Il quarto di finale che l’Italia si giocherà domani contro il Giappone ai World Baseball Classic sarà una di quelle partite che segnerà la storia del nostro movimento, al di là di come andrà a finire. Arriva alla fine di un percorso iniziato ben prima di questo Mondiale, più precisamente nell’edizione precedente della competizione, che si è tenuta addirittura nel 2017. La qualificazione ai World Baseball Classic si ottiene attraverso il piazzamento ottenuto nel girone della precedente edizione del WBC: basta non occupare l’ultima piazza per essere di diritto inseriti nella lista dei partecipanti dell’edizione successiva. L’ultima di ogni girone, invece, viene coinvolta in un pool di qualificazione, insieme alle altre Nazionali rimaste escluse dal Mondiale. Tra oggi e quel Mondiale ci sono quindi sei anni, un arco di tempo piuttosto lungo che si spiega con la pandemia che ha travolto il 2020, quando sarebbe stato originariamente previsto il ritorno del Mondiale.
Organizzato dalla International Baseball Federation in collaborazione con la MLB, il World Baseball Classic vede sfidarsi le migliori 20 Nazionali (16 fino alla scorsa edizione), provenienti da tutti i continenti. Al contrario di altri sport, che fanno disputare il Mondiale in un’unica città o Paese, il World Baseball Classic ha una strana tradizione per cui ogni girone viene disputato in un luogo diverso. Per questa edizione i posti designati sono quattro: Taichung (Taiwan) e Tokyo (Giappone) per la “parte orientale” del torneo, mentre Phoenix e Miami (Stati Uniti) per quella occidentale. A parte questo, però, è un Mondiale a tutti gli effetti e come ogni Mondiale che si rispetti, anche in questo non mancano le storie che sembrano prese direttamente da un film. L'Italia, con i suoi giocatori baffuti di cui più avanti parleremo, non è l'unica.
Durante la partita tra Repubblica Dominicana e Nicaragua, per esempio, mentre i dominicani controllavano comodamente l’incontro, vincendo 6-1, è salito sul monte di lancio per Nicaragua il ventunenne Duque Hebbert. Era al suo esordio assoluto e si è trovato di fronte alcuni dei migliori battitori in circolazione ma non è sembrato avvertirne minimamente la pressione, mandando strikeout Juan Soto in appena 3 lanci con un cambio di velocità. Poi è stato il turno di Julio Rodriguez, anche lui mandato strikeout con una velenosissima slider. Hebbert ha poi concesso un doppio a Manny Machado, ma è comunque riuscito a uscire indenne dall’inning, eliminando Rafael Devers il terzo strikeout della sua partita, di nuovo con un cambio di velocità.
Un’ora dopo la partita, Nicaragua ha comunicato attraverso i suoi canali social che Hebbert era stato avvicinato, al termine dell’incontro, da uno scout dei Detroit Tigers che lo ha immediatamente messo sotto contratto.
Un discreto biglietto da visita con cui presentarsi a Detroit.
Il percorso di avvicinamento italiano al World Baseball Classic
Ma torniamo all'Italia, a quel Mondiale del 2017 che ci ha portato fino a qui. Tutto è iniziato con un girone, quello del WBC di sei anni fa, che è iniziato con una folle vittoria, ottenuta nella gara di apertura contro il Messico, in cui l’Italia ha segnato 5 punti nell’ultimo attacco.
Andreoli colpisce la seconda valida della sua partita, Butera e Maggi arrivano a casa base ed è vittoria per l’Italia.
Il percorso azzurro è poi proseguito con due sconfitte ma, nonostante ciò, la classifica del girone D, al cui vertice sedeva comodamente un imbattuto Porto Rico, vedeva appaiate Venezuela, Italia e Messico con una vittoria e due sconfitte. L’Italia, in quell’occasione, è stata vittima del rapporto tra punti concessi e out ottenuti, criterio utilizzato per sbrogliare le situazioni di parità nella classifica finale. Un terzo posto che non permetteva di accedere alle fasi finali, ma che concedeva la magra consolazione di essere già qualificati di diritto all’edizione successiva.
