Si può trasformare in sole tre stagioni la squadra peggiore delle Majors in una compagine pronta per la lotta al titolo? Si, se hai un pazzo visionario come general manager, un assistente ex ingegnere della NASA e ancor prima croupier a un tavolo di blackjack e un cervellone informatico, che gli avversari tentano di spiare, chiamato Ground Control.
Gli Houston Astros del 2015, a una manciata di gare dal termine, lottano per centrare la vittoria dell’American League West, che a inizio stagione 88 esperti della ESPN su 88 giudicavano impossibile. In realtà i texani (intesi come popolo) con le imprese impossibili e fulminee hanno un conto aperto da sempre. Chiedere al generale Sam Houston, a cui non a caso è stata intitolata la città, che nel 1836 sconfisse nella battaglia di San Jacinto le truppe messicane, che solo poche settimane prima avevano straziato gli insorti di Alamo, in soli 18 minuti approfittando della esiziale siesta dei nemici e avviando così il Texas verso l’indipendenza dal Messico.
Come tutto ebbe inizio
Jeff Luhnow, una laurea alla University of Pennsylvania e un master alla Northwestern, fino al 2003 era un normale impiegato alla McKinsey & Company, una società di consulenza che, come si legge sul sito, studia «i mercati, le tendenze e le best practice emergenti, in ogni settore e regione, localmente e globalmente», senza nessuna esperienza precedente nel baseball, nemmeno ai tempi della scuola. Sull’onda emozionale delle teorie sabermetriche applicate al baseball, William DeWitt, Jr., proprietario dei Saint Louis Cardinals, decise che era giunto il momento di cambiare l’approccio del proprio team aprendo alla nuova frontiera dei big data.
La scelta cadde su Luhnow, che naturalmente accettò l’offerta al volo, perché lavorare nel mondo del baseball è un po’ il sogno di tutti. Nonostante lo scetticismo del resto del management, che lo ribattezzò con sarcasmo Harry Potter, Luhnow cominciò a lavorare su quello che noi chiameremmo “vivaio”, ovvero scovare ragazzi promettenti e farli crescere nei team satelliti. Nei sette anni della gestione Luhnow nessuna squadra di MLB ha fatto esordire tanti ragazzi provenienti dal draft come la squadra del Missouri. Addirittura nelle World Series del 2013 ben 16 dei 25 giocatori del roster dei Cardinals erano giocatori del progetto Luhnow.
A dare una mano all’ex consultant della McKinsey era intervenuto nel frattempo Sig Mejdal, un ingegnere della NASA dedicatosi, durante la permanenza nell’ente aerospaziale, a studiare i modelli di riposo degli astronauti in modo da ottimizzare i loro periodi di sonno. Secondo Mejdal un pilota ubriaco volava meglio di uno sobrio alla cloche quattro ore dopo il normale orario in cui andava a letto.
Un assunto che potrebbe sfiorare l’assurdo, ma che mette in luce il genio di Mejdal, inteso come capacità di utilizzare i numeri per scoprire fenomeni che vanno oltre le normali apparenze, formatosi probabilmente durante le estati passate a dare le carte a un tavolo del blackjack in un sordido casino del lago Tahoe (molti lo ricorderanno come scenario della villa di Michael Corleone ne Il Padrino parte II). «Chiedere carta con un 17 contro il 7 del banco non sembra giusto—sostiene Mejdal—. Con centinaia di dollari sul tavolo sembra ancora meno giusto. Ma ciò non vuol dire che sia sbagliato». Esistono dei limiti all’intuizione umana che solo la conoscenza dei numeri può superare.
Per Luhnow, Mejdal è l’uomo giusto con cui cominciare a lavorare su un database utile per valutare le prestazioni dei giocatori. Purtroppo le frizioni con il resto dei manager dei Cardinals si acuiscono. È giunto il momento di andare. L’occasione gli viene offerta da Jim Crane, che alla fine del 2011 ha appena rilevato gli Astros. Crane vuole la stessa cosa che tutti i proprietari vogliono: vincere subito. Per farlo crede sia necessario usare la spietata efficienza dei numeri in un modo così estremo da fare vergogna. «Se hai informazioni migliori e più veloci dei tuoi avversari li puoi stracciare», è il credo di Crane, che in questo modo ha fatto fortuna nel settore della logistica. A Luhnow e Mejdal non sembra vero. Possono finalmente dare sfogo a tutta la loro lucida follia creativa.
