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Più di un club
22 nov 2024
Viaggio nell'universo del St. Pauli, che ha da poco creato una cooperativa per finanziarsi dal basso.
(articolo)
20 min
(copertina)
Illustrazione di Giorgio Mozzorecchia
(copertina) Illustrazione di Giorgio Mozzorecchia
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“Un calcio diverso è possibile”. La scritta in lingua tedesca campeggia a caratteri cubitali all’entrata degli uffici del St. Pauli, dietro la curva sud dello stadio Millerntor. A testimonianza del fatto che non è solo un auspicio per romantici, la sede amministrativa della società si trova accanto al celebre asilo nel quale vengono accuditi i bimbi anche durante le partite: durante la settimana ne ospita 150 come servizio per le famiglie della zona.

Ovunque giri lo sguardo, in questo piccolo quartiere nel centro di Amburgo noto per la via a luci rosse Reeperbahn, si vede un graffito, un’insegna, un indumento che richiamano il St. Pauli. La squadra, promossa in Bundesliga alla fine della scorsa stagione, è conosciuta “semplicemente" per sostenere gli ideali dell’antifascismo e della lotta al razzismo, i cui tifosi sventolano bandiere con i colori dell’arcobaleno o con il volto di Che Guevara. Per questo “i Pirati” hanno sostenitori (e anche hater) in tutto il mondo, compresa l’Italia. Ma se si viene sul posto, come ho fatto alla fine di ottobre, ci si accorge subito che il St. Pauli è molto più di questo. “St. Pauli is a state of mind”, si legge sul cappellino di Lupo, soprannome italiano di Wolf Schmidt, allenatore della squadra di calcio per non vedenti del club. È una delle persone che dà sostanza all’ambizione del St. Pauli di fare un “calcio diverso” e d’altra parte un po’ tutto in questa piccola area urbana che si affaccia sul fiume Elba, davanti all’immenso porto di Amburgo, sembra intriso di impegno sociale e ricerca del bene comune, coniugati in un’alchimia intrigante fatta anche di leggerezza e divertimento.

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L’associazione registrata Fc St Pauli (in tedesco eingetragener Verein), cioè il club nella sua interezza, chiamiamolo così, conta poco meno di cinquantamila soci attivi in 23 discipline diverse. Dal 10 novembre sono vendita le quote della nascitura cooperativa, che andrà ad affiancarsi alla precedente associazione sportiva. Sarà la prima del suo genere nel mondo del calcio professionistico.

È proprio questo “storico” passaggio amministrativo, che permetterà al club di fare nuovi investimenti senza l’obbligo di attrarre facoltosi imprenditori o anonimi fondi d’investimento, che mi ha spinto a salire su un aereo: la volontà di capire, cioè, come una forma societaria che non prevede profitti per i singoli riesca a sopravvivere in uno dei business più opachi dell’economia europea, in uno dei campionati più importanti del continente. In Germania questo passaggio ha avuto una tale importanza che l’8 novembre si è tenuta una grande riunione con il sindaco di Amburgo e il consiglio d’amministrazione della lega calcio tedesca.

Poco dopo essere arrivato ad Amburgo mi sono reso conto di aver fatto un viaggio molto più lungo dei circa mille chilometri che si possono tracciare sulla mappa, atterrando su un pianeta lontano anni luce, pieno di forme di vita e situazioni a noi sconosciute.

TRA SPORT E SOCIALE

Arrivo ad Amburgo un giovedì pomeriggio. Tempo di infilare la valigia nel bagagliaio e Massimo Finizio, direttore di Tuttostpauli.com, mia informatissima guida per l’intero soggiorno, dirige l’auto verso il Centro di formazione per ciechi e ipovedenti. «La partita amichevole Germania-Inghilterra è appena cominciata», mi dice «Le giocatrici tedesche sono praticamente tutte del St. Pauli e pure l’allenatore». Lupo, per l’appunto. Nel tragitto Massimo, una dozzina di anni fa eletto (sì, eletto: lo spiegheremo più avanti) dirigente della squadra, mi racconta di come abbia avuto l’idea di mettere a disposizione tramite degli auricolari una telecronaca fatta su misura per i molti spettatori non vedenti che già allora andavano sugli spalti. Un’iniziativa che ha avuto subito un grande successo e che poi ha portato a spingersi oltre, a chiedersi se questi ragazzi che amavano il calcio senza vederlo, non potessero in qualche modo anche giocarlo. Detto fatto.

