«Il pareggio annulla tutti i parametri, il pareggio è la svolta, il pareggio è vita», sosteneva Diego Lopez (no, non l’allenatore preferito da Cellino) in un turbolento passaggio della seconda stagione di Boris. Non si riferiva, però, allo scenario che da domenica sera agita le notti dei tifosi di Hellas Verona e Spezia: quei 31 punti raggiunti con indicibile fatica da entrambe le squadre riportano d’attualità un qualcosa che la Serie A non vive dal giugno del 2005. Proprio nell’anno in cui è stato nuovamente introdotto, e soltanto in caso di parità per la testa della classifica o per la zona retrocessione, lo spareggio si ripresenta con tutta la sua drammaticità: l’ultima volta fu un Parma-Bologna spalmato in 180 minuti, con Tare a illudere i rossoblù di avercela fatta e la coppia Cardone-Gilardino a ribaltare tutto al Dall’Ara, quattro giorni più tardi. Nella storia di Spezia e Verona c’è addirittura un precedente, che risale al 2007, quando le due squadre si affrontarono nel playout per non retrocedere in Serie C: fu un doppio confronto agonico, che vide la discesa agli inferi dell’Hellas e l’ingresso di Aniello Cutolo nell’elenco dei nemici storici del club scaligero a causa di un errore sotto porta nella partita d’andata.
Antologia abbastanza confusionaria della partita d’andata. Se invece siete qui per vedere cosa accadde quattro anni più tardi, con l’eurogol di Cutolo al Bentegodi e un’esultanza che oggi gli procurerebbe 72 ammonizioni e un’interrogazione parlamentare, eccovi accontentati.
Soltanto una volta, nella storia della Serie A, uno spareggio è servito per assegnare uno scudetto: abbiamo già raccontato in passato la storia di quel campionato, deciso in volata tra Inter e Bologna. Più di frequente è servito per decidere una qualificazione in una coppa europea. Nulla, però, tocca il livello di dramma che viene raggiunto da uno spareggio salvezza, quella sensazione di essere con i piedi sull’orlo del burrone: basta una spinta, una folata di vento o un pensiero negativo per cadere. Questa è la storia di tre di quegli spareggi, insieme al racconto di una follia che risale al 1968, un qualcosa senza precedenti presumibilmente nella storia del calcio mondiale.
1968, sedici partite per salvarsi
All’interno del nostro racconto, questo spareggio è l’unico intruso: riguarda infatti il campionato di Serie B. Si tratta, però, di una stagione irripetibile, la 1967-68. Il passaggio della Serie A da 18 a 16 squadre porta momentaneamente la cadetteria a una formula a 21 squadre, da riequilibrare con quattro retrocessioni e tre promozioni. Il finale di stagione genera qualcosa di assolutamente imprevisto: con il Potenza ultimo con distacco, si entra negli ultimi 90 minuti stagionali con ancora nove squadre in lotta per non occupare gli ultimi tre posti rimasti. Modena, Padova e Catanzaro a quota 37; Genoa, Lecco, Perugia e Messina a 35; Venezia a 34, Novara a 33. Per i piemontesi l’unica speranza è vincere per raggiungere lo spareggio: con il Catanzaro finisce proprio 2-0, ma i calabresi sono in salvo perché il plotone di squadre a 35 fa un solo passo avanti. Genoa-Messina 0-0, Monza-Lecco 2-2 e Perugia-Bari 1-1 (risultato che condanna i pugliesi alla mancata promozione) provocano uno spostamento minimo, a quota 36. Il Novara, a 35, è retrocesso. A quota 36 si arrampica anche il Venezia, vincendo in rimonta a Modena. Il regolamento non prevede calcoli di classifica avulsa: inizia così uno spareggio a cinque, con Genoa, Lecco, Perugia, Venezia e Messina. Ne devono retrocedere due.