Bene, adesso perdiamole tutte
L’ultima stagione d’oro degli Astros risale al 2005, con la sconfitta alle World Series contro i White Sox, che culminava un periodo in cui i texani avevano raggiunto i playoff 6 volte in 9 stagioni. Era quello il canto del cigno di una squadra piena di talento con giocatori come Lance Berkman, Craig Biggio, Jeff Bagwell e Roy Oswalt. Ma la data di scadenza arriva anche per i grandissimi e se non hai un progetto alle spalle (Baseball America reputava il sistema delle Minors di Houston il peggiore della lega) i tempi bui sono di là a un passo.
All’arrivo della nuova proprietà nel 2011 gli Astros avevano appena messo insieme la peggiore stagione di sempre, con 56 vittorie e 106 sconfitte, la quarta perdente nelle ultime cinque. Ma i tifosi non avevano ancora visto niente. Luhnow e Crane erano d’accordo sull’inutilità di spendere tempo e risorse per vivacchiare nel limbo chissà quante altre stagioni. Bisognava progettare qualcosa che permettesse di accorciare i tempi.
La soluzione proposta da Lunhow era di quelle che fanno venire i brividi: finora siamo andati male; bene, d’ora in poi dobbiamo andare anche peggio. Il piano era più o meno lo stesso di quello attuato ai Cardinals: pescare a piene mani dal draft, utilizzando chiamate alte proprio in virtù della pessima classifica, pensando al futuro senza curarsi minimamente del presente. «Nel 2017 non interesserà a nessuno sapere se nel 2012 abbiamo perso 98 o 107 partite. Interesserà sapere quanto saremo vicino a vincere il titolo», sintetizzava Luhnow.
Un presente terribile che si tradusse in 107 sconfitte nel 2012 e addirittura 111 nel 2013, l’anno che segnò anche il passaggio dalla National League Central alla più abbordabile American League West. Intanto Luhnow in versione apprendista stregone sforbiciava il già striminzito monte ingaggi (27 milioni di dollari a inizio 2013, gli Yankees ne spendevano 228), facendo piazza pulita di qualunque giocatore avesse ancora un minimo di valore e un minimo di appeal sul mercato. Soltanto i Mets del 1962-64, che però avevano la scusante di essere appena sbarcati in MLB, hanno perso più partite nella storia del baseball che gli Astros nel triennio 2011-13.
L’esperimento ha fatto storcere il naso a più di uno, perché il piano di Luhnow cozzava contro uno dei capisaldi dello spirito americano, l’inconcepibilità di voler perdere apposta o, se preferite, di non dare il meglio per vincere ogni singola partita. Non tardarono ad arrivare da più parti le accuse di comportamento antisportivo e irrispettoso nei confronti dei tifosi.
«Lui è un uomo del cambiamento in un mondo che a essere onesti non lo vuole», spiegava Mejdal riferendosi al suo GM, che nel frattempo lo aveva nominato Director for Decision Sciences, un termine che tradotto in italiano non rende bene l’aura che lo ammanta: predire il futuro. Medjal infatti aveva messo a punto un algoritmo capace di riassumere il baseball inteso come realtà immanente. Non si trattava solo di valutare statistiche e prestazioni sul campo, ma anche una serie di informazioni qualitative: caratteristiche meccaniche di lancio o dello swing, salute fisica, personalità, situazione familiare; il tutto all’interno di un database che raccoglie milioni di giocatori da poter paragonare e da cui tirare fuori previsioni.
