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Cosa cambia al Milan con Pioli?
11 ott 2019
Il tecnico ha idee forti, anche se diverse da quelle di Giampaolo.
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7 min
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Foto di LaPresse - Spada
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Nel corso della sua presentazione come nuovo allenatore del Milan, Stefano Pioli ha ripetuto un concetto espresso anche da Marco Giampaolo durante la sua prima conferenza stampa: «Il tempo può essere il nostro nemico, ma può anche essere un alleato». A Giampaolo sono stati concessi appena tre mesi e Pioli dovrà cercare di fare meglio di lui partendo, però, da una situazione ancora più complicata: recuperando il Milan nel mezzo di una stagione iniziata male, con quattro sconfitte in sette giornate di Serie A, e con "l'ambiente" rossonero che lo ha accolto con molto scetticismo.

Pioli è davvero un "normal one"?

La prima cosa da notare è che Stefano Pioli si era trovato in condizioni simili già tre anni fa: quando aveva firmato con l’Inter a stagione in corso, anche in quell’occasione per sostituire un tecnico dalle idee di gioco molto definite (come è Giampaolo), Frank de Boer. E di nuovo, come allora, c'è qualcuno che lo descrive in modo fuorviante come un normalizzatore, un allenatore che gestisce le crisi partendo dalle qualità del materiale senza intervenire in profondità sul lato tattico.

In realtà Pioli ha principi chiari, che ha rivendicato nelle sue prime dichiarazioni, delineando un manifesto di gioco ben preciso - «Voglio idee, intensità e spregiudicatezza» - e non c’è motivo di credere che rinuncerà a dare un’identità precisa al Milan, per trasformarlo in una squadra intensa e verticale, aspetti su cui ha insistito in conferenza stampa: «Il calcio moderno è qualità e intensità. Per assurdo, penso che per giocare un calcio propositivo molto passi dalla fase difensiva, noi vorremmo interpretarla come se fosse una fase d’attacco, cercando di essere intensi e aggressivi, per portare via il prima possibile il pallone agli avversari e avere poi la possibilità di essere pericolosi».

Aggressività e volontà di recuperare presto il possesso dovevano caratterizzare i rossoneri anche con Giampaolo, in realtà il pressing non è stato quasi mai efficace ed era facilmente aggirabile con i cambi di gioco. Ad ogni modo, con Pioli il modo di pressare sarà molto diverso: per Giampaolo la struttura della squadra e le uscite in pressione erano orientate dalla posizione della palla, il pressing organizzato da Pioli ha invece come principale riferimento l’avversario e prevede quindi marcature a uomo. In linea teorica ogni giocatore segue un avversario, ma sono previsti aggiustamenti, soprattutto in difesa, per controllare gli spazi e non lasciarsi disordinare troppo dalla posizione degli avversari.

Quello di Pioli è in teoria un pressing più dispendioso, anche per il particolare modo di costruire l'azione. La risalita ordinata del campo che Giampaolo ambiva a raggiungere avrebbe facilitato il pressing dopo un errore avvicinando molti giocatori nella zona della palla, per Pioli è invece più importante arrivare velocemente in zona di rifinitura, con verticalizzazioni che impongono ai giocatori corse più lunghe per accorciare nella zona dove si sviluppa il possesso e cercare il recupero immediato in caso di errore.

Pioli ha una rosa adatta?

È probabile che a guidare le scelte di Pioli sarà la capacità di sostenere un gioco di questo tipo, insieme all’abilità nel maneggiare gli altri strumenti che il nuovo allenatore del Milan è solito utilizzare, ad esempio la fluidità posizionale, a partire dalla difesa.

La Fiorentina di Pioli costruiva l’azione con una linea difensiva a 3, bloccando il terzino destro e facendo scivolare di conseguenza verso sinistra i difensori centrali, per dare a Biraghi la possibilità di alzarsi subito a occupare l’ampiezza, facendo entrare dentro il campo l’esterno dal suo lato. In fase difensiva, poi, Biraghi riprendeva la sua posizione di terzino sinistro e la linea difensiva tornava a quattro.

La difesa a 3 che la Fiorentina formava quando costruiva l’azione durante la gestione di Pioli.

Nel Milan c'è un terzino sinistro offensivo, Theo Hernández, che potrebbe alzarsi a occupare l’ampiezza come faceva Biraghi, ma per riequilibrare la difesa sul lato opposto Pioli dovrebbe formare Calabria come terzo centrale, oppure adattare un difensore centrale nella posizione di terzino, come aveva fatto con Milenkovic alla Fiorentina.

