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L’unica tripla di Kareem Abdul-Jabbar
26 set 2023
Storia dell’unico canestro da tre punti del secondo miglior realizzatore nella storia NBA.
(articolo)
7 min
(copertina)
IMAGO / ZUMA Press
(copertina) IMAGO / ZUMA Press
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La guardia dei Los Angeles Lakers, Michael Cooper, converge verso il centro prima di arrestarsi e tirare all’altezza della lunetta. Non ha pressione, visto che il suo avversario Walter Davis si è arenato sul blocco, ma la traiettoria del suo tiro è leggermente troppo lunga e si infrange sul ferro come un sasso piatto sull’acqua. Larry Nance padre, lungo per i Phoenix Suns padroni di casa, ha fatto un buon lavoro con il tagliafuori ma si vede superato dalla palla, che sembra dirigersi stancamente verso la linea laterale. È lì che la recupera Kareem Abdul-Jabbar, dopo quattro passi felpati: pianta il peso sul piede sinistro e delicatamente appoggia il destro a una tale distanza dalla riga laterale che non ci passerebbe neanche un filo d’erba.

Siamo sul finire del febbraio del 1987 e i Los Angeles Lakers sono impegnati a Phoenix, dove stanno provando a chiudere una striscia di vittorie in trasferta iniziata sei giorni prima a Denver e proseguita sull’altra costa a Chicago e Philadelphia. Sono i Lakers dello Showtime, quelli che vinceranno quel campionato e quello ancora successivo con un back-to-back che non si vedeva dalla fine degli anni ‘60. La squadra di coach Pat Riley si era presentata all’Arizona Veterans Memorial Coliseum con 41 vittorie e 13 sconfitte, miglior record della lega. Di fronte, i mesti Suns erano 22-33 e parecchie nubi avevano iniziato ad addensarsi sul futuro di John MacLeod, alla quattordicesima stagione da capo allenatore: sarebbe stato esonerato dall’incarico una settimana e tre sconfitte più tardi. Soprattutto, in meno di due mesi su Phoenix si sarebbe abbattuta l’onta dello scandalo sull’uso di cocaina che, sebbene senza conseguenze penali, avrebbe lasciato pesanti scorie sulla reputazione della franchigia.

Tutto questo Abdul-Jabbar non lo sa e manco se ne interessa, mentre si pietrifica spalle al campo come in una delle sue posizioni di yoga che gli permettono, a 39 anni suonati, di mantenere oltre 17 punti a partita di media. Dopo aver addomesticato la palla, il corpo recupera l’equilibrio attraverso la tensione nascosta di muscoli invisibili, ma nel frattempo i sensi non percepiscono nessun pericolo: non il rumore di passi avversari né le loro vibrazioni, o qualunque altro segno che lo possa allertare di una presenza ingombrante alle sue spalle. Larry Nance ha preferito lasciarlo lì nell’angolo, risparmiarsi quella chiusura che lo allontanerebbe dal pitturato.

In quel momento, senza vedere il campo, Abdul-Jabbar sa già cosa fare: mentre i compagni dalla panchina lo applaudono per l’elegante recupero e Cooper gli si avvicina offrendogli lo scarico, Kareem impone una rotazione al proprio corpo staccando il piede destro e, in un unico movimento, lo riappoggia affusolando il corpo per la sospensione. I telecronisti fiutano il grande momento e lo incitano nel tentativo: “Shoot, Kareem!”.

E Kareem tira, rilasciando ancora in fase di ascesa. Solo rete, tre punti a referto per Kareem Abdul-Jabbar.

«È stato un caso. Nessuno voleva marcarmi e ho tirato».

Quello dall’angolo contro Phoenix era ed è rimasto il solo canestro da tre dell’intera carriera di Abdul-Jabbar, un’anomalia tra i 38.387 punti segnati in stagione regolare e i 5.762 ai playoff durante tutta la sua carriera. Un record che riposava inscalfibile ed etereo da 34 anni, ma tornato di grande attualità nei giorni dello storico sorpasso di LeBron James durante la propria ventesima stagione NBA.

Tre punti su trentottomilatrecentoottantasette sono molto pochi. Immaginando una vasca di palline, una per ogni punto della carriera di Abdul-Jabbar, c’è solo lo 0,00008% di possibilità di estrarre quella appartenente a quel tiro. Cioè circa la probabilità di fare buca in un colpo per un golfista amatoriale, il doppio più difficile che calpestare un prato e trovare un quadrifoglio al primo colpo. Oppure, se preferite visualizzarlo graficamente:

Li vedete?