Un sistema che va ben oltre Billie Beane e che risolve perfino la dicotomia tra sabermetrici e scout, visto che una parte delle informazioni utilizzate sono raccolte proprie degli osservatori. «Come fai a comparare tutte queste informazioni?—si chiedeva Luhnow—. Non è possibile farlo con la mente, è troppo per un essere umano». Era nato il Ground Control, il super cervellone degli Astros situato nel cuore pulsante dell’organizzazione, la “Nerd Cave”, l’ufficio in cui Mejdal e i suoi assistenti, tra cui un ex economista della Barclays specializzato nel valutare l’andamento delle obbligazioni, rendono reale il progetto. Per capire dove ci si trova basterebbe guardare il poster che campeggia all’ingresso, che raffigura uomini in camice bianco intenti ad analizzare lo swing di Vladimir Guerrero.
«In God we trust, all others must bring data» è il motto del cervellone di Houston, la cui progettazione ha richiesto un anno di tempo, ma che ora, in linea con i desiderata di Jim Crane, permette al management degli Astros di aver in tempo reale su pc e portatili una miniera di notizie sull’intero sistema baseball, tanto da far dire a Luhnow che se prima aveva bisogno di ore per poter imbastire una trattativa di mercato adesso gli basta una rapida occhiata al Ground Control. Il sistema però dà anche informazioni pratiche, come per esempio ogni singolo battitore reagisce di fronte a ogni genere di lanciatore in qualsiasi circostanza, suggerendo l’ottimale schieramento della difesa. Da qui proviene l’estremo uso dei defensive shift da parte degli Astros. Una cosuccia che però sembrerebbe far gola anche ai competitors, tanto che quest’estate l’FBI ha aperto un’indagine nei confronti dei Cardinals per aver violato il sistema informatico di Houston. In seguito i Cardinals hanno licenziato Chris Correa, direttore del dipartimento scout di Saint Louis, che ha ammesso di avere spiato i dati dei rivali nel 2013.
Texas rising
Il primo risultato che la cura draconiana di Luhnow ha portato in dote alla propria squadra è stato quello di poter ottenere per tre anni consecutivi la prima scelta al draft, più una marea di chiamate nei giri successivi. Anche in questo caso gli Astros hanno operato tenendo fede ai propri principi, ovvero facendo cose che normalmente sembrano strane, alcune rivelatesi azzeccate, altre meno.
Nel 2012 hanno pescato Carlos Correa, un interbase portoricano di 17 anni, la cui scelta ha stupito molti. Nonostante Correa si sia rotto praticamente subito una caviglia nel 2015 ha esordito, peraltro molto bene, in MLB proponendosi come candidato al titolo di rookie dell’anno. Nel 2013 la prima scelta è ricaduta su Mark Appel, un lanciatore proveniente da Stanford che però l’anno successivo ha scioccato tutti con una orrenda Era (media punti guadagnati sul lanciatore) in singolo-A di 9.74. Appel rimane tutt’ora un punto interrogativo perché possiede indubbie qualità, ma fatica ancora a esprimerle.
Nel 2014 è arrivata la storia più controversa. Gli Astros selezionano Brady Aiken, un lanciatore mancino proveniente dall’high school. Dopo aver negoziato con il giocatore un contratto di 6,5 milioni di dollari lo staff medico rileva una anomalia nei legamenti del suo gomito. Da questo momento il management comincia con Aiken un’asta al ribasso, ma il giovane lanciatore, infuriatosi per il trattamento subito, rifiuta tutte le offerte del club, non firmando l’accordo e facendo così perdere agli Astros (la prima volta che accade in 30 anni) la prima scelta.
Luhnow però si consola, perché la MLB gli offre in compensazione la seconda chiamata nel 2015 (arriverà un altro interbase, Alex Bregman da Louisiana State) e soprattutto la convinzione di aver fatto la scelta giusta: a marzo del 2015 Aiken si opera al gomito. Il lavoro di Luhnow comincia a pagare. Il sistema delle Minors degli Astros diventa uno dei più importanti del Paese, ricco di giocatori e di talento, tanto che Sports Illustrated decide a giugno 2014 di uscire con una copertina forte: "I vostri vincitori delle World Series del 2017”.
