“Football should be about what happens on the pitch, not who has the biggest dick”
Dimitar Berbatov
Mentre il Manchester United sprofonda in un vortice di calcio terribile e risultati traballanti, Josè Mourinho e Paul Pogba si fanno la guerra. Si fanno la guerra come se la farebbero Platone e Aristotele, come due figure inconciliabili, una che punta al cielo, l’altra alla terra. Da una parte la versione più Mourinhana di sempre di Mourinho, ancor più cupo e distruttivo, dall’altra un calciatore che arriva dritto dal futuro, con una psiche molto più barocca di quelle a cui è abituato il mondo del calcio.
Un rapporto mai davvero decollato, proprio a causa di questa profonda diversità, ma che adesso stride come una puntata di Casa Vianello senza lieto fine. Forse con il senno di poi, il loro incontro avrebbe dovuto far presagire fulmini e tempesta: come può aver preso al tempo tutto il trambusto intorno al ritorno di Pogba al Manchester United l’allenatore portoghese? Un figliol prodigo glitterato, con una campagna promozionale sponsorizzata dall’Adidas e un hashtag specifico (#POGBACK, per chi se lo fosse dimenticato), alla corte di un uomo che ad inizio carriera ha creato un powerpoint motivazionale con la frase “Il concetto di club è superiore a qualsiasi giocatore”.
Una storia non d’amore
Il primo scricchiolio tra i due era arrivato a causa di un emoticon, come succede solo alle coppie mal assortite di fidanzatini 14enni. Il 13 gennaio 2017 Pogba lancia - in combutta con Twitter - la sua emoji personale. Lo United non è lo schiacciasassi che molti si aspettavano ed anche le prestazioni di Pogba non sono, o almeno non vengono ritenute, compatibili con il suo status di giocatore più costoso del mondo.
Lì per lì Mourinho non commenta, ma non appena le acque si fanno più agitate usa Pogba per spostare l’attenzione dalle brutte prestazioni della squadra (mentre lo stesso giocatore è infortunato) invitandolo a pensare meno alle emoticon e più al calcio.
Dopo averlo difeso con forza nella prima parte della stagione è la prima stilettata di Mou, che in qualche modo centra il bersaglio. Pogba sparisce dai social per qualche giorno, il Manchester, pur chiudendo con un misero sesto posto in Premier, riesce ad issarsi in cima all’Europa League, che vince anche grazie ad un gol di Pogba in finale. È forse questo l’unico momento positivo della loro relazione, suggellato da un abbraccio in mezzo al campo.
A margine di quella partita Mourinho dirà "Ci sono tanti poeti nel calcio ma i poeti non vincono i titoli", cosa avrà pensato Pogba di quella affermazione?
La stagione successiva i problemi trasmigrano dai social al campo: un’animata discussione tra i due durante una partita con il Tottenham diventa la cartina al tornasole del loro rapporto, anche perché pochi minuti dopo Pogba viene sostituito per la prima volta da quando è a Manchester. Un paio di settimane dopo il francese finisce in panchina nella partita più importante della stagione, l’andata degli ottavi di finale di Champions League contro il Siviglia. Nel centrocampo instabile e discontinuo di Mou, il suo posto viene preso da Scott McTominay, ragazzo delle giovanili con pochissimi minuti tra i professionisti alle spalle.
Qualche giorno prima parlando dei meriti del giovane scozzese Mourinho aveva detto queste parole: «Un taglio di capelli normale, niente tatuaggi, niente auto grosse, niente orologi grandi, un ragazzo umile, arrivato al club quando aveva nove o dieci anni».
Non lo cita direttamente, ma è evidentemente un attacco a Pogba. I due sono all’antitesi: McTominay è un soldato, ha il taglio di capelli del soldato, la faccia inespressiva del soldato, tutto quello che fa in campo è minimale e scontato, proprio come un bravo soldato. Schierandolo al posto del francese in una partita tanto importante, Mourinho sta ripudiando le caratteristiche che hanno reso Pogba un centrocampista tanto forte.