Nel frattempo, nel novembre 2019, sulla panchina azzurra è arrivato Mike Piazza, hall of famer e miglior catcher in battuta della storia del gioco, da subito coinvolto nel reclutamento di nuovi talenti italo-americani. Il particolare regolamento del WBC è infatti abbastanza permissivo e consente alle Nazionali di reclutare tra le proprie file giocatori anche per via dei luoghi di nascita dei genitori. L’Italia, da questo punto di vista, è anche favorita dalla legge che regola la cittadinanza. Questa, come sappiamo, viene trasferita per lo ius sanguinis dai genitori ai figli e, di conseguenza, gran parte del roster italiano beneficia di questa norma, avendo un genitore o un nonno di origine italiana.
Non mancano, comunque, i giocatori nati in Italia: sono 5 sui 36 totali a roster; a loro si affianca il lanciatore Alessandro Ercolani, nato a San Marino. Per il resto la nostra Nazionale è composta da giocatori nati negli Stati Uniti (ben 27), Brasile, Venezuela e Repubblica Dominicana (i restanti 3). Insomma, dentro la Nazionale italiana non si parla certo l’italiano, o almeno non in maniera predominante, seppur alcuni giocatori nati negli Stati Uniti siano in grado di parlarlo senza problemi. È il caso, ad esempio, dei fratelli Fletcher, a cui mamma Fernanda ha insegnato l’italiano fin da piccoli.
Alcuni, poi, hanno sfruttato l’occasione per riscoprire le proprie radici. Molti giocatori italo-americani hanno approfittato dell’iniziativa “Mission Classic” dello scorso novembre, promossa dalla FIBS in collaborazione con l’Italian American Baseball Foundation, che si è tenuta a Roma. A seguito degli incontri istituzionali, molti di loro hanno approfittato dell’occasione per visitare l’Italia.
Quello delle radici italiane dei giocatori nati negli Stati Uniti è un tema predominante di questa Nazionale, come forse avrete letto in questo pezzo del Post. I giocatori italiani, per esempio, esultano con la mano a pigna, quel gesto con cui ci identificano tutti gli stranieri, talmente noto da guadagnarsi anche un’apposita emoji. Immancabile, poi, una macchina per fare il caffè direttamente nel dugout. Stuzzicato sull’argomento, Mike Piazza ha spiegato che nel nostro Paese «l’espresso è come l’acqua» e che gradirebbe anche un barista, se potesse: «l’espresso in una tazzina di carta è un sacrilegio, ma quando è l’unica opzione disponibile, ti accontenti».
In tutto ciò, come detto, gran parte della squadra ha deciso di farsi crescere i baffi: il primo a lanciare la moda è stato Dominic Fletcher – uno dei leader della clubhouse – che si è ispirato a Gianmarco Faraone, general manager dell’Italia. L’esterno azzurro è stato subito seguito dal lanciatore Matt Harvey, da cui è scaturito un effetto domino arrivato fino a Mike Piazza, che è stato “costretto” dai suoi giocatori a rispolverare quei baffi a manubrio che lo hanno caratterizzato durante la sua carriera da giocatore.
Un girone da “How you can not be romantic about baseball?”
Ma la Nazionale italiana non è interessante solo per gli aspetti più "folkloristici", se così possiamo dire, ma anche per il suo percorso sportivo. Il girone A, disputato a Taiwan, è stato senza dubbio uno dei più clamorosi che si siano visti nel mondo del baseball negli ultimi anni, come se la follia dell'ultimo Mondiale disputato dall'Italia nel 2017 avesse contagiato anche questo, a sei anni di distanza. Italia, Paesi Bassi, Cuba, Panama e Taipei Cinese (cioè Taiwan, ma formalmente chiamata con un nome diverso per evitare di incrinare la situazione già delicata con la Cina, anch’essa partecipante al WBC) hanno tutte chiuso il girone con 2 vittorie e 2 sconfitte. La classifica è stata quindi decisa di nuovo da chi avesse il più basso rapporto tra punti concessi e out ottenuti (la miglior difesa, per dirla in parole semplici), lo stesso principio che nel 2017 ci aveva estromesso dalla competizione. L’Italia questa volta si è però issata al secondo posto, dietro soltanto a Cuba e davanti a Paesi Bassi, Panama e Taipei Cinese.
