Dopo Euro 2008, Euro 2012 e Euro 2016, ancora una volta si incrociano Italia e Spagna nella fase ad eliminazione di un Europeo. Se per l’Italia ogni sfida è stata affrontata con un ciclo differente, per la Spagna gli scontri con l’Italia sono stati storicamente fondamentali per costruire la grande epica del ciclo di del Bosque. La prima, quella del 2008 ai rigori, viene considerata la partita che ha “sbloccato” la mentalità della generazione d’oro, mentre la seconda, quella in finale nel 2012, è considerata il picco di quella Nazionale, una vittoria netta giocando un calcio celestiale. L'incontro del 2016, invece, è coinciso con la sconfitta che ha chiuso definitivamente il ciclo e portato alle dimissioni dell'ex CT della Nazionale spagnola.
Sono passati cinque anni da quella partita e ora sulla panchina della Spagna c’è un allenatore carismatico e divisivo come Luis Enrique, mentre su quella dell’Italia uno carismatico e popolare come Mancini. I due hanno iniziato il percorso insieme, nel 2018, mantenendo una coerenza nella costruzione delle rosa e del sistema di gioco lungo questi tre anni che hanno portato alla semifinale.
Per la prima volta le due squadre hanno molti più punti di contatto che differenze. Si può quasi dire che con interpreti e moduli diversi ricerchino in campo le stesse cose, ovvero i principi del gioco di posizione.
Per dire, questa è la definizione che da del gioco della Spagna il suo capitano Busquets e che potrebbe essere esattamente la stessa per l’Italia: «Ci sono state partite in cui siamo stati un po' più brillanti e abbiamo segnato gol e altre in cui abbiamo faticato un po' di più. Ma la linea e il lavoro della squadra è sempre stato lo stesso, dominare il gioco, avere la palla, recuperarla il più rapidamente possibile, pressare come una vera squadra. E sapere cosa vogliamo fare in attacco».
L’Italia si ritroverà quindi per la prima volta all’Europeo ad affrontare una squadra che farà il suo stesso gioco, col particolare che tutte e due hanno utilizzato anche la stessa asimmetria nello schieramento, con il terzino sinistro che sale in linea con il fronte offensivo e il terzino destro che rimane bloccato per formare una linea a tre dietro. Dove per l’Italia era Spinazzola (e sarà Emerson) a risalire e Di Lorenzo a rimanere più bloccato, per la Spagna è Jordi Alba alto e Azpilicueta più bloccato.
Qui un’azione della Spagna che potrebbe tranquillamente essere dell’Italia, con l’esterno che viene incontro nel mezzo spazio e il passaggio che è invece per il terzino sinistro che riceve alle spalle dell’avversario per arrivare sul fondo e metterla al centro.
Esattamente come per l’Italia anche per la Spagna il punto di forza principale sta nella capacità di muovere pallone e uomini per disordinare gli avversari. Come l’Italia, anche la Spagna lo fa partendo dal centrocampo, attraverso una gestione ordinata del pallone a cui unisce un’ottima propensione degli interpreti per gli smarcamenti e una capacità di riaggradire l’avversario in caso di perdita del possesso.
Dopo aver dovuto sopperire all’assenza di Busquets, in isolamento per la positività al Covid-19, per le prime due partite, il rientro del centrocampista del Barcellona contro la Slovacchia ha dato maggiore fiducia alla squadra, come visto in una delle partite più a senso unico di questo torneo, con la Spagna che ha chiuso con un netto 5-0 senza subire neanche un tiro nello specchio. La presenza di Busquets, in grado di fare meglio le cose che ha fatto Rodri nelle prime due partite, ha alzato il livello di fluidità della circolazione a centrocampo e di conseguenza migliorato la manovra. La capacità di manipolare il centrocampo avversario è salita in modo evidente e il suo carisma silenzioso ha innalzato anche il livello dei due compagni, Pedri e Koke, più liberi di avanzare sul campo.
