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Il ciclismo sta tornando alle origini?
31 mag 2023
Il talento di van der Poel, van Aert, Evenepoel e Pogacar sembra suggerirlo.
(articolo)
43 min
(copertina)
IMAGO / Panoramic International
(copertina) IMAGO / Panoramic International
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Parliamoci chiaro: il ciclismo è uno sport fondamentalmente noioso. Lo è in modo intrinseco e non ci sono santi che tengano, è nella sua stessa natura. Si potrebbe dire che tutti gli sport sono noiosi, il che in parte è vero, se si pensa che persino nel calcio c’è chi sostiene che 90 minuti per una partita in fondo siano troppi rispetto agli highlights su YouTube o ai reel su TikTok.

La noia del ciclismo però è diversa rispetto ad altre noie sportive, perché è contemplata a priori nella struttura stessa delle corse. La maggior parte di ciò che avviene durante le gare di ciclismo non viene nemmeno mostrato dalle televisioni perché non è interessante. Potremmo dire che non succede niente, almeno televisivamente parlando, e quindi non ha senso star lì a guardare. Non è detto che la noia non la faccia da padrona anche nelle fasi conclusive, negli ultimi cinquanta o cento chilometri di una gara; fra uno scatto e l’altro o magari nell’attesa che accada qualcosa o che arrivi quella salita o quel muro o quel settore di pavé.

In uno sport intrinsecamente noioso chiedersi cosa renda bella una corsa non è scontato. Per alcuni la bellezza sta nella capacità di una corsa di restare aperta e incerta fino alla fine, come la Milano-Sanremo che si decide negli ultimi 15 chilometri dopo quasi 280 chilometri di attesa. Ma gli esempi sarebbero tanti: il Giro d’Italia 2022, rimasto aperto fino all’ultimo e deciso sull’arrivo in salita nell’ultima tappa di montagna dopo tre settimane piuttosto piatte.

La bellezza in questo caso sta proprio nella noia prolungata che sfocia in un’improvvisa scarica di adrenalina, confinata agli ultimi minuti della corsa. Un ideale che ben si sposa con le esigenze televisive di avere dei brevi momenti di highlights da vendere o dei momenti ben definiti di pathos su cui puntare per fare picchi di ascolti.

Per altri, invece, la bellezza sta nei continui scatti, nei duelli, negli attacchi frontali dei grandi protagonisti che lottano fra loro senza mai riuscire veramente a superarsi. Ma che ci provano e ci riprovano incessantemente, con continui cambi di ritmo e ribaltamenti.

A queste due tipologie di corsa se ne deve però aggiungere una terza, che forse è la più classica, almeno nel ciclismo. La fuga solitaria. Di esempi di questo tipo, di corse rimaste nella leggenda di questo sport, ce ne sono tante, soprattutto nel secolo scorso, quando le televisioni non esistevano o erano ancora nello stadio primordiale del loro sviluppo tecnologico e le corse - di conseguenza - si vivevano alla radio o il giorno dopo attraverso i racconti sui giornali di quei pochi fortunati che la vedevano coi propri occhi, sulla strada, e che poi scrivevano e narravano ciò che avevano visto, regalandoci pagine di storia dello sport e del giornalismo.

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