1. Il trionfo del juego de posición
La Champions League è il torneo più competitivo nel panorama del calcio e l’edizione di inizio decennio è stata conquistata dall’Inter di José Mourinho, probabilmente l’allenatore più influente dei dieci anni precedenti, portando al successo, più che uno stile di gioco, la metodologia conosciuta comeperiodizzazione tattica, sviluppata dal professor Vitor Frade all’Università di Porto. L’Inter aveva eliminato il Barcellona di Guardiola in semifinale “parcheggiando il bus” (un’espressione che si dice coniata dallo stesso Mourinho dopo uno 0-0 del suo Chelsea contro un Tottenham particolarmente difensivo) per fronteggiare il “tiki-taka” dei catalani. Ma, come di frequente capita nel calcio, a lasciare un’eredità ricca e duratura, non sarebbe stato il vincitore.
Era già successo con l’Ungheria del 1954 e con l’Olanda del 1974, ed è successo di nuovo con lo scontro quasi filosofico tra Mourinho e Guardiola, che in ogni caso aveva vinto l’edizione precedente della Champions League e vincerà quella successiva con una lezione di calcio a Wembley sul Manchester United di Sir Alex Ferguson. Due mesi dopo, con il gol decisivo in finale di Andrés Iniesta, la Spagna ha vinto il campionato del mondo. La Nazionale spagnola condivideva con il Barcellona di Guardiola, oltre a tanti giocatori, l’idea che la partita si potesse controllare attraverso la gestione del possesso palla, sebbene il gioco della Spagna fosse quasi esclusivamente votato al mero possesso, mentre il club catalano attuava il cosiddetto gioco di posizione.
Il gioco di posizione deve il suo nome all’importanza che il sistema e i suoi principi assegnano alla posizione dei calciatori in campo, funzionale al fluire della circolazione del pallone. Si basa su alcuni principi fondamentali che mette in pratica utilizzando strumenti tattici ben definiti: si parte dall’idea che il gioco si costruisca attraverso la gestione del pallone e che i giocatori e l’intera struttura della squadra si muovano assieme. Attraverso la circolazione della palla i giocatori non devono semplicemente passarsi il pallone, ma spostare e manipolare la posizione degli avversari così da creare spazi da conquistare.
Per questo è fondamentale creare zone di superiorità posizionale in cui, a prescindere dalla effettiva superiorità numerica, sia possibile trovare una ricezione alle spalle di una linea avversaria per poi generare, a catena, un’altra zona di superiorità posizionale più avanti. In quest’ottica il concetto di “hombre libre” (cioè di uomo libero) è di basilare importanza e definisce un ricevitore libero in una posizione capace di generare vantaggi per la circolazione del pallone della squadra: alle spalle della pressione avversaria, oppure, sul lato debole (dalla parte opposta della zona della palla).
Per generare superiorità posizionale e trovare l’uomo libero il gioco di posizione utilizza svariati strumenti tattici: i giocatori devono disporsi a diverse altezze e in diversi corridoi del campo; è necessario creare triangoli e rombi in fase di circolazione del pallone; l’occupazione dell’ampiezza è funzionale anche alla creazione di spazi interni, che sono i più preziosi per la ricerca dell’uomo libero alle spalle delle linee avversarie; la circolazione del pallone deve attrarre la pressione avversaria per liberare spazi dietro e, più in generale, lontani dalla zona della palla.
2. L'emergere del gegenpressing
Negli anni seguenti, Pep Guardiola e l’avanguardia calcistica si sono spostati oltre il Reno. La Germania è riuscita a portare due squadre in finale dell’edizione 2012-13 della Champions League e poi la Nazionale a vincere il campionato del mondo in Brasile, nel 2014. Se la scuola catalana era maggiormente focalizzata sul dominio del pallone, quella tedesca era invece più centrata sul controllo degli spazi. A guidare l’innovazione è stato, a Dortmund, Jurgen Klopp, che ha introdotto nel discorso calcistico di massa il concetto digegenpressing, il pressing immediatamente successivo alla perdita del possesso, finalizzato alla riconquista rapida della palla e all’interruzione sul nascere delle ripartenze avversarie.
