
L'ansimare dei giocatori che riecheggia negli enormi stadi vuoti; la palla a ogni colpo restituisce in uno stunk la potenza del tiro. Le indicazioni degli allenatori perfettamente intellegibili pure in tv, le urla, gli insulti, il riconoscimento di tutta una dimensione sonora fino a quel momento occulta. Il clima, scrivevano tutti, "è surreale". A settembre 2020, mentre il premier Conte bollava come “inopportuna” la paventata riapertura degli stadi dopo il lockdown, il leader leghista Matteo Salvini commentava caustico: "Alla terza partita con il pubblico finto, cambio canale".
Da giugno a inizio agosto, in tv, si erano susseguite partita dopo partita a tre giorni di distanza l'una dall'altra. La corsa Scudetto, la finale di coppa Italia, le final eight di Europa League giocate in Germania, quelle di Champions a Lisbona. Una massa nauseante di partite, con i loro echi sordi, somministrate nella nostra vita grottesca passata in salotto.
Come si era arrivati a quella decisione? Litigando. Accapigliandosi ogni volta che qualcuno era costretto a scegliere una strada piuttosto che altre. Minacciando di abbandonare il campionato. Provando a negare la realtà con la sola forza della reiterazione, come ha fatto Marotta prima di un Inter-Sassuolo: «Le porte chiuse non esistono, stop, fine dei discorsi. A porte chiuse non si può giocare, sarebbe assurdo usare uno strumento che solo una settimana prima non è stato considerato adatto per fronteggiare l’emergenza sanitaria».
Come nel dramma A porte chiuse di Jean-Paul Sartre, i maggiorenti del pallone – rinchiusi forzatamente nelle stanze segrete del potere – creano da soli il proprio inferno tormentandosi a vicenda. Incapaci di stare al passo con il mutare rapido e incalzante della situazione epidemiologica, si rinfacciano frasi e scelte sbagliate. Nell'opera teatrale i tre protagonisti osservano dalla loro infernale stanza senza porte né finestre ciò che accade sulla Terra, ma a poco a poco le visioni si diradano. Così pure presidenti e amministratori delegati perdono presto ogni contatto con la realtà del Paese, mettendo le inevitabili perdite economiche al centro del discorso. Il virus diventa un mezzo per screditare gli altri, uno spauracchio agitato per far pendere la bilancia della ragione dal proprio lato. I “poveri” tifosi privati del piacere degli spalti semplici leve per fare pressione sull'opinione pubblica.
«Meglio il rinvio piuttosto che giocare negli stadi vuoti» commenta il Ministro dello Sport Vincenzo Spadafora dopo le prime cinque partite di A sospese il 24 febbraio 2020 per l'emergenza in Lombardia, Veneto, Piemonte, Friuli Venezia Giulia, Emilia-Romagna e Liguria.
«Il provvedimento che impedisce di giocare nel nostro stadio decade sabato (parlava lunedì 24 febbraio nda), quindi il giorno prima della partita. Poi appoggeremo qualunque decisione presa nella tutela della salute pubblica» valuta con apparente senso di responsabilità Andrea Agnelli.
«Il campionato rischia di non concludersi? Sì, se dovessero saltare altre partite. Il torneo è falsato, è alterato nei suoi equilibri» si schermisce Marotta quando dopo Inter-Sampdoria, viene rimandata pure Juventus-Inter, inizialmente prevista per il primo marzo.
«Giocare con il calendario e mettere la salute pubblica al secondo posto. Sei probabilmente il più grande pagliaccio che abbia mai visto» scrive l'ex presidente interista Steven Zhang in una story su Instagram, attaccando al numero uno della Lega Serie A Paolo Dal Pino, che di imperio ha impedito di giocare quattro partite della venticinquesima giornata e le sta provando tutte affinché si disputi con il pubblico la supersfida Juventus-Inter della ventiseiesima.
Lunedì 9 marzo, sempre che non ci siano ulteriori proroghe, la partita si potrebbe disputare a porte aperte per scadenza dei termini stabiliti dal decreto del Primo ministro Conte, ma l'Inter non vuole saperne. Sarebbe del resto assurdo.
Il problema dei benedetti denari che si rischiano di perdere senza spettatori è talmente stringente che ancora ad agosto, quando ormai si è conclusa a porte chiuse la stagione 2019/20, De Laurentiis tuona da Castel di Sangro: «Inutile che spendiamo soldi e ci rafforziamo se poi ci fanno giocare a porte chiuse». Il dramma vissuto dal Paese è come se non esistesse. Le parole pronunciate da Salvini un megafono al sentire di pancia dell'italiano e del presidente medio: “Prima si torna allo stadio meglio è”.
