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Storia tattica del nono Scudetto della Juventus
27 lug 2020
Che poi è anche il primo di Sarri.
(articolo)
15 min
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Nonostante una stagione tribolata, sia dal punto di vista strettamente sportivo che per tutti gli eventi legati all’emergenza COVID, la Juventus è riuscita a mettere le mani sul suo nono scudetto consecutivo, il primo in carriera per Maurizio Sarri. L’arrivo dell’ex allenatore di Empoli, Napoli e Chelsea (tra le tante squadre allenate in trent’anni di carriera) e tutto ciò che ne conseguiva, in termini di cambio dell’identità della squadra più vincente dell’ultimo decennio, è stato sicuramente uno dei temi principali della stagione. Sin dalle prime giornate è stato lo stesso Sarri a mettere tutti in guardia: non avrebbe neanche provato a riprodurre il suo Napoli, sarebbe stato impossibile per le caratteristiche dei giocatori e per la composizione della rosa, ma anche perché ogni squadra è unica, ogni annata è unica.

Anzi, a certi livelli la vera sfida di un allenatore è proprio questa: riuscire a portare al massimo grado di efficacia i propri macro-principi di gioco - nel caso di Sarri: il pressing alto, il palleggio rapido, il movimento costante intorno al portatore, la difesa a zona pura, e così via – attraverso l’utilizzo di sotto-principi creati ad hoc per andare incontro alle qualità a disposizione. In molte delle sue prime interviste, Sarri ha dato particolare enfasi alle qualità individuali, soprattutto del suo attacco, quasi a voler sfatare l’associazione automatica tra un gioco offensivo, proattivo, intenso e lo svilimento del talento del singolo.

A ulteriore prova di questo principio, una citazione guardiolesca:«Per 70 metri di campo pretendo di vedere la mia impostazione, ma negli ultimi 30 metri voglio vedere l'interpretazione dei giocatori».

Anche per questo nel corso dell’anno Sarri ha spaziato nell’utilizzo di diversi sistemi, interpretazioni e uomini, con risultati alternati e qualche problema nella tenuta mentale ed emotiva delle partite. In questo pezzo parleremo però degli aspetti più tangibili del percorso tattico della prima Juventus di Sarri, per restituire una dimensione più globale delle difficoltà e delle peculiarità del nuovo progetto.

Cristiano Ronaldo: centro di gravità permanente (4-3-3 / 4-4-2)

Il laboratorio di Sarri ha avuto sin da subito l’obiettivo di costruire la squadra intorno alle caratteristiche e alle preferenze dei suoi giocatori offensivi, va da sé che un’attenzione particolare sia stata rivolta a Cristiano Ronaldo. La prima sfida, forse la più grande affrontata, è stata proprio adeguarsi alle richieste del portoghese: partire defilato da sinistra in fase di possesso per poi accentrarsi, rimanendo sopra la linea della palla in fase di non possesso.

Questa necessità ha portato inevitabilmente all’utilizzo di due sistemi differenti: in fase di non possesso il 4-3-3 si tramutava in un 4-4-2 che prevedeva lo slittamento a sinistra dei suoi tre centrocampisti e l’abbassamento dell’esterno destro. A causa di un ritardo di condizione di Dybala, inizialmente il compagno di Ronaldo in attacco era Higuain, ormai sempre più calato nei panni da regista offensivo e sempre meno in quelli da centravanti d’area. Il quartetto di centrocampo nelle primissime partite era composto da Douglas Costa, Khedira, Pjanic e Matuidi, quest’ultimo già abituato a muoversi lungo la linea di sinistra in entrambe le fasi (sia con la Nazionale francese che con il PSG).

