Patta-Jacobs-Desalu-Tortu. La quinta pietra su un’Olimpiade senza criterio l’hanno appoggiata in quattro. Quattro sprinter che si candidano a diventare, nel 2060, la filastrocca preferita del nonno/zio/genitore nostalgico di turno. Ognuno dei viventi, a seconda della propria latitudine, è cresciuto con il mantra di riferimento: Sarti/Burgnich/Facchetti, Negri/Furlanis/Pavinato, Zoff/Gentile/Cabrini e così via. Mai la sciarada ha compreso quattro sprinter. Nemmeno ai Giochi del 1932 (bronzo), 1936 (argento) e 1948 (bronzo). Neppure ai Mondiali 1983, quando Tilli/Simionato/Pavoni/Mennea arrivarono in scia a Carl Lewis. Mai quattro velocisti sono entrati nell’immaginario collettivo come una cosa sola, fino al 6 agosto 2021.
Ognuno avrà la sua versione, su quanto andato in scena questo pomeriggio nello Stadio nazionale del Giappone. Gli appassionati di atletica alle prese con il quinto oro olimpico in sei giorni, che rappresenta un bagaglio emotivo emotivamente insopportabile per chiunque abbia avuto la sfortuna di appassionarsi a questo sport negli ultimi vent’anni, si staranno chiamando e scrivendo da ore. I calciofili temporaneamente prestati all’atletica ricorderanno le lezioni sul CortoMuso di Max Allegri, o il provvidenziale strattone di Giorgio Chiellini ai danni di Bukayo Saka nella finale di Wembley. Gli esperti di numerologia vedranno nel quinto oro olimpico dell’atletica italiana in questo 2021, numero che supera tutti quelli vinti dal 1988 a oggi, un segno: quattro i frazionisti della 4x100, quanti i medagliati individuali in un’Olimpiade che non si era mai vista e che non si vedrà mai più.
Quello di Gianmarco Tamberi, nell’alto, era stato l’oro di un predestinato costretto a ripartire dalla polvere e da un infortunio gravissimo, presentatosi domenica 1 agosto in pedana convinto di una vittoria sulla quale avrebbe scommesso solo lui. Marcell Jacobs, negli stessi minuti, aveva capitalizzato sui 100 metri uno stato di grazia mai nemmeno avvicinato in passato e chissà quanto ripetibile in futuro. Massimo Stano, che non era nemmeno quotato dai bookmaker, aveva vinto la 20 chilometri di marcia sfruttando al massimo il caldo, le crisi altrui e l’autorevolezza di un underdog mai vincente ma sempre buon piazzato, con l’oro più inatteso (e ce ne voleva) di tutta la spedizione azzurra (di atletica e non). Antonella Palmisano, 20 chilometri in testa al gruppo e poi da sola a spiegare al mondo come si marcia, si era consacrata come la più grande atleta italiana (uomini e donne) degli ultimi dieci anni, per costanza di risultati.
La 4x100 è stata qualcosa di differente. Perché, in attesa che i dati sullo share dicano quanti l’abbiano vista, la sensazione è che in Italia molti si aspettassero una vittoria, nonostante le quotazioni non troppo lusinghiere (5 alla Snai, peggio di Giamaica e Canada e in linea con Cina e Gran Bretagna). Un po’ perché l’Italia schierava il campione olimpico e un po’ perché, per l’aria che tira, ormai l’impressione è che gli azzurri potrebbero schierare anche il primo vecchietto di passaggio al parco e raccattare una medaglia nel decathlon. Le aspettative erano enormi, di nuovo però la realtà suggeriva prudenza. Se non altro, perché a Doha nel 2019 una staffetta che già arruolava Jacobs e Tortu era rimasta fuori dalla qualificazione alla finale, per quanto con il primato italiano (38’’11).
C’era un aspetto positivo: l’eliminazione degli Stati Uniti in batteria, l’unica nazione veramente in grado di spiccare – per valori individuali – un palmo sopra tutte le altre. Tutto il resto non giocava granché a favore, a partire dai tempi di qualificazione. L’Italia, nella giornata di giovedì, era entrata in finale con il record italiano (37’’95, prima volta nella storia sotto i 38 secondi) ma con il quarto tempo assoluto. Davanti, oltre a una Giamaica risorta dagli inferi (i gialloverdi stanno attraversando un ricambio generazionale particolarmente complicato), c’erano anche la Cina e il Canada. Dietro, con il quinto tempo, quella Gran Bretagna che ai Mondiali di Doha 2019 aveva chiuso seconda con il record europeo di 37’’19 (e tre componenti su quattro erano rimasti uguali). Alla corsa per le medaglie, per quanto qualificato sul filo del rasoio, era iscritto anche il Giappone, un po’ perché padrone di casa e un po’ perché Tokyo da anni è una potenza delle staffette: terzi ai Mondiali 2017 e 2019, i giapponesi si presentavano alla finale da vicecampioni olimpici. Va detto che gli azzurri non avevano spinto sui cambi, affrontati con enorme prudenza. Qualche margine c’era.