A gennaio tutto scorreva placido come sempre dalle pagine dei giornali. De Rossi annunciava il suo ritiro dopo la parentesi Boca Juniors perché: "Mia figlia ha bisogno di me". Florenzi abbandonava la Roma per Valencia “Accolto come una star” e Fonseca “benedetto dai tifosi giallorossi, all'allenamento fa il pieno di applausi”.
Il Milan riportava in Italia il “Vecchio Ibrahimovic, segno di quanto profonda sia la crisi e di quanto difficile la situazione rossonera” e “La regina Juve ha anticipato la concorrenza per il formidabile Kulusevski”.
Si era agli albori dei bisticci sul giochismo tra Lele Adani e un Allegri in pausa di riflessione. Sinner doveva disputare il suo primo Challenger e si raccontava che da gennaio a dicembre 2019 era “cresciuto di quattro centimetri”. Mazzarri stava per essere esonerato dal Torino dopo tredici gol subiti nel solo mese di gennaio (dato peggiore dei primi cinque tornei d'Europa) e Balotelli era sul punto di segnare il suo primo gol al Rigamonti di Brescia.
A inizio febbraio si facevano i conti al mercato di riparazione della serie A, annotando cifre di spesa record arrivate a oltre trecento milioni. La Roma, dopo le gioie post vigilia, si ritrovava in mezzo a una crisi tecnica e di risultati imprevedibile. La Lazio, in serie positiva, sognava lo Scudetto mentre l'Uefa – così si raccontava – era pronta a escludere il City per due anni dall'Europa.
Dalla Cina, nel frattempo, arrivavano notizie sempre più allarmanti sull'evoluzione dell'epidemia di coronavirus iniziata ufficialmente il 31 dicembre 2019. Il 23 gennaio Wuhan aveva cominciato il primo lockdown di massa della storia e i tg trasmettevano le immagini delle strade deserte della città, con gli operai in mascherina e tuta bianca che rinchiudevano le persone in casa. Sembravano scene dal film Virus letale: impossibile che da noi accadessero cose del genere.
Il 29 gennaio una coppia di turisti cinesi era stata ricoverata allo Spallanzani di Roma con i sintomi del nuovo virus, ma dal Governo rassicuravano che tutto era perfettamente sotto controllo. Penso di non essere l'unico che fa fatica a ricordarsi con precisione cosa ha mangiato la scorsa settimana, ma ho ancora stampato nella mente il momento esatto in cui il 20 febbraio 2020 ho saputo del cosiddetto “Paziente 1” italiano, il runner di Codogno Mattia Maestri. Ero appena stato al Carnevale di Viareggio con tutta la famiglia e tre giorni prima allo stadio per un Milan-Torino in notturna: “Segna sempre Ante Rebic” dicono nel video degli highlight.
Dal 18 al 20 Maestri si è recato due volte in pronto soccorso con i sintomi di una polmonite, ma all'inizio nessuno pensa al Covid: “Il coronavirus Cudogn ‘ Ensa’ nianche addu sta” lo blandisce in dialetto un infermiere. Il Coronavirus non sa neanche dove sia Codogno.
Quando il virus viene individuato, Codogno e altri dieci comuni del lodigiano vengono messi in quarantena, riproducendo in un contesto di Bassa Padana le immagini già viste a Wuhan. In un paio di giorni i contagi in Lombardia salgono a ventitré, più due in Veneto.
Saltano subito delle partite a livello giovanile e dilettantistico nelle aree di Lodi, Milano e Pavia, quindi a scopo precauzionale pure la sfida di Serie C tra Piacenza e Sambenedettese perché molti ragazzi delle giovanili emiliane vengono da zone limitrofe Codogno.
Non si capisce bene chi abbia titolo per fare che cosa, così in ogni ambito, calcio compreso, l'improvvisazione regna sovrana. La Lega di Serie A si affretta a smentire chi vorrebbe sospendere pure Inter-Sampdoria, in programma domenica 23, dopo che la Prefettura di Ascoli ha scelto di non far giocare la gara del Del Duca tra i bianconeri padroni di casa e la Cremonese. L'idea che il virus possa restare confinato in una zona ristretta del Paese è ancora radicata.
