Il 7 febbraio 2016 quella manifestazione seguita da 160 milioni di persone nel mondo, diventata un fenomeno di costume prima che sportivo, una festa nazionale al pari di quella del Ringraziamento è arrivata alla 50esima edizione. Il Superbowl, che oggi incorona il commercial più bello al pari della più forte squadra del mondo, ha origini, specie di costume, molto lontane. Il football è cambiato molto e, anche se si tende a dimenticarlo, la NFL ha origini ben più antiche.
Mickey Mouse League
Quando nel gennaio del 1967 si gioca il primo Super Bowl la NFL aveva in realtà già una quarantina di anni di storia alle spalle, mentre la AFL era nata, come alternativa più giovane e ad alto tasso di spettacolarità, solamente agli inizi degli anni '60. Come accadrà ad ABA e NBA qualche anno più tardi, le due leghe hanno la brillante idea di fondersi. Da una parte la ingessata e old school NFL aveva bisogno di linfa vitale e idee nuove; dall'altra la AFL aveva bisogno di stabilità e una struttura di business rodata. Ma la fusione è morbida, entrambe hanno contratti televisivi in essere (36 milioni per 5 anni la AFL, 29 per 2 anni la NFL) e prima della scadenza degli stessi e della fusione vera e propria le due leghe decidono solamente di giocare una partita tra le vincitrici di entrambe le leghe, in quello che viene chiamato banalmente NFL-AFL Championship Game e retroattivamente Super Bowl I.
Il divario delle due leghe era ancora complesso e la prima partita, giocata in un L.A. Coliseum grottescamente deserto, fu una passeggiata dei Packers di Vince Lombardi che si abbatterono sui malcapitati Kansas City Chiefs 35-10. Eppure l'esperimento rischiò di fallire prima di iniziare, infatti il governo americano era molto dubbioso sul monopolio sul football che la NFL stava andando a creare. La contesa si concluse solamente dopo mesi e dopo il forte lobbing della NFL che comprò di fatto il cruciale voto del senatore Russell Long promettendogli un'espansione nella sua città. Da qui nacquero l'anno dopo i New Orleans Saints che vinsero nel 2009 il loro primo e unico titolo NFL.
L'organizzazione del primo Super Bowl fu una mezza impresa. Né la rete CBS, che deteneva i diritti per la NFL, né la NBC, che deteneva quelli AFL, voleva mollare la presa sulla partita. Alla fine ci si accordò e, per la prima e unica volta, la partita fu trasmessa da due canali con due telecronache diverse.
Il prezzo del biglietto del primo Super Bowl fu tenuto su costi contenuti, 8 dollari, ma nonostante questo fu un flop di partecipazioni. Il sud della California non trovava granché attraente una partita la domenica pomeriggio giocata tra due squadre separate da miglia di distanza. E non ci fu escamotage televisivo che tenesse, visto che stringere l'inquadratura rendeva impossibile seguire le azioni di gioco di punt e kickoff.
Eppure l'evento fu un discreto successo televisivo che fece ben sperare. 65 milioni di persone videro la partita, battendo il record per ogni precedente evento sportivo in USA. Il 71% degli americani che quel pomeriggio erano seduti davanti alla TV stavano guardando il Super Bowl, e i network furono in grado di vendere lo spazio pubblicitario a 42mila dollari ogni 30 secondi. Un inizio di avventura davvero promettente.
Nonostante la fusione in vista, non scorreva buon sangue tra le due leghe. Vince Lombardi dopo aver definito mediocri i Chiefs del primo Super Bowl, definì Mickey Mouse League la concorrente AFL. La nascita della NFL fu testimone della consacrazione della prima vera dinastia footballistica a stelle e strisce con la squadra di Lombardi che, oltre a conquistare i primi due Super Bowl, vinse 3 titoli tra il '61 e il '65. Eppure i Packers dovettero attendere 3 decadi per vedere trionfare la propria squadra.