Più in generale, Klopp rappresentava un movimento calcistico che privilegiava la verticalità e il recupero attivo della palla con finalità anche offensiva, sintetizzato dalla famosa frase: “Il pressing è il miglior playmaker del mondo”, che sottolineava l’efficacia di un rapido attacco dopo la riconquista in pressing del pallone, sfruttando lo sbilanciamento della squadra avversaria per trovare spazi e linee di passaggio.
In seguito il filone tedesco ha seguito da una parte la strada del pressing e dell’intensità con gli esperimenti iperdinamici di Roger Schmidt al Red Bull Salisburgo e Bayer Leverkusen, di Ralf Hasenhüttl al RB Lipsia, e più in generale con il lavoro di Ralf Rangnick all’interno del mondo Red Bull; dall’altra parte, grazie anche alla vicinanza di Pep Guardiola passato ad allenare il Bayern Monaco, il calcio tedesco si è ibridato con i principi del gioco di posizione del tecnico catalano, come è successo nel caso di Thomas Tuchel, successore di Klopp a Dortmund.
E se l’arrivo di Pep Guardiola ha ibridato il modello tedesco, anche il gioco di posizione del catalano è diventato più verticale di quello attuato ai tempi del Barcellona, non solo per rispettare le caratteristiche degli interpreti ma anche per enfatizzare la ricerca rapida della superiorità posizionale e l’individuazione dell’uomo libero sul lato debole, creando con il sovraccarico di una fascia un uno contro uno per i propri formidabili esterni offensivi.
3. L’evoluzione di Klopp al Liverpool e l’eredità del gioco di posizione nel Real Madrid di Zidane
Sono proprio la scuola tedesca e il gioco di posizione, e gli ibridi generati dal loro incontro, a influenzare pesantemente gli sviluppi tattici del calcio del decennio 2010-2019: osservando il panorama calcistico è evidente come quasi ogni squadra, ormai, anche ai livelli più bassi, tragga in qualche maniera ispirazione dalle due correnti e proponga mix personalizzati con ingredienti presi da entrambi i modelli.
Al vertice della piramide calcistica di questi ultimi anni è salito il Liverpool di Klopp, che ha reso quasi inattaccabile il meccanismo di controllo degli spazi al fine del recupero del pallone, modulando alla perfezione altezza ed intensità del pressing: adesso non più offensivo e frenetico sempre e comunque, ma ragionato e focalizzato su alcune situazioni tattiche e zone di campo specifiche.
Al contempo, se le fasi successive alla riconquista rimangono iperverticali per sfruttare gli sbilanciamenti della struttura difensiva avversaria, le fasi di possesso consolidato utilizzano taluni degli strumenti del gioco di posizione per attrarre gli avversari e creare gli spazi da attaccare con il formidabile trio offensivo.
L’altra squadra che ha dominato la Champions League nel decennio, il Real Madrid di Zinedine Zidane, vincitrice di tre trofei consecutivamente dopo la decima di Carlo Ancelotti, pur abbracciando un calcio fortemente anti-dogmatico, ha utilizzato, partendo da un approccio teso a valorizzare le qualità tecniche degli interpreti, alcuni dei set tattici del gioco di posizione. Nel caos auto-organizzato del calcio del Real Madrid di Zidane (vincitore di 3 Champions League, come è riuscito solo ad Ancelotti e a Paisley ma non di seguito come ha fatto il francese) c’era la frequente creazione di zone di elevata densità di uomini, finalizzata alla ricerca di superiorità posizionale e al sovraccarico della fascia, che sguarniva il lato debole degli avversari.
Ma è scendendo dal vertice della piramide e guardando diffusamente al gioco delle squadre che costituiscono il livello medio e la maggioranza del movimento calcistico, che si può davvero osservare come le eredità tattiche più durature e che maggiormente stanno ispirando gli allenatori di oggi discendano direttamente dal gioco di posizione e dal nuovo corso del calcio tedesco.
4. L’aggiornamento del calcio italiano sul gioco di posizione
Limitando per semplicità lo sguardo al campionato italiano, oggi si osservano squadre che adottano quasi integralmente i principi del juego de posición (la Juventus di Sarri, che ancora prima lo aveva adottato con successo a Napoli; la Roma di Fonseca e il Sassuolo di De Zerbi), ma anche altre squadre che, pur non abbracciandolo in maniera globale, ne utilizzano parecchi strumenti tattici.