Anche le singole partite al loro interno hanno ricalcato la falsariga di un girone caotico. Contro Cuba, per esempio, gli azzurri si sono presentati nella parte bassa del settimo inning con un vantaggio 2-0, salvo poi farsi rimontare ed essere costretti agli extra-inning. Proprio nel decimo attacco, però, l’Italia è riuscita a far entrare a casa base 4 punti e a chiudere poi la partita nella successiva difesa, con il punteggio finale di 6-3.
La sfida contro Taipei, padrona di casa, è stata ancor più imprevedibile, se possibile. In primo luogo, perché si giocava in trasferta, cioè a Taiwan, dove il baseball è una fede quasi religiosa.
Notevole anche la preparazione atletica di cheerleader e mascotte, in grado di tenere il ritmo per l’intera durata delle partite casalinghe di Taipei Cinese.
La contesa si è aperta con il vantaggio di Taipei (1-0), seguita dall’immediato sorpasso azzurro (1-2) e dal tempestivo pareggio della nazionale casalinga (2-2). Poi di nuovo vantaggio taiwanese (5-2) e controsorpasso italiano (7-5), a cui è seguito l’ennesimo momento di parità (7-7) e un istantaneo nuovo allungo casalingo (8-7). Per archiviare definitivamente la questione, nella parte bassa dell’ottavo inning, Kungkuan Giljegiljaw ha spedito tra il pubblico la palla del fuoricampo da 3 punti del definitivo 11-7.
L’Italia non è riuscita a reagire alla sconfitta subita e contro Panama gli unici highlights di marca azzurra sono state le giocate difensive di Nicky Lopez e Dominic Fletcher, che hanno evitato che il passivo fosse notevolmente più pesante del 2-0 finale.
Si è quindi giunti allo scontro tra Italia e Paesi Bassi – l’ultima partita dell’intero girone A – sapendo che, in caso di successo azzurro, tutte le squadre avrebbero avuto 2 vittorie e 2 sconfitte. Per sperare in un passaggio del turno, l’Italia avrebbe dovuto vincere con uno scarto di almeno 4 punti e, al tempo stesso, non avrebbe dovuto concedere più di 5 punti all’attacco Oranje.
Dopo un inizio spento per i due attacchi, la terza offensiva olandese si è aperta con il ricevitore Chadwick Tromp che ha obliterato un lancio di Matt Harvey, spedendolo oltre il muro e portando avanti i Paesi Bassi. L’attacco italiano, quiescente ormai da 16 inning consecutivi a cavallo di 3 incontri, si è finalmente sbloccato nella parte bassa del quarto. Sette corridori hanno raggiunto la base salvi, sei valide battute e, soprattutto, sei punti segnati, con il 2-run triple di Nicky Lopez a fungere da punto esclamativo per il rally più importante del Mondiale azzurro.
La situazione sembrava essere sotto controllo fino alla parte alta del sesto inning, quando i Paesi Bassi sono riusciti a riempire le basi senza nessun eliminato. In quel momento, il manager Mike Piazza ha inserito sul monte di lancio Joe LaSorsa, un discreto lanciatore mancino, inserito nell’organizzazione dei Tampa Bay Rays, ma mai andato oltre la AA (il secondo livello delle leghe di sviluppo della MLB, sotto alla AAA).
LaSorsa, contro ogni aspettativa, ha invece eliminato Didi Gregorius al primo lancio, con una comoda presa al volo dell’interbase Nicky Lopez. Poi si è trovato ad affrontare Jonathan Schoop – anche lui altro giocatore MLB, così come Didi Gregorius – mandandolo strikeout in quattro lanci. Infine, ha concluso l’opera con un altro strikeout su Bernardina, chiudendo l’inning e uscendo indenne da una situazione che sembrava disperata.
Sua sobrietà Joe LaSorsa.