Nonostante il tono sprezzante, le indicazioni di Lombardi non erano campate in aria. La fusione dei due campionati prevedeva la divisione della NFL in due conference: la NFC con le reduci della prima versione della NFL e la AFC in cui confluivano quelle provenienti dalla AFL. Eppure, vista la particolare struttura del calendario, c'era il rischio che la AFL non riuscisse a fare il cambio di passo necessario a rendere equilibrata e appassionante la nuova lega. E soprattutto che non ci fosse mai equilibrio e spettacolo nell'atto conclusivo.
Nel 1969 viene reso ufficiale il nome della competizione: Super Bowl. Il nome nasce quasi per caso in uno dei primi meeting quando il proprietario di Kansas City, non sapendo come riferirsi a questa partita, per scherzo coniò il termine Super Bowl, in riferimento al Super Ball, il giocattolo con cui giocavano i figli. Quella che fu una grossa risata al meeting prese piede poi presso la stampa che cominciò a usarlo come termine alternativo a quello ufficiale, troppo macchinoso. Ma non era una denominazione che piaceva granché all'allora commissioner Pete Rozelle che spinse per il nome di Ultimate Bowl. Ma l’etichetta "Super Bowl" aveva preso così tanto piede che si dovette piegare alla logica di un nome che riteneva sciocco e iperbolico. Per fortuna quel famoso scambio di battute lasciò quella stanza.
12 billion dollars league
Se c'è una cosa che il commissioner Rozelle aveva capito erano le potenzialità ancora latenti della televisione come medium, e della “televisibilità” di uno sport come il football, soprattutto rispetto al baseball, sia a livello sportivo che a livello commerciale. La struttura in 4 down rendeva il gioco ricco di pathos e le numerose pause rendevano il prodotto un fit perfetto per il mondo dell'advertising.
Già nel 1965, per la prima volta, il football era stato indicato come sport preferito in un sondaggio nazionale e l'avvento del Super Bowl rappresentò un’ulteriore arma a disposizione del management della NFL per imporsi come prima major league degli Stati Uniti.
Ma Rozelle dovette usare tutta la sua potente influenza per convincere i proprietari, i cui ricavi si basavano ancora principalmente sugli eventi legati dello stadio, tra pubblicità locale e biglietti staccati, e vedevano la TV come una minaccia alle loro tasche. Se le partite potevano essere comodamente viste in TV, perché la gente avrebbe continuato ad andare allo stadio?
Rozelle convinse i proprietari a vendere le partite della NFL come unico pacchetto per poi dividere equamente tutti i ricavi. Questo permetteva anche ai piccoli mercati come Green Bay di ottenere la loro importante fetta di ricavi, e rimanere sportivamente competitivi, un altro grosso vantaggio rispetto alle storiche disuguaglianze del baseball. Questo ripartimento infatti rendeva il campionato equilibrato, competitivo e quindi interessante. L'altra idea vincente di Rozelle fu quella di riunire e vendere i diritti di merchandising sul materiale NFL. Una decisione che portò ad un cambio netto di divise e loghi che comparvero in massa su caschi e maglie e fece entrare la NFL nel lifestyle americano. Con questi picchi di entrate la NFL poté investire di più su pubblicità e sponsorizzazioni, diventando la più grande macchina da soldi tra le leghe americane.
La spallata definitiva al baseball arrivò a metà anni '90, quando il lunghissimo lockout (oltre 230 giorni) della MLB e il conseguente crollo verticale (fino al 20%) dell'interesse definì il sorpasso definitivo della NFL, che sportivamente e commercialmente non si è più guardata indietro.
Nel 2015 la NFL, nonostante una serie di scandali che ne hanno danneggiato l'immagine, è arrivata a fatturare oltre 12 miliardi di dollari con una aumento del 16% rispetto all'annata precedente. L'obiettivo dichiarato dell'attuale commissioner NFL è quello di arrivare a 25 miliardi di dollari entro il 2027. E i margini di crescita sembrerebbero reali, soprattutto se la lega si aprisse al mondo del betting, da sempre ostracizzato dalla NFL.
