Alcuni recenti sviluppi nel dibattito intorno allo Stadio Artemio Franchi di Firenze, e alla possibilità che la Fiorentina continui a farne il suo impianto casalingo o meno, hanno riacceso l’attenzione sul tema del restyling degli stadi di calcio, e sul fatto se sia più o meno conveniente intervenire su qualcosa che già c’è rispetto a costruire un impianto nuovo.
Il Franchi è stato progettato dall’architetto Pier Luigi Nervi nel 1931, con elementi di architettura razionalista unici nel suo genere ma inseriti in un complesso ormai inadatto allo sport contemporaneo e alla fruibilità dei tifosi. Rocco Commisso vorrebbe dare alla Fiorentina un nuovo stadio degno del calcio attuale (con tutti i servizi e i comfort che ne conseguono) ma nelle sue proposte si è scontrato con un problema insormontabile: il Franchi è un edificio vincolato dai Beni Culturali (per ragioni di età e testimonianza costruttiva) e viene giudicato quasi del tutto intoccabile, nonostante le porzioni davvero di valore siano poche e facilmente adeguabili a un nuovo stadio che si inserisca in contatto ad esse, come sottolineato da una prima proposta di restyling del club di fine 2019 in collaborazione con lo studio dell’architetto Marco Casamonti.
Foto LaPresse - Jennifer Lorenzini.
Questa impasse, rimasta tale nei mesi recenti nonostante scontri dialettici e rimpalli di polemiche, sembrerebbe portare a una sola via d’uscita: la Fiorentina dovrebbe individuare un’area periferica di Firenze dove costruire il suo nuovo stadio da zero, e l’attuale Franchi rimarrebbe (quasi) così com’è, sulle spalle del comune a livello gestionale e con un futuro sportivo del tutto ignoto e indefinito.
Il risultato principale, nel caso specifico, sarebbe di non essere riusciti a trovare un punto d’incontro produttivo sulla necessità di trasformare un vecchio stadio in un edificio moderno, dandogli un futuro concreto. Ma, per contro e in senso più ampio, è giusto anche valutare le opportunità offerte da uno stadio completamente nuovo, che in certi casi ha dato vantaggi chiari ed evidenti ai club che hanno intrapreso questa via.
Costruire un nuovo stadio, i casi di Arsenal e Tottenham
Il tema della ristrutturazione fa parte del dibattito architettonico da sempre, e ha influenzato le città in cui viviamo negli ultimi due secoli molto di più di quanto riusciamo a percepire. Ma, nella nostra epoca contemporanea, quando si parla di impianti sportivi assume contorni molto più fluidi rispetto al passato, rendendo difficile l’applicazione certa delle regole della teoria del restauro ormai storicamente accettate.
Progettare e costruire uno stadio nuovo, in effetti, non è solo una scelta da giudicare per i suoi aspetti pratici, ma è anche una strada identitaria e rappresentativa, che i club scelgono di intraprendere per rilanciare la propria immagine e potenziare il brand agli occhi del mercato mondiale globalizzato. Questo meccanismo è facilmente comprensibile guardando, per esempio, ai casi paralleli di Arsenal e Tottenham, che in tempi diversi ma per ragioni pressoché uguali hanno deciso di costruire un nuovo stadio, cancellando o quasi la storia dei rispettivi storici impianti. Tanto l’Emirates Stadium, quanto il Tottenham Hotspur Stadium, rappresentano una strada completamente nuova attorno la quale i due club londinesi hanno modellato progetti tecnici e societari a medio-termine del tutto diversi rispetto al passato.
Se per la maggior parte dei tifosi dell’Arsenal è ormai assodato che esiste un’era pre-Emirates Stadium e una post, individuata in un netto calo dei risultati sportivi e della competitività economica del club (conseguente alla riduzione delle spese per migliorare la rosa dovute al contraccolpo finanziario per la costruzione dello stadio), per ovvie ragioni temporali resta ancora da vedere se sarà lo stesso per il Tottenham, ma è certo che la costruzione del nuovo stadio, nato dalle ceneri dello storico White Hart Lane, è il segno di un’ambizione che evidentemente nella testa dei dirigenti Spurs non era concretizzabile altrimenti.