Il patron marchigiano Massimo Pulcinelli prende la sospensione come un attacco personale, ma si arrabbia soprattutto perché i lombardi potenzialmente infetti sono già in città e da oltre ventiquattro ore frequentavano gli stessi luoghi dei locali: “Se c'era la necessità di rinviare la gara per questioni di salute pubblica mi sarei aspettato una decisione già ieri”
Un discorso sensato, che i posteri hanno cancellato in favore di una sbrodolata su Instagram ma più in linea con il sentire comune: «Paese assurdo. Ridicolo! Gestito da irresponsabili! Lo stadio? Il luogo meno pericoloso al mondo, ora chiudiamo tutti gli esercizi pubblici per la paura!».
Il 22 febbraio il governo Conte emana un provvedimento, uno degli infiniti decreti d'emergenza che verranno pubblicati nei mesi seguenti, che consente al Ministro Spadafora di sospendere le manifestazioni sportive del giorno successivo in Lombardia e Veneto.
I distratti che il 23 vanno allo stadio nelle due regioni a rischio si ritrovano davanti a cartelli, in alcuni casi addirittura scritto a pennarello, che comunicano il rinvio della partita a data indefinita. Oltre a numerosi incontri nelle serie minori, quattro solo in Serie C, in A saltano Atalanta-Sassuolo, Verona-Cagliari e Inter-Sampdoria, ma pure Parma-Torino per volontà di un altro Prefetto: «Ci dispiace per i disagi creati, ma era una misura indispensabile» dichiarano grigi amministratori locali con un certo imbarazzo, attirandosi la stizza di migliaia di tifosi imbestialiti.
Si capisce subito che trovare uno slot per recuperare Inter-Sampdoria in tempi brevi è impossibile, così la rabbia dei vertici interisti monta immediatamente. Soprattutto quando in FIGC qualcuno avanza la proposta di giocare il turno successivo a porte chiuse. Sono passati quattro giorni dalla partita degli ottavi di Champions League di San Siro giocata mercoledì 19 febbraio dall'Atalanta contro il Valencia, a porte apertissime. La “bomba biologica” che secondo un'inchiesta di Report e Bergamonews ha accelerato la diffusione del Covid nella Bergamasca. Nell'intervista prima della partita, figurarsi quanto eravamo pronti a ciò che stava per accadere, il tecnico degli spagnoli Celades parla di “bomba offensiva”. Ma descrive l'attacco dell'Atalanta.
Lo stadio di Bergamo è nel pieno di lavori di ristrutturazione, così la squadra di Gasperini si trasferisce a Milano per la sua prima campagna Champions. Dopo qualche difficoltà iniziale nel girone – tipo un 4-0 a Zagabria con la Dinamo – ha cominciato a imporre anche in Europa il suo calcio aggressivo e verticale e l'entusiasmo per la sfida è altissimo.
Dopo aver rimediato un'espulsione alla sua seconda presenza in Liga, il nuovo arrivato Florenzi è costretto a casa dalla varicella, perdendo l'occasione di rientrare in Italia. Viste come sono andate le cose, una gran fortuna. Da un'analisi dei luoghi di vendita dei biglietti della partita è emerso che la maggior parte dei tifosi presenti allo stadio proviene dalla città di Bergamo e da alcuni territori limitrofi tra i più colpiti dal virus. La fascia Sud della provincia, meno presente a San Siro, ha invece sofferto molto meno.
I tifosi nerazzurri sciamano in più di quarantamila verso Milano, riempiendo auto, pullman e intasando la metropolitana lilla che conduce allo stadio. Tanto che il colore viola, sfortunato in ambito teatrale, è stato addirittura evocato tra le cause dell'evento nefasto. L'OMS dichiarerà la minaccia epidemica a livello “molto alto” solo il 28 febbraio e all'epoca nessuna delle persone dirette a San Siro può immaginare a cosa stia andando incontro. I fatti di Codogno, pur vicinissimi, sembra si stiano svolgendo su un'altro pianeta. “Non abbiate paura” rassicura Gasperini parlando solo di calcio. Al virus non ci pensa nessuno e pure il sindaco di Milano Sala si accomoda in tribuna.
In campo è uno show nerazzurro. Segna due gol Hateboer – il culmine della sua parabola di esterno robotico gasperiniano – Freuler piazza una conclusione a giro e il miglior Ilicic di sempre trova il primo gol in Champions in carriera addirittura con il piede destro. Alla fine è festa grande tuttavia, basandosi su un campione di 3402 spettatori interpellati, INTWIG calcola che oltre un quinto dei tifosi presenti allo stadio si sono ammalati di Covid. Parliamo di un numero tra le 7800 e le 8200 persone.
