Spesso le grandi vittorie hanno radici che affondano in momenti distanti nel tempo. Era il 17 settembre 2018 quando la Spagna era impegnata a Madrid nella seconda partita della seconda fase di qualificazione al Mondiale 2019 contro la Lettonia. Una sfida che arrivava pochi giorni dopo la prima sconfitta nel cammino di qualificazione iridata in Ucraina, e che si era inaspettatamente complicata nonostante un vantaggio nel corso del match di 19 lunghezze, costruito con tre giocatori sugli scudi: Pierre Oriola, Javier Beiran e Quino Colom.
Tre nomi diversi - anche se Oriola faceva già parte dei dodici di bronzo all’Europeo dell’anno precedente - e necessari per far fronte al formato delle qualificazioni Mondiali che ha limitato enormemente il contributo dei giocatori NBA e di Eurolega. Se Oriola faceva - e fa tuttora - parte del Barcellona, ai tempi Beiran era un giocatore di Tenerife e Colom dei turchi del Bahcesehir in Turchia. Ed è proprio un canestro di quest’ultimo che “salva” la Roja dal secondo KO consecutivo, blindando il biglietto per la Cina che poi arriverà matematicamente qualche mese più avanti.
Quel Spagna-Lettonia da cui forse è partito tutto.
L’epopea della Spagna campione del mondo ieri a Pechino, per la seconda volta nella sua storia dopo lo storico trionfo in Giappone di tredici anni fa, nasce anche da quella sera di Madrid, sul campo dove si interruppe - in un deludente quarto di finale contro la Francia - il sogno di laurearsi nuovamente campioni in casa davanti al pubblico amico. Cinque anni dopo, da outsider, la Spagna si è ripresa il Mondiale alla sua maniera: partendo in sordina e crescendo nel corso del torneo. Facendolo, però, con una serie di nuovi volti (sette in totale) che rendono ancora più eccezionale questo trionfo, perché arrivato in un anno di transizione.
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Il meglio della notte di Pechino.
Se in Cina Beiran e Colom sono stati poco più che comparse, lo stesso non si può dire di Pierre Oriola: partito in quintetto in finale, il nativo di Tarrega ha svolto al meglio il compito più difficile, quello di annullare il dilagante Luis Scola visto contro Serbia e Francia tra quarti e semifinali. In copertina, quindi, c’è anche il suo nome. Oltre a quello di Ricky Rubio, definitivamente consacratosi in queste tre settimane e non solo per il titolo di MVP della competizione.
Oppure quello di Marc Gasol, capace di bissare il trionfo di tredici anni fa e di entrare nella storia come secondo giocatore di sempre - dopo Lamar Odom nel 2010 - a vincere nello stesso anno titolo NBA e oro Mondiale. O di veterani sempre affidabili come Rudy Fernandez, capitano in Cina, Sergio Llull, Pau Ribas e Victor Claver. O della freschezza dei fratelli Hernangomez, Juancho e Willy, che da questo trionfo potranno trovare slancio per le rispettive carriere NBA, o di un altro “nuovo” del gruppo come Xavi Rabaseda. O di Sergio Scariolo, giunto alla sua settima medaglia come CT della Spagna e sempre più nella storia di questo sport. In copertina, quindi, ci vanno tutti: capaci di forgiare una squadra in grado di conquistare un risultato eccezionale, partito da un mantra fondamentale.
La difesa vince i trofei
Mai oltre i 70 punti subiti nelle cinque partite dei gironi eliminatori, oltre quota 80 soltanto in semifinale contro l’Australia in una partita terminata dopo due tempi supplementari. È fuor di dubbio affermare che la chiave del trionfo spagnolo sia nella metà campo difensiva, vista al suo meglio nella serata pechinese che ha proiettato le Furie Rosse ancor di più nella leggenda. «Penso che in difesa avremmo potuto fare ancora meglio nel primo tempo» ha detto dopo la partita Marc Gasol. «In un paio di occasioni Brussino è riuscito a liberarsi dal suo lato migliore e segnare da tre, ma può capitare di commettere qualche errore».
Il centro dei Raptors però riconosce l’eccezionalità della performance difensiva della sua squadra: «Per 33 minuti abbiamo giocato una difesa quasi perfetta. Ci sono stati momenti in cui il loro gioco è emerso, ma è normale: loro sono molto forti in attacco e in grado di metterti in difficoltà in modi diversi», ha detto. «Più volte abbiamo dovuto aggiustare il nostro metro per mantenere il nostro sforzo difensivo sempre al massimo livello, ma è andata bene».
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Al netto del magistero difensivo, Gasol è stato un fattore anche nella metà campo offensiva.