D'altronde le necessità da cui partivano Arsenal e Tottenham erano soprattutto di natura logistica, e il bisogno di ampliare i rispettivi stadi si scontrava con l’impossibilità strutturale di modificarli, per questioni principalmente urbanistiche e di stretta vicinanza con le abitazioni circostanti. Nonostante una serie di tentativi fra i più disparati, sia per la ricerca di soluzioni architettoniche che permettessero di rimanere nello stadio originale, sia con ipotesi di affitto o trasferimento in impianti più grandi (in particolare con un pensiero a Wembley, soprattutto per l’Arsenal), la scelta di costruire due stadi nuovi e molto più grandi dei precedenti rappresentava la chiave di volta attorno alla quale far ruotare un potenziamento tecnico, sportivo ed economico dei due club, che avrebbe garantito una capacità di restare ai massimi livelli del calcio europeo sfruttando, anche, la maggiore affluenza di pubblico – e i conseguenti ricavi da botteghino e servizi accessori.
Paul Terry/Sportimage via PA Images.
In Italia, peraltro, il caso della Juventus si fonda su basi simili. I bianconeri hanno buttato giù il Delle Alpi (anche se al contrario di Arsenal e Tottenham non era uno stadio particolarmente amato dai tifosi) ottenendo dal nuovo stadio un incredibile vantaggio competitivo. Non è possibile pensare però che sia così immediato il rapporto tra stadio nuovo e crescita sportiva e economica, anzi possiamo dire che lo Juventus Stadium sia l’eccezione che conferma la regola. Nessun club, per quanto ambizioso e convinto dei propri mezzi, potrebbe sperare di vincere per nove volte consecutive il campionato esattamente nei primi nove anni di operatività del nuovo stadio. E questo, dall’altro lato, ci dimostra che non stiamo parlando di equazioni il cui esito è automatico.
Cambiare gli stadi, ma anche le città
Uno stadio nuovo, comunque, rappresenta anche un elemento di profonda trasformazione per una città, sia a livello urbanistico che infrastrutturale, e questo rimane un aspetto imprescindibile del discorso. Il consumo di suolo attualmente è un qualcosa che le città non possono più permettersi (e la visione in questo senso è cambiata molto, anche solo rispetto a una decina d’anni fa) e i progetti dei nuovi stadi cercano di inserirsi in macro-aree che possono essere recuperate o valorizzate, proprio con il traino del progetto a destinazione sportiva.
In questo senso si può pensare a un nuovo stadio anche pensando a una possibile funzione polivalente. Sull’esempio delle difficoltà di gestione dei grandi impianti costruiti per eventi mondiali (si veda il quasi totale abbandono dei grandi impianti costruiti per Sudafrica 2010 e Brasile 2014), nella costruzione di nuovi stadi si può valutare la caratteristica modulare (strutture con porzioni semi-temporanee, che permettono la successiva riduzione dell’edificio, come gli impianti del Mondiale di Russia 2018) oppure la multifunzione a livello tecnologico, come gli stadi di Lille o Gelsenkirchen, con campi da gioco che vengono portati fuori dallo stadio o gradinate componibili per accogliere altri sport.
Seguendo questo tema ricerca di “funzionalità” e su come uno stadio possa integrarsi con la città che lo circonda, è interessante vedere come si stanno comportando negli Stati Uniti, dove a una assenza di “esperienza” rispetto agli stadi da calcio corrisponde invece una rigorosa politica per quanto riguarda gli obblighi delle franchigie verso la città che le ospita soprattutto per quanto riguarda le infrastrutture. Una tendenza già netta per quanto riguarda i principali sport americani sta diventando elemento chiave per lo sviluppo delle squadre della Major League Soccer.
Negli ultimi 5-10 anni si è avviato infatti un processo virtuoso di creazione e potenziamento dei club a partire dalle loro infrastrutture sportive. Facendo leva sull’enorme esperienza imprenditoriale applicata allo sport (derivante da baseball e football americano, soprattutto), praticamente tutte le squadre di MLS hanno o stanno rinnovando i propri stadi, costruendone di nuovi appositamente pensati per il calcio (e non più affidandosi a quelli già esistenti, e giganteschi, per il football), con capienze misurate sul bacino d’utenza locale e con progetti che coinvolgono direttamente le municipalità.
È così che la squadra di St Louis, in Missouri, appena fondata e pronta a entrare in gioco nell’edizione 2023 del campionato di MLS, ha previsto un progetto per il suo nuovo stadio che è anche una rigenerazione urbana della parte ovest del centro città: il nuovo impianto (22.500 posti di capienza) sarà affiancato dal centro sportivo e rappresenterà un punto di collegamento diretto lungo Market Street, una delle arterie locali principali, con la stazione ferroviaria e l’area sul fiume Mississippi, con i musei e il Gateway Arch, l’arco simbolo della città.