Il risultato è che oggi diverse squadre della Bundesliga hanno la loro sezione non vedenti. E non è solo un passatempo. Per dire: il Borussia Dortmund l’anno scorso ha soffiato ai “pirati” il loro bomber, Jonathan, che, però, vista la distanza tra le due città e il modo particolare in cui si gioca, continua ad allenarsi con il St. Pauli per poi disputare le partite nella squadra rivale. Siamo oltre il concetto di fair play.

Assistere dal vivo a una partita di calcio per non vedenti è un’esperienza nella quale le emozioni si mischiano e mutano nel giro di pochi istanti. Si passa dalla gioia incontenibile al pensiero che si disputi un campionato del genere, alla commozione nel realizzare cosa possa voler dire giocare una partita di calcio nel buio totale. Impossibile, poi, non essere travolti dall’ansia per gli inevitabili scontri di gioco che si ripetono. Le ragazze scendono in campo con dei vistosi copri-occhi e copri-testa proprio per questo motivo, ma il rischio di farsi male è sempre in agguato (e infatti anche la partita a cui assisto è stata interrotta per un brutto infortunio). Durante le fasi di gioco il pubblico deve stare in silenzio per consentire alle calciatrici di sentire al meglio la posizione del pallone grazie ai sonagli di cui è dotato e le indicazioni degli allenatori a bordo campo. Anche le due ragazze che difendono la porta, le uniche vedenti, sono un prezioso supporto per le compagne di squadra.

Wolf Schmidt dà istruzioni alle giocatrici della Nazionale tedesca durante un time out. (foto dell'autore)

La squadra della Germania/St. Pauli è davvero forte, con le inglesi quasi non c’è partita. «Poco importa il risultato, no?», mi permetto di dire a Lupo, la sera, davanti a una birra nella ClubHeim. L’allenatore prima mi fa due occhi così, poi sorride, e quindi torna subito serio. «Noi siamo una squadra, io chiedo ai giocatori e alle giocatrici il massimo. Se perdiamo mi arrabbio. Sono orgoglioso di essere l’allenatore più vincente dell’associazione con quattro campionati vinti», dice Wolf, ridendo ma non troppo.

«Sono assunto come coach e coordinatore del Blindefussball da quattro anni», aggiunge «ma ho cominciato nel 2004 con le cronache in diretta per i non vedenti». Rispetto a una normale telecronaca, Wolf aggiunge descrizioni per immagini, in modo da aiutare i non vedenti a visualizzare meglio il gioco. Le sue cronache sono ascoltate in media da 1.500 utenti. La prima stagione di Bundesliga Blindenfussball, che è non professionistica, è stata avviata nel 2008 e Wolf è diventato allenatore come evoluzione del suo lavoro da telecronista. «Il gruppo di ragazzi è un po’ pazzerello, ma io lavoro per fare in modo che tutti i singoli migliorino, a volte sono un po’ duro e radicale, anche egoista, ma il mio obiettivo, lo ripeto, è vincere».

Wolf mi racconta di aver giocato nella terza squadra del St. Pauli. «Tu Massimo, giocavi nella settima, giusto?», chiede. Iniziamo a parlare di come funziona il sistema delle associazioni sportive in Germania, che in Italia può suonare alieno. Il St. Pauli, come tutti sanno, ha una prima squadra professionistica che milita in Bundesliga e una seconda fatta di giovani della “cantera” che corrisponde alla nostra Primavera. Ma poi l’associazione consente alla sezione amatori di allestire un numero illimitato di squadre che portano il nome e i colori della prima, e di disputare diversi campionati. Oltre a queste ci sono tre squadre over 32, tre over 40 e due over 60. E il numero che viene assegnato a ognuna di queste squadre (per esempio: terza squadra) non corrisponde al suo valore sportivo ma al momento in cui è formata, per cui la settima può essere nata da poco e militare in un campionato più prestigioso della terza. Una struttura di questo tipo alimenta il processo di identificazione dei tesserati con la squadra, che a tutti gli effetti diventa “più di un club”.