La Lega calcio deve innanzitutto stabilire la formula: si sceglie il girone all’italiana, quattro partite a testa da giocare in campo neutro. Ma non un solo campo neutro: le sedi scelte sono Bergamo, Caserta, Bologna, Brescia, Roma, Firenze e Torino. Si gioca a ritmi serrati: prima giornata il 30 giugno, ultima il 14 luglio. Proprio come avvenuto per il campionato, la Lega decide inoltre che non si faranno calcoli di classifica avulsa. Appare chiaro, sin dal momento del sorteggio, che all’orizzonte c’è un rischio enorme: quello di un secondo spareggio. Nessuno, però, ne immagina le dimensioni. La prima conseguenza della scelta del girone all’italiana è la necessità di prolungare il mercato trasferimenti, la cui scadenza era stata fissata al 12 luglio, quindi due giorni prima dell’ultima partita: impossibile, per le squadre, fare mercato in una situazione simile, senza conoscere la categoria futura di appartenenza.
Nel giorno stesso del sorteggio dei calendari, le cinque società si presentano in Lega con una proposta oggettivamente molto divertente: cancellare lo spareggio e portare la Serie B 1968-69 a 22 squadre, salvando di fatto tutte e cinque le squadre coinvolte. La Lega ringrazia e dice no. Nella prima giornata, il Genoa batte 2-0 il Venezia ma perde la sua stella, Carlo Petrini, centravanti già venduto al Milan: l’attaccante riporta una grave distorsione alla caviglia. Nell’altro match, il Perugia batte 3-0 il Messina. Il calendario mette poi di fronte proprio le due vincitrici e l’1-1 che ne deriva sembra un risultato in grado di mettere entrambe al riparo da sorprese, visto che Venezia-Lecco finisce 0-0. «Questa partita forse finirà per porre ambedue le squadre fuori da ogni pericolo di retrocessione: è cominciata in tono relativamente accanito ed è giunta al suo termine con le due unità che stavano quasi per addormentarsi», scrive Vittorio Pozzo, inviato d’eccezione de «La Stampa», nell’attacco del pezzo vergato per Genoa-Perugia. I due Grifoni vincono anche il terzo match: i rossoblù fanno tre gol al Messina, i biancorossi piegano 2-1 il Lecco. A questo punto, la classifica vede Genoa e Perugia a 5 punti, uniche due squadre con tre partite giocate, Venezia e Lecco a 1, Messina a 0.
I siciliani salutano la compagnia nel quarto turno, perdendo 1-0 con il Lecco, e contestualmente si rialza anche il Venezia, che batte con un netto 3-0 il Perugia. La vigilia di questa doppia sfida, però, viene infiammata da una possibile inchiesta sul pareggio tra Genoa e Perugia. Ad alimentarla, le frasi dell’arbitro Sbardella: «Dopo tre minuti avevo già capito tutto e ho messo il fischietto in tasca: tanto a che serviva?». Secondo le cronache di quei giorni, a un certo punto l’arbitro avrebbe addirittura chiesto di farsi portare una sedia perché si stava annoiando. Il direttore di gara prova ad aggiustare il tiro: «Non siamo arbitri di pugilato che devono invitare i due contendenti a combattere. Ho detto di avere arbitrato col fischietto in tasca perché mi ero accorto che la partita stava filando sul piano della cavalleria. Non ho avuto la sensazione della combine, le mie dichiarazioni riguardavano solamente il piano agonistico». Alla fine l’inchiesta viene chiusa con un nulla di fatto. Il Genoa scende in campo con il Lecco sapendo che un pareggio vorrebbe dire salvezza, ma un calcio di punizione di Paganini fa saltare il banco: vincono 1-0 i lombardi. Il Venezia, inoltre, batte il Messina già retrocesso. Dopo cinque giornate, quattro squadre sono a pari punti a quota 5. Si ricomincia. Chico Locatelli, capitano del Genoa, a fine partita perde la testa e guida la fronda dei giocatori che non hanno la minima intenzione di scendere in campo per ulteriori spareggi.