Nonostante il trio centrale fosse lo stesso di Allegri, il funzionamento è stato da subito differente: con la palla le due mezzali rimanevano a corta distanza da Pjanic per potergli dare un appoggio rapido, muovendo la palla anche a un tocco, quando possibile. I compiti di Matuidi, insieme a quelli di Alex Sandro, erano delicatissimi anche per dare equilibrio alla manovra offensiva: Ronaldo tendeva a ricevere palla molto largo e venendo incontro, attirando tipicamente due o tre avversari. Per questa ragione lo spazio per le sovrapposizioni interne o esterne è spesso ridotto, e quindi difficilmente le azioni sviluppate sulla sinistra della Juve si traducevano in un raggiungimento del fondo o un arrivo in area.

Più frequentemente, Ronaldo si accentrava portando palla per poi tentare il tiro o appoggiarsi su un centrocampista o cambiare gioco. Per questo in avvio di azione, quando la palla circolava verso Alex Sandro, Matuidi doveva tuffarsi in avanti velocemente e compensare i movimenti di Ronaldo senza interferire.

Oltre alle difficoltà dovute al passaggio a una disposizione differente in fase difensiva, la Juventus di inizio stagione ha dovuto affrontare un processo di adattamento ai principi difensivi di Sarri, con qualche difficoltà nella gestione dei tempi di accorciamento e delle distanze. Qualche gol di troppo è arrivato anche dai piazzati: la nuova disposizione a zona integrale è stata inizialmente approcciata con poca reattività, e spesso l’avversario riusciva ad arrivare in anticipo e a concludere. Emblematici di entrambe le circostanze sono i gol subìti contro il Napoli di Ancelotti.

Nelle partite successive, c’è stato anche qualche campanello d’allarme sulla capacità della Juventus nell’assorbire il pressing offensivo degli avversari attraverso il palleggio, proprio come avveniva negli anni precedenti. A differenza di allenatori come Conte o De Zerbi, lo stile di possesso di Sarri è orientato allo sfruttamento dei sovraccarichi nella metà campo avversaria, e non vuole attirare gli avversari fin dentro la propria area per trovare spazi alle sue spalle. Contro la Fiorentina di Montella, che aveva scelto un 3-5-2 aggressivo, sono emerse insicurezze proprio in questi frangenti, e l’uscita palla della Juventus ne ha risentito molto.

Complice l’infortunio di Douglas Costa, fino a quel momento il giocatore offensivo più determinante della Juventus dall’inizio del torneo, la squadra di Sarri ha iniziato a perdere quella rapidità di esecuzione di fraseggi e movimenti senza palla che aveva caratterizzato le prime giornate. Inoltre, le distanze e le scalate in fase di non possesso sembravano ancora imperfette e gli avversari riuscivano a trovare spesso ricezioni tra le linee.

Gli attimi precedenti al rigore concesso da Demiral contro l’Hellas. L’azione nasce da un giro palla che porta Amrabat a inserirsi in un buco nella linea di centrocampo della Juve e giocare un filtrante indisturbato.

La buona prestazione arrivata in casa dell’Atletico Madrid aveva convinto Sarri a proseguire con il modulo ibrido puntando su Juan Cuadrado nella posizione delicata tra ala destra e quarto di centrocampo. Ma nella partita successiva di campionato, contro l’Hellas Verona, ha fatto il suo esordio Ramsey al posto di Khedira, con una prestazione tutt’altro che esaltante.

Così, contro il Brescia, facendo leva sulla disponibilità del gallese, Sarri sorprende tutti passando al 4-3-1-2 e impiegando stabilmente Cuadrado come terzino destro.

Ritorno al rombo (4-3-1-2)

La scelta del sistema è presumibilmente da ricercarsi nella necessità di ritrovare una netta superiorità nel palleggio nella metà campo avversaria, e in quella di migliorare le distanze tra i reparti in fase di pressing.

