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L'utilità della suola nel calcio contemporaneo
05 ott 2020
Spesso frainteso per un vezzo estetico, l'uso della suola ha invece molti risvolti pratici.
(articolo)
16 min
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Quando osserviamo un giocatore abile a toccare il pallone con la suola spesso lo etichettiamo come un animale raro, un po’ eccentrico, che invece di accompagnare in maniera pratica la sfera con il collo esterno, lo fa con una parte inusuale e innaturale del piede. Ogni volta sembra un semplice vezzo.

Non si discute quasi mai del valore di saper tenere il pallone sotto i tacchetti, probabilmente perché pochi calciatori esplorano il fondamentale. La pianta non è intuitiva da usare come l’interno o il collo e, se classificassimo le parti del piede come i tagli della carne, non avrebbe nemmeno il carattere nobile dell’esterno, superficie della scarpa adoperata davvero da pochi eletti. La differenza tra l’uso dell’esterno e quello della suola mi sembra utile per chiarire quale sia il senso di saper usare la suola e perché potrebbe diventare qualcosa di più di una parte del piede riservata a chi ha giocato a futsal o in una banlieue.

Esterno e suola, nella percezione comune, possono sembrare due modi ugualmente leziosi di toccare la palla, a volte più belli che utili. La differenza principale, però, è la difficoltà d’esecuzione: l’esterno è privilegio di pochi, la suola potenzialmente è accessibile a tutti, richiede più intelligenza che talento. Servono qualità tecniche straordinarie per colpire con precisione la sfera d’esterno, la parte meno ergonomica della scarpa e per questo prerogativa dei giocatori più dotati; proprio come il dribbling, si tratta spesso di un dono naturale, un gesto figlio dell’improvvisazione e dell’intuito. La suola invece è relativamente semplice da usare: in qualsiasi squadra di calcio a cinque, uno dei primi fondamentali che anche il giocatore più scarso deve assimilare è proprio il controllo con i tacchetti. Nel mondo del calcio, però, non è uno strumento così diffuso.

C’entrano innanzitutto le dimensioni del campo e le esigenze del calcio moderno, soprattutto quella di orientare il controllo per allontanare la palla dalla pressione e preparare la giocata successiva: il contrario rispetto al controllo di suola, dove il più delle volte la sfera resta sotto il corpo di chi riceve. Per questo motivo i pochi interpreti della pisadita sono gli ex giocatori di futsal o i calciatori cresciuti per strada. Tra gli esponenti più brillanti della prima scuola Ben Yedder e Lamela, tra i secondi, oltre ad artisti senza tempo come Riquelme e Zidane, soprattutto i francesi originari del Maghreb, che hanno fatto di quella parte del piede una forma d’espressione (Belhanda, Mahrez, Benrahma, Taarabt).

Ben Yedder a parte, gli esempi appena citati sono però casi particolarissimi, giocatori capaci di imporsi grazie a una tecnica fuori dal comune e di usare la suola in modo manierista proprio come quei giocatori che, invece di affidarsi al piede debole, preferiscono sventagliare con precisione d’esterno. In questo pezzo, invece, voglio individuare situazioni di gioco piuttosto comuni – non isolamenti in mezzo a orde di avversari come capita ai giocatori citati - in cui la suola può essere utile a trarre dei vantaggi e in cui per usarla non serve necessariamente il talento da freestyler di Mahrez ma basta avere buona tecnica e, soprattutto, lettura intelligente degli spazi.