Busquets e Koke si trovano a memoria, grazie a un linguaggio comune e a un percorso condiviso ormai piuttosto lungo. Più sorprendente è stata la capacità di Pedri di battere a 18 anni la concorrenza di un fenomeno del ruolo come Thiago Alcantara. Il canterano blaugrana sta dimostrando quanto di positivo visto in stagione: la sua creatività con il pallone, la capacità di resistere alla pressione avversaria e l’intesa con Busquets e Jordi Alba rappresentano il nucleo centrale della manovra della squadra.
Se però contro la Croazia agli ottavi la Spagna è stata in grado di segnare cinque gol in 120 minuti, ai quarti, nello stesso lasso di tempo, è riuscita a segnare una sola rete alla Svizzera, in inferiorità numerica dal minuto 77. Gli elvetici hanno affrontato la partita con un sistema a specchio rispetto a quello spagnolo, con marcature a uomo e movimenti per coprire le linee di passaggio con l’intenzione così di rendere complicata la circolazione avversaria. Una obiettivo che nell’arco dei 120 minuti si può dire centrato, pur non riuscendo a impedire completamente alla Spagna di generare occasioni da gol. Una partita che è stata in sostanza la messa in scena di quelli che fin dall’inizio del torneo sono sembrati i limiti della Spagna: la squadra di Luis Enrique ha tirato 28 volte (di cui 10 volte nello specchio), creando 3,5 xG, riuscendo però a segnare grazie ad un tiro deviato.
La difficoltà a convertire in gol le occasioni create è il grande tema che accompagna la Spagna. Come per l’Italia agli spagnoli manca un giocatore in grado di convertire quanto la squadra crea. Manca il Raúl, il Villa, il Fernando Torres del caso. Per i due attaccanti portati da Luis Enrique, Alvaro Morata e Gerard Moreno, la finalizzazione è il punto debole. Non portando Iago Aspas, forse lo spagnolo con più talento puro nella giocata, l’allenatore ha scelto di avere a disposizione ottimi giocatori di sistema, in grado di saper leggere i momenti della partita e a prendere le decisioni giuste, ma che difficilmente possono sbloccare una partita con giocate controintuitive.
La risposta di Luis Enrique ai problemi di finalizzazione è stata netta: fiducia totale nel giocatore su cui aveva più puntato alla vigilia, Morata, arrivando a dire davanti ai microfoni dopo la partita d’esordio che per lui sarebbe stato «Morata e altri 10», e poi confermandolo sempre titolare. Una scelta particolarmente apprezzata dall’attaccante della Juventus, che ha avuto più di un problema di fiducia in carriera: «Con Luis Enrique mi sono sentito sostenuto come mai nella mia carriera. Apprezza le cose che faccio che non hanno a che fare col gol».
Al tempo stesso Luis Enrique ha cambiato i due compagni d’attacco provando un po’ tutti i giocatori offensivi a disposizione fino ad arrivare all’idea di un tridente “classico” con Ferran Torres a destra e Pablo Sarabia a sinistra, due ali schierate a piede non invertito. Contro l’Italia mancherà Sarabia e il sostituto dovrebbe essere uno tra Dani Olmo e Gerard Moreno, cambiando in qualche modo il modo in cui attaccherà la Spagna. Anche cambiando gli interpreti accanto a Morata, il risultato però è stato spesso lo stesso: la squadra di Luis Enrique è quella che crea più occasioni da gol dell’Europeo, secondo StatsBomb è prima per xG ogni 90’ (2,54) e per xA per 90’ (1.64), prima per numero di tiri nello specchio della porta con 39, con Morata e Gerard Moreno che per Sofascore sono primo e secondo per numero di grandi occasioni fallite (6 e 5 rispettivamente).
Parafrasando le parole di Luis Enrique, la Spagna è una squadra in cui nessuno sbaglia a livello di “concetto”, ma in cui capitano errori di esecuzione. Come stiamo vedendo, questi errori non sono solo sotto porta: la Spagna ha dato la sensazione di essere una squadra fragile, di poter sì dominare una partita ma lasciando sempre delle occasioni che gli avversari possono sfruttare. In questo modo ha subito due gol in 5 minuti contro la Croazia e ogni transizione lunga della Svizzera ha seminato il panico pur non generando reali occasioni da gol. In alcune situazioni, i centrali della Spagna sembrano quasi complicarsi la vita da soli o per errori banali o per le letture che fanno.
