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Steph Curry, gioia e rivoluzione
13 mar 2023
Il momento in cui anche Kerr è salito sul treno Steph Curry.
(articolo)
4 min
(copertina)
IMAGO / ZUMA Wire
(copertina) IMAGO / ZUMA Wire
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Pubblichiamo un estratto da "Steph Curry, gioia e rivoluzione" di Dario Costa uscito il 10 marzo per 66thand2nd.

Alla consueta sosta per l’All-Star Game di metà febbraio, Golden State ha il miglior record della lega, 42-9, e Curry è l’uomo copertina dell’Nba. A confermare il balzo di notorietà è proprio il voto popolare per eleggere i giocatori che dovranno andare alla partita delle stelle. Steph risulta il più amato dai tifosi con oltre un milione e mezzo di preferenze e stacca nettamente LeBron James e Kobe Bryant. Curry parte in quintetto per la Western Conference e, sfoggiando le nuovissime Curry 1, la prima scarpa a lui dedicata e marchiata Under Armour, vince anche la gara del tiro da tre punti battendo in finale il compagno di reparto Klay Thompson e Kyrie Irving. Al commento ci sono Reggie Miller, altro tiratore straordinario a cavallo tra gli anni Novanta e i primi Duemila, e Mark Jackson, che fino a pochi mesi prima era l’allenatore di Curry. Sottovoce, si comincia a discutere di come Steph possa essere ritenuto il miglior giocatore dell’Nba, ma sul suo stile di gioco insistono diverse perplessità. Anche se per il momento i risultati di squadra e le statistiche personali gli danno ragione, l’idea condivisa da buona parte degli analisti è che si tratti di un fenomeno temporaneo, destinato ad affievolirsi anche in ragione delle inevitabili contromisure che il resto dei coaching staff della lega prima o poi riuscirà a escogitare. A essere sinceri, anche sulla Baia non è che siano tutti convinti dell’affidabilità a lungo termine delle giocate di Curry. Lo stesso Kerr, che attorno alle caratteristiche uniche di Steph ha modellato l’intera squadra, riesce a malapena a nascondere il suo disappunto quando capita che il playmaker ecceda in audacia. A preoccuparlo non sono tanto le palle perse, effetto collaterale e quasi inevitabile della decisione di giocare sempre in velocità, quanto la selezione di tiro di Curry, spesso poco ortodossa, a volte oltre i limiti della razionalità. L’8 marzo, all’interno dell’agevole vittoria casalinga contro i Clippers, succede però qualcosa che suggella, forse per sempre, il sodalizio tra allenatore e stella degli Warriors. Quando sono trascorsi tre minuti nel terzo quarto, i padroni di casa sono avanti 62-52 e si trovano in attacco. I Clippers, nel tentativo di recuperare lo svantaggio, decidono che è il caso di raddoppiare e, se necessario, addirittura triplicare Curry. Così, mentre Steph gioca il pick and roll con Andrew Bogut e attraversa la linea da tre punti andando verso il canestro, Spencer Hawes e DeAndre Jordan, i due lunghi in campo per coach Doc Rivers, vanno in aiuto di Chris Paul. Steph è in trappola, circondato com’è da tre avversari, occorrerebbe provare a passare il pallone ai compagni rimasti liberi grazie alla superiorità numerica generata dall’aiuto portato da Hawes e Jordan. Invece Curry si libera con un palleggio dietro la schiena, Paul sfiora solo la palla e gli permette di fare due passi indietro e riguadagnare la zona centrale del campo, proprio dietro la linea dei tre punti. I difensori, a questo punto, sono completamente disorientati e Steph, senza interrompere il movimento, lascia partire un tiro che si infila muovendo a malapena la retina.

Jeff Van Gundy, che prima di diventare commentatore per Espn ha allenato in Nba per quasi vent’anni e non è tipo da lasciarsi andare a facili entusiasmi, afferma che «questa potrebbe essere l’azione di un singolo giocatore più incredibile che io abbia mai visto». Subito dopo aver mandato il replay del tiro, la regia ripropone anche la reazione di Kerr a bordocampo: l’allenatore prima si mette le mani nei capelli nel vedere la mossa spericolata di Steph, poi, quando la palla entra, alza le braccia, un po’ per festeggiare, un po’ in segno di resa. Simbolicamente, questa è la circostanza in cui Curry si guadagna la fiducia completa di Kerr. O forse è più appropriato dire che questa è l’occasione in cui Kerr si arrende, abbandona qualsiasi preconcetto e in qualche modo si consegna e consegna la squadra al talento di Curry. Più avanti, quando gli verrà chiesto se c’è un momento particolare in cui ha avuto la sensazione di aver cambiato il gioco, invece dei tanti trionfi Steph menzionerà proprio quell’azione, bella ma tutto sommato trascurabile in una partita qualunque di regular season: «Quello è il momento in cui ho mandato in tilt le conversazioni su cosa è una buona giocata e cos’è un brutto tiro». Lui, Kerr e i compagni la discussione su cos’è una buona giocata e un brutto tiro non l’avranno praticamente più. Il resto dell’Nba, invece, continuerà a coltivare una certa dose di scetticismo.

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