For the ages
Con il ritiro di Lombardi i Packers chiusero un ciclo e nel 1969 furono i Baltimore Colts a prenderne il testimone vincendo il campionato NFL con un impressionante 13-1. Dall'altra parte in AFL arrivarono un po' a sorpresa i New York Jets guidati da una buona difesa e da un attacco assai rivedibile. I Colts erano dati dai bookmakers vincenti di 18 punti e questo farà dei Jets i più grandi underdog della storia del Super Bowl. Joe Namath, draftato in uscita dal college da squadre di entrambe le leghe e che fin a quel momento in stagione aveva lanciato più intercetti che touchdown, a 3 giorni dalla partita dichiarò spaccosamente che i suoi avrebbero vinto la partita. La difesa dei Jets eresse di fatto un muro contro i Colts e, con un attacco paziente ed efficace, i Jets si portarono avanti 16-0 alla fine del terzo quarto. I Colts non poterono altro che mettere a tabellone 7 miseri punti nell'ultimo quarto, per quello che fu il più grande upset della storia. I Jets della AFL erano campioni del mondo. Mickey Mouse league no more.
Joe Namath punta il dito dopo il più grande upset della storia
Questa vittoria improbabile fu fondamentale per la storia della NFL. I timori sull'equilibrio della sfida furono confermati dai dati televisivi, più bassi rispetto alle precedenti edizioni. Ma si parlò della notizia della vittoria dei Jets per settimane e questo riaccese l'interesse per una competizione particolarissima che non aveva eguali negli States, abituati a finali alla meglio delle 7 partite che duravano per un periodo di 2 settimane. Il Super Bowl era un'unica particolarissima partita, dove si decideva una stagione in appena 60 minuti e dove tutto, ma proprio tutto poteva accadere. Per queste peculiarità ben presto divenne un evento sportivo cult e memorabile.
Ma la vittoria dei Jets non fu per fortuna un caso isolato, visto che l'anno seguente i Kansas City Chiefs demolirono i Minnesota Vikings andando a pareggiare i conti dei Super Bowl vinti nelle prime 4 edizioni dalle due leghe. Il trend negli anni successivi fu assolutamente imprevedibile. 11 volte in 15 finali la squadra proveniente dalla AFC vinse il titolo, ribaltando in pochi anni tutti i pregiudizi e le presunzioni sulla tanto decantata NFC.
Gli anni '70 si aprono infatti con i Miami Dolphins che raggiungono il Super Bowl per tre volte consecutive vincendone due. La prima apparizione fu però uno show del quarterback dei Cowboys (che bissarono nel '78) Red Staubach e della difesa che lasciò a 3 miseri punti Miami. Ma nel 1973 Miami non solo si prese la ribalta battendo i Redskins al Super Bowl, ma con 17 vittorie su altrettante partite stabilì la prima e unica perfect season. Ancora oggi i reduci di quella squadra festeggiano ogni volta che l'ultima imbattuta cade nella prima sconfitta stagionale. Se la prima parte degli anni '70 vede Miami protagonista, la seconda parte è territorio dei Pittsburgh Steelers e del quarterback Terry Bradshaw (oggi noto opinionista NFL) che con una squadra leggendaria portarono a casa 4 titoli su 14 Super Bowl. Tra i grandi protagonisti mancati ci sono invece i Minnesota Vikings che persero 4 dei primi 8 Super Bowl della storia.
Gli anni '80 sono territorio di San Francisco. La XVI edizione vede la consacrazione di Joe Montana, con la famosa The Catch di Dwight Clark nel Championship contro Dallas. I Niners bissarono nel 1985, con una prova da 500+ yard offensive, nel 1989 dove Jerry Rice ricevette per oltre 200 yard dominando la partita e nel 1990 con il terzo MVP di Joe Montana e il ritiro del leggendario head coach Bill Walsh. In mezzo il primo titolo dei Raiders dal trasferimento a Los Angeles, due titoli dei Redskins, il primo titolo dei Giants dopo 30 anni con Phil Simms che completò l'88% dei passaggi, e quello dei Chicago Bears con la mostruosa difesa composta da Mike Singletary, Richard Dent e William Perry (che segnò anche l'ultimo TD) che concessero appena 7 rushing yard ai malcapitati Patriots.