Wolf Schmidt, allenatore del calcio per non vedenti, durante una delle sue telecronache. (foto AFM)

Il sistema funziona allo stesso modo per il calcio femminile e anche in tutti gli altri sport. Domenica all’ora di pranzo mi capita di assistere ad una bella partita della prima squadra delle “Pirate”, che milita in Dritte Liga (la nostra serie C), contro l’Eimsbüttler TV, formazione del quartiere confinante. Continuo ad avere la sensazione di assistere a qualcosa di inimmaginabile per la cultura italiana. Nel campo a fianco, lo stesso derby è riproposto contemporaneamente tra le giocatrici della quarta (!) squadra femminile delle due associazioni. Le partite finiscono quasi in contemporanea e dopo il triplice fischio la trentina di giocatrici delle due formazioni biancomarroni vanno una dopo l’altra a prendersi gli applausi della “mini-curva” a bordo campo. I tifosi scandiscono con grande vigore il classico coro “Sankt-Pau-Lì- Sankt-Pau-Lì” (con l’accento sulla i) che normalmente fa vibrare Millerntor, lo stadio dove gioca le sue partite in casa la prima squadra maschile. Fa strano doverlo precisare ora che so come funziona la struttura del club.

Massimo abita a due passi dallo stadio e nei momenti liberi la Clubheim diventa una sorta di prolungamento del suo soggiorno di casa. Ci andiamo spesso per farci una birra. A fianco del bar c’è una sala in cui si tiene prima una affollata riunione della sezione Darts, poi un allenamento degli stessi giocatori di freccette e infine si riempie di biliardini. Sì, biliardini. C’è chi si allena da solo provando tiri e combinazioni e chi in coppia.

L’obiettivo di tutti è ottenere buoni risultati nel campionato di Tischfussball, detto anche Kickern. “Il dipartimento di biliardino”, si legge sul sito "è stato fondato nel 2009 e conta poco meno di 600 giocatori. Siamo rappresentati in 18 squadre in tutti i campionati tedeschi (1ª e 2ª Bundesliga maschile, 2ª Bundesliga femminile, 1ª-4ª Hamburger Liga e Xtra-Liga). Questo ci rende il più grande club di Tischfussball al mondo”. Fa un po’ ridere a leggere questo tono così serio legato al biliardino, per un osservatore italiano è tutto così candidamente fuori dall’ordinario.

UN'ASSOCIAZIONE, 23 SEZIONI

Per la precisione il St. Pauli ha 48.500 soci. Circa ventimila sono i soci sostenitori (AFM) che non praticano sport in una delle 23 sezioni ma che vogliono comunque contribuire allo sviluppo del club. Con oltre l’80% delle quote di questi vengono finanziati progetti di sviluppo sportivo di giovani talenti per tutti i reparti del club, nonché per lo sviluppo della cosiddetta “cultura del tifo” (ci torneremo più avanti).

Poi ci sono i soci che praticano sport e a questo proposito forse vale forse la pena di nominare tutte le sezioni che portano i colori sociali, per farsi un’idea di cosa sia davvero il “pianeta” St. Pauli: beach volley (250 praticanti), calcio per non vedenti, Bowling (100 praticanti), boxe, darts (180 iscritti), calcio femminile amatori (9 squadre, di cui 5 “under”), calcio maschile amatori (6300 praticanti!), futsal, pallamano (4 squadre femminili, 6 squadre maschili, 1 squadra “inclusiva” e un intero settore giovanile), birilli, maratona, cornamuse e drums (!), ciclismo (900 iscritti), pattinaggio a rotelle, rugby (1.500 iscritti), scacchi (450 praticanti, la squadra principale disputa la Champions League), arbitri (questa meriterebbe un articolo a parte), vela (700 iscritti), biliardino (660 iscritti), tennis tavolo (300 iscritti); Tor e Goalbball (altro sport per non vedenti), triathlon (550 iscritti che vanno ai campionati del mondo). Numeri impressionanti, che restano tali anche quando ci spiegano che tra tutti questi sportivi i “veri agonisti” nelle varie discipline sono “solo” circa settemila. A questo punto bisogna ricordare che St. Pauli rappresenta un piccolo quartiere di una grande città.

La sezione Darts ospita gli allenamenti dei giocatori di biliardino. (foto dell'autore)

Finita? Neanche per idea. La 23esima sezione si chiama Sport/tempo libero e comprende varie cose: basket (in forte crescita, a breve diventerà sezione sportiva), calcio freestyle, line dance, bocce, quadball, calcio tennis, skateboard, squash, Subbuteo, “danza inclusiva”, Teqball (calcio tennis su campi da tennistavolo incurvati) e frisbee.

