequente vedere il Napoli provare ad avanzare triangolando e sfruttando la giocata corta, soprattutto durante la permanenza in campo di Politano. Ed è proprio così che è arrivato il cross che ha sbloccato il risultato.
Dopo aver subito il primo gol, la Juventus ha accennato un timido tentativo di innalzamento della pressione e del baricentro, scontrandosi però con la capacità del Napoli di muovere palla e di adattarsi alla situazione. Forse a un certo punto Allegri ha avuto l’idea di portare Chiesa in pressione insieme ai due attaccanti, per togliere tempo e spazio all’avvio di manovra nella zona di Mario Rui, o di tenerlo più in alto per sfruttarlo meglio in contropiede. Poco dopo il gol di Kvaratskhelia uno slow-motion ha mostrato Locatelli scandire a Chiesa “3-4-3”: non è chiaro se questa indicazione di Allegri fosse arrivata prima del gol o dopo, ma già nei minuti immediatamente precedenti l’assetto difensivo della Juventus sembrava in confusione sulla distribuzione degli spazi sul lato destro, e infatti il Napoli ha infilato il coltello nella piaga, arrivando al gol del raddoppio.
La posizione alta di Chiesa sembrava in contraddizione con il suo “ruolo” di quinto difensore, soprattutto nelle circostanze in cui il Napoli muoveva palla sulla sua destra e la difesa bianconera scalava a sinistra, con l’uscita di Rabiot su Di Lorenzo, l’avanzamento di Kostic su Politano, la scalata di Alex Sandro su Zielinski, e il solito Bremer su Osimhen con Danilo in copertura. Questa contraddizione, dovuta a un'errata interpretazione di Chiesa (reiterata), oppure a indicazioni di partenza confuse, era stata evidente già diversi minuti prima del gol. Nell’azione qui sopra il numero 7 della Juventus inizia a correre all’indietro con molto ritardo.
Il passaggio al 3-4-3 concretizzatosi subito dopo il gol di Kvaratskhelia ha portato Chiesa sul lato sinistro dell’attacco, con McKennie esterno destro di centrocampo e Di Maria spostato leggermente sulla zona destra intermedia. È stato un cambiamento decisivo per il gol dell’illusione della Juventus (quello del momentaneo 1-2) con il "Fideo" che, ricevendo dentro il campo, ha creato una superiorità qualitativa contro Zielinski, tentato la triangolazione con un inserimento di Locatelli e approfittato di un paio di rimpalli fortunati prima di concludere a rete.
Si è trattato forse della miglior azione combinata della Juventus in tutta la partita. Il pallone si è inizialmente mosso sul lato sinistro del campo tra Locatelli e Rabiot; Locatelli, dopo aver scaricato su Di Maria, ha riconosciuto lo spazio vuoto inserendosi subito. Una circostanza atipica per la Juventus, che sembra essere sempre più disabituata a creare questo genere di opportunità consolidando il possesso e alzando il proprio baricentro. Non a caso il resto delle timide occasioni arrivate per la squadra di Allegri è legato a qualche errore non forzato del Napoli in impostazione, con successiva ripartenza (l’incrocio dei pali colpito da Di Maria da fuori area dopo aver intercettato un passaggio di Rrahmani, ad esempio) e qualche calcio d’angolo. Per il resto, il Napoli si è progressivamente tolto di dosso le imperfezioni e ha approfittato dei maggiori spazi concessi dalla Juventus, arrivati forse più per mancanza di motivazione che per un effettivo sbilanciamento alla ricerca del gol.
Dopo il 3-1 di Rrahmani su calcio d’angolo, che era stato propiziato da un tiro di Osimhen arrivato dopo una verticalizzazione diretta dalla difesa sfruttando un tentativo di pressing alto della Juventus, Allegri aveva tentato di cambiare qualcosa con l’uscita di Locatelli per Paredes, posizionatosi davanti alla difesa, e con Di Maria che tentava di abbassarsi a ridosso del centrocampo per legare il gioco, oltre che con la sostituzione di Kean per Milik. Il Napoli però non ha fatto una piega e, anzi, ha sfoggiato ancora più fluidità e intensità, due aspetti simbolici del quarto e quinto gol.
