Qatar 2022 si porta dietro questioni problematiche. In questo articolo abbiamo raccolto inchieste e report che riguardano le morti e le sofferenze ad esso connesse.
La storia delle relazioni tra Spagna e Marocco è lunga e tortuosa. Prima una lunga dominazione moresca, durata oltre 700 anni, che ha portato una forte influenza della cultura nordafricana su quella spagnola (lo stesso nome Andalusia deriva da Al-Andalus quello dato dai mori alla Spagna), poi la reconquista degli eserciti cristiani che si sono spinti fino in Africa, come dimostrano le due exclavi spagnole Ceuta e Melilla. Dal 1912 al 1956, poi, la Spagna ha amministrato il Protettorato spagnolo del Marocco, una porzione del territorio marocchino assegnatale dal Trattato di Fez. Ancora oggi, intorno a Ceuta e Melilla e ad alcune isole disabitate situate tra Spagna e Marocco, periodicamente la tensione diplomatica tra le due nazioni torna a salire. Oggi quasi un milione di marocchini vivono in Spagna e anche nel calcio le commistioni sono forti. Il portiere marocchino Munir è nato a Melilla, è cresciuto calcisticamente a Ceuta e gioca nella nazionale marocchina; Achraf Hakimi è nato a Madrid e cresciuto nella cantera del Real Madrid, mentre Brahim Diaz avrebbe potuto scegliere di giocare per il Marocco invece che per la Spagna.
La Spagna è arrivata all’ottavo di finale contro il Marocco sospettata di avere scelto il proprio avversario (per qualcuno addirittura il proprio avversario ai quarti, cercando di evitare il Brasile) perdendo l’ultima partita del girone contro il Giappone ottenendo, in aggiunta, l’eliminazione della Germania. Era una teoria difficile da sostenere già in partenza, viste anche le parole di Luis Enrique nel post partita, ma che è ancora più difficile da sostenere alla luce di come è andata la sfida tra le due squadre. La Spagna ha incontrato le stesse difficoltà tattiche messe in evidenza contro il Giappone, che però erano state interpretate come mancanza di motivazioni e determinazione. Spagna-Marocco, invece, ha confermato tutte le difficoltà della squadra di Luis Enrique di attaccare contro un avversario che si difende con un blocco medio-basso.
Da questo punto di vista il Marocco era uno degli avversari più difficili. La squadra di Walid Regragui, vincitore della Champions League d’Africa nel 2021 con il Wydad Casablanca e sulla panchina marocchina da agosto, ha passato il girone al primo posto mostrando una difesa solidissima (un solo gol subito, oltretutto un autogol) e una capacità di rendere inoffensivo qualsiasi attacco, anche quello di squadre offensivamente valide come Belgio e Croazia. Anche con la Spagna, ovviamente, il Marocco ha cercato in tutti i modi di rendere inoffensivo il possesso palla degli avversari, riuscendoci con merito. In 120 minuti la Spagna ha creato appena 0.9xG, tirando 13 volte, ma solo una di queste nel primo tempo, sei nella ripresa e sei nel supplementare, quando la stanchezza dei giocatori del Marocco ha aperto qualche spiraglio in più (e comunque solo un tiro ha centrato lo specchio della porta). Non è un caso che la Spagna abbia avuto la migliore occasione al 123esimo, in un momento in cui la partita sembrava già finita, con Sarabia che ha centrato il palo da posizione difficilissima, un'azione che tra l'altro sarebbe passata sotto il controllo del VAR in caso di gol per un possibile fuorigioco.
Anche gli xG mostrano una partita, in termini di finalizzazione, estremamente equilibrata.
Come sono riusciti Regragui e i suoi uomini a fermare l’attacco spagnolo? E, ribaltando la prospettiva, cosa non ha funzionato nella fase offensiva della Spagna, perché non è riuscita a vincere la battaglia contro la difesa marocchina e produrre occasioni da gol?