Dopo l’infortunio di Costa il 4-3-3/4-4-2 non dava più vantaggi evidenti nello sviluppo delle azioni, e inoltre soffriva particolarmente le squadre avversarie che impostavano dal basso con tre uomini in prima linea e con due laterali molto alti. La ragione era sia numerica, sia qualitativa: Ronaldo e Higuain (o Dybala) non sono delle punte particolarmente efficaci nelle pressioni individuali, e la disposizione del centrocampo (con la perdita di una mezz’ala per coprire l’ampiezza nel passaggio al 4-4-2) era troppo dispendiosa per i giocatori a centrocampo che si ritrovavano a gestire sia le corse aggressive in avanti, sia quelle laterali.

Il passaggio al rombo aggiungeva un uomo in pressione per indirizzamento il palleggio avversario, dando così più tempo ai centrocampisti per le scalate, e creava anche una fitta densità di uomini in grado di poter muovere palla velocemente sul corridoio centrale. A beneficiare del rombo è stato inizialmente anche Pjanic, sia in termini di riduzione della quantità di campo da coprire sul pressing, sia per quanto riguardava la varietà di soluzioni per le verticalizzazioni di media lunghezza.

Il nuovo scaglionamento ha reso la Juve più efficace nel pressing avanzato in zona palla.

Le partite giocate con Ramsey dietro le punte sono state incoraggianti, ma dopo tre gare il gallese è stato costretto a fermarsi ed è toccato a Bernardeschi prenderne ruolo e funzioni. Pur dando un apporto notevole nella modulazione dei tempi di pressione, Bernardeschi è stato visibilmente in difficoltà dal punto di vista associativo, sia nel giocare con pochi tocchi che nelle fasi conclusive dell’azione.

Le rotazioni del centrocampo col rombo hanno dato più imprevedibilità alla costruzione dal basso della Juventus.

Inizialmente non è stato un grande problema per la Juventus, che nonostante un periodo di appannamento inusuale per Cristiano Ronaldo è riuscita ad avere una certa prolificità e a muovere palla in maniera abbastanza consona alle richieste dell’allenatore, mantenendo una certa solidità difensiva. Certo, il rombo ha portato con sé delle controindicazioni strutturali nella copertura dell’ampiezza in entrambe le fasi, aumentando ulteriormente le responsabilità delle mezzali.

È all’interno di questo contesto che è emersa l’importanza di Rodrigo Bentancur, diventato titolare come mezzala destra, al posto di Khedira, garantendo una maggiore aggressività, pur con qualche problema negli smarcamenti e nella confidenza in area di rigore. Va detto che con il rombo (soprattutto nelle partite senza Ramsey) gli inserimenti dei centrocampisti hanno subìto una brusca riduzione rispetto alle prime partite: l’occupazione diversa degli spazi richiedeva una maggiore sensibilità alla lettura dei varchi, ma spesso la Juventus si è ritrovata ad appiattire il palleggio limitando molto i movimenti offensivi.

Questo è stato un grande tema di tutta la stagione, ma è emerso soprattutto in quel periodo: l’eccesso di giocatori che volevano ricevere palla sui piedi ha reso la Juve poco produttiva contro squadre che si disponevano con un folto blocco basso difensivo. Nel frattempo, le prestazioni di Dybala hanno iniziato a crescere e Sarri non poteva più fare a meno di averlo in pianta stabile tra i titolari. Per non stravolgere l’equilibrio raggiunto col rombo, Dybala è stato dunque impiegato alle spalle di Higuain e Ronaldo, dapprima solo a gara in corso, e poi, nella seconda metà di dicembre, da titolare per diverse partite consecutive.

L’apporto di Dybala dietro alle due punte aveva chiaramente un potenziale superiore a tutte le altre alternative nell’ultimo passaggio, nella creazione della superiorità numerica attraverso il dribbling e nella conversione delle occasioni, e poteva dare anche un aiuto allo sviluppo della manovra sulla catena di destra, grazie alla sua tendenza a decentrarsi da quel lato. Tuttavia, in fase di non possesso e nel pressing la Juventus ha subito dato l’impressione di non potersi permettere il lusso di schierare i due argentini insieme a Ronaldo.

