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Una coppa meritata
15 lug 2024
15 lug 2024
La Spagna ha vinto l'Europeo credendo nel suo gioco e nei suoi giocatori, fino alla finale.
(foto)
IMAGO / Chai v.d. Laage
(foto) IMAGO / Chai v.d. Laage
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È sempre complicato parlare di risultati “meritati”. Forse è qualcosa su cui non saremo mai tutti d’accordo: c'è chi dice che una partita si merita producendo più occasioni da gol degli avversari in modo da garantirsi un vantaggio anche probabilistico (per farsi amica la sorte, insomma) e chi dice invece che la capacità di rimanere in partita nonostante la sofferenza (anzi, per qualcuno anche grazie alla sofferenza) sfruttando il momento propizio sia a sua volta un merito, soprattutto in uno sport piuttosto a basso punteggio come il calcio. Per me è anche una questione di emozioni trasmesse, di empatia: guardiamo il calcio, quando non riguarda la nostra squadra del cuore, anche per emozionarci, vedere cose nuove, letture diverse, interpretazioni creative e imprevedibilità dei campioni. Quando ci sentiamo emotivamente appagati da questo punto di vista, e vediamo vincere la squadra che ci ha trasmesso queste emozioni, percepiamo un senso di giustizia - sportivamente parlando - di gratitudine verso il gioco.

Al di là di come la pensiate sull'argomento, per una volta la Spagna campione d’Europa potrebbe aver messo d’accordo tutti. La Nazionale di De La Fuente ha vinto 7 partite su 7 senza mai arrivare ai rigori, con incroci tutt’altro che semplici - dal girone con Italia Croazia e Albania, agli ottavi contro la rivelazione Georgia, ai quarti contro l’ottima Germania, fino alla semifinale contro la Francia. Ma al di là dei freddi risultati e dell’inappuntabile bilancio di produttività offensiva e difensiva in tutte queste partite, questa Spagna ci ha coinvolto anche da un punto di vista emotivo, dal carisma dominante di Carvajal e Rodri alla qualità di Fabian Ruiz, fino al talento di Nico Williams, Lamine Yamal e Dani Olmo.

Di Spagna-Inghilterra abbiamo parlato anche in Che Partita Hai Visto, il podcast dedicato agli abbonati di Ultimo Uomo in cui commentiamo le partite più importanti della settimana. Se non sei ancora abbonato puoi farlo cliccando qui.

Tutti elementi che si sono rivisti anche nella scorbutica finale contro l’Inghilterra, una Nazionale che, di contro, sembrava dovesse compiere una missione divina per riuscire a vincere - perché sarebbe stato incredibile perdere di nuovo in finale, perché la quantità di talento offensivo a disposizione continua a crescere, perché dal punto di vista dei soli risultati Southgate non ha rivali tra i predecessori. Una squadra a metà tra la ricerca del coronamento definitivo per una generazione d'oro e un compromesso tattico sempre volto al ribasso, all'annullamento degli eventi di una partita. Ogni volta, guardandola, veniva da chiedersi: davvero non potrebbero fare meglio di così?

Com’era prevedibile, l’Inghilterra non ha cambiato atteggiamento in finale, presentandosi con un’impronta difensiva evidente, un’attitudine operaia per cercare di contrastare una delle Nazionali più efficaci con il pallone tra i piedi. La Spagna teneva Rodri come unico riferimento davanti alla difesa, alzando molto Olmo e Fabian Ruiz a ridosso di Morata, e cercando di spingere sempre con entrambi i terzini, che si muovevano in funzione dell’occupazione dello spazio di Lamine Yamal e Nico Williams.

Quando il possesso era della Spagna, il 4-2-3-1 dell’Inghilterra assumeva una forma asimmetrica: Bellingham a sinistra rimaneva generalmente più alto di Saka dall’altro lato, dividendosi tra Carvajal e qualche “salto” in avanti su Le Normand. Al centro, Foden cercava di disturbare Rodri, mentre Saka a destra, appunto, tendeva ad abbassarsi molto in supporto a Walker contro le avanzate di Cucurella e Nico Williams. Ne è venuto fuori un primo tempo in cui la partita dell’Inghilterra si è sostanzialmente limitata a questo atteggiamento distruttivo: la Spagna riusciva a prendere campo agilmente ma la qualità degli interventi difensivi di Walker, Shaw e Stones in particolare ne ha limitato le possibilità di trovare uno sfogo. La densità di uomini davanti all’area inglese era pronta a sciogliersi lateralmente, per limitare le principali fonti offensive di De La Fuente, i suoi esterni.

Nelle due azioni qui sopra possiamo vedere come Mainoo fosse pronto ad abbassarsi sulla linea difensiva, mentre Saka operasse più in basso rispetto a Bellingham. Pochi secondi dopo, l’Inghilterra riconquista il possesso con un intercetto di Rice, che però non riesce a servire l’esterno dell’Arsenal, che si trovava molti metri dietro per poter garantire un ribaltamento veloce. È stata questa, insomma, la dimensione dell’Inghilterra per tutta la partita, e in generale per la maggior parte delle partite precedenti. Le scelte strategiche difensive, anche discretamente funzionanti, non arrivano mai gratis, senza costi offensivi, cioè. Tenere Saka più basso avrà contribuito a disturbare le combinazioni sulla fascia sinistra della Spagna, ma hanno finito per rendere più difficile la risalita veloce del campo una volta riconquistato il pallone. A tutto ciò, andava sommata una carenza di soluzioni per la progressione del possesso quando la palla partiva da Pickford, finendo poi spesso con verticalizzazioni dirette su Bellingham o verso l’esterno, che la Spagna ha controllato molto bene.