La maggior parte dei contagi è avvenuta durante il viaggio da Bergamo a Milano. I pullman organizzati e le auto stipate di amici, così come le metropolitane, sono il ricettacolo ideale per un virus respiratorio. Dai paesi di Nembro e Alzano, tra i più colpiti a livello mondiale, provengono oltre 1200 persone.
A Milano ci sono anche circa 2500 tifosi spagnoli e tra questi due prime volte: il giornalista Kike Mateu, che balzerà agli onori delle cronache non tanto per il suo reportage della partita quanto per essere il Paziente uno di Valencia, e l'ex giocatore Rubén Ciraolo, primo ricoverato in terapia intensiva.
Dopo una manciata di giorni il mondo è già stravolto, ma dopo le quattro gare di A sospese nel weekend Andrea Agnelli si presenta il 24 febbraio ai microfoni di Tutti convocati su Radio24 e dopo la dovuta premessa sulla “tutela della salute pubblica” dichiara: “Abbiamo un calendario estremamente intasato. Così, se si sgarra, recuperare una partita diventa complicato” e in Lega chi vuol capire capisca.
Nel frattempo il Decreto della presidenza del Consiglio dei ministri, ennesimo Dpcm legato al calcio, ha appena stabilito che le gare da giocare nei territori considerati a rischio – Veneto, Piemonte, Lombardia, Friuli, Emilia-Romagna e Liguria – si potranno disputare a porte chiuse.
Al netto delle liti e delle prescrizioni, però, nessuno ha un'idea chiara di che cosa avverrà l'indomani. In questa prima fase si è tutti concordi solo sulla data del 24 maggio come termine tassativo per concludere la stagione. Anche perché in estate si pensa verrà disputato l'Europeo. Mentre il campionato langue, il 26 febbraio si gioca a Lione un'altra gara di Champions con un'italiana protagonista. La Juventus di Sarri e Cristiano Ronaldo sbarca in Francia e l'allenatore toscano non riesce a evitare di esprimere un pensiero ai media transalpini sulla ventilata esclusione dei tifosi bianconeri: “In Italia sono stati fatti 3500 tamponi e quindi abbiamo un certo numero di positivi, voi ne avete fatti 300 e ne avete meno. Ritengo che tutti i tifosi abbiano diritto di essere qui”.
Lo stesso presidente del Lione Aulas, in ogni caso, appare rassicurante: “È inutile creare ulteriori ansie. Tutti i tifosi del Lione e della Juventus potranno raggiungere lo stadio senza difficoltà”. Di nuovo in auto, in metro o su pullman strapieni.
Una Juve “sull'orlo della crisi” viene sconfitta 1-0, ma verrà eliminata dalla Champions solo ad agosto, quando dopo il lockdown il torneo riprende. Ad aprile il dottor Marcel Garrigou-Grandchamp firmerà un articolo pubblicato dal sito online dei medici di Francia affermando che la partita, così come Atalanta-Valencia, avrebbe favorito l'epidemia in Francia: “All'epoca veniva detto che Torino non era la Lombardia ma è una stupidaggine, la Juve attira tifosi da tutta Italia. Ed esattamente due settimane dopo c'è stata un'esplosione di casi di Covid-19 nella zona del Rodano”. Verrà smentito dall'Agenzia regionale della Salute.
Il 27 febbraio riapre i battenti San Siro, ma senza pubblico: si gioca il ritorno dei sedicesimi di finale di Europa League. L'Inter sfida il Ludogorets, già battuto 2-0 all'andata, ma la notizia sensazionale è l'arrivo dei bulgari in hotel a Milano in guanti di lattice e mascherina.
Il problema dei dispositivi di protezione delle vie aeree è dibattuto già da un po' e non se ne viene a capo. Servono solo ai malati, solo in ospedale, non servono a nulla, alcune servono mentre altre sono inutili. Chirurgica o FFP2? Sarebbe stata una domanda ricorrente nei mesi successivi. I dibattiti sono all'insegna di opinioni contrastanti sulla scorta dell'ultima ricerca diffusa sul web e gli unici a goderne sono gli speculatori, che hanno cominciato ad alzare i prezzi.
Sul tema, giocatori e staff della squadra bulgara non hanno dubbi, così le immagini della loro discesa dal pullman societario con bocca e naso coperti da lussuosissime FFP3 con valvola fanno il giro del mondo: “Le mascherine alla persona sana non servono a niente, servono alla persona malata e al personale sanitario” commenta il professor Walter Ricciardi interrogato in merito. E un po' tutti rilanciano la notizia ammantando la scelta della squadra ospite con toni vagamente canzonatori.