Il piano partita della Spagna era molto diretto, senza badare a fronzoli: aggredire subito il match, mettendo in campo sin dalla palla a due la miglior difesa possibile. La partenza sul 14-2 ha messo l’Argentina spalle al muro per la prima volta nel torneo, non essendosi mai trovati i sudamericani in una situazione di forte svantaggio in tutto il Mondiale.
Due triple di Brussino e un paio di giocate geniali di Facundo Campazzo hanno riportato momentaneamente sotto l’Albiceleste, ma il recupero è stato soltanto momentaneo: l’ingresso in campo di Llull ha nuovamente ristabilito le distanze, dilatatesi (anche a +17, con la rimonta sudamericana mai andata oltre il -8) fino alla fine del primo tempo prima e del terzo quarto poi, anche per la difesa asfissiante degli spagnoli contro cui soltanto Laprovittola e Deck sono riusciti, parzialmente, a fare qualcosa.
Il secondo tempo, a parte qualche fiammata argentina, è stata quasi una formalità, con Hernandez e Scariolo che negli ultimi due minuti hanno svuotato le panchine dando spazio alle seconde linee. Un tripudio per gli iberici, al secondo Mondiale in 13 anni: «È molto diversa rispetto alla sensazione dal 2006», dice Gasol. «Allora per me è stato tutto più emozionante ed emotivo, anche per la situazione: non ho giocato la semifinale in cui Pau si è rotto il piede, ho giocato la finale dovendo fronteggiare un giocatore difficile come Schortsanitis, e poi ero molto giovane. Quest’anno il mio ruolo era diverso, mi sento davvero fortunato».
Juancho Hernangomez, invece, in zona mista coglie l’occasione per un tributo ai suoi compagni più veterani: «Ho avuto grandissimi maestri vincenti come Ricky Rubio, Marc Gasol e Rudy Fernandez», ha detto l’ala dei Nuggets, grande protagonista della FIBA World Cup. «Per noi giovani è un onore seguire questo cammino iniziato da uno come Pau Gasol, che ha tanto lavorato per noi: molto di tutto questo si deve a lui, anche se non è qui».
Il meglio di Juancho Hernangomez in Cina si è visto contro l’Italia.
L’assenza dello storico punto di riferimento della "Roja" in Cina non è pesata più di tanto e rimane il dubbio se Pau Gasol possa riproporre il tandem con il fratello Marc a Tokyo: «Non so se riuscirò a giocare l’Olimpiade con Pau, a questo punto della carriera non puoi dare nulla per certo. Vuoi arrivare a un obiettivo, speri di arrivarci, ma non puoi fare promesse perché devi vedere come stai col fisico», ha affermato il giocatore dei Raptors. «Questa potrebbe benissimo essere stata la mia ultima partita a un Mondiale, è un discorso logico vista l’età che avrò tra quattro anni: poter eventualmente uscire di scena da campione in carica è una sensazione unica».
Il trionfo di Scariolo
La vittoria della Spagna è anche la vittoria di Sergio Scariolo, per cui il 2019 è stato sinora un anno magico esattamente come per Marc Gasol: in tre mesi prima il titolo NBA, da assistente con i Toronto Raptors, e poi la settima medaglia in carriera alla guida della Spagna. La prima al Mondiale, con un ruolino di marcia impressionante che parla di sette medaglie in otto tornei allenati.
«Probabilmente è sottovalutato da voi», ci dice in zona mista Marc Gasol. «Amo giocare per lui: è un grandissimo allenatore che non ha mai avuto il riconoscimento che merita, visti i grandi nomi che abbiamo avuto negli ultimi scorsi anni. Ma guardate quest’anno: non c’è stato nessun big, e siamo qui con questa [Gasol indica la medaglia d’oro, ndr]. Tantissimo di questo è merito suo».
Gli fa eco in sala stampa Ricky Rubio, di cui Scariolo ha a lungo decantato le lodi nel corso del Mondiale: «Il coach ci ha insegnato tanto, portando molte armi al nostro gioco soprattutto in difesa e noi siamo stati bravi a metterle in pratica», ha detto l’MVP del torneo. «È stato un lavoro di squadra: ognuno ha avuto un ruolo diverso ma è venuto qua per vivere la nazionale, tutti sullo stesso spartito».
Le voci del post-finale in conferenza stampa.
Con l’emozione per il successo ancora viva, il coach bresciano si è lasciato andare nel parlare con i reporter italiani dopo la partita: «È stato un anno incredibile», ha esordito. «Sono stato davvero fortunato ad avere attorno gente tanto buona dal punto di vista professionale e umano, che mi hanno aiutato tantissimo sotto tutti i punti di vista. Probabilmente posso solo peggiorare [ride, ndr]: sono soprattutto felice per come abbiamo raggiunto questo risultato».