La Lega non ha pensato a un piano B e quindi, a metà luglio, deve elaborare un nuovo sistema per decidere l’ultima retrocessa. Si pensa inizialmente a una formula snella: due scontri diretti, quindi la finale tra le perdenti per stabilire chi si salva e chi retrocede. Il tutto, possibilmente, in sede unica. Sarebbe una formula molto sensata e infatti viene scartata: nuovo girone all’italiana, da giocare sui neutri di Verona, Bologna, e Bergamo. I capitani minacciano lo sciopero, le società cercano ancora una volta di saltare gli spareggi: oltre alla formula, preoccupano infatti le date, vista la scelta di racchiudere le sei partite in una finestra temporale racchiusa tra il 19 e il 21 luglio. In caso di ulteriore parità al termine del secondo girone, la Lega decide che a risolvere la pratica sarà un sorteggio. Il Perugia, forte di una settimana di riposo, batte 2-0 il Genoa. Nell’altro match, il Lecco ne fa 3 al Venezia. I lagunari perdono anche la seconda partita, 2-1 contro il Genoa, mentre Perugia e Lecco si mettono in tasca il punto che chiude il discorso per entrambe. Resta solo il dubbio tra Genoa e Venezia, perché un successo dei veneti all’ultimo turno, con contestuale sconfitta dei rossoblù, porterebbe al clamoroso sorteggio. Ma il Genoa fa 0-0 con il Lecco e il Venezia cade contro il Perugia: dopo sedici partite, Lecco, Genoa e Perugia mantengono la categoria.
1993, fa festa l’Udinese
Dal 1964, anno del 2-0 della Sampdoria al Modena (e dello spareggio scudetto tra Bologna e Inter), la salvezza a lungo non passa più dallo spareggio ma dalla classifica avulsa. Ritroviamo lo scontro diretto soltanto nel 1993, anno in cui si genera un’ammucchiata imprevista e imprevedibile. Il Genoa se ne tira fuori con un sussulto dovuto all’arrivo di Claudio Maselli in panchina, dimenticando le difficoltà dell’era Maifredi: nelle tredici giornate conclusive, il Grifone perde una sola volta, a Cagliari. L’ultima giornata è un thriller nel thriller: i protagonisti sono la Fiorentina, che ha bisogno di vincere e sperare dopo essere finita nel tritacarne a causa della follia di Vittorio Cecchi Gori, che aveva esonerato Gigi Radice davanti ai giornalisti con la squadra a portata di zona UEFA; il Brescia, che ha appena ottenuto un discusso pareggio in casa del Milan nel giorno in cui i rossoneri hanno vinto aritmeticamente il campionato; l’Udinese, aggrappata mani e piedi ai gol di un micidiale attaccante argentino dai capelli lunghi, capace di abbinare eleganza ed efficacia, vale a dire Abel Eduardo Balbo.
I bianconeri avevano avuto il match point alla 32esima, ritrovandosi avanti di due gol dopo mezz’ora in casa di una disastrata Fiorentina con le reti di Dell’Anno e Branca, salvo poi farsi riprendere da una doppietta di Stefan Effenberg. Nella pancia del Franchi, quel giorno, Mario Cecchi Gori, padre di Vittorio, è un fantasma: «Sono disperato, ben che vada faremo lo spareggio». All’ultimo turno si arriva con una coda infinita di polemiche. La Fiorentina rimedia un pareggio che sa di resa in casa del Torino, in panchina c’è la strana coppia composta da Giancarlo Antognoni e Luciano Chiarugi dopo il terrificante periodo Agroppi. Proprio Antognoni è il primo a indignarsi per l’1-1 di San Siro tra Milan e Brescia: «Lottare non basta, sugli altri campi vedo risultati sconvolgenti. Capisco la vittoria dell’Udinese sull’Ancona, ma non ci sta che il Milan faccia gol a 4 minuti dalla fine e poi si faccia riprendere. Qui ci vuole rispetto». Fabrizio Di Mauro, centrocampista viola, rincara: «Questa roba è uno schifo. Se continua così, finiremo in Serie B». Il calcio, peraltro, si mescola alla cronaca, perché a Torino i viola scendono in campo a tre giorni dall’autobomba piazzata in via dei Georgofili. Batistuta, autore dell’1-1 in extremis, dedica la rete alle vittime dell’attentato. E poi ci sono discorsi che hanno poco a che fare con campo e cronaca, ma che entrano nelle pieghe dell’economia e della politica: il pareggio di Milano incrina definitivamente i rapporti tra Silvio Berlusconi e i Cecchi Gori, già messi a durissima prova dal 3-7 con cui i rossoneri erano usciti dal Franchi a inizio stagione. Berlusconi prova a minimizzare: «Io mi auguravo di assistere a una goleada, l’avevo anche chiesto ai giocatori prima dell’inizio della gara». Meno diplomatico Baresi: «Un punto serviva a entrambe le contendenti: adesso spero che il Brescia possa salvarsi». A 90’ dalla fine, il Genoa è a 30 punti, l’Udinese a 29, Fiorentina e Brescia a 28. Ma il Genoa deve giocare con il Milan, e porta a casa il punticino che serve.