Il freddo di gennaio e febbraio e la rinuncia al rombo

Questo deficit ha giocato un ruolo fondamentale nella pesante sconfitta contro la Lazio in Supercoppa, insieme ad un abbassamento dei ritmi del possesso palla. La Juventus, da questo momento, è entrata in un vortice preoccupante di passività in entrambe le fasi, e per gli equilibri delicati del rombo è una durissima prova.

La circolazione sul corridoio centrale poteva già incontrare difficoltà contro avversari particolarmente compatti, ma senza un’adeguata gestione dei ritmi della trasmissione e degli smarcamenti, senza una punta più incline a muoversi alle spalle della linea e, al contempo, senza dei centrocampisti particolarmente abili nelle incursioni, gli sviluppi offensivi del 4-3-1-2 sono presto diventati innocui.

A tutto ciò si aggiungeva la naturale difficoltà nel coprire tutta l’ampiezza del campo nell'ultimo terzo, e il risultato era una squadra che faticava a entrare in area.

Sono comunque arrivate delle vittorie convincenti, anche grazie al riutilizzo di un quarto centrocampista dietro le punte (Ramsey), a lungo andare però, anche a causa dell’agitazione con cui la squadra di Sarri affrontava i frangenti in cui era costretta dall’avversario a difendere bassa (praticamente senza l’apporto dei tre offensivi), le certezze si sono incrinate e con esse anche la continuità di prestazione nell’arco della gara.

Quando la Juve non era sufficientemente rapida a coprire il pallone, soprattutto con le tre punte, rischiava di soffrire sul cambio campo.

A sorpresa, per la trasferta contro il Napoli decisiva per allungare su Lazio e Inter (che avevano pareggiato contro Roma e Cagliari), Sarri rimette Dybala dietro Ronaldo e Higuain, ma la partita è una delle peggiori in stagione, soprattutto dal punto di vista del ritmo, contro un avversario difensivamente organizzato come il Napoli di Gattuso che ne ha esposto i problemi offensivi.

La perdita di efficacia della fase di possesso non giustificava più gli scompensi strutturali del rombo, le relative difficoltà nel difendere l’ampiezza ai lati del centrocampo e nel gestire le fasi di difesa posizionale con 7 uomini. Il rombo viene definitivamente accantonato, anche a causa al rientro a disposizione di Douglas Costa.

Sarri cerca di reimpostare la squadra sull’ibrido di inizio stagione, cercando di ottimizzarne la tenuta difensiva: i primi benefici sono stati una migliore copertura dell’ampiezza in fase offensiva e un parziale sgravo sui compiti delle mezzali. Ramsey ritrova spazio nel ruolo di interno destro e sembra decisamente più a suo agio rispetto alle prestazioni da trequartista, sfruttando anche una certa intesa con Dybala nelle triangolazioni a un tocco.

Le sconfitte arrivate dopo questo cambio, a Verona e contro il Lione in Champions, hanno confermato alcune tendenze preoccupanti della Juventus (nella gestione del risultato e del possesso) ma non hanno spinto il tecnico a ripensare il suo sistema: a questo punto Sarri ha esplorato in maniera esaustiva caratteristiche e attitudini della rosa e rinuncia ad ulteriori esperimenti.

Il ritorno dal lockdown: l’ascesa di Bentancur e Rabiot e Dybala centravanti

Anche dopo il lockdown, soprattutto a causa dell’inamovibilità di Ronaldo, che solo contro il Milan in Coppa Italia aveva accettato di agire da punta centrale, Sarri ha ricominciato da dove aveva lasciato. Con la doppia preoccupazione di dover fare dei risultati decisivi e di accrescere la condizione atletica progressivamente, le scelte degli uomini sono state pressoché obbligate: così anche Bernardeschi ha ritrovato un suo senso nella squadra, dando fondo alle proprie energie per la prima ora di gioco per poi lasciare il posto a Douglas Costa, in una condizione psicofisica crescente.