Quando l’azione del Napoli inizia, a metà campo, Mario Rui non è nemmeno nell’inquadratura. Kvaratskhelia riceve da Osimhen e accelera palla al piede arrivando fin dentro la trequarti della Juventus. Sugli sviluppi successivi, però, perde il duello con Danilo e il pallone carambola verso la linea di fondo. È solo allora che vediamo spuntare Rui nell’inquadratura, con uno scatto deciso a pressare Bremer, che stava cercando di evitare il corner. Il rinvio del brasiliano viene sporcato da Rui, e il pallone arriva fortunatamente tra i piedi del georgiano, che confeziona il suo secondo assist per lo stacco dominante di Osimhen tra Alex Sandro e Kostic. Tutto nasce grazie alla caparbietà di Mario Rui, che con un allungo di 80 metri dopo oltre un’ora di gioco e sul risultato di 3-1 ha avuto la lucidità per andare a creare disturbo in un’azione che sembrava sotto controllo per i giocatori della Juventus.
La partita poi è stata chiusa definitivamente dal gol di Elmas, la cui azione si apre con i tre centrocampisti del Napoli molto vicini tra loro sulla fascia sinistra del campo, prendendo in mezzo McKennie, Rabiot e Paredes, con Kvaratskhelia e il nuovo entrato Oliveira. Una fotografia che sembra tratta da un torello 5 contro 3 di allenamento, con Lobotka che porta palla attirando la pressione per poi verticalizzare su Kvaratskhelia, che la passa a Oliveira, che poi scarica su Di Lorenzo, che aveva accentrato la sua posizione talmente tanto da andare a rifinire in posizione da trequartista. È lui infine a servire Elmas sul lato debole scoperto. Un’altra azione simbolica della capacità di questo Napoli di modellare le situazioni a proprio piacimento anche con posizionamenti estemporanei, figli della capacità dei giocatori di riconoscere gli spazi e muoversi l’uno in funzione dell’altro. Come aveva detto Spalletti: bisogna andare a cercare gli spazi tra gli uomini e non tra le linee.
Dopo questa dimostrazione di manifesta superiorità la tentazione di dichiarare il campionato già chiuso è sicuramente forte per chiunque. In realtà però il campionato è ancora lungo e c’è ancora la possibilità che il Napoli peggiori nel tempo e che la Juventus possa riemergere ancora una volta, anche dopo una batosta come questa. Di sicuro questa partita rimarrà nella memoria di tutti, anche se le cose dovessero cambiare radicalmente nei prossimi mesi.
Per il Napoli, comunque, è un’altra prestazione di conferma a livelli molto alti, anche per il momento particolare in cui è arrivata, cioè pochi giorni dopo la prima sconfitta stagione contro l’Inter, nonostante la vittoria contro la Sampdoria nel mezzo. Perdere due partite contro due big subito dopo la ripresa dalla sosta avrebbe potuto incrinare le certezze acquisite e rendere più difficile il prosieguo del suo campionato in cima alla classifica. Per la Juventus, invece, è arrivata una sconfitta emblematica dei suoi problemi: non solo per l’intenzione di rinunciare pressoché totalmente a contendere il possesso all’avversario, e dunque a tentare di procurarsi delle opportunità da gol anche attraverso un pressing proattivo, pensato per essere una fonte di gioco vera e propria. Al contrario della squadra di Spalletti, quella di Allegri non sembra essere in grado di variare con efficacia alcun aspetto nella sua interpretazione, che si tratti di aumento dell’intensità senza palla o dei suoi comportamenti in possesso.
E questo forse è il fallimento più grande per l'allenatore livornese, che dietro la narrazione del pragmatismo sembra essere molto più ideologico di quanto non gli piaccia raccontare. A questo punto del percorso, è davvero possibile aspettarsi qualcosa di diverso dalla Juventus?