La suola come innesco del pressing

Il primo caso di uso intelligente della suola è davvero accessibile a chiunque: non serve a vincere l’uno contro uno, né a conservare il possesso in situazioni complicate. Lo scopo, invece, è trovare il momento giusto per liberarsi del pallone e creare un contesto vantaggioso per la squadra. La suola infatti può diventare un ottimo innesco per il pressing avversario, un’arma utilissima per le squadre abituate a uscire dal basso per giocare attraverso le linee di pressione. Ne ha parlato esplicitamente Roberto De Zerbi, in una videolezione con Renzo Ulivieri dedicata proprio alla prima costruzione. Il Sassuolo è tra i migliori esempi di gestione del possesso basso in Italia. Durante la conferenza il tecnico bresciano ha insistito sull’importanza di attirare il pressing per poi giocargli in maniera diretta alle spalle. La suola è utile proprio per scatenare l’aggressività degli avversari. De Zerbi lo ha spiegato con l’esempio di un suo ex giocatore, Antonio Vacca, centrocampista delizioso con una carriera per nulla all’altezza del suo talento. «Capita di trovare qualche giocatore che quando gli parli di suola pensa che si tratti di estetica o di una cosa fine a sé stessa. Avevo un giocatore […], Antonio Vacca, a Foggia. Lui era amante della suola. Certe volte gli dicevo: “la suola se serve devi utilizzarla, se non serve non devi utilizzarla”. Lui rispondeva: “Mister, quando io utilizzo la suola, l’avversario viene più forte a pressarmi. Io la suola, in quel momento, la utilizzo per tirar fuori più forte l’avversario”. Se ci pensate è così: la suola, inconsciamente, dà all’avversario la voglia di pressarti in maniera più violenta […]».

Forse non c’è una spiegazione logica, ma è vero che la suola spinge chi difende a farsi sotto in maniera più aggressiva. Magari è una conseguenza del senso di rilassatezza che esprimono i tocchi di suola: si pensa che il controllo con quella parte del piede sia sinonimo di poca concentrazione, quindi quale miglior occasione per rubare il possesso? O forse perché il pallone sotto i tacchetti significa fermarsi, raffreddare il ritmo e riflettere: la pausa propria dei controlli di suola induce il difensore a credere che l’uomo in possesso sia in difficoltà, che abbia bisogno di arrestarsi perché non sa come sviluppare l’azione, allora la situazione è propizia per aggredirlo.

Si tratta di spiegazioni legate alla sfera individuale del calcio, ridotto al confronto col diretto avversario. In realtà credo sia decisivo anche il modo in cui si tiene la palla sotto la pianta. Capita spesso che i difensori del Sassuolo usino i tacchetti per indietreggiare leggermente col pallone. La ritirata induce la prima linea di pressione, forse davvero in maniera inconscia, ad alzarsi, visto che si riducono, seppur di poco, gli spazi a disposizione dei difensori. Un espediente utile per una squadra come il Sassuolo, che costruisce molte delle sue palle gol dopo aver costretto gli avversari a scoprirsi. Ancora più utile se si pensa al contesto della Serie A, dove sono poche le squadre che aggrediscono gli avversari sin dalla circolazione bassa. La suola quindi diventa parte integrante del gioco di posizione di De Zerbi soprattutto contro squadre dal blocco medio: spinge l’attaccante ad aggredire il difensore invece di schermare la linea di passaggio sul mediano.

Ecco un esempio dalla partita contro il Lecce. Gli ex uomini di Liverani, schierati col 4-3-1-2, si assestano su un blocco medio-alto, con le punte Farias e Babacar che negano la trasmissione verso il doble pivote di centrocampo. Gianmarco Ferrari è in possesso sul centro sinistra. Il corpo è rivolto verso l’interno, sembra cercare un passaggio diagonale verso Bourabia, marcato però da Farias. Davanti al centrale italiano c’è Babacar, che copre la linea di passaggio su Locatelli, a sua volta incalzato alle spalle dal trequartista Mancosu. Senza sbocchi per vie centrali e senza voler scaricare in fascia su Kyriakopoulos, Ferrari pianta la suola sulla sfera e indietreggia.

Babacar subito si stacca per pressarlo. Bourabia dal centro destra si avvicina e Farias si abbassa per schermarlo. Il movimento dell’attaccante brasiliano lascia più spazio all’altro centrale, Marlon, che riceve il passaggio di Ferrari.

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Farias a questo punto abbandona Bourabia per uscire su Marlon. Del centrocampista marocchino si occupa Mancosu, che accompagna il pressing. Quando il trequartista leccese si alza, però, alle sue spalle resta libero Locatelli. Marlon trova il tempo di alzare la testa e di servire l’ex centrocampista del Milan con un preciso scavetto: il Sassuolo adesso può proiettarsi in avanti.