Come i Vikings nei '70, furono i Broncos negli '80 la grande dinastia mancata, in grado di perdere 3 Super Bowl in appena quattro anni nonostante un certo John Elway dietro al centro. Ma non ci fu più squadra mancata dei Buffalo Bills di inizio anni '90. La maledizione di Buffalo ebbe inizio nel 1991, quando il field goal vincente mancato da Scott Norwood a tempo scaduto regalò il Super Bowl ai Giants. Fu la più grande occasione per i Bills che persero altri 3 Super Bowl consecutivi, dai quattro intercetti di Jim Kelly contro Washington, alle due sconfitte contro la corazzata Cowboys che vinse tre titoli in quattro anni a metà anni '90, con l'unico acuto dei 49ers e i TD che Steve Young, backup per anni di Montana, lanciò nel Super Bowl 1995 portando i 49ers a quota cinque titoli, pareggiati da Dallas l'anno seguente.
La fine degli anni '90 vide da una parte la nascita del mito Brett Favre, che trascinò alla vittoria nel 1997 Green Bay per la prima volta dal ritiro di Lombardi, e dall'altra la rivincita dei Broncos e di quel John Elway che dopo aver perso tre Super Bowl arrivò al riscatto inaspettato portando a casa non uno, ma ben due anelli consecutivi tra 1998 e 1999.
Il nuovo millennio si apre col il primo titolo dei Rams, che avevano lasciato Los Angeles solo qualche anno prima, e con una delle giocate più famose di sempre. Nonostante The Greatest Show on Turf, il micidiale attacco guidato da Kurt Warner, fu una giocata difensiva a decidere la partita.
Sei secondi rimasti sul cronometro Titans sotto di sette sulle 10 avversarie, contro una difesa dei Rams stremata, ma senza timeout. McNair parte dalla shotgun e pesca il ricevitore Kevin Dyson dopo una veloce slant che taglia fuori dai giochi la copertura del linebacker, riceve a 5 yard dalla linea della goal line. Con le ultime riserve di energia nervosa Mike Jones balza sul portatore di palla con un tackle perfetto e granitico fermando Dyson ad una yard dal TD del pareggio.
L'inizio del millennio però è affare dei New England Patriots di Bill Belichick e del leggendario Tom Brady che portano a casa tre titoli in 4 anni. Ma il quarto in 7 anni, dopo una stagione da 16-0 gli viene strappato insospettabilmente dai New York Giants e dal helmet catch di David Tyree, il quale dopo aver ricevuto per appena 69 yard in tutta la stagione 2007, ricevette un passaggio fondamentale.
Drive finale, 3&5 sulle 44 di New York. La tasca dei Giants collassa sotto i colpi dei difensive lineman avversari che arrivano a mettere le mani addosso, letteralmente, ad Eli Manning. In due lo bloccano tirandogli la maglia, ma in qualche modo Eli sfugge al sack divincolandosi, torna indietro e lancia un disperato pallone sul quale si avventa proprio Tyree che con il defensive back sul groppone blocca il pallone tra mani e casco, scende giù ed evita di perderlo. Le leggi della fisica si stanno ancora domandando come abbia fatto a ricevere e trattenere quel pallone. Un completo eccezionale che darà poi proseguo al drive del TD della vittoria a 35 secondi dalla fine, che spense i sogni di una perfect season (sarebbe stata la prima durante l'era del calendario a 16 partite) dei Patriots. In molti sostengono che l'helmet catch sia la miglior azione della storia del Super Bowl.
35 secondi nel cronometro anche per il TD vittoria di Santonio Holmes nel Steelers–Cardinals del 2008, dopo che Arizona aveva recuperato dal 20 a 7 fino al sorpasso nell'ultimo quarto. Ma la magia di Big Roethlisberger e di Holmes regalarono il sesto titolo alla franchigia della Pennsylvania, facendola diventare la squadra più titolata della storia.
