Sconfitta 1-9 (fine primo tempo 1-3).
Lunedì ore 22 temperatura ideale, neanche umido, Tor di Quinto.
DANIELE
Poche settimane fa mi sono accorto che sto perdendo peso. Non ho cambiato molto nella mia routine a parte il fatto che forse mangio di meno, ho proprio meno appetito rispetto a prima. Per chi mi incontrava vestito non ho mai avuto chili di troppo ma da qualche anno io lo vedevo nei fianchi. Quindi inizialmente ero contento (ho fatto anche qualche esercizio con dei bilancieri in metallo da tre chili l'uno, brutti e vecchi, che mi porto dietro nei traslochi da anni e non ricordo come ho avuto) poi è venuto a cena mio padre che ha mangiato poco e ho collegato le cose. Lui è molto magro, ma è piccolo e io sono alto, non ho mai pensato che un giorno il mio corpo avrebbe finito per somigliare al suo.
Gli avversari avevano tutti maglie diverse anche se bianche. Erano giovani, correvano tantissimo. Sono andati in vantaggio con il terzino sinistro che ha preso palla e ha tagliato tutto il campo manco fosse Bale. Uno di loro giocava con la maglia di Bale, ma non era quello. Un altro, quello che ho odiato di più, aveva una scritta rossa: “Campioni 2007-2008”.
FRANCESCO
Quando è iniziata la partita ho visto quant’erano leggeri fisicamente e ho pensato, scandendo le parole a mente, “questa è la partita che noi possiamo vincere”. Mentre giocavo sentivo di avere molto fiato e correvo sul pallone con maggiore convinzione che nella prima giornata. All’inizio loro hanno fatto fatica a impostare l’azione perché pressavamo compatti, e hanno mandato in fallo laterale alcuni tentativi di impostare dalla difesa. Era la prima volta in vita mia che giocavo una partita pensando che poi ne dovevo scrivere, e una parte del mio cervello è stata occupata da quest’attività innaturale, estranea, di ricordare cosa stava succedendo, di provare a dare un senso all’esperienza dell’annaspare e del correre mentre era ancora informe e vitale.
DANIELE
Siamo stati in partita almeno fino a fine primo tempo. Pacifico ha pareggiato su mio assist da fallo laterale. Lui si è posizionato bene alle spalle di un paio di difensori: sa che lo cerco sempre su rimessa e io so quanto è pericoloso in area. Si è girato al volo e ha calciato tra palo e portiere. Poi si è fatto male alla caviglia e sono andato io in attacco. Tutti i giocatori giovani e offensivi che più o meno fanno parte del giro non potevano venire questa settimana.
Abbiamo cambiato la tattica 3 volte a partita in corso per adeguarci al loro gioco basato prevalentemente sugli inserimenti palla al piede da dietro. Doveva esserci un modo per impedirgli di farci quella violenza. Ci siamo sistemati meglio quando siamo passati al 4-2-1 estremamente difensivo, con due persone in più al centro per assorbire le loro corse. Abbiamo sfiorato il gol con un bell'inserimento di ED a cui però ho dato una palla rasoterra dalla fascia leggermente lunga. Loro però in quel periodo, nel nostro momento migliore cioè, hanno fatto tre gol (uno un po' ridicolo: retropassaggio sballato con il portiere che per evitare il calcio d'angolo finisce per servire il loro esterno destro a porta vuota).
Sei mesi fa stavo scrivendo una serie tv sul calcetto insieme a persone che ragionavano solo in chiave comica. E nel racconto di genere sportivo la sconfitta è sempre tragica. Non si parla di questa forma di umiliazione molto terrena che dura giorni dopo la sconfitta.
FRANCESCO
Dopo aver fatto del buon pressing sono rimasto abbastanza alto, con tutta la squadra, fino al fallo laterale in cui servito da Daniele ho lasciato scorrere la palla proteggendola col corpo, verso l’esterno del campo, ho alzato molto la gamba, più del mio standard, e ho visto lo spazio tra il portiere piazzato e il palo. Visto che fino a novembre pesavo centouno chili mi sembra un miracolo segnare, nonostante giochi sempre punta. A volte mi sembra che mio padre o Daniele abbiano comprato la squadra e mi lascino giocare, come il figlio di Gheddafi al Perugia. Ma ora che sono dimagrito riesco a girarmi e tirare, anche se ancora, dopo le azioni più insistite, sento salire quell’affanno che due anni fa si trasformò, e per un lungo periodo, in crisi respiratorie che mi costringevano a smettere di correre e ad aspettare, immobile e terrorizzato, il ritorno di un flusso di aria continuo.