Dopo la partita Mourinho abbraccia l’unico giornalista che gli ha chiesto del giovane Scott: «Questa sì che che è una domanda! Tutti a dirmi di Pogba, invece è del ragazzino che dovremmo parlare: è fantastico!».
Dopo lo 0 a 0 dell’andata, la situazione si ripete anche al ritorno. Lo United perde 2 a 1 inciampando in uno dei pochi acuti del Siviglia di Montella. Quando viene chiamato in causa, Pogba gioca una partita tutt’altro che memorabile, ma la sensazione di una scelta che ha poco a che vedere con la tattica rimane.
La crisi del terzo anno
In estate Pogba vince la Coppa del Mondo da protagonista e Mourinho lo invita a tenere la stessa intensità mostrata in Russia anche allo United. L’allenatore portoghese vuole un giocatore diverso, più concentrato, anche in partite meno importanti.
Intensità che Pogba porta a Manchester, specialmente fuori dal campo. Dopo la prima partita della stagione, che gioca da capitano, dopo essere ritornato prima dalle vacanze e con pochissimi allenamenti fatti, va davanti ai microfoni e tira un dritto sul mento del suo allenatore: «Un giocatore felice è sempre più a suo agio di uno che non è felice», riferendosi allo scarto di prestazioni tra Francia e United. «Non riesci a dare il meglio se non sei felice. Dovessi parlare, verrei multato». È il 12 agosto ed in questo momento per la prima volta è evidente che c’è un problema tra Pogba e Mourinho.
Il mercato inglese ha appena chiuso ma il resto d’Europa può ancora sondare il malcontento del francese. I giornali lo mandano prima a Torino, per l’ennesimo #POGBACK, poi a Barcellona. Le voci di corridoio riferiscono il malcontento del giocatore che ha chiesto di essere ceduto, ma non è stato accontentato. Mourinho, che ha più volte espresso disappunto per il mercato, getta acqua sul fuoco (oppure, essendo Mourinho, trolla): «La verità è che [...] non sono mai stato così felice con lui come lo sono adesso», ripete anche alla fine che “è la verità”, un modus operandi che farebbe storcere il naso di chiunque abbia visto almeno una puntata di Mindhunter. «Sta lavorando bene, gioca bene, lo fa per i tifosi, lo fa per la squadra e questo è quello che voglio, gioca per la squadra e non potrei essere più felice di quello che sono».
Una pace che dura pochissimo. Il Manchester United perde in malo modo contro Brighton (3 a 2) e Tottenham (3 a 0) e le incomprensioni tra Pogba e Mourinho diventano il polso di una squadra che non riesce a giocare a pallone. L’allenatore portoghese entra nella fase più nera delle sue gestioni, il momento in cui i suoi fantasmi lo travolgono. In conferenza stampa diventa sempre più surreale e violento. Rimarca più volte che lui è ancora il migliore, arrivando a citare persino Hegel: «La verità è nel suo intero».
Ma se Mourinho pensa di essere ancora il migliore, non sembra dello stesso avviso il suo centrocampista. Dopo una brutto pareggio per 1 a 1 contro il Wolverhampton, Pogba ha qualcosa da ridire: «Attaccare, attaccare e ancora attaccare» è questa la soluzione ai problemi per il francese. «Con i Wolves, invece, abbiamo smesso di giocare dopo essere andati in vantaggio e abbiamo facilitato le cose ai nostri avversari». Interrogato sulle possibili soluzioni, Pogba non si trattiene: «Qual è il problema? Non lo so, non posso dirtelo io, non sono l’allenatore».
Poco prima Mourinho si era mostrato molto arrabbiato per il gol subito, arrivato dopo una palla persa di Pogba: «Dobbiamo giocare ogni partita come se fosse la finale dei Mondiali, non mi è piaciuto l'atteggiamento della squadra e questa è una cosa che si impara dalle giovanili». Il riferimento alla finale dei Mondiali avrete già capito a chi è diretto.
Ventiquattr'ore di fuoco
Pogba prova a fermare il trambusto intorno alle sue parole con un tweet, cercando la salvezza nelle emoticon, ma è proprio in questo momento che la situazione precipita.