A giocarsela per le medaglie erano almeno sei squadre su otto. L’Italia era in corsia 8, quindi la seconda squadra a partire dall’esterno (tra il Giappone, in 9, e la Cina, in 7). Dei quattro partenti, almeno due erano dei veterani: il secondo frazionista, Marcell Jacobs, e il quarto, Filippo Tortu. Sono anni che i due maggiori sprinter della storia azzurra si dividono i rettilinei così: Jacobs quello più lungo, Tortu quello dove tutti vanno in all in. La scelta non è cambiata nemmeno dopo l’oro di Jacobs ed è stato un bene: inutile cambiare modificare automatismi elaborati per anni, come se poi l’ex primatista italiano dei 100 metri non avesse la carica agonistica necessaria per reggere l’ultima frazione.
In terza frazione c’era Eseosa ‘Fausto’ Desalu, 27 anni, il secondo più veloce duecentista azzurro dopo Pietro Mennea: 20’’13 di personale, quest’anno 20’’29 in batteria a Tokyo che gli ha permesso di arrivare in semifinale. Alle World Relays di maggio, a Chorzow, Desalu era in prima frazione: è stato spostato in terza al posto di Davide Manenti. Il suo posto in partenza è stato occupato da Lorenzo Patta, il nome nuovo del nostro sprint. L’unico, dei quattro azzurri d’oro, a non essere passato da anni di delusioni cocenti in azzurro, anche e soprattutto in staffetta. Lorenzo Patta, sardo, ha ventun anni e ha fatto la miglior prestazione della sua vita il 13 maggio di quest’anno, pochi giorni prima di spendere le candeline: 10’’13 a Savona, nell’indifferenza quasi generale perché Jacobs aveva appena stampato un 9’’95. Poi, da giugno in poi, più nessuna gara.
Patta, incaricato di scattare dai blocchi, se la vedeva con il britannico in corsia 6 Chijindu Ujah, uno che in carriera è stato capace di scendere fino a 9’’96 e quest’anno a 10’’03. Lo stesso personale, 9’’96, vanta il canadese Aaron Brown, capace a Tokyo di arrivare sesto nei 200 metri. In generale, su otto partenti, Patta aveva il sesto tempo. È uscito dai blocchi per quinto, ma il differenziale tra migliori e peggiori allo start è stato irrilevante. Ha cambiato in linea con i migliori, che in quel momento erano Canada, Cina, Gran Bretagna (lunga ma molto veloce) e Giamaica. Il Giappone, nel frattempo, si eliminava da solo. Germania e Ghana, un gradino sotto, erano brave ad esserci. In quel momento la classifica diceva Gran Bretagna, Canada, Giamaica, Cina e Italia.
In seconda frazione l’Italia schierava il campione olimpico dei 100 metri, cosa che non le è mai successa in 125 anni di storia olimpica. E Jacobs, che già nel gelo di Chorzow a maggio aveva fatto registrare una frazione da 8’’91, ha fatto pesare tutta la sua medaglia, allungando – con qualche aggiustamento dei cambi - il più possibile l’estensione della sua frazione. Il fatto che fosse in rettilineo ha permesso di apprezzare il guadagno su Cina e Gran Bretagna, oltre che su tutto il resto del gruppo. Poi, iniziata la curva, si è fiondato su Desalu. Ai 200 l’unica staffetta avversaria realmente in vantaggio, ma di un’inezia, era la Gran Bretagna, che fino a quel momento aveva retto grazie a Ujah e a un ottimo Zharnel Hughes (il finalista dei 100 che partiva accanto a Jacobs, squalificato prima della partenza). Subito dietro il Canada (anche se visivamente non sembrava) e poi l’Italia. La terza frazione vedeva Desalu confrontarsi con l’esperto britannico Richard Kilty, centista da 10’’01, con il cinese Bingtian Su, quello che con 9’’83 aveva preceduto Jacobs nella semifinale dei 100, e con il giamaicano Yohan Blake, campione mondiale dei 100 nel 2011 e secondo uomo più veloce di sempre sui 200, oltre che pluricampione di tutto nella 4x100 ai tempi di Usain Bolt.
Desalu ha retto benissimo. Al momento di entrare in zona cambio, solo la Gran Bretagna era davanti. Cina e Giamaica avevano guadagnato qualcosa, ma poco. Poi l’unico cambio che, almeno a velocità normale, sembrava imperfetto: quello Desalu-Tortu. Tortu è partito con un attimo di ritardo, rischiando di farsi ‘schiacciare’ da Desalu. Ma ha accelerato a una velocità tale che quasi non ne ha risentito. La velocità del testimone nel passaggio di mano è rimasta praticamente invariata. E la Cina, che ha pasticciato: costretto a rallentare, il quattro frazionista Zhiqiang Wu si è visto sfilare il sardo-brianzolo al doppio della velocità e a quel punto poteva solo difendere il terzo posto dal ritorno dei giamaicani. Dal canto loro i campioni olimpici 2016 non sono mai rientrati: a distruggere i sogni di podio cinesi e caraibici è stato André Andre De Grasse, bronzo nei 100 di Jacobs e oro nei 200, autore di un rientro clamoroso. In meno di 100 metri De Grasse si è mangiato Giamaica e Cina, ma questo lo si è visto solo nei replay.