La difesa del Marocco
Regragui ha impostato la partita del suo Marocco rinunciando di fatto al possesso del pallone, cercando in maniera primaria di intasare le linee di passaggio abituali degli avversari e, in maniera secondaria, di utilizzare la riconquista palla in zona medio-bassa come principale arma offensiva per attaccare lo spazio lasciato libero in avanti. Il possesso palla del Marocco è calato in maniera fisiologica con il passare dei minuti, attestandosi su un dato finale del 23%, ma, comunque, senza superare mai il 30% anche nel primo tempo, quando ci sarebbero state le energie per provare a imbastire qualche trama offensiva una volta recuperato il pallone.
Il 4-1-4-1 del Marocco era piuttosto rigido, con Amrabat tra le linee di difesa e centrocampo a schermare ancora meglio la zona centrale del campo. I calciatori sono stati bravi a tenere queste due linee sempre strette, ma senza abbassarsi mai troppo addosso al portiere Bounou, evitando così di dover passare lunghe fasi di pura difesa degli ultimi metri di campo. È interessante come la strategia del Marocco fosse molto più orientata alle linee di passaggio che non all'uomo. In questo senso, a sobbarcarsi il lavoro maggiore sono stati il centravanti En-Nesyri e le due mezzali Ounahi e Amallah. In fase di non possesso En-Nesyri ha sempre occupato la linea tra il pallone in possesso di uno dei due centrali spagnoli e il mediano Busquets, mentre Ounahi e Amallah rispettivamente quelle tra il pallone sui piedi di Laporte – centrale di sinistra – e la mezzala sinistra spagnola - inizialmente Pedri - e tra Rodri e la mezzala destra, inizialmente Gavi. Compito prioritario di questi tre era occupare, ognuno per il proprio ruolo, la linea di passaggio interna verso i centrocampisti spagnoli e, solo dopo averla occupata, provare a pressare il portatore, muovendosi in avanti su un immaginario binario disegnato dalla linea tra il pallone e il centrocampista che avevano il compito di schermare. La partita difensiva del Marocco è nata dal lavoro di En-Nesyri, Ounahi e Amallah, svolto splendidamente per applicazione e precisione dei movimenti.
Nell’immagine si En-Nesyri e Amallah occupare perfettamente le linee di passaggio verso Busquets e Gavi. Ounahi scherma invece Pedri.
Con il centro ossessivamente schermato dai giocatori del Marocco, i due centrali della Spagna erano forzati a passare dai terzini, Llorente a destra, preferito a Carvajal ed Azpilicueta, e Jordi Alba a sinistra. Quando il pallone arrivava sull'esterno, il Marocco sceglieva comunque di chiudere il centro con Ziyech e Boufal, e piuttosto lasciando libero il passaggio per l'ala spagnola. A quel punto era compito dei terzini Hakimi e Mazraoui aggredire, con l’aiuto della linea laterale e del raddoppio degli stessi esterni offensivi, la ricezione avversaria. Nelle migliori occasioni, invece, quando il Marocco è riuscito a trovare tempi di uscita ottimali, il Ziyech e Boufal hanno chiuso anche la linea di passaggio verso l’esterno, lasciando quella interna al lavoro delle due mezzali, puntando così a un recupero più aggressivo del pallone.
Amallah muovendosi sulla linea tra Rodri e Gavi si alza in pressione sul centrale spagnolo che deve aprire sull’esterno su Llorente. I tempi di uscita in pressione del Marocco sono perfetti e le energie ancora integre: Boufal scherma il passaggio verso Ferran Torres e Amallah chiude, rientrando, la linea di passaggio verso Gavi e intercetta il pallone servito da Llorente.
Se la pressione della prima linea del Marocco è stata fondamentale per indirizzare il palleggio della Spagna, alle sue spalle Amrabat è stato quasi eroico. Con una squadra compatta che gli permetteva di non dover percorrere distanze orizzontali infinte, il giocatore è stato capace di fare un enorme lavoro di cucitura dei piccoli strappi che talvolta si sono creati nella struttura difensiva del Marocco, giganteggiando nel recupero del pallone e nel contrasto degli avversari.
Tutto il lavoro dei centrocampisti e degli attaccanti ha permesso alla difesa di rimanere alta e, soprattutto, non in affanno, così da poter tenere un alto livello di applicazione, energia e precisione nei momenti in cui invece le era richiesto di fronteggiare direttamente gli avversari, non andando mai in difficoltà pure contro alcuni dei migliori attaccanti al mondo.