La fine dei '00 e l'inizio dei '10 è privo di grandi squadre dominatrici, ma vede trionfare talenti del calibro di Aaron Rodgers e Drew Brees, vede bissare Eli Manning, ma anche le grandi difese come la Legion of Boom dei Seahawks e quella dei Ravens capitanata da Ray Lewis al canto del cigno. La giocata del decennio destinata a rimanere nella top 10 della storia del football è datata però appena 12 mesi fa. Dopo un miracoloso catch di Jermaine Kearse, uno di quei momenti sportivi che sanno di predestinazione, i Seattle Seahawks hanno la possibilità di bissare il successo dell'anno precedente. Ad 1 solo yard dalla vittoria, e con a disposizione una delle macchine da redzone più efficaci del globo, Seattle decide di lanciare una quick play che viene però letta perfettamente dal rookie undrafted Malcolm Butler che intercetta il pallone e fa calare il sipario sul Super Bowl numero 49 e regala il quarto titolo a Brady e i Patriots.
More than a game
Fino agli anni '70 e alla fusione definitiva delle due leghe il Super Bowl non era che un mero evento sportivo. I famosi halftime show erano tenuti da bande di college vicini alla sede della partita e fu solo nel 1971 che si esibì il primo artista solista. Anita Bryant - cantante pop-country, ricordata più per l'estremo attivismo omofobo, il quale arrivò ad abrogare una legge di Miami per i diritti dei gay, che per canzoni come Paper Roses - allietò l'Orange Bowl di Miami. Ma bisogna aspettare ancora almeno un decennio affinché lo show cominci a prendere i giusti connotati.
Ma per tutti gli anni '70 e '80 lo show non ha avuto una linea continuativa. Si sono alternate big band jazz e band collegiali ad artisti come Carol Channing o agli Up With People. L'unica idea era che doveva essere un big event. Per 2 decadi questo corrispondeva al riempire materialmente lo stage di tanti elementi, ma se nel 1982 tocca allo show di una superstar della musica come Diana Ross, nel 1989 arriva la prima sperimentazione con uno spettacolo in 3-D per il quale vengono distribuiti occhialini appositi agli spettatori. Ad esibirsi un prestigiatore travestito da Elvis (!). Nel edizione 1992 la Fox decide di uscire dai binari e trasmette il live action di una puntata della sketch comedy In Living Color. Questa scelta fece perdere 10 punti di rating in appena 15 minuti e fu probabilmente il punto più basso in 50 anni di storia.
Questo tonfo coincise con il punto di rottura. Fino a questo momento l'halftime show era considerato più come uno (stanco) rituale che come uno show nello show. Ma nell'edizione 1993, dopo il passo in avanti con Diana Ross, la rete NBC decise di cambiare per sempre le carte in tavola, e solo un artista come the King of Pop poteva riuscire nella impresa prefissa. L'esibizione di Michael Jackson per la prima volta portò i rating dell'halftime show a superare quella della partita stessa. MJ era probabilmente nella fase massima di notorietà in carriera e il Rose Bowl di Pasadena per una volta esplose non per un gesto tecnico in campo.
Michael Jackson sdoganò la figura del grande artista pop al Super Bowl che diventò una tradizione per il pubblico e un onore per l'artista. Stevie Wonder, Madonna, Tina Turner, Phil Collins, Christina Aguilera, Aerosmith, 'N Sync, Britney Spears, The Who, Bruce Springsteen, Sting, Prince, The Rolling Stones, Beyoncé e tanti altri calcarono il più grande palco del mondo.
Ma il wardrobe malfunction di Janet Jackson con Justin Timberlake resta probabilmente l'esibizione più ricordata, con lo show che è riuscito a unire esibizione canora e, grazie ad un escamotage da scandalo benpensante, un momento di commistione perfetta tra instant classic e trash televisivo.
