Pochi giorni fa su YouTube è riapparso il video della prima apparizione di Steph Curry in un “Late Show” subito dopo la sua incredibile prestazione durante il Torneo NCAA del 2008, quando con la sua Davidson eliminò le più quotate Gonzaga, Georgetown e Wisconsin prima di sfiorare l’impresa contro Kansas che avrebbe poi vinto il titolo. Per la prima volta Steph era qualcosa in più che il figlio di Dell ma nessuno in quello studio televisivo, compresi Conan O’Brien e lo stesso Curry, avrebbero mai pensato che quel ragazzino con il baffo prepuberale e una maglietta che sembrava appesagli addosso come un appendiabiti sarebbe diventato uno dei giocatori più influenti della storia moderna. E che a tredici anni di distanza da quella intervista avrebbe continuato a stupirci come il primo giorno, nonostante ormai ci dovremmo essere abituati.
Non è un caso che l’algoritmo mi abbia proposto questo video in cima ai consigliati vista la quantità di video di Steph Curry che consumo quotidianamente, di solito appena svegliato quando voglio recuperare nel tempo più veloce possibile quello che ha combinato mentre dormivo. Una pratica che è diventata religiosa nell’ultimo mese, cioè quando Curry ha deciso di ricordarci per l’ennesima volta che non bisognerebbe mai sottovalutarlo. Da quando è tornato in campo il 29 marzo contro i Chicago Bulls, Curry sta spostando l’asticella in alto partita dopo partita trascinando i suoi Golden State Warriors almeno ad un posto nel play-in a Ovest. Nelle ultime partite hanno inanellato sette vittorie a fronte di quattro sconfitte (contro il precedente 3-9 di record a cavallo dell’All-Star Weekend) e Curry sta viaggiando a 40 punti di media sfiorando il 50% da tre su oltre 14 conclusioni a partita.
Un'assurdità statistica, e balistica, che non ha precedenti nella storia del gioco. Ha segnato 70 triple in dieci partite, di cui 46 nelle ultime cinque. Inutile specificare che nessuno è mai arrivato a sfiorare certi numeri, probabilmente neanche a immaginarli. Per provare a dare un senso a tutto questo ho selezionato dieci triple tra le più spettacolari e folli segnate in queste 11 gare, anche se come per i maghi non si possono svelare tutti i trucchi del mestiere.
1.
Quando si osserva con meraviglia una conclusione da oltre l’arco di Steph Curry è facile perdersi nella perfetta parabola che esce dai suoi polpastrelli o ammirare la rapidità del polso che si spezza come un grissino, ma gran parte dei suoi canestri nascono ben prima che il pallone arrivi tra le sue mani. Prendiamo per esempio questa tripla segnata contro i Bulls nella prima partita dopo lo stop dovuto a un infortunio al coccige.
Prima ancora di superare la metà campo segnala a Kent Bazemore di occupare l’angolo opposto, così da lasciare lo spazio a Kevon Looney di effettuare il suo sprint verso il ferro e di liberare il quarto di campo dove esibirsi nel classico tango con Draymond Green. A Curry basta sfiorare appena il marcatore di Green per innescare la giocata, aprendosi come una porta da saloon oltre l’arco. A quel punto per la difesa di Chicago è già troppo tardi: il pallone è già partito e c’è solo da raccoglierlo da sotto la retina.
2.
Una delle vittorie più importanti in questo mese è arrivata contro i Milwaukee Bucks grazie a una impronosticabile rimonta nell’ultimo quarto di gioco infiammata anche e soprattutto da giocate come questa. Kelly Oubre sbaglia una conclusione dall’ala destra e la caparbietà di Andrew Wiggins mantiene vivo il pallone, che arriva non si sa come a Curry che è praticamente sulla linea di metà campo.
A quel punto Steph fa un palleggio e lascia partire il pallone un metro abbondante dietro l’arco, un tiro che prima che lo tentasse lui nessuno si azzardava a prendere se non qualche povero temerario che poi trascorreva il resto della partita nell’ultimo posto della panchina. Invece ora questo è un tiro è giusto da prendere, anche con il braccione di Brook Lopez che arriva ad oscurare la vallata, anche con 11 secondi sul cronometro dei 24. Perché basta una frazione di secondo di ritardo e il tiro è già partito, e la rimonta di Golden State è appena cominciata.
3.