Un esempio molto evidente è il calcio ormai codificato di Antonio Conte (vincitore di tre Serie A dal 2011 al 2014, arrivato poi ai quarti di finale con una delle Nazionali italiane più deboli tecnicamente degli ultimi anni e poi di nuovo vincitore di una Premier League) che utilizza strumenti propri del gioco di posizione come l’occupazione dell’ampiezza per aprire spazi interni, oppure, in alternativa, la ricerca dell’uomo libero su lato debole; come anche la disposizione dei centrocampisti a diverse altezze e su diversi corridoi e l’insistita costruzione bassa per attirare la pressione avversaria e potere così preparare al meglio i suoi attacchi diretti alla porta avversaria.
In maniera piuttosto simile anche Simone Inzaghi nella sua Lazio (vincitrice di 2 Supercoppe e di una Coppa Italia), pur privilegiando un calcio verticale, in fase di costruzione dell’azione vuole allungare la struttura difensiva avversaria con la costruzione bassa, gestita attraverso il frequente utilizzo del portiere e i raffinati movimenti di Acerbi, capace di smarcarsi coraggiosamente anche alle spalle della pressione. In questo modo la Lazio ottiene la superiorità posizionale per sviluppare i proprio attacchi partendo da una situazione di vantaggio e di squilibrio della difesa avversaria.
Ma a che serve un’impostazione bassa finalizzata alla ricerca della superiorità posizionale se, per esempio, proprio come fa la Lazio, non si adotta a pieno il gioco di posizione e si ricerca velocemente la profondità dopo avere superato la pressione avversaria?
Nel caso specifico di Simone Inzaghi, il vantaggio consiste nel costringere la difesa avversaria a difendere (una volta superata la pressione) la profondità contro una palla scoperta, più difficile di controllare una palla pressata. È l’esempio concreto di come anche l’utilizzo di uno dei tanti tool del sistema del gioco di posizione può generare vantaggi posizionali, a prescindere dall’adozione dell’intero modello.
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Una volta attirata la pressione della Juventus fin dentro la propria area la Lazio muove il pallone verso Radu, mentre Acerbi si smarca coraggiosamente alle spalle della pressione bianconera ricevendo il pallone e ottenendo così un vantaggio posizionale che abbassa la linea difensiva avversaria.
5. Costruire dal basso sta cambiando le difese
Sono molti i lasciti del gioco di posizione che le squadre utilizzano pur non aderendo alla totalità dei suoi precetti: dalla ricerca sempre più insistita delle ricezioni tra le linee, alla costante occupazione dell’ampiezza, al sovraccarico della zona palla. Come ogni grande modello, l’eredità più duratura non consiste tanto nella sua adozione integrale, ma nella sua influenza sull’intero movimento calcistico. E la più pura eredità dell’idea resa celebre da Guardiola a Barcellona è quella di considerare il movimento del pallone il mezzo più importante per manipolare la struttura difensiva degli avversari, dominare il gioco e creare gli spazi utili a sviluppare il gioco d’attacco secondo le proprie caratteristiche.
Una conseguenza diretta di questa idea è che oggi quasi tutte le squadre utilizzano uno dei precetti del gioco di posizione: ovvero la risalita limpia, pulita, del pallone dalla difesa. È quindi sempre più frequente osservare squadre che provano a iniziare le azioni dal basso palleggiando, evitando quanto più possibile il lancio lungo, al fine di attrarre gli avversari e sviluppare le fasi successive dell’attacco in spazi più ampi e dopo avere dilatato le distanze della struttura difensiva avversaria.
In aggiunta, la nuova regola sulla rimessa dal fondo ha ulteriormente incoraggiato gli allenatori ad adottare soluzioni tattiche che comprendano una costruzione dal basso mirata a un’uscita pulita del pallone. Ciò ha anche provocato una sorta di mutazione tecnica del ruolo di portiere, che viene ormai costantemente utilizzato in fase di impostazione bassa per guadagnare una superiorità numerica che può tramutarsi in superiorità posizionale.
Per un portiere oggi le capacità “podaliche” non sono più un accessorio, ma rientrano a pieno titolo tra quelle necessarie allo svolgimento pieno della propria funzione in campo e sempre più allenatori pongono particolare enfasi alle qualità nel sostenere il palleggio della propria squadra nella scelta del proprio estremo difensore.