Quando Kareem ancora si chiamava Lew Alcindor ed esordiva in NBA come prima scelta assoluta nei Milwaukee Bucks con la fama di miglior giocatore nella storia del basket collegiale statunitense, la linea da tre non era neanche pitturata sul parquet. Altre dieci stagioni dovevano passare prima della sua introduzione nel 1979. Nel frattempo, la storia aveva fatto il suo corso: Alcindor aveva vinto il primo anello in carriera con i Bucks, aveva iniziato a farsi chiamare pubblicamente Kareem Abdul-Jabbar dopo la conversione all’Islam di pochi anni prima, ed era passato ai Los Angeles Lakers tornando alla città che aveva conosciuto mentre al college brutalizzava gli avversari di UCLA.

Dall’alto dei suoi 218 centimetri, l’introduzione della linea da tre non era certo affare del centro proveniente da Harlem. Nei due anni successivi alla novità Kareem manda a referto solo due tentativi, naturalmente falliti, e non andrà mai oltre i tre tiri stagionali, come le sigarette che un non-fumatore si concede tanto per il gusto di poterlo fare. Al The Tonight Show di Jimmy Fallon Jabbar ha raccontato: «Il coach mi diceva: tira da qui dentro. Se tiri da lì, puoi venirti a sedere in panchina con me». In generale si trattava di un’altra NBA, con un approccio molto più timido all’arco: nel 1986-87, cioè quando Jabbar mise a segno il suo unico tiro da tre, il tasso medio di triple tentate a partita per squadra non arrivava a 5, con il 30% di realizzazione. Oggi, nell’era delle analytics e di Steph Curry, ogni squadra tenta dai 29 ai 43 tiri da fuori a partita con una precisione media del 36%, e pure centri come Jokic o Embiid segnano più di un terzo delle triple che provano.

Kareem chiuderà la carriera con 18 tentativi da tre in 1.560 partite, di cui soltanto cinque successivi al canestro di Phoenix. Ma la grazia di quell’esecuzione ci fa quasi rimpiangere di non averne visti di più. Non c’è paragone, per esempio, con l’unica tripla in carriera di Shaquille O’Neal, l’unico altro tra i primi 100 marcatori della lega (è ottavo) con un solo canestro da fuori segnato in stagione regolare (Bob Lanier ne segnò due, Bob McAdoo e Otis Thorpe tre).

L’occasione è la partita di metà febbraio 1996 tra Magic e Bucks, nell’ultima stagione di O’Neal a Orlando prima del passaggio ai Lakers. A due secondi dallo scadere del primo quarto, Shaq raccoglie una lunga palla di Joe Wolf: il lancio è una sassata che l’ex LSU controlla in palleggio, prima di ruotare il busto e tentare il jolly a una mano da ben dietro l’arco, facendo carambolare la palla sul tabellone e poi in fondo al canestro per il +15 di Orlando, che vincerà comodamente 121-91. Una tripla è sempre una tripla, per carità, ma quella di Jabbar ha tutta un’altra luce. In carriera O’Neal ha chiuso con 1/22 da fuori.

Mentre metteva quei tre piccoli punti contro Phoenix – e abbiamo visto quanto piccoli – Kareem era già il miglior marcatore di sempre nella storia della NBA: lo era dalla partita contro Utah di quasi tre anni prima, quando aveva superato i 31.419 dell’ex amico e mentore Wilt Chamberlain, una cifra che allora sembrava irraggiungibile. Dopo quella partita arriveranno altre cinque stagioni e quasi altri 7.000 punti a rendere ancora più inscalfibile uno dei record storici della lega. Mentre anche Karl Malone, Kobe Bryant, Michael Jordan e Dirk Nowitzki (in ordine di punti totali) superavano Chamberlain, il totale di Jabbar continuava a sembrare inavvicinabile.

Almeno fino a quando non è diventato chiaro che i parametri secondo i quali LeBron stava riscrivendo il concetto di longevità, nella sua sfiancante lotta contro Padre Tempo, non si erano mai visti. O meglio, assomigliavano molto alla capacità di produrre numeri nel tempo propria – fino quel momento – solo di Kareem. È almeno dal 2015 che il genere umano ha iniziato a considerare la possibilità che James stabilisca il record di punti. Certo, non mancavano le incognite: il logorio continuo e ritmi forsennati della NBA nascondono spiacevoli sorprese dentro ogni quarto. Anche James (71 partite saltate nelle prime quindici stagioni, 94 nelle ultime cinque) non ne è rimasto immune agli infortuni, riuscendo però a mantenere medie da oltre i 25 punti a partita – e anzi salendo sopra i 30 nelle ultime due stagioni.

Jabbar aveva una cura del proprio corpo, affinato dallo yoga, dalla meditazione, dall’alimentazione salutare, al di fuori degli standard a lui contemporanei. Nessuno, all’epoca, era sopravvissuto a 20 stagioni nella lega, tantomeno ai massimi livelli. Ora, dopo 39 anni di detenzione, il suo record più prezioso è passato di mano. Anche grazie alle triple, naturalmente: nel giorno del sorpasso, il confronto tra LeBron e Kareem era 2.237 a 1. Ma vuoi mettere che soddisfazione quella tripla lì, se ne parliamo ancora adesso?

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