La scelta di Marlon di arretrare ha creato un effetto domino sul Lecce che ha permesso agli emiliani di uscire da una fase di stallo. Si può obiettare che il brasiliano avrebbe potuto indietreggiare anche con un’altra parte del piede. L’interno però lo avrebbe costretto a girarsi di spalle o comunque a ritrarre con meno naturalezza il pallone, condizionando l’esecuzione e la tempistica del passaggio successivo. La suola invece permette di tenere sotto controllo la sfera mantenendo la postura adeguata e lo sguardo rivolto in avanti. Lo spiega anche De Zerbi, alla fine della sua digressione su Vacca: «La suola serve per stanare l’avversario e per avere frontalmente la palla».

La suola a centrocampo e gli occhi dietro la testa

Il vero vantaggio della suola, rispetto ad interno, collo ed esterno, è che si tratta della parte più intelligente del piede, quella che razionalizza al meglio lo spazio a disposizione. Avere un buon controllo con la suola significa non precludersi nessuna soluzione e nessun possibile cambio di direzione, sia laterale, sia, come nel caso che sto per descrivere, da una situazione di gioco spalle alla porta a una di gioco frontale. A ridosso della metà campo, grazie alla pianta c’è sempre la possibilità, per l’uomo in possesso, di girarsi improvvisamente fronte alla porta, anche quando l’avversario lo costringe a rivolgersi verso la propria metà campo. La dimestichezza con la suola, unità alla capacità di usare con astuzia il fisico – anche senza avere particolare forza muscolare – e soprattutto di analizzare con intelligenza e in tempi brevi gli spazi attorno a sé, permette di usare l’avversario come perno e di sfruttarne il contatto per aggirarlo.

Se, pressati da dietro, si riesce a indurre il marcatore ad aggredire su un fianco, senza rimanere passivo alle spalle, allora si libera il lato opposto in cui indirizzare il pallone per provare a girarsi fronte alla porta. Basta solo individuare per tempo quel corridoio e capire come percorrerlo. Se la pressione lascia libero il lato verso cui si può condurre con l’interno del proprio piede forte, allora basterà ruotare e toccare velocemente di piatto per girarsi. Se però la pressione chiude il lato interno del piede forte (quindi chiude il tocco verso sinistra per un destrorso e quello verso destra per un mancino), allora restano due modi per girarsi fronte alla porta: ruotare con la suola, oppure virare con l’esterno. Sono pochissimi i giocatori, come Dybala e Neymar, che spalle alla porta riescono a piegare la caviglia fin quasi a spezzarla per girarsi con l’esterno. Per chi non ha quell’elasticità, nel fisico o nel piede, la suola è la risorsa più semplice da usare: i tacchetti spostano con tocchi impercettibili il pallone in avanti e il bacino ruota in maniera naturale mentre accompagna il movimento. In più, la protezione palla col lavoro del fianco e del braccio opposto impedisce all’avversario di affondare il tackle. Insomma, la suola permette di sopravvivere nello stretto anche a chi non è sgusciante o non ha una frequenza di tocco elevata.

Cito come esempio una giocata di Pirlo durante la semifinale di Euro 2012 contro la Germania. Pirlo eseguiva molti dei suoi dribbling in prima costruzione, spalle alla porta, con un semplice controllo orientato da destra verso sinistra. Prima di ricevere osservava sempre lo spazio intorno a sé, per questo sapeva dove indirizzare il pallone per eludere il pressing: i classici occhi dietro la testa, insomma. Pirlo prendeva contro tempo il marcatore un istante prima del corpo a corpo, così rimediava a tutti i suoi problemi di mobilità. Cosa fare però se l’avversario riesce a prendere contatto? Semplice, ricorrere alla suola. Il regista ce ne dà un saggio nella semifinale di Euro 2012 con la Germania.