Al seguito dei bulgari c'è pure un epidemiologo, per prendere eventuali precauzioni extra in caso di contagio, e al ritorno la squadra verrà sottoposta a un test anti-Covid in una struttura militare. Alla luce di ciò che è accaduto, una scelta più che oculata.
Quello stesso 27 marzo l'attaccante della Pianese King Udoh, che il 23 ad Alessandria ha affrontato la Juventus Under 23 in Serie C, è stato trovato positivo al Covid. È il primo caso tra i calciatori professionisti in Italia: “Sul Coronavirus c’è dell’allarmismo incredibile che non va bene, credo che si stia esagerando” rassicura il mondo da Zanzibar il suo manager. Due giorni dopo i contagiati a Piancastagnaio, allenatore Fabio Pecchia, saranno quattro, così la Juventus deciderà di mandare la Next Gen in quarantena, allontanandola dal ritiro della prima squadra. Pure se si tratta di soggetti giovani, sani e in piena forma, con conseguenze alla malattia nella maggior parte dei casi limitate, la paura del contagio è fortissima.
Il 29 febbraio comincia la ventiseiesima giornata e cinque partite su nove vengono rinviate al 13 maggio per volontà del presidente di Lega Serie A Paolo Dal Pino: “Juve-Inter a porte chiuse trasmessa in tv avrebbe dato al mondo l'immagine di un Paese malato”.
“Nessuno mi convincerà a pensare che è meglio giocare a porte chiuse una partita, Juve-Inter, con una audience potenziale di due miliardi di telespettatori trasmessa in duecentodue Paesi che rinviare questa e altri incontri, soprattutto se c'è chi ipotizza un miglioramento nelle prossime ore delle condizioni di vita rispetto alla minaccia del Coronavirus” aggiunge.
“Le gare dovevano essere rinviate tutte quante” commenta ecumenico il romanista Fonseca. “Per me si doveva giocare e offrire agli italiani qualche ora di serenità e al mondo un'immagine di tranquillità” rilancia Salvini. “Riemerge il lato oscuro del calcio” fa strisciare dubbi l'allenatore leccese Liverani. Tra i laziali, a meno uno dalla capolista Juve, si diffonde la “sindrome da Scudetto negato”, tanto che alcuni fanno paralleli con il titolo assegnato al Genoa nel 1915 con il campionato sospeso per la Grande guerra.
È in questa cornice che Zhang si sfoga e Marotta rilascia lunghe interviste che mettono in dubbio la regolarità del torneo: “Il campionato così è falsato. Il calcio è un fenomeno sociale impattante e la Lega Serie A non può decidere in questo modo caotico”.
Il 29 febbraio si giocano Napoli-Torino e Lazio-Bologna, il primo marzo Cagliari-Roma e Lecce-Atalanta. I tifosi entrano dopo un rapido controllo con il termoscanner. Negli studi televisivi si parla di calcio come nulla fosse, al Via del Mare lo stadio è pieno e i bergamaschi, in forma pazzesca distruggono i salentini 7-2. Zapata fa una tripletta mentre Ilicic danza con il pallone. Rivedere la finta di corpo con cui manda dalla parte opposta tre difensori e il portiere leccese in occasione del gol del 3-2 stringe il cuore, sapendo che è una delle ultime meraviglie della sua splendida storia atalantina.
Le scuole, i musei e i cinema sono chiusi, ma a dispetto dei campanelli d'allarme nelle città si continua a circolare senza paura. L'OMS ha confermato l'inutilità delle mascherine, ma per trenta giorni il governo decide di vietare al pubblico l'ingresso alle manifestazioni sportive, mettendo fine almeno per un po' alle querelle che stavano infiammando da giorni il dibattito tra i presidenti delle squadre di calcio. La Lega, che sta cercando di rinnovare il contratto televisivo per i successivi tre anni, dovrà adattarsi a vendere il suo prodotto con gli spalti vuoti. Nei mesi si proverà a renderlo più accattivante con cartonati, bambole gonfiabili ed effetti sonori fasulli.
Nei giorni seguenti saltano pure le semifinali di ritorno di Coppa Italia, Juventus-Milan e Napoli-Inter. Si sarebbero dovute giocare il 4 e 5 marzo e si diceva addirittura a porte aperte, tranne per i tifosi provenienti da Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto. La solita idea che il Covid rispetti i confini regionali.