La Nazionale di de la Fuente, nonostante l’applicazione difensiva avversaria, si è comunque affacciata sin dal primo tempo sulla trequarti avversaria con delle dinamiche interessanti, che poi hanno finito per pesare nel secondo, utilizzando principalmente i movimenti incontro di Morata che si incuneava alle spalle dei mediani di Southgate.

Sono state diverse le occasioni in cui l’attaccante dell’Atletico Madrid, in combinazioni riuscite (o quasi) con Olmo e Nico Williams, ha creato più di una sofferenza alla difesa avversaria, sia andando incontro sia attaccando la profondità. Un contesto di gioco abbastanza stressante per i centrali inglesi, che erano costretti ad alternare uscite aggressive per cercare l’anticipo a corse all’indietro per assorbire gli inserimenti, e più di una volta non sono riusciti a tamponare lo spazio dietro Rice e Mainoo. Ne sono nate diverse situazioni preoccupanti che avrebbero potuto aprire alla Spagna la via verso la porta.

Certo, con l’uscita di Rodri all’intervallo, per la Nazionale di de la Fuente le cose sembravano mettersi in salita. E invece, non solo il suo sostituto Zubimendi è entrato benissimo in campo, ma è stata anche l’occasione per modificare parzialmente la struttura di partenza, creando qualche dilemma difensivo ulteriore ai giocatori inglesi.

Al fianco di Zubimendi si è infatti abbassato Fabian Ruiz, e i due con una certa flessibilità posizionale sono diventati un problema per Foden e compagni, che non riuscivano a coprire bene le ricezioni e dovevano adesso anche preoccuparsi del maggior spazio davanti alla propria difesa quando Rice e Mainoo uscivano in pressing alto per compensare. La Spagna, in breve, è diventata sempre più pericolosa perché è riuscita ad aumentare la quantità di palloni giocati “dentro” il campo, e soprattutto la loro varietà.

Il gol di Nico Williams, arrivato dopo appena due minuti dalla ripresa, è stata quasi un’affermazione di intenti: quando Fabian Ruiz ha servito Carvajal sulla fascia, Lamine Yamal si trovava già in posizione interna. La grande lettura del terzino del Real Madrid, che accelera la manovra con un passaggio di esterno di prima, ha rotto il tempismo difensivo dell’Inghilterra, che si è trovata a rincorrere (male) l’invasione dell’area. La qualità di finalizzazione di Nico Williams, arrivato indisturbato approfittando del movimento a stringere di Walker su Olmo, ha fatto il resto.

Nel primo tempo, come abbiamo visto, la soluzione principale per risalire internamente era la verticalizzazione su Morata, mentre nel secondo, oltre ad avere un uomo in più nella fascia centrale in prima costruzione, per la Spagna sono state più frequenti e decisive le combinazioni ravvicinate tra i quattro giocatori più avanzati, che hanno avuto modo di giocare più stretti. Ne sono nate diverse opportunità, propiziate sia da ripartenze alte che da azioni manovrate, fino allo stesso gol del raddoppio.

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Quando riesce a disporre di queste combinazioni, la Spagna diventa veramente difficile da difendere. E anche se dal punto di vista della qualità nelle conclusioni avrebbe potuto fare anche meglio (basti pensare alle due grandi occasioni avute da Lamine Yamal nella terza e quarta azione qui sopra) alla fine il 2-1 è arrivato, inesorabile, con un’azione ad alto coefficiente di difficoltà e dunque di qualità. In questo caso la palla di esterno di Dani Olmo verso Oyarzabal che, arrivando da Cucurella con un passaggio in più, gli ha consentito di ricevere più in alto e di mettere una palla tagliente in area perfetta. E questo senza dimenticare il movimento senza palla di Oyarzabal che, dopo aver aperto il gioco, si è tuffato a concludere come un rapace.

La Spagna è arrivata in area in tanti modi diversi: con giocate veloci dentro-fuori, triangoli palleggiati a ridosso della lunetta, scambi tra Nico Williams e Lamine Yamal a pochi metri di distanza, dribbling elusivi di Olmo e movimenti in profondità di Morata. Alla fine questa ricchezza di soluzioni ha fatto la differenza, di fronte a un’Inghilterra che invece sembrava non avere strumenti offensivi. E pensare che la Nazionale di Southgate aveva trovato il pareggio con un’azione che urlava le potenzialità creative della squadra, tra l’assist di Saka, la sponda geniale di Bellingham e la conclusione chirurgica del subentrato Palmer.

La Spagna di De La Fuente si è presa questa coppa con uno spirito positivo, cercando di affermare le proprie qualità anziché annullare quelle avversarie. L’abbiamo vista arrivare quando si è affermata come la migliore squadra del torneo, e non ha mai avuto un cedimento. Non parlo solo di risultati ma anche della convinzione incrollabile in un’identità forte e alcuni giocatori memorabili. Non sempre questo basta nel calcio, ma quando succede ci sentiamo in pace col mondo.

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