La Fiorentina ospita il Foggia, a fine primo tempo è avanti di quattro gol, finirà 6-2. Il Brescia ha la partita teoricamente più dura, contro una Sampdoria che sta inseguendo un piazzamento UEFA. La formazione di Lucescu gioca una partita di grande tenacia e lucidità, guidata da un sontuoso Hagi, e vince 3-1 con i gol di Negro, Domini e Raducioiu. Fiorentina e Brescia, dunque, salgono a quota 30. E l’Udinese? I bianconeri sono di scena a Roma e il pubblico giallorosso dimostra di gradire la prospettiva della Fiorentina in B. Il rigore con cui "Tommasino" Hässler porta avanti la Roma poco dopo l’intervallo ha contorni comici, la chance che manderebbe in B l’Udinese regalando lo spareggio a Fiorentina e Brescia capita sui piedi di Andrea Carnevale, ex e futuro bianconero. Il centravanti salta Di Sarno e fa partire verso la porta sguarnita una conclusione lentissima, senza anima. «Correvo incontro a quel pallone blando che rotolava in gol, mi sembrava di non arrivare mai. Un’esperienza tremenda: su quel pallone c’era scritto “Serie B”», dirà Alessandro Calori, difensore dell’Udinese, a fine partita. Alla fine ci arriva, salva i suoi e prepara il terreno, qualche minuto più tardi, per il pareggio di Desideri, ex romanista: un gol accolto dal boato del pubblico romanista. «La tensione ci ha bloccato, fino a quando non abbiamo sentito la curva romanista che ci ha incitato, spronandoci al coraggio», racconta il tecnico bianconero Bigon ai microfoni dei giornalisti. Per la Roma, invece, parla il vicepresidente, Giovanni Malagò (proprio lui): «Sono sorpreso dell’incitamento all’Udinese da parte della curva Sud». Meno diplomatico, e sarebbe stato difficile immaginare il contrario, Franco Sensi, uno dei due proprietari del club insieme a Pietro Mezzaroma: «La Fiorentina pensi alle partite che ha perso, sono quelle che l’hanno portata in B». Mentre a Firenze esplode la rabbia dei tifosi e il club viola chiede l’apertura di un’inchiesta sul finale di campionato, Brescia e Udinese si preparano allo spareggio. Si gioca a Bologna.
Bigon recupera all’ultimo istante Francesco Dell’Anno, ex enfant prodige del calcio italiano: si era manifestato in tutto il suo splendore a 17 anni, cercando di illuminare una Lazio male in arnese alla metà degli anni Ottanta. È un artista dei passaggi filtranti ma non brilla per continuità. In quell’Udinese è il numero 10, l’uomo incaricato di innescare una coppia gol di altissimo livello composta da Balbo e Branca. Sono proprio loro due a confezionare il gol del vantaggio bianconero, con l’argentino che riceve la sponda ed entra in area saltando secco Paganin, per poi battere Cusin in diagonale. Ma Domini pareggia presto, prima della mezz’ora. A spostare definitivamente l’equilibrio della sfida è un gol olimpico di Alessandro Orlando, terzino sinistro che dalla bandierina trova l’incrocio dei pali opposto e regala mezza salvezza all’Udinese. Il sigillo finale lo mette Dell’Anno, che sbaglia dal dischetto ma è il più veloce di tutti sulla respinta.
Sabato pomeriggio di fine primavera, spareggio salvezza in diretta su Raiuno, telecronaca di Gianni Cerqueti: il mondo migliore in cui vivere? Probabilmente sì.