La mutazione ha anche coinvolto il ruolo dei difensori, sia centrali che esterni, a cui è stata appaltata la fase iniziale della costruzione della manovra, storicamente assegnata al reparto di centrocampo. Oggi per i difensori è fondamentale avere la capacità di leggere lo schieramento avversario e muovere il pallone, sia passandolo che per mezzo della conduzione, in maniera funzionale alla volontà di disordinare la struttura difensiva altrui. È inoltre importante possedere buone doti tecniche nella trasmissione della palla, da effettuare con precisione, velocità e, quando necessario, con traiettorie capaci di superare linee di pressione avversarie.
I terzini invece hanno assunto un ruolo molto più variegato di quello avuto nel passato. La sempre più diffusa tendenza a proteggere il centro del campo ha reso indispensabile avere terzini in grado di far progredire la manovra sia con il palleggio che con le conduzioni palla al piede: di conseguenza le responsabilità creative e di indirizzo della manovra della squadra sono progressivamente cresciute.
È stato il decennio di Dani Alves, Joshua Kimmich, Marcelo e Trent Alexander-Arnold: terzini creativi, capaci di associarsi col resto della squadra e di supportare il gioco d’attacco in tanti modi diversi e in ogni zona di campo.
6. La diffusione del gegenpressing
Il gioco di posizione del Barcellona di Guardiola presupponeva - anche grazie alla risalita compatta dell’intera squadra - una fortissima connessione tra la fase offensiva e le fasi immediatamente successive all’eventuale perdita del possesso. Le ridotte distanze tra i giocatori permettevano ai blaugrana di riconquistare velocemente il pallone grazie alla densità creata in zona palla nella precedente fase di possesso. Come detto, è stata la scuola tedesca a enfatizzare la riconquista del pallone, non più come corollario di un sistema offensivo strutturato, ma come momento fondamentale nella costruzione stessa del gioco d’attacco della squadra.
Roger Schmidt teorizzava addirittura di effettuare passaggi volontariamente imprecisi per avanzare il fronte del gioco e favorire il pressing, attaccando successivamente una struttura difensiva probabilmente sbilanciata. Era un’interpretazione estrema e con finalità puramente offensive del pressing, considerato un grosso facilitatore della creazione di pericoli per la porta avversaria.
Ma come nel caso del gioco di posizione, pochissime squadre, e quasi tutte in qualche maniera legate al filone originale, adottano integralmente la filosofia dell’avanguardia del movimento, ma parecchi concetti hanno influenzato lo sviluppo tattico del calcio di oggi.
Facciamo un esempio. Sempre riferendosi al Liverpool di Jurgen Klopp, oltre alle varie strategie di pressing, non è raro che, negate le soluzioni di risalita palla a terra, i "Reds" giochino lungo, andando in maniera estremamente organizzata alla riconquista della seconda palla o, più in generale, a giocare una fase di pressing aggressivo, in zone avanzate di campo.
Il gegenpressing è giocato sempre più diffusamente da molte squadre che, oltre ai potenziali vantaggi offensivi, ne apprezzano la capacità di prevenire le ripartenze avversarie, o quanto meno di rallentare la transizione avversaria consentendo alla propria struttura di riordinarsi per la fase propriamente difensiva. Comescriveva Emiliano Battazzi tre anni fa: «Nella rivoluzione dei paradossi che stiamo ancora vivendo, per attaccare meglio la costruzione della manovra ci si è avvicinati alla propria area; per difendere meglio, ci si è avvicinati sempre di più all'area avversaria».
Inoltre, in un gioco delle parti, a una sempre più spinta tendenza a costruire dal basso, ne corrisponde una analoga e contraria che tramite il pressing prova ad ostacolare la risalita del pallone e, se possibile, a utilizzare a proprio vantaggio la volontà avversaria, forzando palle perse in posizione pericolosa.
Per questo motivo la maggior parte delle squadre hanno diverse strategie di pressing che adottano in maniera mirata contro determinati avversari, in specifici momenti del match e in particolari situazioni di risultato.