Il calcio è nel caos ma alla fine si decide di giocare le restanti gare della ventiseiesima giornata l'8 e 9 aprile, con la certezza che presto tutto dovrà fermarsi e i cancelli chiusi come unico antidoto a un pallone bucato. La Lombardia è appena stata decretata zona rossa e in molti scappano verso case al mare o in montagna sperando di sfuggire ai divieti. Tanti lavoratori sono costretti a casa da aziende, ristoranti e locali chiusi, ma i calciatori di Serie A sono ancora “indispensabili” allo sforzo collettivo.
Gli allenatori si dicono preoccupati per eventuali cali di tensione dei giocatori generati dal silenzio degli spalti vuoti. I tifosi temono di non rivedere i soldi investiti per biglietti e abbonamenti, poiché i regolamenti della maggior parte dei club non lo prevedono: io stesso, abbonato rossonero, riceverò solo parte del denaro investito a inizio anno per la mia tessera.
Il clima è mite, a dispetto della cappa nera che sta per posarsi sulla penisola, e Parma e SPAL si recano al Tardini per disputare il recupero del lunch-match della ventiseiesima giornata.
I gialloblù non scendono in campo dal 16 febbraio, ma inizialmente la partita sembra doversi disputare regolarmente, pur se a porte chiuse. Le squadre sono già sulle scalinate che dagli spogliatoi conducono al campo. Tutti, ovviamente, sono senza mascherina o altro dispositivo di protezione e il tampone non è stato ancora inserito come prassi prima di ogni gara.
È tutto pronto ma il ministro Spadafora blocca tutto: “Non ha senso in questo momento, mentre chiediamo enormi sacrifici ai cittadini per impedire la diffusione del contagio, mettere a rischio la salute dei giocatori, degli arbitri, dei tecnici, dei tifosi che sicuramente si raduneranno per vedere le partite, solo per non sospendere temporaneamente il calcio e intaccare gli interessi che ruotano attorno a esso” dice.
Sembra che sulle cinque partite mancanti qualcuno abbia fatto una maledizione, così le squadre rientrano negli spogliatoi, mentre il Ds parmense Faggiano rimane sul campo a discutere al telefonino. Le telecamere della tv, in mancanza di meglio, si concentrano su di lui e il suo gesticolare concitato rivolto a un interlocutore misterioso.
La partita viene rinviata di mezz'ora, poi di altri quindici minuti e Faggiano è sempre più scomposto: “Si doveva sapere prima” attacca dai microfoni di DAZN. Gli fa eco l'attaccante spallino Sergio Floccari: “Non è possibile giocare così”.
La partita è spostata alle 13:45 e nel frattempo le squadre escono sul terreno di gioco per un breve riscaldamento. Dopo un po' di corse e saltelli rientrano negli spogliatoi e ancora una volta ripetono a favore di telecamera la scenetta dell'ingresso in campo su due file ordinate. Si sorride, ma di quell'allegria un po' nervosa che si rivolge a chi fa una battuta non capita sino in fondo.
Il primo tempo si chiude 0-0, nella ripresa segna Petagna su un rigore discutibile. Si festeggia con grandi abbracci, che presto verranno "sconsigliati" in favore di saluti con il gomito o inchini all'orientale tenendosi a debita distanza.
Gervinho manca più volte il pareggio e la gara si conclude 0-1, aizzando ancora di più l'ira funesta di Faggiano. A maggio, ancora a Tutti convocati, il Ds attacca: “Mi hanno fatto giocare contro la Spal una partita finta, tra dieci anni racconterò anche cosa è successo. Il signor Petagna ha parlato di 'brutto allenamento'. C’era qualcuno che non voleva che la partita venisse disputata, ci sono stati quindici giorni per decidere e mi scrivete a mezz’ora dal fischio d’inizio? Ma io vi ammazzo a tutti”.
Il motivo di tanta incertezza lo spiega la Lega calcio in un comunicato: “L'AIC ha chiesto a pochi minuti dal fischio di inizio di Parma-SPAL la sospensione del campionato, paventando lo sciopero dei calciatori. Il Consiglio di Lega Serie A ha ritenuto doveroso rispettare le indicazioni governative proseguendo con lo svolgimento delle partite a porte chiuse”.
Nelle ore successive si giocano Udinese-Fiorentina, Sampdoria-Verona e Milan-Genoa, con la squadra di Pioli sconfitta 1-2 e sempre più in crisi. Rinascerà miracolosamente nella coda estiva del torneo, tanto che si dirà di giocatori senza personalità che negli stadi vuoti giocano più sereni.