Io capisco che la difesa di Washington non è una delle più attente e intense della lega, ma girare la testa da Curry una volta che questo passa il pallone è un errore da matita rossa da almeno un lustro. Invece qui Alex Len dopo esser saltato come un pollo sulla finta di Curry si dimentica totalmente di star difendendo contro il miglior tiratore mai apparso su questa Terra e gli volta le spalle. Si gira solo quando Rui Hachimura gli corre praticamente addosso come quando devi fermare l’autobus alla fermata solo che, come abbiamo già detto sopra, è troppo tardi.
D’altronde Curry in questo mese sta tirando solo il 68% da tre punti quando ha un metro e mezzo di spazio, quindi perché non lasciargli anche qualche centimetro in più per comodità. Per chi non è abituato, difendere su Curry può provocare figure imbarazzanti a ogni possesso.
4.
Chiedere ad esempio a Theo Maledon, rookie francese degli Oklahoma City Thunder, che ha assistito in prima persona a una lezione su come si diventa una point guard in NBA. Peccato che per imparare abbia dovuto fare anche da cavia, con Steph che lo ha maltrattato per tutti i 29 minuti che ha trascorso in campo, segnando 42 punti e sbagliando solo sei tiri. Alcuni dei canestri sono stati didattici, altri dimostrativi, altri ancora solamente spettacolari, come questo zig zag per il campo concluso con una tripla dall’angolo dopo una piroetta passandosi il pallone in mezzo alle gambe.
Curry è puro divertimento per tutti quelli che lo guardano giocare, tranne quelli che in qualche modo devono provare a marcarlo. E chi non è abituato al suo continuo movimento, al suo ritmo sincopato e alla sua abilità nel cogliere ogni vantaggio dopo la partita ha bisogno di un analgesico.
5.
Sempre per la serie del “benvenuto in NBA”, anche un rookie più maturo come Facundo Campazzo ha dovuto subire le angherie di Steph nella partita vinta da Golden State contro Denver. A dire il vero Campazzo ha difeso bene su Curry, rimanendo attaccato al numero 30 negli isolamenti e disciplinato senza cercare inutilmente il pallone. Solo che quando Curry è in ritmo non resta che ballare, come in questa conclusione arrivata con il marchio di fabbrica in step back dopo aver palleggiato in mezzo alle gambe. E aver esplicitato alla panchina dei Nuggets che l'argentino è troppo basso per marcarlo, qualcosa che certo non può dire spesso.
La partita verrà ricordata soprattutto per l’infortunio subito da Jamal Murray nei minuti finali, ma Steph in precedenza aveva allestito un vero e proprio spettacolo, segnando 53 punti contro quella che era la squadra più in forma della NBA e contro il candidato principale all’MVP Nikola Jokic. Come se ci fosse una motivazione extra a spingerlo.
6.
Per raccontare dell’abilità di Steph Curry di punire i cambi difensivi quando un lungo rimane con lui sull’isola ne avrei potute scegliere molte, visto in quanti tentano e in quanti falliscono nell’impresa. Ma ho scelto questa arrivata in una comoda vittoria contro la derelitta Houston per vari motivi.
In primo luogo la semplicità con la quale arriva, Curry ci prova pure a far finta di chiamare uno schema indicando con il dito un imprecisato listone di parquet prima di scoccare rapidissimo il pallone. Poi la parabola altissima, che esce dai bordi dell’inquadratura e rientra solo in prossimità del ferro, con la risata infantile che maschera l’età anagrafica. Christian Wood ci prova pure ma Curry è inevitabile, un distruttore di mondi con la faccia d’angelo.
7.
Arriviamo così alle ultime due partite contro Celtics e Sixers, durante le quali Curry ha trasformato in oro praticamente qualsiasi cosa gli passasse tra le mani (letteralmente tutto) sfiorando i cento punti complessivi nelle due uscite.
Contro Boston ha inscenato con Jayson Tatum uno dei duelli all’OK Corral più emozionanti della stagione, svuotando il cartucciere fino al suono della sirena. Ma prima di arrivarci Curry ha dovuto appoggiarsi sui suoi compagni di squadra, che sono arrivati a mettere a repentaglio la propria incolumità fisica pur di aiutare il loro capitano. Come Juan Toscano-Anderson, un ragazzo di East Oakland cresciuto con il mito degli Warriors, che per recuperare un pallone vagante si è lanciato sul tavolo telecronisti sguarnito per l’occasione procurandosi una commozione cerebrale che lo ha costretto ad abbandonare la partita.