Lahm spazza male un pallone che finisce sulla mediana tra i suoi piedi. Il controllo in avanti è leggermente lungo, così Lahm si fa sotto per recuperare subito palla. Senza le condizioni per eseguire un dribbling frontale, Pirlo ferma il pallone col sinistro e si gira di spalle per proteggerlo dal tedesco. Il terzino del Bayern lo attacca sul lato sinistro, quello verso cui Pirlo, di solito, avrebbe indirizzato la palla con l’interno destro. La maggior parte dei giocatori a quel punto avrebbe cercato il fallo o lo scarico sul difensore. Invece Pirlo, quando copre la sfera, ha già letto lo spazio lo spazio intorno a sé e le possibili soluzioni. Se Lahm lo pressa da dietro alla sua sinistra, allora resta libero il corridoio sulla destra. Il ventuno si appoggia all’avversario e lo allontana con l’anca sinistra, mentre con la suola del destro ruota verso la porta avversaria. Mentre la pianta sposta la palla, Pirlo trasforma il tedesco in una porta girevole.

La sensibilità del destro di Pirlo è quasi irripetibile, ma in questo dribbling più che il talento conta la lettura degli spazi. Se non avesse visto, o comunque intuito, il corridoio libero alla sua destra, Pirlo non avrebbe mai pensato a quel dribbling e dunque non avrebbe mai deciso di usare la suola. Per un giocatore intelligente, capace di leggere gli spazi a disposizione, la suola diventa una soluzione spontanea: un po’ come uscire da un vicolo con l’auto a marcia indietro, invece di fare manovra per girarla.

La suola in attacco

A centrocampo, come detto, la pressione del marcatore lascia quasi sempre uno sbocco laterale. A ridosso dell’area, invece, gli spazi si riducono. Vicino all’uomo in uscita, infatti, ci sono sempre i suoi compagni pronti a coprirgli i fianchi e le spalle. È quasi impossibile, negli ultimi venticinque metri, girarsi fronte alla porta dopo una ricezione col difensore dietro. Ci vuole davvero un talento speciale e non basta più la lettura intelligente del campo intorno a sé.

A volte però non è necessario scappare via al proprio controllore. Ci si può sacrificare e giocare di spalle per attivare un proprio compagno che arriva da dietro e vede la porta. La suola allora torna nuovamente utile, per proteggere palla, evitare raddoppi e preparare lo scarico verso l’attaccante o il centrocampista in ricezione frontale.

Come esempio in questo caso cito una giocata di Salah nella semifinale d’andata di Champions dello scorso anno col Barcellona. Salah è quanto di più distante possa esserci da un pivot di futsal. È un’ala che dà il meglio in campo grande, ma che a Liverpool ha imparato a migliorare un gioco nello stretto che già esprimeva ai tempi del Basilea di Murat Yakin. L’intelligenza con cui usa la suola in questo caso è sintomo di come si tratti di una parte del piede spesso più legata alla sfera cerebrale del calcio che a quella del talento tecnico puro.

Salah controlla sul lato destro dell’area blaugrana un brutto cross di Henderson. Messa palla a terra si ritrova spalle alla porta, con Busquets incollato dietro. Per proteggerla quasi si siede sullo spagnolo, apre le braccia. Vidal, a due passi sulla destra dell’attaccante del Liverpool, si catapulta su di lui in raddoppio. Quando, col sinistro, prova ad affondare il tackle, Salah ritrae il pallone con un secondo tocco di suola. A quel punto Wijnaldum da dietro si è mosso alle spalle di Vidal. Salah, grazie alla pettinata con cui ha evitato il cileno, si è portato la sfera sul piatto senza mai staccarla dal piede, e può scaricare alla mezzala che, fronte alla porta, appoggia a Milner sul lato debole. ter Stegen para la conclusione.