Per capire come funziona all’incirca la gigantesca “ripartizione amatori” del St. Pauli io e Massimo facciamo una lunga chiacchierata con Julian Kulawik, uno dei responsabili. Ci accoglie in una splendida loggia VIP in cima alla curva nord.

«Le sezioni sportive sono 22 e poi abbiamo fatto confluire nella sezione Sport/tempo libero delle piccole sottosezioni», ci dice «In alcuni casi si tratta di associazioni già esistenti con praticanti di sport non così diffusi che hanno fatto richiesta di essere inserite nell’associazione St Pauli, perché condividono i valori che portiamo avanti. La cosa non avviene automaticamente, si lascia passare del tempo, ci si conosce, si valuta bene e dopo gli organi interni prendono una decisione. Creare una sezione autonoma non è facile, occorre avere diverse persone disposte ad assumersi ruoli nel direttivo (tutti eletti democraticamente), a gestire la cassa, e non tutte le richieste vengono accettate. Al di sopra dei direttivi delle singole sezioni sta il direttivo degli amatori. Al di sopra stanno gli organi dell’associazione e l’assemblea plenaria, che è una sorta di parlamentino. Regolarmente si svolgono assemblee in cui vengono prese le decisioni strategiche e discusse le modifiche statutarie. In tutte le sezioni ci sono poi anche i direttivi giovanili che si esprimono ad esempio su come devono essere spesi i soldi della sezione e una parte di questi deve essere reinvestita proprio nelle attività per i giovani. La cosa interessante è che ciascuno dei soci passivi, all’atto dell’iscrizione, può decidere se sostenere una specifica sezione. Se non faccio vela, ma mi piace la vela, barrando la casella faccio in modo che la quasi totalità dei soldi della mia quota annuale venga usata da quella sezione. Il resto del denaro viene usato per tenere in piedi la parte amministrativa. C’è uno statuto generale e ogni sezione ha poi il proprio sotto-statuto e tutti gli organi interni sono di tipo elettivo. Ogni elezione, poi, viene supervisionata da un “direttivo per le elezioni”, un organo di controllo che ho trovato solo qui e che è stato creato per validare la regolarità di tutte le votazioni che vengono effettuate e la conformità degli statuti. Solo nella sezione amatori abbiamo 150 persone elette, e poi ci sono circa 400-500 tra allenatori e dirigenti sportivi che svolgono il loro compito a titolo volontario. Per noi questa è una grande risorsa, perché ad Amburgo altre grandi associazioni con 5-6000 soci sono arrivate alla professionalizzazione di alcuni ruoli e ora fanno grande fatica a trovare persone disposte a prestare la loro opera gratuitamente. In molte realtà associative c’è un presidente che opera a titolo gratuito ma decide poco o nulla, e un “amministratore delegato” pagato che svolge la gran parte del lavoro. Da noi, invece, non funziona così. I dipendenti pagati della sezione amatori sono cinque, alcune sezioni hanno alcuni assunti part time per la gestione amministrativa, ma la gran parte delle persone coinvolte lavora a titolo gratuito e ogni sezione e ogni squadra ha diritto a trovarsi canali di sponsorizzazione autonomi che devono essere comunque in linea con lo spirito dell’associazione». Per fare un esempio semplice: un’azienda produttrice di armi non potrà mai comparire sulle magliette di una qualsiasi squadra del St. Pauli (com’è successo ad esempio al Borussia Dortmund).

In Germania le associazioni sportive registrate sono la norma. Tutte le squadre di Bundesliga hanno una struttura simile, anche se magari un po’ meno connotata dal punto di vista politico-sociale. Il Bayern Monaco, per dire, ha 360mila soci, il Borussia Dortmund circa 190mila, lo Schalke 04 180mila, Eintracht Francoforte 160mila e così via.

«Questo sistema dà un grande impulso allo sviluppo di un sentimento democratico», ci dice Kulawik «Ci si abitua fin da ragazzini a votare i propri rappresentanti, a prendersi delle responsabilità, a rispettare chi si prende queste responsabilità e a sceglierlo come interlocutore per portare avanti le proprie idee all’interno dell’associazione. Il fatto di avere un grande numero di sportivi praticanti richiede grandi spazi e molte strutture. Tutte le palestre scolastiche di Amburgo vengono cedute gratuitamente alle associazioni sportive che ne fanno richiesta, a partire dal pomeriggio. Ma visto il numero di praticanti le strutture non sono sufficienti. Nel 2022 avevamo 40mila soci e nel 2023 siamo passati a 48.500, per questo il mio sogno è creare un nuovo centro per lo sport amatoriale non lontano da Millerntor».