Il pallone misteriosamente arriva a Curry, che con una finta di tiro dal logo fa saltare Grant Williams (perché tirare dal logo di centrocampo è una minaccia meritevole di un salto per contestarlo) e con un palleggio si mette in ritmo per l’ennesima tripla, la nona della sua partita. Steph non può certo contare sui compagni che aveva quando superava il record di vittorie in regular season dei Bulls o vinceva due anelli contro LeBron James, e quando si siede nelle ultime dieci partite il rating offensivo di Golden State crolla di oltre dieci punti. Ma, come ha confermato Toscano-Anderson, tutti sono disposti a scendere in battaglia e rischiare l’osso del collo pur di aiutare il fenomeno con il numero 30 sulle spalle. E questa è una delle ragioni per il record positivo di Golden State nelle ultime uscite.
8.
Con il risultato ancora in bilico a pochi secondi dalla fine Curry si fa tutto il campo sul lato sinistro con Grant Williams incollato, prima di eluderlo con una esitazione in palleggio e gettandosi quasi fuori campo rimanendo con i piedi dentro le linee appena appena per scoccare il tiro. E mentre ormai barcolla lontano dal perimetro di gioco il pallone si insacca per l’undicesima volta nella serata.
Guardandolo più volte mi è venuto in mente un canestro incredibile che Curry segnò nella serie di playoff che lo fece conoscere al grande pubblico, ovvero quella contro San Antonio nel 2013, quando dopo aver lasciato sul posto Danny Green finì per sedersi tra il pubblico della prima fila. Oggi ovviamente non ci sono spettatori e il basket è molto diverso da quello che si giocava solo otto anni fa, in parte a causa delle magie di Steph Curry e delle sue parabole andando verso sinistra, come abbiamo visto anche contro Maledon. Non so quanto Steph si ricordi ancora quel canestro contro San Antonio o se l’associazione è dovuta solo ad cortocircuito nella mia testa, ma è la conferma che Curry come ogni grande artista copia solo da sé stesso e ad ogni partita riscrive la sua opera.
9.
Quando Steph incrocia le lame contro il suo fratello minore Seth il parquet NBA si trasforma immediatamente in un campetto di cemento a Charlotte o Toronto, dove i due si sfidavano ossessivamente all’ombra imponente del padre Dell. E anche ora che i due sono professionisti ormai da anni, ogni volta resta quel sapore di sfida familiare, di partita nella partita. Doc Rivers (che è suocero del più piccolo dei due fratelli Curry) a fine gara ha ammesso come sia stato lo stesso Seth a chiedergli di poter marcare il fratello per la maggior parte dei possessi - i Sixers non potevano schierare Ben Simmons, il difensore designato - ma le cose non sono andate benissimo per Philadelphia.
Per le statistiche di NBA.com Seth ha marcato Steph per oltre il 33% dei possessi concedendogli solo 2 triple su 5 tentativi (a fronte dell’8/12 contro il resto dei Sixers) ma in alcune occasioni la gerarchia familiare è stata ristabilita. Come in questo possesso sul finire di quarto, un uno contro uno dove il mondo sparisce. Due volte in mezzo alle gambe, altrettante dietro la schiena per poi lasciar andare un tiro quasi irridente allo scadere del cronometro, quasi chiedendosi fino all’ultimo se valesse la pena provarci.
10.
Dopo aver giocato l’intero terzo quarto, Curry torna sul campo di gioco quando mancano poco più di sei minuti e mezzo alla fine della partita e i suoi Warriors sotto di tre punti. Ne segna 20 non sbagliando neanche una delle cinque triple tentate, in uno spettacolo di onnipotenza pura, distruggendo lo schema difensivo in drop di Philadelphia. L’ultima però, a risultato ormai acquisito, arriva senza l’aiuto di alcun blocco, semplicemente abusando dal palleggio del rientrante George Hill per la tripla della doppia cifra di vantaggio.
Una situazione di gioco che abbiamo visto centinaia di volte nelle ultime stagioni e alla quale ogni volta non riusciamo a credere. Ci continuiamo a ripetere come sia già adesso il miglior tiratore di sempre, ma finché non lo vediamo prendere e realizzare certe conclusioni le parole rimangono contenitori vuoti per imbottigliare la razionalità. Invece Steph Curry alberga in una dimensione tra realtà e immaginazione, dove dobbiamo abbandonare qualsiasi aspettativa o pregiudizio e semplicemente lasciarci andare.
E quando realtà e immaginazione si solidificano in un pallone da basket non è più solo uno sport. È arte, è quella poesia in movimento di euforia e ebbrezza che ci fa alzare in piedi prima ancora che Steph raccolga il palleggio. E come quelle di Draymond Green, le nostre braccia sono già al cielo.