Allo spettatore casuale, quello che con piena legittimità s’interessa al nuoto giusto in occasione dei mondiali o dei giochi olimpici, la scenetta verificatasi sul podio di Gwangju alla premiazione dei 400 metri stile libero maschili, e ripetutasi poi in quella dei 200 due giorni dopo, dev’essere sembrata tanto bizzarra quanto frivola.
Scaramucce tra ragazzi assuefatti all’agonismo, strascichi di adrenalina che si protraggono fuori dalla vasca.
Qui la protesta di Duncan Scott e la reazione furiosa di Sun Yang dopo la finale dei 200 metri stile libero.
Invece, gli episodi che hanno visto protagonisti Sun Yang, Mack Horton e Duncan Scott rappresentano veri e propri incidenti diplomatici, oltraggi ad un codice di comportamento che si vorrebbe inviolabile.
Quanto successo è l’approdo ultimo, forse inevitabile, di una storia che si trascina da molto tempo, che va aldilà dei nuotatori coinvolti, forse aldilà del nuoto e dello sport stesso.
Il perfetto cattivo
Sun Yang è l’incarnazione dei peggiori incubi di addetti stampa, dirigenti federali e agenzie pubblicitarie. Campione indiscusso, è quanto di più lontano dal concetto di ‘atleta modello’, a maggior ragione per i rigidissimi standard cinesi.
Dal punto di vista competitivo, molto semplicemente, i risultati raccolti lungo una carriera ormai ultra-decennale lo pongono sul piedistallo dello sport nazionale e mondiale. Primo atleta cinese a vincere una medaglia d’oro nelle competizioni maschili di nuoto a Londra 2012, Sun è anche il primo nuotatore a riuscire nell’impresa di vincere su ogni distanza, dai 200 ai 1500 metri, nella specialità dello stile libero, sia alle Olimpiadi che ai campionati mondiali.
Con i suoi 26 ori, 9 argenti e 5 bronzi Sun Yang è per distacco il più grande atleta nella storia del nuoto maschile cinese, secondo molti in assoluto il migliore di sempre nella singola specialità dello stile libero. Sarebbe quindi un’autentica leggenda, se non fosse per la pesante ombra del doping.
Tutto ha inizio nella primavera del 2014: Sun viene trovato positivo ai controlli a campione effettuati dalla federazione cinese, il corpo del reato è la trimetazidina, sostanza che la WADA - l’agenzia mondiale antidoping - ha inserito solo da pochi mesi nella lista di quelle non ammesse.
I contorni della vicenda rimangono ancora oggi poco chiari, Sun dichiara che la trimetazidina gli è stata regolarmente prescritta dal cardiologo allo scopo di placare la continua presenza di palpitazioni che l’atleta lamenta prima e dopo gli allenamenti; la Federazione cinese, d’altro canto, nell’emettere la sentenza di squalifica, sottolinea come il regolamento della WADA classifichi la trimetazidina come sostanza dopante solo nelle immediate vicinanze di una gara, mentre al momento del test Sun non è impegnato in nessuna competizione ufficiale.
La squalifica comminata è di tre mesi, misura che permette a Sun di non perdere i mondiali di Kazan dell’anno successivo, dove vincerà due ori e un argento. La WADA prima scrive una lettera di vibrante protesta indirizzata alla federazione cinese, poi rinuncia al diritto di appellarsi e rivedere la pena inflitta all’atleta e infine, l’anno successivo, declassa la trimetazidina da ‘stimolante’ a ‘regolatore del metabolismo cardiaco’, pur lasciandola nella lista delle sostanze proibite dove rimane tutt’ora.
È un pasticciaccio brutto, insomma, e la nomea di Sun Yang ne risente irrimediabilmente. La Federazione australiana, storica rivale di quella cinese, chiede al connazionale Denis Cotterell d’interrompere il suo rapporto di lavoro con l’atleta che allena da anni; Cotterell si rifiuta e Sun riprende a vincere, circondato però dal rancore degli avversari.
Ai mondiali di Kazan 2015, la finale maschile degli 800 stile libero è tutta del campione in quinta corsia.
Ma quattro anni più tardi, nella notte tra il 4 e il 5 settembre, Sun è al centro di un nuovo caso. Quella notte, tre ispettori della WADA si presentano a casa sua, per sottoporlo a controlli che dovrebbero essere di routine anche lontano dalle competizioni: il susseguirsi dei fatti non è chiaro, perché dell’accaduto esistono diverse versioni: quella del Sunday Times, che lancia lo scoop per primo, quella dell’entourage di Sun e quella della FINA, la federazione internazionale del nuoto.
Di certo sembra esserci che Sun prima riempie le provette necessarie per il test, poi le distrugge con le proprie mani (qualcuno dice utilizzando un martello) dopo aver constatato che solo uno dei tre ispettori alla sua porta era in grado di mostrare le credenziali necessarie. È un altro pasticcio, forse ancora più goffo di quello precedente, e termina con un’archiviazione da parte della FINA che non ritiene vi siano gli elementi per considerare il comportamento di Sun come improprio.