La stagione 2014 è il vero punto di svolta del club texano. Gli Astros raggiungono quota 70 vittorie invertendo finalmente il trend e mostrando sprazzi di buon baseball che consente loro nei mesi di maggio e agosto di superare perfino la soglia psicologica dei .500 (più vittorie che sconfitte). Questo è dovuto in parte all’arrivo in prima squadra della “prima ondata” di talenti come George Springer e Jon Singleton, ma anche a qualche oculato rinforzo come Collin McHugh, un sinkerballer rilasciato da Colorado dopo una stagione assolutamente da dimenticare (0 vinte e 3 sconfitte con 9,95 di Era). McHugh viene pescato perché qualcuno nella Nerd Cave ha notato che la sua curveball ha una velocità di rotazione superiore rispetto alla media, solo che lui ancora non lo sa. Quando Brent Strom, l’allenatore dei lanciatori, glielo spiega i risultati sono pazzeschi: chiude la stagione 2014 con 11 vittorie e 2.73 di Era.
Ma il gioiello di Houston sul monte di lancio è Dallas Keuchel, un altro giocatore sottostimato, il cui arrivo agli Astros è precedente alla gestione Luhnow. Keuchel possiede una fastball piuttosto lenta, in genere sotto le 90 miglia orarie, ma sa benissimo dove piazzarla: bassa e laterale. Quest’anno è arrivata la consacrazione, con la partenza sul monte dell’American League durante l’All-Star Game, sullo sfondo di una stagione da fenomeno, con 17 vittorie e una whip di 1,027 (walks plus hits per inning pitched, ovvero la propensione del lanciatore a consentire ai battitori di raggiungere le basi), che sono le migliori dell’American League.
Nel 2015 l’arrivo in panchina di A.J. Hinch insieme a giocatori come Luke Gregerson e Pat Neshek, che hanno rivitalizzato il bullpen, insieme a qualche vecchia lenza come Jed Lowrie e Evan Gattis, ma anche grazie alle conferme di gente come José Altuve (.311/.351/.435 media battuta, on base percentage e slugging percentage), ha dato la scossa alla squadra, che è subito volata in testa alla division collezionando 46 vittorie nei primi tre mesi di campionato. Eppure gli Astros restano una squadra strana, capace di dominare le statistiche della lega per numero di home run, di strike-outs e di basi rubate.
Ora le basi rubate hanno un senso se hai molti battitori di contatto che mettono la palla in gioco sul diamante permettendo ai corridori fare punti, come per esempio fanno magistralmente i Royals. Ma per numero di valide e media battuta i texani sono una delle peggiori squadre della lega. Il che sembra un’assurdità ma, ci risiamo, numeri alla mano due squadre che eccellevano in queste statistiche così disparate, come i Reds del 1976 e gli Yankees del 1938, hanno vinto le World Series.
Prima di vincere il campionato naturalmente ce ne passa. Ma il progetto degli Astros, indipendentemente dalla conclusione della stagione in corso, che peraltro li vede in affanno nell’ultimo scorcio di campionato con un record di .250 e il sorpasso dei Rangers in testa alla division, è destinato a lasciare il segno. Sebbene il monte ingaggi sia salito a 72 milioni di dollari, gli Astros attualmente potrebbero permettersi di spenderne il doppio, il che significa avere la possibilità di mettersi a caccia di qualche grosso nome quando si aprirà la stagione dei free agent.
Inoltre qualcuno della nidiata di talenti può essere sempre sacrificato per arrivare a giocatori più esperti, come è successo lo scorso luglio, quando sono arrivati il lanciatore Scott Kazmir dagli A’s e l’esterno Carlos Gómez dai Brewers con l’obiettivo di rinforzare i texani in ottica post-season.
Il progetto di Houston è solido e permetterà alla squadra di provare a giocarsi il titolo già dalla prossima stagione. Sembra invece complicato che già quest’anno il progetto lucidamente folle di Luhnow e Mejdal porti il titolo, ma il baseball resta la terra in cui i sogni impossibili sono destinati a realizzarsi anche quando, ironia della sorte, si basano sull’arida legge dei numeri.