La convocazione di Aymeric Laporte, arrivata giusto in tempo per questo Europeo dopo anni di corteggiamento e rifiuto a favore della Francia, ha portato alla particolare situazione per cui entrambi i centrali, oltre ad essere di piede sinistro, condividono pregi e difetti. I pregi evidenti nell’abilità nel gestire il pallone, i difetti nella sorprendente capacità di sbagliare le letture o eseguire gesti inspiegabilmente goffi. Il gol del pareggio della Svizzera ne è un ottimo esempio: in una situazione di gioco piuttosto facile da controllare, un errore nell’anticipo di Laporte fa carambolare il pallone addosso a Pau Torres, che non è riuscito a togliersi in tempo finendo per servire un passaggio perfetto per Freuler, che ha potuto giocare un due contro uno in area di rigore.
Quando la Spagna non ha il pallone, basta una piccola sbavatura nei tempi di pressione per evidenziare le lacune nella fase difensiva. Dal punto di vista strutturale, la Spagna fatica a gestire le transizioni offensive quando la prima riaggressione non va a buon fine. Per come gioca, la squadra di Luis Enrique è costretta a difendere in avanti, e se viene saltata la pressione è costretta ad affidarsi alle letture delle linea difensiva e alle coperture degli altri (cioè a chiedere a tutti quelli oltre la linea della palla di correre all’indietro). Ma questa è un’opzione che Luis Enrique accetta, considerando che il baricentro della squadra è stabilmente spostato nella metà campo avversaria e non si può coprire in maniera proficua tutto il campo da gioco.
Insomma la Spagna è una squadra con difetti strutturali evidenti che non è stata in grado di superare lungo il torneo, ma è anche e soprattutto una squadra compatta, capace di superare ogni momento di difficoltà incontrato lungo il percorso. Come per Mancini, anche per Luis Enrique l’idea di partenza è stata che - in assenza di grandissimi singoli - era necessario creare un gruppo con un’idea di gioco ben definita, che esaltasse i punti di forza della rosa. Luis Enrique ci è arrivato alla sua maniera poco convenzionale, andando contro buona parte dell’opinione pubblica spagnola: ha scelto solo 24 giocatori rispetto ai 26 convocabili, proprio per avere un gruppo con tutti coinvolti, lasciando a casa uno come Sergio Ramos per non minare la fiducia dei centrali più giovani al primo errore. Ha rinunciato totalmente ai giocatori del Real Madrid e, una volta scelto i suoi uomini, li ha difesi a spada tratta.
Ha difeso davanti i microfoni il portiere Unai Simon dopo l’errore nello stop che è costato il primo gol contro la Croazia. L’ha fatto appunto dicendo che per lui ci sono errori "di concetto" e "di esecuzione", e quelli di esecuzione, come nel caso di Unai Simon, hanno una soluzione facile. Lo stesso Unai Simon nel secondo tempo ha salvato la partita contro la Croazia con una grande parata e poi è risultato decisivo nei rigori contro la Svizzera: «Non rivelerò le conversazioni tra lo staff e i giocatori, ma posso dirvi che parte del motivo per cui abbiamo vinto i rigori è stato Luis Enrique», ha detto dopo la partita.
Quella che aspetta l’Italia è quindi una partita difficile, come sempre contro la Spagna, ma anche la prova più importante per il ciclo di Mancini. Gli spagnoli sono più abituati di noi a questo tipo di partite, e a farle mantenendo la stessa idea di calcio anche nei momenti più difficili. L’Italia si è mostrata più fresca e spensierata, anche organizzata meglio per alcuni aspetti, ma la squadra di Luis Enrique ha mostrato di poter dominare ogni avversario e creare occasioni grazie al suo gioco sempre uguale ma sempre diverso.