Nessuna squalifica, quindi, ma la WADA non ci sta e decide di ricorrere al TAS sportivo con sede a Losanna: i tempi della giustizia sportiva, si sa, non sono celeri e la sentenza dell’organo giudiziario, diretta emanazione del CIO, è attesa per il prossimo settembre.
Così, come capitato quattro anni prima, Sun continua a vincere, prima ai giochi asiatici di Jakarta e poi, è cronaca recente, ai mondiali sudcoreani.
Lotta serrata nei 400 maschili stile libero, con Gabriele Detti che strappa il bronzo.
Quelle che prima erano semplici occhiatacce, oggi sono trasformate in disprezzo espresso apertamente, un sentimento comune di cui Horton e Scott sono i portabandiera volontari. Per conto suo, Sun non facilita di certo la riconciliazione con il mondo esterno, anzi sembra trovarsi perfettamente a suo agio nel ruolo di ‘cattivo’ e utilizza il discredito che il mondo del nuoto manifesta nei suoi confronti come propellente per motivarsi ad andare oltre i propri limiti.
Dotato di una sensibilità empatica inversamente proporzionale al talento in vasca, Sun risponde alle provocazioni con la stessa spavalderia con cui, poco più che ventenne e sprovvisto di patente di guida, si era messo al volante della Porche Cayenne di proprietà di un famigliare per poi schiantarsi contro un bus sulle trafficatissime strade della città d’origine. Uscito miracolosamente illeso dall’incidente, dopo aver pagato la cospicua cauzione richiesta per il suo rilascio, Sun è stato costretto a rinunciare a qualsiasi contratto pubblicitario o di sponsorizzazione per i successivi nove mesi.
Dopo aver praticato pubblica ammenda, viene riammesso a pieno titolo tra le stelle dello sport nazionale e ricomincia a vincere, sempre ostentando quella tracotanza che è ormai diventata un tratto distintivo. La stessa tracotanza che lo induce a rispondere platealmente alle istigazioni di avversari e tifosi, impedendogli di comprendere come l’oggetto delle provocazioni e delle proteste, forse, non sia nemmeno lui.
Il lato oscuro del nuoto
L’impressione è che gli atleti coinvolti nella furiosa polemica montata durante i campionati mondiali di Gwangju, aldilà delle singole responsabilità derivanti dalle proprie azioni, siano la parte più esposta ma in fondo meno colpevole di un sistema complesso, stratificato e assai poco trasparente. La questione sul tavolo è innanzitutto quella relativa ai rapporti tra la Cina ed il resto del mondo.
Per quanto gli ultimi vent’anni abbiano rappresentato un prodigioso balzo in avanti verso la modernizzazione del paese, i processi e i meccanismi che regolano la vita, non solo quella sportiva, nella Repubblica Popolare Cinese rimangono opachi, indecifrabili o, molto più semplicemente, ancora molto distanti dalla visione occidentale. Ragioni di opportunità politica e rapporti di forza dettati dal mercato, tuttavia, rendono volubile la dialettica con quella che è destinata, a breve, a diventare la prima potenza economica mondiale.
L’atteggiamento comune verso la Cina è curiosamente simile a quello dell’opinione pubblica e delle controparti istituzionali nei confronti del problema del doping: l’indignazione è a rilascio graduale oppure, nella maggior parte dei casi, vive di picchi postumi all’emergere dei singoli scandali per poi ricadere nell’oblio con sorprendente facilità. Nel bel mezzo di questa contrapposizione fumosa, sospesi a metà strada tra il ruolo di protagonisti idolatrati e quello di capri espiatori, ci sono gli atleti.
‘Icarus’ documentario premio Oscar nel 2018, una denuncia scioccante rimasta inascoltata.
Al centro della protesta inscenata da Horton e Scott, quindi, non c’è tanto Sun Yang, quanto la politica astrusa, discontinua e speculativa che la FINA in primo luogo, e la WADA di rimando, hanno fin qui applicato alla questione doping. In definitiva, suo malgrado, il campione cinese è diventato l’emblema di un sistema che non funziona e, anche grazie al temperamento adamantino e a una condotta non proprio esemplare, è finito per calamitare su di sé buona parte del malcontento che serpeggia tra atleti, appassionati e addetti ai lavori.
In attesa della sentenza del TAS di Losanna - per cui Sun ha chiesto che l’udienza sia, al contrario di quanto avviene di norma, aperta al pubblico e ai media - e delle eventuali ripercussioni sul medagliere o per i due nuotatori ribelli, entrambi oggetto di richiamo ufficiale da parte delle rispettive federazioni, quanto successo ai mondiali di Gwangju potrebbe servire da pungolo per imprimere finalmente una svolta alla gestione dei controlli antidoping, nel nuoto e non solo.
Ma con un po’ di pessimismo possiamo immaginare che più probabilmente tutto rimanga come prima: Sun Yang continuerà a interpretare - magnificamente, va detto - il ruolo del reprobo, e l’onesta fatica di tanti nuotatori sarà vanificata, la gloria dei vincitori intaccata dalla cultura del sospetto. D’altra parte, per combattere i sospetti starebbe alle istituzioni fare chiarezza e punire con certezza chi trasgredisce.