L'ultima gara giocata nel giorno della Festa della donna sarà la famosa Juventus-Inter, alla base di tante polemiche sterili. Conte torna allo Stadium da avversario, ma ancora una volta sono le speculazioni a proposito del calendario dei prossimi impegni a farla da padrone. La Lega vuole trovare una quadra almeno sino a Pasqua, ma tra pressioni dei club e tv sul piede di guerra ogni proposta viene rimandata al mittente. Si cerca di stabilire date per i recuperi delle prossime partite e di rimanere incollati alla normalità, ma lo stesso big match sembra non avere molto senso senza il pubblico a sostenere le squadre e il Paese più preoccupato per la propria salute che per il calcio.
Damiano Tommasi, presidente dell'Assocalciatori, in settimana ha addirittura provato a suggerire il rinvio dell'Europeo in estate, confessando: “Tra i giocatori c'è chi è d'accordo per andare avanti e chi è preoccupato. Prenderemo tutte le precauzioni possibili, ma rischiano anche i calciatori in campo”.
Prima dell'inizio del derby d'Italia ci sono venti capoluoghi di Provincia nella cosiddetta “Zona rossa”, ma sono destinati ad aumentare e gli ultimi brandelli di calcio sembrano solo un palliativo all'ansia che cresce prima della tragedia. “È stonato, improprio, anche pensare solo alla sopravvivenza dei campionati” vaticina Mario Sconcerti in un virgolettato sul Corriere della Sera alla vigilia del big match.
A Torino segnano Ramsey e Dybala, con una giocata sopraffina conclusa con un tocco di sinistro con la mezza punta esterna del piede semplicemente meraviglioso, ma dopo quella gara comincerà a calare il buio sulla serie A. I contagi aumentano senza sosta, così le vittime. Si dice di non uscire di casa e di evitare “assembramenti” una parola, un tempo inutilizzata, ma pian piano entrata nel lessico comune come tante altre legate alla pandemia. Autocertificazione, congiunto, quarantena, sintomatico.
Ci si domanda anche quanto peserà per le squadre l'assenza del tifo in tribuna. Un interrogativo che ricorrerà spesso nei mesi dell'emergenza e della successiva convivenza con il virus e le sue varianti, ma una ricerca svolta dall'Università di Reading ha smentito chi credeva che ad avvantaggiarsi sarebbero state le squadre in trasferta. Analizzando 6481 gare in ventitré campionati professionistici di diciassette Paesi durante la stagione 2019-20 lo studio ha evidenziato come non ci siano state differenze sostanziali da questo punto di vista. L'unica differenza degna di nota tra le partite con i tifosi e quelle senza sono i cartellini gialli, con la squadra ospite a ricevere un terzo di ammonizioni in meno rispetto alle gare con il pubblico.
I tifosi allo stadio, in poche parole, influenzano in misura minima i calciatori, un po' di più gli arbitri. Incidono sull'atmosfera e, soprattutto, sugli introiti. La chiusura dei botteghini a causa del Covid costerà ai club dei cinque campionati maggiori 2,5 miliardi di euro di guadagni legati al giorno della partita, tra biglietteria, merchandising, sponsor ecc.
Il 9 marzo si giocherà a Reggio Emilia l'ultima partita di Serie A prima del lockdown, un imperdibile Sassuolo-Brescia concluso 3-0. Ormai ci sono pochi dubbi sul fatto che il virus si sia infiltrato nelle nostre vite e che si tornerà alla normalità solo in tempi lunghi. La sospensione del torneo, inizialmente prevista sino al 3 aprile, durerà sino al 20 giugno con il recupero della venticinquesima giornata.
In un Mapei Stadium più vuoto del solito i neroverdi segnano con Boga e due volte con Caputo. Dopo l'1-0 il centravanti mostra a favore di telecamera un cartello scritto a penna rossa che rimarrà come una delle immagini più forti di quell'ultimo brandello di calcio giocato: “Andrà tutto bene #restate a casa” recita il suo messaggio, gli occhi un po' spiritati a guardare fisso il telespettatore. Ce lo ripeteranno e ce lo ripeteremo di continuo in quei giorni drammatici.

Il campionato italiano si ferma poche ore dopo la gara, ma la Uefa ha ancora fame di calcio e in Francia si svolge addirittura un criticatissimo raduno di 3500 persone vestite da puffo al grido: “Pufferemo il virus”. C'è chi preannuncia un'apocalisse ormai alle porte e chi ci scherza su minimizzando. La fotografia della colonna di camion militari in via Borgo Palazzo a Bergamo che il 18 marzo portano via in piena notte le bare dei morti di Covid segnerà uno dei momenti più drammatici dell'intera pandemia. Gli ospedali sono al collasso, agli stadi a quel punto non pensa più nessuno.