1995, il Padova non sbaglia
Il 15 giugno 1994, allo Zini di Cremona, il Padova ritorna in Serie A dopo 32 anni dall’ultima volta. Lo fa rimontando lo svantaggio firmato da un colpo di testa di Dario Hübner, che illude i tifosi del Cesena: pareggia Cuicchi, con una splendida rovesciata, e nella ripresa è Coppola a trovare la rete che vale la Serie A. Il bomber di quella squadra è il veterano Giuseppe Galderisi, per tutti Nanu a causa della statura, e l’allenatore è giovanissimo: Mauro Sandreani, quando arriva in Serie A, non ha nemmeno il patentino per poter guidare la squadra e per questo motivo gli viene affiancato Gino Stacchini. L’annata in Serie B è anche l’ultima in cui il Padova gioca nel mitico Appiani: per l’approdo nella massima serie viene inaugurato lo stadio Euganeo. Il Padova è salvo fino al 91esimo dell’ultima giornata: a mandare allo spareggio i biancorossi è un gol di Marco Delvecchio, giovane attaccante interista, con una rete che proietta i veneti allo spareggio e i nerazzurri in Uefa.
Non era stata una stagione semplice, per il Padova, ma la svolta decisiva era arrivata a metà aprile, con due vittorie consecutive: quella in casa, per 2-0, contro la Lazio, e quella impossibile da pronosticare in casa della Juventus schiacciasassi di Marcello Lippi. In entrambi i casi, a metterci lo zampino era stato Michel Kreek, arrivato a Padova dall’Ajax grazie all’opera sotterranea di un giovane agente italiano, Mino Raiola. Rinforzo del mercato di riparazione e terzo straniero del club, in aggiunta allo statunitense Alexi Lalas e al croato Goran Vlaovic, Kreek segna a Torino, in casa dei bianconeri, il quarto gol in quattro gare consecutive. Mai, prima di quel giorno, il Padova aveva vinto fuori casa con la Juventus. Il titolo del Corriere dello Sport è abbastanza chiaro.
È un colpo di reni che arriva alla ventottesima giornata, portando il Padova a +6 sul quart’ultimo posto, occupato da Foggia e Genoa a pari punti (29), con la Cremonese teoricamente salva a quota 30. Ma è anche il primo campionato in cui la vittoria porta in dote tre punti, motivo stesso della risalita improvvisa del Padova. Una settimana dopo, il Genoa fa suo il derby in rimonta, rispondendo al vantaggio di Platt con i gol di Van’t Schip e Skuhravy: da anni non ha più al suo fianco Pato Aguilera, partner perfetto di una coppia che aveva fatto sognare la Genova rossoblù, ma non si è mosso di una virgola, rimanendo nella città che lo aveva adottato dopo il Mondiale del 1990. È alto, grosso, ha i capelli lunghi e lo sguardo fiero. Mentre il Padova si ferma, il Genoa torna a crederci e così anche la Cremonese di un giovane Enrico Chiesa. Ma a tre giornate dalla fine, dopo che la Juventus ha dominato a Marassi e la Cremo si è fatta riprendere dal Torino di Rizzitelli, con il Padova che vince 3-0 contro la Reggiana grazie a uno show di Vlaovic e Pippo Maniero, il discorso sembra chiuso. Il Padova deve difendere sei punti in 270 minuti, Foggia e Genoa provano a fare la corsa sulla Cremonese, che è a sole due lunghezze.
