
Sven-Göran Eriksson passeggia all’interno di stadi nei quali in passato è stato acclamato e fischiato, con il viso e il corpo stravolti dalla malattia e da tutto ciò che è necessario per provare anche soltanto ad alleviarne l’impatto devastante. Ci fa l’effetto di un secchio d’acqua gelata che ci colpisce mentre siamo stesi al sole, con gli occhi socchiusi e la testa altrove. In fondo, però, è anche un’immagine ci fa sorridere. Perché ci ricordiamo dell’esistenza di un uomo garbato, che ha attraversato due decenni simbolo del nostro calcio con un aplomb da lord inglese senza mai mettersi contro nessuno per i suoi atteggiamenti.
Eriksson seduto in panchina, sorridente o preoccupato, che parla con uno dei suoi assistenti, magari saluta una curva che lo sta incoraggiando alzando un braccio in segno di saluto. Eriksson che applaude una punizione di Sinisa Mihajlovic e che lo accoglie semplicemente dandogli la mano, al massimo una pacca sulla spalla. Eriksson che cerca di rimanere imperturbabile anche se intorno a lui c’è Roberto Mancini che sta perdendo la testa per l’ennesima volta. Eriksson perennemente impeccabile, con 40 gradi o sotto la grandine. Eriksson che è stato scienziato pazzo prima e gestore poi. Eriksson che nei momenti di rabbia diventava rosso in volto e si limitava a un «porca miseria».
Fatico a immaginare che ci sia qualche tifoso in grado di dire: «Ho odiato Eriksson». Qualora dovesse esistere, probabilmente non sarei nemmeno particolarmente curioso di scoprirlo.
Nascere in segreto
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