Al lavoro collettivo che, non va dimenticato, è sempre la somma del lavoro di ogni singolo, la fortuna della fase difensiva marocchina è stata data anche dalla capacità dei giocatori di vincere i propri duelli individuali. In particolare sull’esterno, l’unica via possibile a un certo punto per l’attacco spagnolo, Hakimi ha vinto difensivamente il duello con Dani Olmo e Mazraoui quello con Ferran Torres. Maggiori problemi ha invece creato Nico Williams, forse l’unico giocatore spagnolo in grado di infiammare la propria fase d’attacco con un paio di accelerazioni.
Una volta recuperato il pallone, il Marocco è riuscito raramente a ripartire, eppure è riuscito a creare qualche occasione in maniera efficace. Il lato destro del campo, con Hakimi, Ziyech – autore di una partita eccezionale per applicazione e qualità – e l’ottimo Ounahi è stato quello su cui il Marocco ha appoggiato maggiormente le proprie ripartenze, ma, sul lato sinistro, nel primo tempo Boufal coi suoi dribbling (9 dribbling tentati in soli 67 minuti di gioco) è stata la fonte di maggior pericolo per la difesa avversaria. Con il passare del tempo le ripartenze marocchine si sono via via diradate, ma le migliori occasioni del match sono giunte nei tempi supplementari con il giocatore del Bari, Cheddira, prima messo davanti a Unai Simon da uno splendido assist di Ounahi e poi lanciato a rete da Ezzalzouli dopo un fantastico recupero palla davanti la difesa del solito Amrabat.
Di questa partita abbiamo parlato anche nel nostro podcast riservato agli abbonati, Che Partita Hai Visto. Se non lo avete ancora fatto, potete abbonarvi cliccando qui.
La rigidità della Spagna
È cosa nota che la Spagna di Luis Enrique attua un Juego de Posición piuttosto ortodosso, utilizzando tutti gli strumenti tattici utili ad trasferire sul campo i principi del sistema. Le enormi difficoltà spagnole a ricevere alle spalle della pressione avversaria hanno minato tutte le certezze dei suoi giocatori, che hanno visto il tempo passare sul cronometro senza riuscire a trovare la chiave di volta della partita. Tali difficoltà, oltre che meriti come abbiamo visto del Marocco, sono state anche causate da alcune carenze nel gioco spagnolo. Per attuare un gioco di posizione che funzioni è necessario il concetto di “hombre libre”, ovvero l’uomo libero di ricevere per far avanzare la manovra. Per trovarlo è fondamentale lo scaglionamento della squadra sul campo e la circolazione del pallone per permettere ricezioni pulite che consentano alla squadra di avanzare e, a catena, trasferire la superiorità numerica e posizionale, in zone più alte del campo.
Anche ieri la Spagna ha provato a usare le sue armi per avere la meglio del Marocco, cercando di applicare al meglio la tattica del proprio allenatore che è storicamente quella che ha portato al successo la Nazionale, ma non ci sono riusciti, a partire dai due centrali, Rodri e Laporte, mai in grado di “condurre per attrarre”, ovvero di avanzare palla al piede per attirare il pressing delle mezzali avversarie liberando così spazio per le ricezioni delle proprie mezzali. Anche l’utilizzo del “terzo uomo” è stato poco brillante, tanto che, a metà del primo tempo, Luis Enrique, per ripulire il più possibile l’uscita palla dalla difesa, ha spostato Pedri a destra e, in fase di costruzione, lo ha schierato al fianco di Rodri, con Llorente avanzato nel mezzo spazio di destra. La mossa non ha dato i frutti sperati, sia perché il Marocco ha continuato a reagire bene alla circolazione palla maggiormente qualitativa della Spagna, sia perché ha tolto Pedri da zone più avanzate, dove avrebbe potuto incidere maggiormente in fase di rifinitura.