Mourinho è intransigente. Alla ripresa degli allenamenti, secondo quanto riportato dai media, annuncia ai giocatori del Manchester United che il francese non sarà mai più il capitano della squadra (Pogba in realtà era il vice e aveva giocato le prime partite del campionato da capitano per via dell'assenza di Valencia). «Non rappresenta quello che deve essere un capitano e il Manchester United è più grande di qualunque giocatore», torna così il vecchio mantra mourinhano della squadra che è sempre maggiore del singolo e torna come una critica al suo giocatore più costoso e riconoscibile.
Il giorno dopo la squadra affronta il Derby County per la Carabao Cup e Pogba non viene convocato, presumibilmente per farlo riposare. Ma quello che accade fuori dal campo per Mourinho è ben peggio di quello che accade in campo, dove la squadra finisce per essere eliminata ai rigori. Quello che accade il giorno successivo viene ripreso per caso (o, ancora una volta, essendo Mourinho forse no) dalle telecamere di Sky Sport presenti all’allenamento.
Si vede Paul Pogba raggiungere i suoi compagni sul campo col suo solito fare scanzonato e giulivo. Scambia un saluto con Michael Carrick, da quest’anno nello staff dello United, e corricchiando va a salutare il suo allenatore e John Allen, responsabile della comunicazione dello United.
Dalle immagini non si vede, ma il portoghese dice qualcosa rivolto verso Pogba. Il francese congela la sua verve frizzantina e di scatto si volta verso il proprio allenatore. Sul suo viso compare un'espressione tra lo sbalordito e il risentito.
Se la prima parte della conversazione tra i due è praticamente indecifrabile, secondo la ricostruzione del Daily Mail Mourinho si sarebbe rivolto ad Allen in un secondo momento con le seguenti parole: «Quando ha postato su Instagram Paul?».
L’allenatore portoghese si riferisce ad una story postata da Pogba durante la partita in cui lo si vede ridere in tribuna con i compagni Andreas Pereira e Luke Shaw, secondo l'allenatore portoghese evidentemente un atteggiamento irrispettoso verso i compagni in difficoltà. A tale accusa il calciatore avrebbe risposto come un filosofo francese: «Qual è il problema? Perché non posso fare niente? Vengo qui e non faccio niente, questo è il mio problema».
A pensar male si potrebbe addirittura credere che l’allenatore abbia architettato tutto, proprio a causa della presenza delle telecamere. Una dimostrazione di potere alla luce del sole, un trucco preso da qualche libro di strategia militare sul cui successo è ancora presto per esprimersi. Dopo il pareggio incolore con il Valencia, alle domande dei giornalisti Pogba ha risposto con un secco «mi è stato detto che non mi è permesso», un ordine dall’alto necessario per calmare le acque almeno in pubblico.
Paradossale, o forse no visti i personaggi coinvolti, quello che è accaduto contro il Newcastle. Sotto per due a zero all’intervallo e con un passo fuori dalla panchina, Mourinho avrebbe chiesto ai propri giocatori soluzioni per risolvere l’enigma. Proprio Pogba si sarebbe fatto avanti e l’avrebbe invitato ad inserire Fellaini per spostare lui più avanti. Soluzione effettivamente adottata dall’allenatore che ad inizio secondo tempo ha inserito il belga al posto di McTominay, con la squadra che in quarantacinque minuti è stata in grado di segnare 3 gol.
Al termine di quella partita Pogba è stato eletto Man of the match.
Per quanto incredibile possa sembrare, nel suo momento più buio, Mourinho ha capito che doveva andare a consiglio con Pogba, il suo arcinemico, per venirne fuori. Se questo fosse un film di supereroi, l’intervallo della partita di Newcastle sarebbe il turning point. I due ex nemici alleati per una causa comune diventano una forza insormontabile per chiunque.
Ma questa è la realtà, e il futuro del rapporto tra Mourinho e Pogba è nelle mani di due persone apparentemente inconciliabili. Potrebbero parlarsi e riconciliarsi totalmente, o uno dei due potrebbe lasciare il Manchester United nei prossimi mesi.
Voi su cosa scommettereste?