«Non eravamo indicati come la squadra più talentuosa, profonda, grande, ricca di giocatori con grande capacità soprattutto offensiva. Siamo stati uniti, giocando bene assieme con una buona chimica, superando qualche momento difficile in un paio di partite dove qualunque altra squadra avrebbe mollato. Non lo abbiamo mai fatto e siamo riusciti a mettere il naso davanti, a volte al fotofinish come contro l’Australia o l’Italia. L’essenza, l’anima di questa squadra è quella di competere fino alla fine».
Il valore della vittoria aumenta quando si ripensa a come questo, nei piani, doveva essere una sorta di anno di transizione: «Siamo completamente diversi. Qui non c’era un solo giocatore della generazione che ha cambiato le sorti della pallacanestro spagnola, quelli nati nel 1980», ha detto Scariolo. «Abbiamo due-tre giocatori veterani che sono nella parte finale della loro carriera, ma che sono stati dei grandi leoni, giocando fino alla fine; abbiamo una classe media che ha capito il suo ruolo e come complementare questi leader; abbiamo un paio di giovani di talento, come i fratelli Hernangomez, che stanno crescendo e devono maturare, ma hanno qualità per essere dei buoni o ottimi giocatori. La nostra è stata una chimica un po’ strana, con anime diverse, che alla fine ha funzionato».
Scariolo poi trova modo di ripercorrere l’andamento del torneo, che ha visto una squadra crescendo continuamente di condizione e rendimento. «L’Italia ci ha messo in difficoltà, ma anche l’Australia non ci ha regalato nulla e di facile alla fine non c’è stato niente», ha detto. «Abbiamo superato grandi squadre, per ultima in finale contro un grandissimo avversario come l’Argentina, con una capacità di competere tremenda. L’Italia è stata una delle squadre che ci ha realmente messo più in difficoltà».
Così vicino, così lontano.
«Era la prima partita che affrontavamo usciti dal gruppo relativamente facile che avevamo, ed è stato ottimo avere un impatto così duro: ci ha messo immediatamente sul binario della massima competitività», continua Scariolo, che poi ricorda un momento in particolare. «Quando eravamo sotto di 4 a poco meno di 4 minuti dalla fine e ho chiamato timeout, mi ricordo la sensazione che ho provato nel guardare i giocatori in faccia e di come abbia preso io fiducia nel chiedere loro cose che potevano essere un po’ rischiose in quel momento. Sono stati loro a infondermi fiducia, dandomi e trasmettendomi la sensazione di poter vincere».
Per il coach bresciano è il momento, poi, di rimarcare il valore di questo successo, parametrandolo a quello con i Raptors: «Il titolo NBA è una sensazione, a livello internazionale, incredibile», ha detto. «Ma è la vittoria di una città, anche se a Toronto è stata quasi la vittoria di un paese. Qui è completamente diverso: la dimensione è realmente più grande, al ritorno in Spagna ci aspetterà qualcosa di incredibile in un paese che non è al massimo della coesione. Il nostro esempio può far capire bene che lo sport, e la pallacanestro in particolare, possono unire ragazzi catalani, delle Baleari, di Madrid, di Valencia, nel competere, stare insieme ed essere una squadra nel vero senso della parola».
L’Argentina ancora d’argento e il back-to-back di bronzo della Francia
A completare il podio del primo Mondiale a 32 squadre sono quindi Argentina e Francia, sfidatesi venerdì in una semifinale abbastanza a senso unico e uscite in maniera diametralmente opposta dalla domenica cinese. I sudamericani, comunque soddisfatti per il ritorno su un podio intercontinentale dopo 11 anni dal bronzo di Pechino 2008, con la bocca un po’ amara per non essere riusciti ad esprimere la loro pallacanestro migliore, soprattutto nel primo tempo. I transalpini, invece, con un sorriso a metà per la rimonta da -15 negli ultimi 16 minuti che è valsa la seconda medaglia Mondiale consecutiva, visto che vinsero il bronzo anche in Spagna cinque anni fa.
In entrambi i casi a parlare sono in primis i due giocatori che hanno chiuso nel quintetto ideale della manifestazione, Luis Scola e Evan Fournier. Per il primo il torneo in Cina ha rappresentato un meraviglioso canto del cigno: le prove contro Serbia e soprattutto Francia resteranno a lungo negli occhi degli appassionati, e alla fine la delusione per la brutta finale disputata (8 punti, tutti negli ultimi 13 minuti di partita, con 1/10 dal campo) passerà velocemente, visto che il diretto interessato ha indirettamente confermato la sua presenza l’estate prossima a Tokyo («Non ho mai affermato che questo sarebbe stato il mio ultimo torneo», ha detto).