Da quel momento, l’attacco dei Paesi Bassi non è più riuscito a portare un corridore oltre la seconda base, mentre l’Italia ha anche messo a referto il punto del definitivo 7-1 durante l’ultimo attacco della sua partita.
Che squadra è l'Italia
L’Italia ha avuto bisogno di un po’ di fortuna, insomma, ma va detto che prima dell’inizio dei gironi, gli azzurri non erano certo tra i favoriti per il passaggio del turno, nonostante si presentassero con un roster composto da buoni giocatori. Per quello che può valere, l’Italia è sedicesima nel ranking WBSC, occupando la posizione più bassa tra le squadre del girone A.
Va comunque sottolineato che l’Italia che si è presenta al WBC è profondamente differente dalla squadra che affronta le competizioni continentali. La presenza di giocatori italo-americani, che normalmente si rendono disponibili soltanto per il Mondiale, cambia radicalmente il roster azzurro, com’è ovvio che sia. Per questa edizione, inoltre, Mike Piazza ha deciso di puntare fortemente su un gruppo giovane che vede coinvolti soltanto 6 giocatori nati prima del 1992 (tutti lanciatori, tra l’altro). Il che, in uno sport come il baseball, dove il prime si raggiunge attorno al trentesimo anno di età, rappresenta una scelta sicuramente coraggiosa.
Potrebbe esserci l’intenzione di creare un sostanzioso zoccolo duro italo-americano attorno al quale costruire un progetto durevole nel tempo, come finora mai riuscito ai precedenti manager. In ogni caso, l’Italia si ritrova a poter contare su un line-up solido, dal quale spicca un infield che può vantare 3 every day starters MLB. E cioè Vinnie Pasquantino, prima base, sulla carta la stella offensiva della squadra; Nicky Lopez e David Fletcher, rispettivamente terza base e interbase, che assicurano invece una difesa impenetrabile e una discreta capacità di produrre battute valide nel box di battuta.
Gli altri due interni titolari sono il seconda base Miles Mastrobuoni e il ricevitore Brett Sullivan. Entrambi con una carriera di lunga data nelle minors, stanno sfruttando nel migliore dei modi la visibilità concessa loro dal WBC, con l’intento neanche troppo velato di guadagnarsi una chiamata ai piani alti della lega. I tre posti nell’outfield sono saldamente occupati da Sal Frelick (esterno sinistro), Dominic Fletcher (esterno destro) e Ben DeLuzio (esterno centro). Anche loro con una carriera avviata nelle minor leagues, sia Fletcher che, soprattutto, Frielick sembrano poter avere a breve una possibilità nella MLB. E il loro rendimento in questo Mondiale non fa che far aumentare significativamente questo sospetto.
Per quanto riguarda la situazione lanciatori, invece, l’Italia è tra le nazioni che, numeri alla mano, ne ha portati di più, ben 23. Tra di loro, Matt Harvey è indubbiamente l’ace, seppur in una fase ormai calante della sua carriera. Il trentatreenne mancino, che ha la mamma di origini romane, è stato anche all star nel 2013 e all’interno dello spogliatoio è probabilmente la voce più autorevole.
Il restante parco dei lanciatori rimane ad oggi la grossa incognita per la nostra Nazionale. La grande mancanza, in particolare, è quella di un rilievo che possa entrare e mettere a tacere l’attacco avversario. Un ruolo che sarebbe dovuto appartenere a Jordan Romano, uno dei migliori closer della MLB e già nel roster azzurro nel 2017, che però, dopo aver inizialmente rinnovato la sua disponibilità, ha preferito rinunciare alla manifestazione.
Come si batte il Giappone a Tokyo?
Per gli azzurri, che nel frattempo hanno avuto 3 giorni di riposo utili anche per smaltire il viaggio da Taichung a Tokyo, adesso però arriva il difficile: un quarto di finale in casa del Giappone che definire proibitivo è un eufemismo. Affrontare la Nazionale nipponica – campionessa olimpica in carica – al Tokyo Dome di fronte a 45.600 persone è infatti già di per sé molto complicato per chiunque, ma potrebbe diventarlo ancora di più se sul monte di lancio si presentasse Shohei Ohtani. Il giocatore in forza ai Los Angeles Angels ha infatti lanciato la gara d’apertura contro la Cina (zero punti e una sola valida concessa in 4 inning di impiego) e, potendo contare su un riposo di ben 6 giorni, tutto lascia presagire che sia lui il partente della sfida.