Un rendering dello stadio dall'alto (da MSL4theLou).
Allo stesso modo, Sacramento, con le stesse tempistiche di St. Louis per l’ingresso della sua nuova squadra in MLS, ha fatto ancora meglio: la costruzione del nuovo stadio servirà a riqualificare un intero quartiere che ha scritto pagine di storia cittadina nella prima metà del Novecento. Qui, l’interscambio ferroviario era l’elemento chiave per i meccanismi industriali dell’epoca ma, ormai completamente dismesso, ha bisogno di un nuovo futuro, e sarà lo stadio dei Sacramento Republic a fornirglielo, con un progetto collaterale di recupero delle fabbriche storiche e l’inserimento di edilizia abitativa, spazi e servizi pubblici.
I rischi del nuovo
Negli Stati Uniti questi progetti sono possibili, in particolare per i club di nuova fondazione, perché la richiesta di inserimento della franchigia sportiva nel campionato di MLS va concordata e presentata di comune accordo con la città (come peraltro funziona anche quando si parla di basket NBA o football NFL). Questo meccanismo impone alle città stesse di ragionare in sintonia con le dirigenze dei club e produrre progetti di nuovi stadi che possono adeguarsi a piani di riqualificazione urbana eventualmente già avviati.
Ma, ovviamente, e in particolare tornando all’Italia, il rovescio della medaglia è il tentativo di speculazione edilizia che rimane sullo sfondo di queste operazioni e, per quanto non sia per forza vero, questa è un’argomentazione che sta avendo ancora adesso una parte importante per esempio nel dibattito che riguarda lo Stadio Meazza di Milano.
Con la Legge Stadi prima, e l’ulteriore forzatura rappresentata da alcune pieghe del Decreto Sbloccastadi in tempi recenti, la costruzione di un nuovo stadio in Italia è stata promossa a “progetto di pubblica utilità”, favorendo un percorso di approvazione a livello comunale ma aggiungendo l’opzione di affiancare al nuovo impianto la realizzazione di servizi (quindi di ulteriori edifici complementari) che permettano al proponente di rientrare dell’investimento.
Si crea, quindi, quel rischio di speculazione di cui accennavamo prima, e quasi totalmente a favore del privato, che nei mesi scorsi parte dell’opinione pubblica ha prima individuato in tutte le cubature complementari al nuovo stadio della Roma, poi nei tre grattacieli che farebbero quasi ombra al nuovo stadio di Milano.
Agli occhi del tifoso comune, in effetti, ciò che conta rimane lo stadio come edificio in sé. Ed è per questo che a livello mediatico si crea una forte dicotomia fra due “tifoserie” opposte: chi apprezza gli stadi vecchi per come sono e per l’atmosfera che riescono a veicolare, e chi invece si schiera dalla parte del progresso e dei nuovi impianti sportivi, ricchi di tecnologia e comfort e legati a un futuro potenzialmente roseo per il club.
Quindi, se la domanda è se sia meglio costruire stadi nuovi o ristrutturare gli esistenti, non c’è ovviamente una risposta univoca. Arsenal e Tottenham ci hanno dimostrato che lo stadio nuovo alle volte è l’unica soluzione percorribile, mentre l’Atlético Madrid – pur abbandonando il Vicente Calderon – è riuscito a ridare vita alla singola, gigantesca tribuna del vecchio stadio Metropolitano, inglobandola nel nuovo Wanda e facendo un favore a sé stesso ma, soprattutto, alla città di Madrid. Dal canto suo, il Bayern Monaco ha costruito l’Allianz Arena in un’area pressoché deserta e lontana dalla città, quasi bucolica, mentre l’Olympique Marsiglia ha voluto rimanere sul luogo del vecchio Vélodrome, ricostruendolo completamente e regalandoci uno degli esempi più incredibili di trasformazione di un’idea architettonica che passa da un’epoca all’altra.
Ma anche ristrutturare, e magari ampliare gli stadi esistenti, ha i suoi vantaggi, sia in termini di identità che di uso del suolo. I progetti di Atalanta e Udinese ce lo testimoniano, mentre in Spagna la pianta ovale dell’Anoeta è stata trasformata dalla Real Sociedad in uno stadio moderno, con gradinate a ridosso del campo. Segno che certi interventi si possono realizzare davvero, non sono solo chimere lontane alle quali guardiamo con ammirazione: se il Franchi di Firenze venisse ristrutturato, l’intero quartiere di Campo di Marte non potrebbe diventare un polo sportivo d’eccellenza per l’intera città?