DANIELE
Quando la partita è andata fuori controllo ho dato un po' di calci a caso agli avversari. Una parte di me pensa che sono un duro anche se chi mi conosce sa che non lo sono e grazie a loro lo so anch'io. In qualche modo però mi serve per trovare la forza di restare in campo in quei momenti (sotto 1-6 con gente di dieci anni più giovane che cerca di segnare ancora e ancora senza alcun rispetto). Così provo a prenderli a calci ma sono inoffensivo e mi pento subito, a volte chiedo scusa dopo il fallo (che forse è la sola cosa da psicopatico); tornato a casa lo racconto alla mia ragazza che mi guarda preoccupata e poi mi pento anche di quello. Mi fanno male le gambe e tutti i punti del corpo con cui sono entrato in contatto con i corpi degli avversari. La notte dormo male cambiando continuamente posizione, la mattina zoppico e ho un livido sul piede e mal di testa. Prendo delle compresse di Polase.
FRANCESCO
Dopo il gol ho continuato col pressing, ma siamo tornati in svantaggio. Stavo cercando di pensare in termini narrativi, forse per questo, stupidamente, ho esagerato nel pressing e a un certo momento ho inseguito il loro terzino destro, poi il centrale cui era stata passata la palla, e infine il terzino sinistro, che era in anticipo: sono saltato con l’intenzione o di anticiparlo o di fargli male, e prima di atterrare ho sentito girare il piede destro e ho iniziato a bestemmiare da per terra. L’avversario, un ragazzo caruccio e sottile, mi ha detto senza animosità che non era fallo e non dovevo stare per terra, io gli ho risposto che mi faceva malissimo e non mi importava niente di lui, stavo solo affrontando il dolore: non so con che parole mi sono espresso. Visto che, per stupidità, stavo ragionando narrativamente, e non si dovrebbe mai farlo in campo, pena il senso di morte, ho pensato: ecco, questo è l’infortunio che mette fine alla mia carriera. Come tanti amici, ora tocca a me.
DANIELE
Avevamo il portiere (FF, pugliese lavora in banca, non sarebbe un portiere vero e proprio ma una volta si è messo in porta per farci un piacere e lo abbiamo eletto portiere titolare, facendolo passare davanti anche a portieri veri e propri), il capitano FC, ed era venuto persino AL a cui nel frattempo, la settimana scorsa, è nato il figlio e dato che nei giorni scorsi non lo sono riuscito a sentire, pensavo non venisse.
E poi c'era Davide Mare, ex compagno di classe sulla cui storia calcistica ho scritto uno dei primi pezzi per Ultimo Uomo. Vederlo infilarsi le ginocchiere nello spogliatoio era come avere Don Draper seduto sul divano per l'aperitivo. In campo però, nonostante si vedesse il solito non so che che lo rendeva speciale negli anni del liceo, specialmente nello stretto, a protezione del pallone, Davide ha avuto parecchia difficoltà, ha evitato i contrasti dall'inizio e quando gli ho detto di giocare centrale in difesa così almeno impostava ha perso un paio di palloni importanti. La partita è stata un vero incubo, per tutti, anche per Davide Mare.
La nostra età media era sopra i trent'anni. Il risultato vero era 1-10, ma ho chiesto al tipo dell'organizzazione di truccare il referto dell'arbitro scritto a matita.
FRANCESCO
Se avessi trovato la mia fine calcistica con quell’intervento avrei potuto vederla in due modi—e così l’ho vista mentre mi alzavo e uscivo dal campo per sedermi in panchina e dare un pugno al seggiolino rosso accanto al mio: 1) Tutta l’idea di tenere un diario del calciotto nasce in realtà dalla mia premonizione che finirò la carriera proprio adesso: succederà quindi che mi troverò a scrivere della mia età e della fine delle mie possibilità, e del mio 37esimo compleanno che cade a fine luglio, come ha fatto Steve Nash, una delle più grandi point guard della storia del basket, proprio quest’anno passato guadagnando lo stipendio ai Lakers senza mai giocare: come lui ha girato un documentario sul limbo in cui si trova, io starei scrivendo della fine della mia possibilità di fare la borsa, infilare cavigliere, allacciare scarpini, alzare le braccia quando segno, entrare da dietro sulle gambe di qualcuno, insultare un amico in spogliatoio, poi bere Gatorade e birra continuando a sudare. 2) Se mi fossi rotto qualcosa e avessi dovuto smettere, il mio recupero fisico sarebbe stato una grande parabola sul significato più profondo del perfezionamento di sé: supero i cento chili, comincio ad avere crisi respiratorie in campo, decido di non smettere, sopporto le partite del torneo di calcetto in cui mi fanno giocare solo dieci minuti perché non ho fiato, mi metto a dieta, dimagrisco, ricomincio a funzionare, faccio pressing, e appena conquisto una condizione ideale mi infortuno e smetto: perché il senso, mi dico, sarebbe solo nel processo di perfezionamento e non nel risultato raggiunto.