Per chi non seguisse abitualmente il baseball: stiamo parlando non soltanto di uno dei migliori lanciatori della sua epoca – 2,96 di media ERA in 4 stagioni in MLB è un dato fuori da ogni logica – ma anche di un battitore capace di spedire la palla tra il pubblico ad ogni giro di mazza. Non a caso, a soli 27 anni, si parla già di lui come uno dei migliori della storia del gioco. Il problema, per assurdo, è che Ohtani non era neanche presente quando il Giappone ha vinto l’oro olimpico, a dimostrazione che il fenomeno degli Angels rappresenta soltanto la ciliegina su una torta sontuosa, già ricca di gusti e decorazioni. Vincere al Tokyo Dome contro il Giappone sarebbe paragonabile, se mi permettete il paragone tennistico, a battere Federer nel suo prime sul Centre Court di Wimbledon.
Nel baseball l’imprevedibile è però sempre dietro l’angolo ed essendo uno sport di squadra le variabili possibili sono di più, o almeno questo speriamo noi. In ogni caso, per riuscire a centrare un miracolo contro il Giappone non serve necessariamente un fuoricampo ad ogni turno in battuta. Può bastare un contatto sporco, una palla mancata dal ricevitore o un errore della difesa. Certo è che lo scoglio è arduo e per avere una chance di giocarsi l’incontro alla pari servirà una partita quasi perfetta dei lanciatori, in primo luogo del partente, che avrà lo scomodo compito di non far scappare fin da subito i padroni di casa.
In seconda battuta, Piazza e i suoi assistenti dovranno essere in grado di cogliere con anticipo i primi segni di cedimento del nostro lanciatore partente e sostituirlo nel momento giusto, scegliendo quelli che, a loro avviso, saranno i rilievi più adatti alla situazione. L’attacco, dal canto suo, dovrà essere in grado di far lievitare fin da subito il pitch count del lanciatore partente (che è limitato per regolamento a 80 lanci) e saper sfruttare ogni minima incertezza della difesa. Perché, in fin dei conti, come sempre detto da Yogi Berra, storico ricevitore dei New York Yankees, figlio di genitori italiani, “in baseball, you don’t know nothing”. Ovvero: nel baseball non puoi prevedere nulla.
Anche una partita senza errori potrebbe non bastare, però, perché il Giappone tra le mura amiche sembra non avere rivali. Sono infatti 14 le vittorie consecutive della Nazionale nipponica nelle partite casalinghe, striscia durante la quale è inclusa una medaglia d’oro olimpica e un successo al WBSC Premier12, un torneo riservato alle migliori 12 nazionali, secondo quello che è il ranking WBSC.
Certo, se almeno un paio di lanciatori e altrettanti battitori azzurri scoprissero di essere in una di quelle giornate in cui ti riesce tutto allora avremmo una concreta possibilità di giocarcela fino alla fine. Ovviamente molto difficile ma anche se l’impresa alla fine non dovesse arrivare il baseball dovrebbe essere già contento di questo risultato storico. L’Italia, infatti, ha già eguagliato il suo miglior risultato al World Baseball Classic (raggiunto nel 2013) e, visto la squadra molto giovane costruita da Mike Piazza, potrebbe seriamente aver posto le basi per ripeterlo (e, chissà, magari superarlo) nelle prossime edizioni.
Se non vi interessano i baffi, le mani a pigna e le macchinette del caffè, questo dovrebbe essere un buon motivo per mettersi davanti alla TV domani. Chissà, magari tra qualche anno il poter dire di aver visto Italia-Giappone in un insolito giovedì all'ora di pranzo potrebbe diventare addirittura un vanto, se la crescita della nostra Nazionale dovesse continuare così, portandoci ancora più lontano.