Perché nel frattempo Filippo Tortu, 23 anni, si è lanciato in uno dei migliori lanciati della sua carriera e ha catalizzato gli sguardi. Tortu, tante volte criticato perché lo staff lo risparmia fino all’inverosimile (nessuno gareggia poco quanto lui). Tortu, che da anni non corre un 200 nonostante per la maggior parte degli osservatori sia quella la distanza cucita su misura per lui. Quel Tortu che tre anni fa scendeva a 9’’99 nei 100 (primo azzurro sotto i 10 secondi) e che due anni fa a Doha, con un tempo molto più abbordabile, conquistava la qualificazione a una finale mondiale dei 100, per poi sparire dai vertici nel biennio 2020-21. Ecco, esattamente quel Tortu, con tutti i limiti di una stagione che non lo ha visto mai in forma, ha ricordato a tutti che, oltre al talento innato, un’arma non gli è mai mancata: la carica agonistica. Nel 2014, a 16 anni, Tortu si ruppe entrambe le braccia in una semifinale dei 200 metri, alle Olimpiadi giovanili di Nanchino, tuffandosi sul traguardo per conquistare l’accesso alla finale dei 200. Ce la fece, ma ovviamente non corse la gara decisiva. A Tokyo, in ultima frazione, è sceso esattamente quel Tortu, opposto al britannico Nethaneel Mithcell-Blake. Mitchell-Blake aveva circa un metro, non di più, o poco più, di vantaggio. Ma nella seconda metà di frazione il lanciato perfetto di Tortu ha cominciato a regalare i suoi frutti. E mentre il britannico, un po’ impettito e irrigidito, arrancava, Tortu gli ha mangiato un centimetro dopo l’altro. Fino a mettergli la faccia e il petto davanti e a fermare il cronometro in 37’’50: un tempo che nessun appassionato avrebbe mai pensato di accostare a una 4x100 azzurra. A seguire Gran Bretagna in 37’’51 e Canada in 37’’70.
Secondo le analisi che lo staff azzurro capitanato da Filippo Di Mulo, referente del progetto 4x100, ha fornito ai media, Patta ha corso la sua frazione in 10’’56 cambiando al quinto posto, lievemente dietro alla Gran Bretagna ma in linea con Canada, Giamaica e Cina. Jacobs ha coperto la sua frazione, allungata di qualche metro anticipando il primo cambio e ritardando l’ultimo, in 8’’92. A metà gara, secondo l’infografica riportata oggi dalla Gazzetta, l’Italia era terza, benché quasi in linea con il Canada (che addirittura a prima vista sembrava indietro) e dietro alla sola Gran Bretagna. Il Canada è stato superato in curva da Desalu, capace di coprire la sua frazione in 9’’17, di resistere al ritorno di Blake e di guadagnare qualche centimetro sulla Cina. Quindi l’assolo di Tortu, una rimonta chiusa in 8’’84.
Il resto è storia, dalle lacrime di Tortu, passato da re spodestato a eroe di una staffetta d’oro nel giro di pochi giorni, al trionfo di Jacobs, che nella peggiore delle ipotesi sarebbe tornato a casa da campione olimpico nei 100. Si dirà che gli azzurri hanno vinto grazie a due cambi perfetti e a uno accettabile buono, come da miglior tradizione italiana. E probabilmente è vero. Poi c’erano un campione olimpico, un talento in difficoltà e due frazionisti che hanno fatto alla perfezione il loro dovere. Un gioco a incastri micidiale da cui è emersa la staffetta perfetta, cosa che agli altri non è riuscita.
Poi, le dichiarazioni in Rai. Tortu, con la sua fede incrollabile nelle basi e cioè che nel fatto non bisogna mai contrarsi, perché si va solo più piano: «Quando sono partito, ho visto che era lì a fianco [Mitchell-Blake] e in quel momento ho pensato solamente di stare rilassato e di correre più tranquillo possibile, perché sapevo che se lo avessi fatto lo avrei preso e l’avrei superato». Jacobs, fatalista: «Ci siamo guardati negli occhi, sapevamo che potevamo fare qualcosa di incredibile, ci dovevamo credere fino in fondo, ci abbiamo creduto, è stato qualcosa di veramente fantastico». Desalu, abbastanza lucido da ricordare che la staffetta è uno sport di squadra: «Siamo un bel gruppo, abbiamo lavorato tanto e la cosa che ha fatto la differenza, quel centesimo che sto guardando, è il grande gruppo che ci unisce». E il piccolo Patta, 173 centimetri per 60 chili, con l’incoscienza di aver vinto la gara più importante al primo grande appuntamento della vita: «È stata la mia prima Olimpiade. Penso che sia andata abbastanza bene, no?».