Questa grande attenzione allo sport popolare che in Germania è la norma, nota Massimo durante lo scambio con Julian, fa sì che il CONI tedesco abbia 28 milioni di iscritti alle varie discipline sportive su una popolazione di 84 milioni di persone. In Italia, per capirci, su 59 milioni di abitanti abbiamo 5 milioni di sportivi - come l’Olanda, che però ha meno di un terzo dei nostri abitanti (17 milioni). «Ad Amburgo un ragazzino sotto i 18 anni su 2 è socio di una società sportiva», dice Julian Kulawik.

IL COORDINAMENTO TIFOSI

Lo spirito democratico delle associazioni sportive tedesche sembra avere un effetto benefico e tangibile sulla cultura del tifo in Germania. Ovviamente la Germania non è il paradiso e i limiti a volte vengono superati anche lì con espressioni razziste e a volte esplicitamente naziste, ma c’è da dire che sono molti anni che non si verificano scontri con bilanci gravi, nonostante negli stadi si entri ancora con biglietti non nominativi.

La capitana della quarta (!) squadra femminile del St. Pauli calcia un corner. (foto dell'autore)

Un grosso ruolo nella crescita “culturale” del tifo lo rivestono i coordinamenti tifosi (quello del St Pauli si chiama Fanladen). In Germania è opinione comune che il lavoro di questi coordinamenti abbia riportato la gente negli stadi, riempendoli praticamente tutti, non solo in Bundesliga ma anche nella 2. Bundesliga (cioè la Serie B tedesca, che ha una media spettatori quasi paragonabile a quella della Serie A). In Italia, a causa dell’ottusa opposizione delle società, la figura del Supporter Liaison Officer (SLO), ormai prevista da una direttiva UEFA, non conta praticamente nulla. Da anni la FIGC viene esortata a copiare il modello tedesco ma i vertici fanno finta di nulla e preferiscono evidentemente che gli ultras telefonino direttamente agli allenatori.

Essendo riconosciuto dalla DFB (cioè la FIGC tedesca), dalle forze dell’ordine e dalla politica, i membri del coordinamento dei tifosi partecipano anche alle riunioni organizzative pre-partita. Spesso le stesse forze dell’ordine richiedono consigli agli operatori per dirimere diatribe, rispondere a contestazioni ed evitare violenze. In questo contesto, il Fanladen St.Pauli può essere considerato il luogo di nascita della nuova cultura del tifo in Germania, che ha avviato una lotta senza quartiere contro il razzismo. Questo non ha del tutto eliminato le frange di estrema destra nelle curve, che proliferano soprattutto nelle zone della ex DDR, ma la situazione degli stadi in Germania rimane un’eccezione in Europa.

Nel coordinamento del Fanladen lavorano otto (!) giovani operatori pagati non dalla società ma dal Comune di Amburgo, e fra questi ci sono anche un rappresentante ufficiale dei tifosi e un rappresentante dei tifosi disabili. «Non siamo in un mondo perfetto: la violenza nel calcio esiste anche in Germania e ad Amburgo, ma noi portiamo avanti un forte lavoro culturale preventivo indirizzato prevalentemente ai giovani fino a 26 anni», mi spiegano Julian e Adrian, due membri del coordinamento «I tifosi si rivolgono volontariamente a noi quando compare una bandiera che porta un messaggio offensivo, o per il ticketing anche in trasferta. Quando ci sono conflitti, se ce lo chiedono, noi svolgiamo un’opera di mediazione, cerchiamo contatti preventivi con la tifoseria della squadra avversaria di turno. Poi il Fanladen, che si trova dentro lo stadio, svolge anche una funzione di centro giovanile nel quale i ragazzi vengono a giocare a calcetto o a ping pong».