Il 21 maggio, il calendario si diverte: Genoa-Foggia è uno scontro a eliminazione, chi si ferma è perduto. Da Cremonese-Padova, invece, può uscire qualunque cosa. A Marassi segnano ancora Van’t Schip e Skuhravy, con l’aggiunta della firma conclusiva di una bandiera rossoblù come Gennaro Ruotolo. La Cremo fa tre gol a un Padova tramortito: 180 minuti al traguardo, Padova 39, Cremonese 38, Genoa 36. Una deve scendere, due si salvano e alla 33esima c’è Padova-Genoa. È l’occasione ideale per la Cremonese, che si cava d’impaccio vincendo a Brescia. Il gol che porta in vantaggio il Genoa viene costruito con un impianto che non sembra perdere efficacia con il passare degli anni: abbiamo visto la Salernitana lo scorso anno e il Verona quest’anno aggrapparsi alle sponde di Milan Djuric e i rossoblù, in quel maggio bollente del 1995, fanno lo stesso con Skuhravy, che ripulisce un lancio di 60 metri servendo di testa Ruotolo, bravissimo nel pallonetto su Bonaiuti. Giocatori e panchina del Genoa vanno su tutte le furie quando un fuorigioco inesistente nega ai rossoblù un comodo uno contro zero, con Bonaiuti in uscita disperata. Una manciata di secondi più tardi, la partita cambia definitivamente padrone per un intervento sconsiderato a centrocampo di Francesconi, che lascia gli ospiti in dieci. L’assalto del Padova sfocia nell’1-1 segnato da Gabrieli, nel finale i veneti sono paralizzati dalla paura e concedono due occasioni colossali a Ruotolo e Skuhravy. L’1-1 mantiene le distanze in classifica: tre punti e soli novanta minuti da giocare.
Sulla panchina del Genoa, da alcune settimane, è tornato Claudio Maselli, ancora una volta per tirare fuori i rossoblù dalle sabbie mobili. Sa già che il suo è un compito a tempo: sono tutti convinti che, in caso di salvezza, il presidente Aldo Spinelli deciderebbe di riportarlo alla guida della Primavera, affidando la panchina a un allenatore di maggiore fama. Il Genoa deve battere il Torino e sperare che l’Inter faccia lo stesso con il Padova. A San Siro apre Maniero, illudendo Sandreani. Poi pareggia Pierluigi Orlandini, l’uomo che, un anno prima, aveva regalato all’Italia Under 21 il titolo europeo con il golden goal dell’1-0 al Portogallo. Quindi, il corner di Sosa per la testa di Delvecchio e Sandreani, in panchina, si aggrappa a un sostegno per non cadere svenuto. Sull’altro campo, il Genoa batte il Torino 1-0 con gol, ovviamente, di Skuhravy. In un’epoca senza smartphone, i giocatori rossoblù sono già negli spogliatoi quando arriva la notizia della rete di Delvecchio e rientrano in campo per esultare con i tifosi. Maselli, prudente, avverte i suoi: «Non siamo salvi, vedo troppa euforia: siamo allo spareggio».
Firenze viene invasa dai tifosi di Genoa e Padova. Due di loro, entrambi rossoblù, moriranno per la troppa tensione, di infarto, durante il secondo tempo. I biancorossi trovano il vantaggio con un’azione splendida: Galderisi per Kreek che da sinistra mette in mezzo per Vlaovic, girata al volo, 1-0. Il croato è giovane, non ha ancora 23 anni, è arrivato a Padova su intuizione di Pietro Aggradi dopo aver segnato valanghe di gol con la maglia dell’allora Croazia Zagabria, quella che oggi conosciamo con il nome di Dinamo. Ora corre con la maglia in testa, abbozza un aeroplanino, poi si tuffa a terra: sono mille esultanze in una. Dall’altra parte, con la fascia bianca in testa a tenere insieme i capelli fluenti, è Skuhravy, e chi se non lui, a firmare l’1-1, con un colpo di testa prepotente su cross di Van’t Schip. Nella ripresa, quattro parate incredibili di Spagnulo consentono al Genoa di prolungare l’agonia. Alla fine, supplementari compresi, se ne conteranno sette. Tutto fa pensare che ai rigori il Padova sia destinato a crollare. Impressione ribadita dopo i primi due rigori, perché Van’t Schip segna e Spagnulo dice di no a Fontana. Il portiere del Genoa per poco non para anche il secondo rigore e da quel momento tutto cambia: sbaglia Marcolin, riequilibrando il discorso, e si va a oltranza. Galante spara fuori il suo mentre Kreek, l’uomo del miracolo di Torino, non sbaglia. Il Padova vince il suo secondo spareggio di fila, il Genoa scivola in Serie B.