Mad Men
Nel 1979 tutto il potenziale commerciale dell'evento si espresse con il primo grande e iconico commercial della storia. Tenendo fede alla fama comunicativa del marchio fu ovviamente Coca-Cola a dettare i tempi. Gli spettatori televisivi erano ormai 80 milioni e 30 secondi di spot erano arrivati a costare 185mila dollari. Lo spot era in onda dall'ottobre precedente, ma fu proprio il Super Bowl che lo consacrò come uno spot cult, tanto da essere poi parodiato dalla stessa Coca-Cola con Troy Polamalu al posto di Mean Joe Greene, e ricordato ancora con nostalgia.
Ma come fu il 1993 per l'halftime show, il 1984 è il punto di rottura del legame tra mondo della pubblicità e Super Bowl, quando viene mandato in onda uno dei più celebri commercial di tutti i tempi. La mente di Ridley Scott dietro la macchina da presa e quella di Steve Jobs dietro a Apple che presentava, con questo omaggio al 1984 Orwelliano, la liberazione dal conformismo da parte del Macintosh.
Per questo spot la Apple mise a disposizione 900mila dollari di budget e acquistò due slot, da 30 e 60 secondi, durante il Super Bowl del 1984. Dopo averlo presentato al consiglio di amministrazione venne però bocciato e fu ordinato di rivendere gli spazi pubblicitari acquistati. A stretto giro dalla messa in onda riuscirono a piazzare solamente quello di 30 secondi e alla Apple si dovettero piegare alla volontà degli ideatori mandando in onda il distopico spot di 1 minuto. Per loro fortuna fu un successo di pubblico e di settore incredibile e considerato ancora oggi come una delle pubblicità migliori degli anni '80. Fu la prima e unica volta che venne trasmesso, il che non solo lega a doppio filo questo momento iconico di televisione pubblicitaria al Super Bowl, ma le conferisce anche un aria mistica quasi inarrivabile.
Nel 1993 lo spettacolo si conferma più tra le pause che durante la partita. Dallas massacra i Bills segnando 52 punti, ma per fortuna ci pensano Michael Jackson e McDonalds a ravvivare lo spettacolo. Da un MJ all'altro, la multinazionale del food scrittura Michael Jordan e Larry Bird per uno dei più leggendari commercial di sempre. Una battaglia epica e grottesca a suon di canestri rimasto nella storia, e parodiato poi 10 anni più tardi con le stelle nascenti LeBron James e Dwight Howard.
La figura culturale totalitaria di Michael Jordan ha segnato il mondo dello sport e, attraverso i commercial, anche un evento come il Super Bowl. Nel 2003 uno sponsor storico di MJ come Gatorade sceglie il Super Bowl come piazza per un indimenticabile spot. Una epica sfida 1 vs 1 tra il Michael Jordan 39enne vicino al ritiro e una versione giovane di sé stesso. Iconicità che chiama iconicità.
"You reach, I teach".
Negli ultimi anni il Super Bowl è divenuto un momento fondamentale per tutto il mondo della pubblicità e per i più grandi brand del globo che pianificano per mesi il commercial da mandare in onda, visto il contesto e gli irripetibili numeri di spettatori, che può decretare un successo straordinario ma anche una debacle di visibilità incredibile. I creativi vivono con una enorme spada di Damocle sulla testa, ma spesso riescono a mischiare elementi pop, citazionismo, iconicità e dar vita a spot che lontano dal contesto del Super Bowl non avrebbero luogo e modo di esistere.
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Le particolarità sportive, sociali, culturali ed economiche si autoalimentano e rendono il Super Bowl l'evento sportivo annuale più seguito del pianeta assieme alla finale di Champions League. E probabilmente anche il più affascinante, in grado di unire milioni di persone in tutto il mondo per un evento che è diventato in egual misura sportivo, musicale, commerciale e di tendenza.
Al centro ovviamente c'è il football la cui anima riflette perfettamente gli USA e rimanda alla più pura ed esportata cultura americana in grado di attecchire ed incuriosire anche chi non abita il suolo statunitense. Uno sport che vive di sinergia con l'immaginario americano e che ha nel Super Bowl il più bel palcoscenico di visibilità.
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