Se prima il pressing (e la sua variante, il gegenpressing) era utilizzato solo da alcune squadre considerate moderne e spregiudicate, nel decennio appena trascorso è divenuto patrimonio comune di moltissimi allenatori e usato come arma tattica da sfruttare magari alla bisogna. Come per il gioco di posizione, l'eredità della scuola tedesca è, sia un’idea di fondo che, nel caso specifico, vede in una riconquista attiva del pallone un vantaggio per entrambe le fasi di gioco, che un insieme di tool tattici da cui pescare per costruire il mix tattico della propria squadra.
7. I moduli fluidi
Il gioco di posizione ha dato interpretazioni chiare e coerenti di ogni situazione tattica, in funzione dei propri principi. Così facendo ha enfatizzato una delle caratteristiche insite nella natura stessa del calcio, sport di situazione che per dimensioni del campo, modalità tecniche e numero di giocatori coinvolti, richiede elevate capacità di lettura dei suoi interpreti. La struttura posizionale di una squadra è fondamentale nella misura in cui riesce a rispondere alle specifiche esigenze tattiche che il match propone e muta di continuo.
Per meglio chiarire il concetto si può prendere l’esempio della cosiddetta salida lavolpiana, il meccanismo che partendo da una struttura difensiva con due centrali prevede l’abbassamento di un centrocampista tra i due difensori per facilitare l’uscita dal basso del pallone. È uno strumento tattico che può generare molti vantaggi, ma che può anche risultare ridondante (per esempio quando la difesa è pressata da un solo attaccante) e troppo prudente, limitando il numero di opzioni per il portatore di palla al di là della linea di pressione. Per questo, schierare due o tre giocatori centrali in fase di impostazione può generare o meno vantaggi in funzione delle richieste del match e dalla volontà dell’allenatore.
Insomma, in virtù dei vantaggi che è possibile ottenere mutando la propria struttura posizionale, i moduli di gioco sono diventati sempre più flessibili. Le squadre oggi vogliono adattarsi alla complessità del gioco.
Oltretutto è anche la sempre maggiore diffusione del pressing a costringere gli allenatori a trovare una struttura il più possibile adatta a renderlo efficace, che non sempre - non per forza - coincide con la struttura che quella stessa squadra vuole adottare in fase d’attacco. O, addirittura, in fase di difesa posizionale.
Per questo sempre più squadre cambiano il loro “modulo di gioco” passando dalla fase di possesso palla a quella di non possesso, o dalla fase di pressing a quella di difesa posizionale.
La progressiva disgregazione del reticolo cristallino che in tempi passati disegnava un modulo di gioco sottende, come ha intuito con largo anticipo sugli altri Antonio Gagliardi (analista della Nazionale italiana) al cambiamento di significato della parola “ruolo”. Il ruolo non è più legato strettamente a una posizione, ma è più connesso alla “funzione” che quel determinato giocatore deve svolgere in campo, inserita ovviamente all’intero del complesso dei principi di gioco su cui è costruita la propria squadra.
Il gioco di posizione reso celebre e vincente dal Barcellona di Guardiola a partire dalla fine del decennio scorso e il calcio basato sull’intensità e sul pressing attribuibile in gran parte alla scuola tedesca hanno avuto una grande influenza sull’evoluzione del gioco.
Le idee di fondo che la gestione del pallone possa essere lo strumento attraverso cui condizionare lo sviluppo tattico dei match e che una ricerca attiva della riconquista del pallone possa garantire altrettanta, se non maggiore, protezione di una pura difesa reattiva, e al tempo stesso avere vantaggi in fase di transizione offensiva, sono ormai ampiamente diffuse all’interno del movimento calcistico. In aggiunta, i due modelli hanno fornito svariati strumenti tattici che gli allenatori implementano con sempre maggiore continuità all’interno delle proprie squadre e per i propri specifici interessi strategici.
Una delle più evidenti conseguenze dell’influenza delle due scuole è la progressiva perdita di rigidità della struttura posizionale delle squadre, figlie di una costruzione del modello di gioco basato su schemi preordinati, a vantaggio di una flessibilità capace di rendere concreti i principi di gioco adottati che ormai definiscono l’identità di una squadra molto più del modulo di gioco.
Occupazione delle posizioni funzionali all’avanzamento del pallone, pressing, flessibilità. A pensarci bene… siamo ancora seduti sulle spalle dei giganti del totaalvoetbal?