Un paio di mesi dopo lo spareggio, un forte mal di testa colpirà Vlaovic. Un’emicrania persistente, impossibile da far svanire. Non è mal di testa: i medici parlano di ipertensione endocranica benigna. Servirà un intervento chirurgico per far sparire ogni paura: non solo tornerà a giocare, prima a Padova, quindi a Valencia e ad Atene (Panathinaikos), ma metterà la firma su una delle vittorie più belle della storia del calcio croato, il 3-0 inflitto alla Germania ai quarti di finale di Francia 1998. Tomas Skuhravy oggi vive a Celle Ligure, ha aperto un locale sulla passeggiata e fa anche da bagnino nel suo stabilimento balneare. Ha l’abbronzatura di chi dedica la sua vita al mare, segue la figlia che fa la pittrice, se c’è da bere qualcosa con i tifosi del Genoa non si tira indietro. Ha ancora i capelli lunghi, decisamente più grigi rispetto a quel 1995. Quando ripensa a quello spareggio, lascia che la mente cambi in fretta direzione.
2004, un po’ salvezza, un po’ promozione
Nove anni dopo quel rigore sbagliato a Firenze, Gaetano Fontana è ancora lì. Stavolta, però, ha al braccio la fascia da capitano: non gioca più nel Padova, ma nella Fiorentina. Ma deve vedersela, ancora una volta, con uno spareggio. È un ibrido strano, questo doppio confronto tra i viola e il Perugia. Per la terza volta nella storia della Serie A, si sfidano una squadra della massima categoria e una di B: il Perugia per salvarsi, i viola per riprendersi un posto nella massima serie. Una formula che era stata esplorata per l’ultima volta nel 1958 e alla quale si arriva per vie traverse. Tra quel Padova-Genoa e questo Fiorentina-Perugia, in mezzo ci sono altri tre spareggi salvezza: Piacenza-Cagliari, nel 1997, con il viaggio della speranza degli isolani finito con le lacrime di Sandro Tovalieri sotto il cielo di Napoli, per la gioia di Pasquale Luiso e dei suoi compagni di squadra; e le due avventure della Reggina, che nel 2001 era retrocessa per un gol di Michele Cossato a 4 minuti dal novantesimo della sfida di ritorno e nel 2003 si era salvata con le firme di Cozza e Bonazzoli in casa dell’Atalanta. Nell’estate del 2003, però, sul calcio italiano si era abbattuto un tifone di nome di Luciano Gaucci. Spiegare in breve il “caso Catania” è come pretendere di riassumere in dieci parole la Divina Commedia. Proviamoci.
Il 12 aprile 2003 Luigi Martinelli, difensore del Siena, gioca contro il Catania una partita che, secondo lo staff legale di Gaucci, patron degli etnei, non avrebbe dovuto giocare: Martinelli, la settimana precedente, era sceso in campo con la Primavera della Robur essendo squalificato in Serie B. Secondo il Catania, in questo modo, non aveva mai scontato la squalifica. L’esposto presentato dai rossazzurri vale il 2-0 a tavolino, ribaltato dalla Corte Federale a fine maggio, che ristabilisce l’1-1 maturato sul campo. A quel punto, Gaucci fa appello al Tar di Catania, perché nel frattempo la sua squadra è retrocessa. Ma non è finita: il Venezia presenta un ricorso proprio contro il Catania per la partecipazione di Vito Grieco, centrocampista degli etnei, a una sfida del 17 maggio contro i lagunari, che protestano sostenendo che Grieco non avesse mai scontato una squalifica di inizio febbraio, avendo giocato in quel weekend contro la Primavera della Salernitana.