Senza la pianta, Salah non avrebbe mai potuto sottrarre il pallone all’intervento di Vidal e, di conseguenza, il Liverpool non avrebbe costruito il tiro. La giocata dell’egiziano esplicita la vera differenza tra la suola e qualsiasi altra parte del piede. Con l’interno o il collo ci sarà sempre una porzione di spazio, seppur minima, in cui la palla non è attaccata alla scarpa, che quindi non può spostarla, a meno di non avere frequenze di tocco da fuoriclasse. La pianta invece resta sempre in contatto con la sfera. Torna la razionalizzazione degli spazi, anche quelli più piccoli: con la suola i tocchi sono più corti e quindi si sposta la palla in ogni singolo centimetro di campo a disposizione. Qui Salah con i tacchetti fa passare la palla di poco a lato del piede di Vidal. Con un tocco di piatto sarebbe stato più difficile percorrere con precisione quel corridoio: la palla avrebbe avuto una traiettoria più interna e sarebbe carambolata sul piede del cileno.

In definitiva, grazie alla suola è possibile reagire per tempo ai tackle avversari proprio perché la palla è già sotto il dominio del piede, serve meno tempo per spostarla e si può scegliere di indirizzarla secondo qualsiasi angolatura. Inoltre, se si è già visualizzato il compagno a cui dare la palla, c’è la possibilità di dare una pettinata per portarla direttamente sull’interno e, senza mai staccarsene, eseguire il passaggio di piatto. È quello che fa Salah in questa azione e che fa spesso nell’Ajax Dušan Tadić, appassionato di calcetto nel tempo libero e forse attaccante più abile al mondo con la suola.

Prendiamo quest’azione, tratta dalla partita dello scorso anno contro il Real Madrid. Tadić riceve un passaggio orizzontale sul lato sinistro dell’area. Si ritrova fronte alla linea laterale, quindi con il centro dell’area alle spalle. Per girarsi verso il centro, dovrebbe eseguire un controllo orientato di piatto sinistro, con cui però rischierebbe di allontanare troppo il pallone e favorire il tackle di Nacho, il difensore davanti a lui.

Tadić allora controlla direttamente con la suola, come un vero professionista del fustal, e sposta il pallone verso l’interno. La palla resta sotto il suo corpo, quindi Nacho non ha la possibilità di intervenire sulla sfera. A quel punto, serve di piatto van de Beek al limite.

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Tra il controllo con la pianta e la trasmissione passano pochi millisecondi, perciò Kroos che rientra da dietro non ha neanche la possibilità di pressare il serbo alle spalle per prevenire lo scarico. La suola mantiene sempre la palla nella disponibilità del piede, dunque i tempi dell’esecuzione del passaggio, proprio come nel caso di Salah con Vidal, si dimezzano: uno dei tanti vantaggi di sapere usare con intelligenza la superficie inferiore del piede.

L’aspetto più interessante dell’azione però è il cambio di postura di Tadić. Se sulla ricezione è spalle all’area, col controllo di suola che sposta la sfera verso il centro ruota anche lui in quella direzione. Insomma, lo stop di suola diventa un vero e proprio controllo orientato, con cui si predispone il corpo alla giocata successiva. La differenza con i controlli orientati più canonici è che la palla non si allontana ma resta sotto il piede del giocatore: indispensabile, in questo caso, per evitare l’intervento di Nacho a un paio di metri da lui. Un controllo d’interno l’avrebbe resa una vera e propria palla vagante. La suola invece la mantiene nella disponibilità di Tadić. In spazi stretti, dunque, se c’è necessità di orientare il controllo ma ci sono avversari nei paraggi, l’uso della pianta permette di ruotare il corpo e contestualmente di non avvicinare il pallone alla sfera d’influenza del difensore.

Tutte le situazioni elencate sono piuttosto frequenti durante i novanta minuti. Nel calcio moderno, peraltro, in ogni fase di gioco gli spazi sono sempre più stretti. Senza palla le squadre hanno raggiunto livelli d’efficienza mai visti prima. I sistemi di pressing alto riducono al minimo il campo disponibile per la prima costruzione. Quelli di difesa posizionale soffocano tutti gli spazi nei corridoi centrali. Insomma, se la suola è la chiave per sviluppare il gioco nel perimetro ristretto del futsal, magari può tornare utile in un calcio in cui le strategie difensive restringono sempre meglio il campo. A patto di dare valore alla tecnica e al pensiero, importanti in egual misura nell’uso di una porzione così particolare del piede.

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