DANIELE
Il tipo dell'organizzazione, che è anche quello che gestisce i campi da calcetto al di fuori del torneo, mi chiede prima della partita se dopo la partita possiamo sbrigarci a fare la doccia. Lui deve aspettare che ce ne andiamo ma la mattina non ho capito che problemi hanno con i Carabinieri o, lui dice, la Digos, per via della sparatoria della settimana scorsa. Hanno anche paura che con il casino che si è alzato qualcuno provi ad occupargli la struttura. Sarebbe un'occupazione di un'occupazione. Quando andiamo via verso mezzanotte mi chiedo se magari non è per quello che tengono i riflettori accesi sul campo vuoto, sprecando elettricità. Magari anche noi abbiamo rischiato qualcosa a giocare lì tra le dieci e mezzanotte.
FRANCESCO
Ma non mi sono fatto niente, solo una storta, che curo portando la cavigliera anche di notte, e girando per la città con delle scarpe da basket alte per proteggere la caviglia. Mentre guardavo la partita dalla panchina, dove ho passato l’intero secondo tempo senza cercare la felpa in spogliatoio perché la sera era mite e nemmeno umida, scuotevo la testa come un bambino che sta imparando a comunicare le emozioni fondamentali. L’idea che prima o poi dovrò smettere di giocare a pallone mi teneva una mano sulla spalla: una mano dolce e triste, affettuosa, che rallentava il tempo della partita e mi faceva guardare la sconfitta come non l’avevo mai guardata: i miei compagni erano troppo vecchi, tutti sopra i trenta, senza cambi—a causa mia—non riuscivano a rifiatare. A ogni gol subito li vedevo spaventati di deludere gli altri della squadra. Soprattutto erano spaventati quelli nuovi, soprattutto CF, che per il portamento eretto e lo sguardo triste e angosciato se si perde l’attaccante avversario, sembra l’alpino di uno sceneggiato RAI che lascia morire il compagno di trincea per una distrazione e non se lo perdona per tutta la vita. Come vorrei essere sempre calmo come l’altra sera mentre guardavo queste cose dalla panchina.
DANIELE
Nello spogliatoio dopo la partita sono io l'unico preso male. Forse Francesco che è preoccupato per la caviglia. Io mi sento responsabile della sconfitta, come se avessi organizzato una festa e fosse venuta male, e ho paura che anche gli altri la pensino così (ho anche giocato maluccio). Dopo che perdo ho paura. Ho paura che FC, che quando ha avuto il figlio non è venuto per un anno, prima o poi smetta di venire definitivamente. Ho paura che tutti quelli che non vengono più a giocare non vengano più per colpa mia.
Un tempo dopo le sconfitte reagivo dando di matto e pensavo che fosse buon segno, che fosse necessario per migliorare. Adesso so che migliorarsi non c'entra niente, per questo non do di matto come un tempo. So anche che con tutta la volontà del mondo non posso più migliorare in modo significativo.
In spogliatoio si parlava del fatto che Davide Mare si sta per trasferire negli USA. Segue la moglie senza aver prima trovato un lavoro e qualcuno ha detto che magari finirà a vivere da mantenuto. In macchina al ritorno GDA racconta che lui ha vissuto così per un anno, sempre per seguire una moglie con un lavoro impegnativo. Il mio ultimo lavoro con uno stipendio fisso risale ormai a più di un anno fa, i soldi vanno e vengono, ascolto GDA che ha qualche anno più di me, ho paura e cerco di imparare qualcosa dalla sua esperienza.
All'andata con AL abbiamo trovato traffico sul Muro Torto. Mi parlava del figlio, muove una gamba mentre dorme e le infermiere dicono che da grande farà il calciatore. Non so perché gli dico che mi dispiace non avere avuto un figlio qualche anno fa, ho sempre pensato che sarei stato un padre giovane. “Almeno sai perché non lo hai fatto”, dice lui. All'altezza dell'Olimpico macchine parcheggiate in modo assurdo. Anche stavolta c'era una partita della Lazio, la festa per i quarant’anni dal primo Scudetto che per qualche ragione si chiamava: “Di padre in figlio”.
Qui trovate la prima puntata.