Adrian e Julian del Fanladen St. Pauli. (foto dell'autore)

LA NUOVA COOPERATIVA

Il modello St. Pauli, come abbiamo visto, era già all’avanguardia rispetto a gran parte del calcio europeo, e soprattutto italiano. Ma come cambia adesso con il passaggio da associazione a cooperativa? “Fondando la prima cooperativa nel calcio professionistico l'FC St. Pauli vuole dimostrare che una diversa forma di finanziamento è possibile - senza svendere i club e togliere la possibilità di co-decidere da parte dei soci”, si può leggere sul sito del club. Un’affermazione di orgoglio ma anche una critica implicita ad altre società tedesche, come i “nemici” del Leipzig finanziati dalla Red Bull, ma anche ai sistemi calcistici inglese e italiano che sono fondati su società di capitali molto indebitate e isolate rispetto al contesto sociale in cui operano.

Anche politicamente il St. Pauli si batte da anni per difendere e rafforzare il famoso “50+1” nello sport professionistico, cioè la norma che impone ai club di lasciare almeno la metà più una delle azioni a una Eingetragener Verein, cioè un’associazione sportiva. La deroga al 50+1 può avvenire solo se l’assemblea generale dei soci dell’associazione la vota a maggioranza dei due terzi, come viene ben spiegato in questo pezzo. Ma per la verità è piuttosto raro.

In effetti la maggioranza del club tedeschi non viene gestita da una società di capitali scorporata (come succede proprio al Lipsia, le cui azioni sono di proprietà della Red Bull al 99,5%). Non solo il St. Pauli: anche Schalke 04, Friburgo, Union Berlin, Norimberga, Düsseldorf, Kiel, Mainz, Darmstadt, solo per fare alcuni esempi, danno un grande peso ai propri tifosi e soci. La regola è semplice: un socio, un voto. “L'FC St. Pauli vuole quindi dimostrare al mondo del calcio che questa idea democratica di base è possibile anche per il finanziamento delle squadre di calcio!”, si legge ancora sul documento con cui spiegano il passaggio alla cooperativa. Non a caso ci sono altri club che stanno provando a seguire la strada battuta dai “Pirati”. Anche lo Schalke, per dire, sta attualmente scrivendo lo statuto della cooperativa ed altre squadre a breve seguiranno.

Ma qual è la differenza da un punto di vista pratico? A differenza dell’associazione registrata, la cooperativa può mettere in vendita le proprie quote, cosa che è avvenuta a partire dal 10 novembre. In questo modo la società può raccogliere capitali ulteriori, che possono essere utilizzati per migliorare lo stadio e renderlo autosufficiente da un punto di vista energetico, ecologicamente sostenibile, dando alle prossime generazioni un impianto "futuristico". “La cooperativa è il modello giusto per la nostra associazione perché ogni socio riceve esattamente un voto, indipendentemente dal numero di quote sottoscritte”, spiega la dirigenza “La cooperativa FCSP è quindi la nostra alternativa al potere dei grandi investitori e alla svendita del calcio. Vogliamo finanziarci con il potere dei nostri tifosi e sostenitori e plasmare il nostro futuro, dimostrando che un calcio diverso è possibile - e presto anche un modo diverso e sostenibile di finanziarlo”.

In un volantino il messaggio viene dato in modo ancora più chiaro: “L'FC St. Pauli ha bisogno di soldi. Anche se critichiamo alcune cose del calcio professionistico, noi stessi siamo parte di questo sistema e vogliamo esistere al suo interno, perché il calcio professionistico è il nostro palcoscenico per messaggi sociali, culturali e politici. Per poter giocare almeno nella 2. Bundesliga a lungo termine, dobbiamo investire in infrastrutture professionali, nello stadio, nel settore professionistico e in quello giovanile. Non vogliamo investitori anonimi che possano cambiare il nostro DNA”.

Una quota della cooperativa costa 750 euro e ovviamente se ne potrà acquistare più di una: essendo una cooperativa però il voto sarà pro capite e non pro quota. Secondo quanto riferisce Tuttostpauli.com la presidenza del St Pauli stima di coinvolgere tra le 20 e le 30mila persone incassando in questo modo circa 30 milioni di euro. Grazie a questi soldi, la cooperativa azzererà il mutuo da 15 milioni di euro per la gestione dello stadio Millerntor e il club potrà concentrarsi su investimenti puramente sportivi. Si stima che le quote potranno generare un ritorno di circa il 2% annuo come investimento.

All’insegna dell’uno vale uno, persino il tecnico del St. Pauli, Alexander Blessin, ha annunciato: «È un argomento molto interessante. Sono curioso di sapere come la novità verrà accolta da noi. Molto probabilmente comprerò una quota».

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