La flessibilità della difesa, che durante la partita potrebbe formare una linea a 3, e la maggiore attenzione all’uomo in fase difensiva potrebbero aiutare il ritorno in campo di Caldara, che si era imposto tra i difensori italiani più promettenti giocando da centrale della difesa a tre nell’Atalanta di Gasperini, la squadra che in Italia cura di più le marcature e i duelli individuali.

Un altro giocatore che potrebbe trovare, nel contesto intenso e verticale che promette Pioli, condizioni migliori per esprimere il proprio talento è Hakan Calhanoglu, sbocciato in una squadra frenetica come il Bayer Leverkusen di Roger Schmidt. Se il Milan punterà a risalire il campo in modo più diretto e meno palleggiato rispetto alle idee di Giampaolo, l’abilità a verticalizzare del turco può tornare utile, anche se è probabile che tornerà a proporsi il confronto con Paquetá, che Pioli ha detto di considerare una mezzala.

In mezzo al campo Pioli ritrova poi Biglia, che aveva già allenato alla Lazio: il regista argentino era tra i giocatori più importanti per il suo sistema biancoceleste, ma ha perso brillantezza fisica e potrebbe quindi farsi scavalcare da Bennacer, più adatto a sostenere l’intensità richiesta dal nuovo allenatore rossonero, abile nel recuperare palla difendendo in avanti e che, oltretutto, ha nel passaggio taglia-linee una delle sue migliori qualità.

La questione forse più delicata resta comunque, sempre, quella relativa all’utilizzo di Suso. Pioli ha schierato spesso le sue squadre col 4-3-3, ma si è quasi sempre appoggiato a esterni molto forti in conduzione per avanzare - tra gli altri, Candreva, Felipe Anderson, Perisic e Chiesa - spingendoli a entrare dentro il campo per offrire più linee di passaggio in verticale a chi impostava l’azione. Suso è un esterno che fatica a portare avanti la palla da solo e preferisce appoggiarsi ai compagni, oltre ad essere poco portato ad abbandonare la fascia per andare a ricevere dietro il centrocampo avversario.

Leão e Rebic, più dinamici e portati ad avanzare da soli palla al piede, potrebbero rispondere alle richieste di Pioli meglio di Suso, ma il nuovo allenatore rossonero ha già detto che lo spagnolo è un giocatore di qualità e che vorrà metterlo nelle condizioni di puntare spesso l’avversario, e quindi magari sta già pensando a un modo per utilizzarlo assecondando le sue caratteristiche, senza provare a trasformarlo in un trequartista, come invece avrebbe voluto Giampaolo.

Da come ne ha parlato in conferenza stampa, è probabile poi che Pioli cercherà di recuperare Piatek riducendo il suo contributo alla manovra, un aspetto che Giampaolo stava provando a sviluppare, e facendolo concentrare sulla finalizzazione.

Nelle sue ultime squadre Pioli ha avuto centravanti diversi: un maestro dei movimenti senza palla come Klose, attaccanti poco prolifici che spesso si trovavano spalle alla porta per facilitare il possesso e creare spazi per gli inserimenti, come Djordjevic e Simeone, e un fenomeno in area di rigore come Icardi. Il nuovo allenatore del Milan ha utilizzato i suoi attaccanti in modi diversi, ma ci tiene a occupare l’area con molti giocatori favorendo gli inserimenti dei centrocampisti.

Cambiando allenatore all’inizio della stagione il Milan ha scommesso sulla possibilità di invertire subito la rotta e tornare a competere per l’obiettivo fissato, la qualificazione in Champions League. Per riuscirci, però, le idee di Pioli dovranno trovare un terreno più fertile rispetto a quelle di Giampaolo e sbocciare più velocemente. Inoltre, sia la Fiorentina che l'Inter di Pioli hanno vissuto momenti molto brillanti, alternati a crisi di gioco e risultati che hanno portato all'esaurimento delle energie mentali e fisiche necessarie per applicare il suo gioco. Insomma, a priori la scelta del Milan sembra più coraggiosa di quello che è stato detto in questi giorni. Forse il problema non è tanto nell'inadeguatezza del soprannome "normal one", quanto piuttosto il fatto che nel calcio la normalità non esiste. Esistono le idee.

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