Tra il 5 giugno e il 13 agosto, questo è quello che accade, in sequenza: il Tar ordina alla Figc di restituire i punti al Catania; il Consiglio di Stato sospende la sentenza del Tar; il Consiglio di Giustizia amministrativa di Palermo dà torto alla Figc; la Giunta del Coni chiede alla Figc di ristabilire il 2-0 a tavolino per il Catania; il Consiglio Federale riammette il Catania in Serie B; la Caf accoglie il ricorso del Venezia, toglie tre punti al Catania e lo rimanda in C; il Tar catanese sospende la sentenza della Caf sul caso Grieco; il Tar di Salerno riammette di prepotenza la Salernitana, finita ultima in classifica, in Serie B, provocando il controricorso di Genoa e Cosenza (entrambe retrocesse); il calendario della Serie B, a 20 squadre, viene estratto senza Catania e Salernitana; la Figc denuncia per danni il Tar di Catania; il Catania viene inserito nei calendari di Serie C; il Napoli viene escluso dalla Serie B per irregolarità di iscrizione e il Catania è riammesso in Serie B. Se siete confusi, avete ragione. Rilassatevi vedendo il video di Gaucci che annuncia la volontà di non riscattare Ahn in diretta tv dopo il gol segnato in Corea del Sud-Italia.
«ECCO COME SI REAGISCE!», urla Aldo Biscardi. Tutto molto bello.
Si arriva così al 19 agosto 2003, il giorno in cui deve intervenire il Consiglio dei Ministri, perché sì, siamo un grande Paese. La Figc riceve il via libera del governo per annullare le retrocessioni e varare una Serie B a 24 squadre. L’ultimo slot utile non va però al Cosenza, che nel frattempo è fallito, ma alla Fiorentina, appena promossa in Serie C1 dopo essere ripartita dalla C2 come Florentia Viola. Il doppio salto viene giustificato con la formula dei “meriti sportivi” che non va particolarmente giù a Pisa e Martina Franca, sconfitte nei playoff promozione della C1. Dieci mesi dopo, il 16 giugno 2004, la Fiorentina si presenta a questo strano spareggio forte del sesto posto in Serie B: per sistemare questo pastrocchio, infatti, si è scelto di dare il via libera a sei promozioni dalla cadetteria, anzi, 5+1. I viola devono affrontare il Perugia, che si è garantito il quart’ultimo posto in campionato grazie a nove punti contro Juventus, Roma e Ancona nelle ultime tre giornate di campionato. Contro la Juve, al Curi, aveva trovato spazio per il quarto d’ora addirittura Al Saadi Gheddafi, il figlio del Colonnello, all’esordio in Serie A: piccolissimo particolare, in quel momento detiene il 7,5% delle quote azionarie della Juventus. «Quando sono entrato in campo ho visto tutto bianco», racconta a fine gara, qualunque cosa significhi. Sette giorni dopo verrà operato d’urgenza di appendicite, proprio mentre Ze Maria e Ravanelli piegano la Roma sul neutro di Palermo. Un gol di Bothroyd, contro l’Ancona, trascina il Perugia allo spareggio, beffando Empoli e Modena.
Il campionato della formazione di Cosmi finisce il 16 maggio, mentre la Serie B prosegue fino alla metà di giugno, quando la Fiorentina conferma il proprio sesto posto. Lo conferma, però, senza il proprio uomo più rappresentativo, Christian Riganò, autore di 23 gol in stagione e vittima di un problema muscolare che lo costringe ai box nel momento più importante. Emiliano Mondonico arrivato a stagione in corso, si presenta al Curi, il 16 giugno 2004, con Enrico Fantini nel ruolo di unica punta. Ed è lui, su assist di Scaglia, ad anticipare Kalac e segnare la rete che consente alla Fiorentina di presentarsi, quattro giorni dopo, avanti di un gol al Franchi. Un vantaggio minimo, difeso anche dalle grandi parate di Sebastian Cejas, che era stato portato in Italia dalla Roma qualche anno prima sull’onda dell’eco mediatica scatenata dal fatto di essere un portiere rigorista. Al Franchi, il 20 maggio, sotto gli occhi, tra gli altri, di Gabriel Omar Batistuta, Fantini segna ancora, a inizio secondo tempo. Sembra fatta, ma poi si fa buttare fuori. La mezz’ora finale diventa quella dell’assalto del Perugia, che con Do Prado pareggia e si mette in scia per il clamoroso ribaltone. Un ribaltone che stavolta non si verifica: la Fiorentina sale in Serie A, il Perugia scivola in Serie B. Da quel giorno, non è mai più risalito. Chi era il suo proprietario? Luciano Gaucci, ovviamente.