«La Spagna ha giocato molto meglio di noi», ha detto Scola. «Quindi innanzitutto i complimenti vanno a loro. C’è un po’ di amarezza, ovviamente, perché ci credevamo davvero. Ma non dobbiamo essere delusi, abbiamo vissuto due settimane incredibili e fino a oggi avevamo giocato il miglior basket del torneo. In ogni allenamento ho cercato di spingere e motivare tutti, portando a credere che eravamo noi i migliori: è questo lo spirito che ti porta ad andare oltre i tuoi limiti e a vincere».
In una Francia comunque generalmente soddisfatta per il risultato, con coach Collet che in sala stampa ha lodato il carattere della squadra capace di restare in partita dopo un inizio da 25 punti segnati in 24 minuti, forse il più amareggiato di tutti è proprio Evan Fournier. Il giocatore dei Magic, però, si è concesso a lungo ai giornalisti in zona mista, parlando a 360 gradi di temi legati al Mondiale ma andati anche oltre il risultato finale della sua Francia.
«Avremmo potuto fare meglio, sentiamo che potevamo raggiungere un risultato migliore», ha detto Fournier. «Non siamo venuti qui per vincere una medaglia o battere gli USA, siamo venuti qui per vincere l’oro e non ci sentiamo inferiori a chi è arrivato davanti a noi. Ricorderò la partita contro l’Argentina per tutta la carriera, mi servirà di motivazione come giocatore e come uomo».
Il giocatore dei Magic ha poi posto l’accento sul tema delle tante rinunce che hanno colpito Team USA: «Posso capire giocatori come LeBron, Kyrie Irving o Kevin Durant che hanno già vinto con la nazionale, ma non un mio amico come Tobias Harris: penso che sarebbe stata una grande opportunità per lui, per mettersi in mostra su un palcoscenico diverso. Credo che i giocatori americani non si rendano conto di quanto un torneo come questo possa essere importante per le loro carriere: si gioca del basket molto competitivo, ai massimi livelli, penso sia meglio del lavoro individuale che puoi fare sul tuo gioco».
Peak-Fournier in Cina: i 31 punti contro l’Australia.
I premi e i nostri voti
La serata di Pechino è stata il trionfo personale di Ricky Rubio, che ha fatto tripletta di premi con l’inserimento nel primo quintetto della manifestazione e i titoli di MVP della finale e dell’intero torneo. A fare compagnia al nuovo giocatore di Phoenix sono stati, oltre al connazionale Marc Gasol, anche altri due giocatori sul podio come Luis Scola e Evan Fournier, oltre a un Bogdan Bogdanovic che in caso di podio serbo sarebbe stato il probabilissimo MVP del torneo.
Un quintetto ideale che per tre quinti ricalca le scelte fatte dalla redazione de l’Ultimo Uomo. Posto che i limiti imposti dalla FIBA per ruolo (due guardie e tre ali/centri) erano molto stringenti, abbiamo deciso di premiare due squadre maggiormente sorprendenti e andate oltre i propri limiti. Concordando quindi con le scelte di Rubio (MVP del torneo anche per noi), Scola e Gasol, il nostro secondo spot di guardia è andato a Tomas Satoransky.
Solo alcune delle magie cinesi del nuovo giocatore dei Bulls, entrato nella storia dei Mondiali per aver registrato almeno tre partite consecutive con nove o più assist a referto.
Dato per assunto che Bogdanovic, Mills e Campazzo avrebbero meritato tutti e tre l’inclusione in eguale misura, premiare Satoransky è un modo per premiare una debuttante assoluta - la Repubblica Ceca - capace di issarsi al sesto posto dopo aver eliminato squadre ben più quotate come Turchia, Brasile e soprattutto Grecia. Gli exploit dell’ex Wizard hanno elevato il rendimento dei cechi, che non hanno patito oltremodo la pesante assenza di Jan Vesely, facendo di necessità virtù anche grazie al mestiere e all’esperienza sotto canestro di Balvin. Col ritorno dell’MVP dell’ultima Eurolega e questo Sato, i cechi si candidano di diritto a un posto sul podio al prossimo Europeo fra due anni, che tra l’altro co-organizzeranno insieme a Germania, Georgia e Italia.
A completare il nostro quintetto ideale è Joe Ingles, insieme a Patty Mills trascinatore dell’Australia arrivata nuovamente a un passo dalla prima medaglia intercontinentale della sua storia. Partito col botto con la tripla doppia sfiorata al debutto contro il Canada, l’ala dei Jazz ha avuto anche qualche periodo più “basso” nel corso del torneo. Il suo rendimento, però, è stato assolutamente cruciale nel consolidare lo status internazionale dei Boomers, che qualora dovessero contare a Tokyo anche su Ben Simmons e sugli altri giocatori NBA assenti (Dante Exum, Jonah Bolden, Ryan Broekhoff e Thon Maker) in Cina si candiderebbero di diritto a una delle medaglie.