In definitiva i tipici strumenti del gioco di posizione – la conduzione, l’utilizzo del terzo uomo – non sono stati sufficienti e creare le condizioni utili a fare risalire il pallone con efficacia, a generare l'uomo libero che permettesse all'attacco di avere dei vantaggi. Era oggettivamente complicato muoversi all’interno dello schieramento mobilissimo e iper-attivo di Regragui, ma un movimento del pallone più rapido, conduzioni più decise e, in generale, maggiore qualità nella circolazione avrebbero potuto aiutare, e non poco, la Spagna. In aggiunta, pur rimanendo nel solco del Juego de Posición, lo stesso Luis Enrique avrebbe forse potuto apportare qualche aggiustamento nello schieramento per rendere più complesse le letture ai movimenti difensivi marocchini. Partendo dal suo 4-3-3, Luis Enrique ha utilizzato sostanzialmente solo due rotazioni per favorire la risalita del pallone. La prima, già descritta, nella zona di destra, con Pedri al fianco di Rodri e Llorente in posizione di mezzala. La seconda, sul lato opposto, invece ha coinvolto l’intera catena di sinistra con la mezzala che si è spesso abbassata a ricevere il pallone al fianco esterno di Laporte, Jordi Alba che si è alzato in ampiezza e Dani Olmo che, di conseguenza, ha occupato dinamicamente il mezzo spazio di sinistra. A quel punto Asensio effettuava un taglio interno-esterno verso sinistra, nella zona tra Hakimi e Aguerd, approfittando del movimento dei compagni. Questa rotazione ha avuto esiti promettenti, liberando un paio di volte in profondità Asensio e Jordi Alba, ma presto il Marocco ha iniziato a leggere meglio i movimenti dei calciatori spagnoli riuscendo a limitarli.
Pedri si abbassa a ricevere da Laporte, Jordi Alba prende l’ampiezza, Dani Olmo occupa l’half-space, Asensio si muove verso sinistra.
Per il resto Luis Enrique non si è mosso dal suo 4-3-3. Ad esempio, Busquets non si è mai abbassato tra i centrali per testare la risposta difensiva di En-Nesyri a un movimento anomalo dello schieramento offensivo avversario. Nessun giocatore è andato mai ad occupare la zona di Amrabat, al fine di renderlo, di fatto, meno disponibile a cucire ogni strappo della struttura difensiva della sua squadra. O, ancora, la Spagna non ha aumentato il numero di giocatori sopra la linea del pallone, rendendo meno densa la zona della costruzione dal basso e provando così ad aumentare gli spazi utili a una risalita più comoda del pallone.
Lungi dal volere trovare al posto di Luis Enrique soluzioni ai problemi complessi posti dall’ottima prova difensiva del Marocco, non si può non notare come la Spagna, proprio in una partita che avrebbe richiesto maggiore brillantezza tecnica e maggiore capacità di lettura delle situazioni di gioco per smuovere l'avversario da meccanismi difensivi perfetti e consolidati dalla ripetitività del movimenti avversari, abbia giocato una partita piuttosto grigia tecnicamente e abbia fornito un’interpretazione eccessivamente meccanica e scolastica delle idee del suo allenatore. Pur all’interno dei propri principi di gioco, i giocatori spagnoli e Luis Enrique avrebbero dovuto e potuto giocare una partita più ricca e meno rigida per confondere e disordinare l’eccezionale fase difensiva di Regragui.
Il dominio quasi soprannaturale di Bounou sui calci di rigore, la sensazione di sconfitta già maturata dagli uomini di Luis Enrique prima di calciare dagli undici metri, l’ennesima disfatta ai rigori ai Mondiali della Spagna dopo quella contro l’Italia nella semifinale degli Europei, sono giunti dopo una partita che il Marocco ha giocato come voleva e che la Spagna ha fondamentalmente subito senza trovare la chiave per portarla su un terreno a lei favorevole. Il Marocco, come il Camerun di Italia ’90, il Senegal di Corea e Giappone del 2002 e il Ghana di Sudafrica 2010, porta il calcio africano ai quarti di finale dove proverà a fermare, probabilmente con una strategia simile, lo splendido Portogallo visto contro la Svizzera. Luis Enrique forse terminerà in Qatar la propria esperienza sulla panchina spagnola, ma la generazione di Gavi e Pedri è solo all’inizio e di certo non si fermerà qui. Per questa volta, la battaglia, su un campo di calcio, l’ha vinta il Marocco.