Bentancur, ritornato ad occupare la posizione di mezzala destra, ha avuto un impatto eccellente in termini quantitativi e qualitativi, riuscendo ad aumentare sensibilmente l’incisività della Juventus nel pressing e anche a dare qualche soluzione di risalita in più grazie ai suoi break. Nel frattempo Pjanic è stato ceduto al Barcellona, e forse anche per questo Bentancur ha iniziato ad essere impiegato con più continuità davanti alla difesa, interpretando il ruolo con un approccio più dinamico ma ancora grezzo dal punto di vista della gestione dei tempi e della qualità delle distribuzioni sotto pressione.

Al suo fianco, sia a destra che a sinistra, Rabiot è riuscito a cancellare le prime apparizioni negative, sfruttando finalmente in maniera convinta le sue qualità di conduzione e movimento, e non uscendo più dagli undici titolari.

Lo sviluppo più interessante a livello tattico riguarda però l’utilizzo come prima punta di Dybala, che ha iniziato a giocare in maniera più continuativa addosso ai centrali, cercando più frequentemente anche le connessioni dirette con Ronaldo. Seppure i due non stiano stati sempre vicini, sembra che nell’ultimo periodo abbiano giocato come una vera coppia di attaccanti.

https://twitter.com/dariopergolizzi/status/1279797543090651136

Certo, è rimasto qualche vecchio problema: oltre al blackout preoccupante nell’ultima mezz’ora di gioco contro il Milan, e alle difficoltà nell’imporre la partita contro l’Atalanta, è stato contro il Sassuolo che la Juventus ha mostrato forse in maniera più evidente alcuni limiti strutturali: il palleggio sofisticato della squadra di De Zerbi ha esposto sia l’incostanza delle punte nel lavoro di pressione, sia la fatica nel difendere in avanti e coprire il pallone a difesa schierata.

https://twitter.com/leleadani/status/1283710097462628352

Con i centrocampisti schierati in una linea da quattro e i due mediani chiamati ad uscire sui corrispettivi avversari, la scarsa predisposizione difensiva degli attaccanti diventa un problema serio e senza un riferimento davanti alla difesa in grado di contrastare le ricezioni tra le linee la responsabilizzazione dei due centrali difensivi è ancora maggiore.

La partita col Sassuolo ha delle attenuanti, ma è esemplificativa di alcune imperfezioni strutturali che hanno caratterizzato la stagione e che probabilmente saranno oggetto di revisione in vista della Champions e soprattutto della prossima stagione.

La presenza di Ronaldo è un fattore determinante dal punto di vista realizzativo e Sarri ha fatto il possibile per metterlo a suo agio in entrambe le fasi. Ma la sua costante ricerca tattica è stata accompagnata dal miglioramento dei singoli all’interno del sistema: il nuovo ruolo di Cuadrado, la crescita di Bentancur e Dybala, il grande impatto di De Ligt e Demiral, ma anche il recupero in extremis di giocatori che sembravano ormai completamente fuori dal progetto, come Bernardeschi e Rabiot, possono essere considerate tranquillamente un effetto positivo del suo lavoro.

La Juventus ha reagito con difficoltà agli imprevisti e ai momenti difficili all’interno delle partite, soprattutto in quelle più delicate, in contrasto con l’identità storica dei bianconeri in questo lunghissimo ciclo di vittorie. Rimane difficile misurare e valutare questi elementi intangibili, ma anche il lato motivazionale è determinante nel progetto di un allenatore e forse Sarri non è riuscito a sviluppare una sintonia totale con la sua nuova squadra. È incappato in diverse situazioni spiacevoli nel corso della stagione ma non ha mai realmente compromesso le proprie possibilità per il titolo, nonostante due avversarie particolarmente agguerrite per gran parte della stagione come Inter e Lazio , e una terza che si è ritrovata a breve distanza a poche giornate dalla fine, come l’Atalanta.

In attesa di giocarsi le sue chance in una Champions League che si prospetta a dir poco ardua, la Juventus di Sarri ha fatto il suo dovere in campionato.

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