Martedì 10 marzo l'Atalanta, con la città in ginocchio, è costretta a giocare il ritorno degli ottavi Champions al Mestalla di Valencia. Quantomeno a porte chiuse. Ilicic segna addirittura quattro gol nel solito silenzio “surreale”: 4-3 finale. I giocatori a fine partita sventolano una maglia bianca con scritto a pennarello “Bergamo è per te mola mia”.
Gasperini si ammala di Covid nei giorni seguenti: “Le due notti successive a Zingonia ho dormito poco. Non avevo la febbre, ma mi sentivo a pezzi come se l'avessi avuta a quaranta. Ogni due minuti passava un'ambulanza. Sembrava di essere in guerra”.
Il fantasista sloveno, da lì in poi, non torna lo stesso, vittima di una spirale psicologica che comprometterà la sua salute e il rapporto con il calcio. Gioca l'ultima partita di quel periodo con l'Atalanta l'11 luglio contro la Juventus, con il campionato a cercare di riprendersi faticosamente dopo la lunga chiusura, poi va avanti a salite e ricadute sino all'addio ai nerazzurri: “Dopo un mese di confinamento ho chiesto al club di andare via. Soffrivo troppo senza la mia famiglia” ha detto. Si parla di “stress da pandemia” e Ilicic è uno dei tanti a subirne le conseguenze.
Il primo calciatore di Serie A ad ammalarsi ufficialmente di Covid sarà lo juventino Rugani, l'11 marzo. Poi il sampdoriano Gabbiadini i compagni Colley, Ekdal, La Gumina, Thorsby. Quindi Vlahovic, Cutrone e Pezzella della Fiorentina. Una dopo l'altra le squadre interrompono gli allenamenti, pure quelle con presidenti più ansiosi di riprendere a giocare come Lotito o De Laurentiis. Poi si chiuderanno tutti in casa. Ci chiuderemo tutti in casa con il lockdown totale.
A giugno il calcio riprenderà a porte chiuse, attraverserà l'epoca dei protocolli di quarantena, dei tamponi preventivi, quella delle vaccinazioni, degli spalti solo per mille persone – inspiegabilmente tutte una vicina all'altra – e poi dei calciatori pizzicati a feste non consentite durante fasi in cui è previsto il coprifuoco.
Gli juventini Dybala e Arthur il primo aprile 2021 rischieranno grosso per aver partecipato a una cena in collina con una decina di persone a casa di McKennie. I carabinieri arriveranno a un passo dal buttare giù la porta, in una sorta di revival degli anni del proibizionismo.
Stesso discorso per gli interisti Lukaku, Perisic, Hakimi e Young, pizzicati alle tre di notte in un albergo a festeggiare i ventotto anni dell'attaccante belga.
In Scozia i giocatori dei Rangers di Glasgow Jordan Jones e George Edmundson saranno meno fortunati, beccandosi sette giornate di squalifica per motivi simili.
Alla ripresa la Lazio, che stava infilando una vittoria dopo l'altra, lascerà campo libero per lo Scudetto alla “inallenabile” Juventus di Sarri. L'Inter di Conte perderà in malo modo la finale di Europa League contro il Siviglia, l'Atalanta verrà eliminata nei minuti finali dal PSG nei quarti di Champions e il Milan di un redivivo Ibrahimovic rinascerà dalle sue ceneri rientrando in Europa.
“Andrà tutto bene” ci hanno ripetuto spesso e alla fine la scienza ci ha permesso di superare quei mesi e anni terribili, pur se in molti hanno avuto o hanno ancora idee diverse.
Il calcio è uscito ridimensionato da un'epoca ribattezzata “football light”, che forse qualcuno aveva già dimenticato. Si dice abbia sancito la fine delle passioni viscerali di un tempo a favore di una visione del gioco più distaccata, come fosse un film o uno spettacolo teatrale. Eppure dopo quella pandemia gli stadi sono tornati a essere popolati, decisamente più di prima. I numeri di riempimento hanno raggiunto dei picchi storici, e il trend non sembra ancora essersi esaurito. Come se in quei mesi terribili abbiamo covato un grande desiderio di tutto ciò che ci era vietato: socialità, grandi eventi, contatti fisici.
Stiamo qui a raccontarlo, mentre in tanti non hanno più la possibilità nemmeno di ricordare.