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Adel Taarabt e "la testa calda"
27 feb 2014
Difficile, ingestibile, immaturo: Adel Taarabt, nuovo trequartista del Milan, ha conquistato i cuori dei tifosi rossoneri con carisma e colpi di gran classe. "Genio e sregolatezza", si dice: ma ha ancora senso parlare in questi termini?
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TRAGEDIE

"Perché l'ho venduto? Perché volevo liberarmi delle teste calde, dei casinisti. Ma ha un grandissimo potenziale, potrebbe diventare il nuovo Zinedine Zidane. Deve solo mettere la testa a posto."

- Harry Redknapp, 2013, motivando la cessione di Taarabt al Fulham

Appena appresi della possibile notizia di uno scambio tra Adel Taarabt e Cristian Zaccardo scrissi subito sul mio profilo Facebook un post che consisteva in questa imbarazzante combinazione di lettere: Taaaaaaaaraaaaaaaaabt! Allora era solo un rumor di mercato, ma Taarabt, il trequartista franco-marocchino, è poi giunto al Milan per davvero. Taarabt è nato a Fez, è cresciuto a Marsiglia, e dopo una stagione nella Ligue 1 ha avuto una carriera calcistica totalmente londinese: Tottenham, poi Queen's Park Rangers, poi Fulham. Ora, Milan. È arrivato nel mezzo della perplessità dei più e dell'entusiasmo di pochi: sicuramente il mio e quello di alcuni miei amici. Uno mi rispose, “chissà quanti tifosi del Fulham hanno scritto sul loro profilo facebook Zaccaaaaaardoooo!”: non penso siano stati in molti. A dovere di cronaca, anche a Milano non eravamo in molti ad aspettarci che l'autodefinito “Cristiano Ronaldo marocchino” sarebbe diventato titolare fisso del nuovo Milan di Seedorf, e che avrebbe subito conquistato un posto di riguardo nel cuore dei tifosi. Ma tranquilli, lettori: non voglio fare quello che “l'aveva vista giusta”. La mia intenzione è solo di spiegarvi l'entusiasmo che provai, dal primo momento. L'amore, se volete. D'altronde, come avrei potuto non provarlo? Mio padre è nato in Nordafrica, sono milanista dalla nascita, e sono da sempre affascinato dagli atleti borderline, quelli che vivono sul confine tra genialità e follia, argomento di cui ha già scritto benissimo Brian Phillips su Grantland e su cui, quindi, non voglio dilungarmi. Però posso dire che amo i giocatori dotati di grandissime qualità e di grandissimi difetti. Amo i calciatori che potrebbero toccare la vetta del mondo ma che, per qualche ragione, non riescono ad arrivarci, oppure quelli che ci stanno provando, quelli che hanno "i problemi". Amo vederli provare a farcela, vederli lottare, combattere contro i loro demoni, faccio il tifo per loro, voglio vederli superare quei limiti, provarci con tutti loro stessi. Quando ci riescono, è quasi commovente. Quando non ci riescono, soffro per loro. Forse è perché sono attratto dalle tragedie. Fatto sta che, osservando questi atleti, ti accorgi sempre che alcuni sono troppo arroganti, altri troppo fragili, altri ancora troppo insicuri. Alcuni sono megalomani, altri timidi. A volte, sono tutte queste cose assieme. Spesso, sono tutte la stessa cosa.

IL LEONE

"L'Inghilterra non fa per me. Non mi piace come giocano in Inghilterra. A me piace giocare a calcio! Vedo squadre come il Bolton, lo Stoke, o i Wolves, e penso: Non ha alcun senso per me. Odio quel tipo di calcio."

- Adel Taarabt, 2010, all'età di 21 anni.

Tornando al primo commento che pubblicai: Davide Coppo, caporedattore digital di Rivista Studio e mio occasionale compagno di stadio, mi rispose subito, incredulo e eccitato quanto me. Davide aveva già scritto di Taarabt in uno splendido ritratto intitolato "Leone dell'Atlante", pubblicato proprio su Studio più di un anno fa, quasi esattamente un anno prima del suo approdo in maglia rossonera. Una delle ragioni per le quali non voglio raccontarvi la vita di Adel Taarabt in maniera, diciamo, "giornalistica" è appunto il pezzo di Davide, che svolge benissimo quel compito. Ad ogni modo, Davide era l'unica altra persona che conosco (a parte, forse, il nostro vicedirettore Daniele Manusia) a condividere con me l'amore di questo trequartista atipico, geniale, un po' lento, ma dai piedi raffinatissimi, uno che è stato comunque capace di segnare 19 gol e fare 16 assist in 44 partite, ma in Championship, la Serie B inglese, uno che in Premier League non aveva quasi mai giocato, se non per fare un paio di gol assolutamente leggendari, e litigare pressochè con tutti. Stiamo parlando di un giocatore che abbandonò la nazionale marocchina quando scoprì che non avrebbe giocato titolare al suo esordio, e che, quando giocava al QPR, dopo una sostituzione alla fine di un primo tempo disastroso contro il Fulham e una litigata con l'allora allenatore, Neil Warnock, si mise la tuta e lasciò lo stadio. Mentre la partita era ancora in corso. Alcuni tifosi che stavano seguendo la partita in un pub fuori da Craven Cottage lo intravidero, e si fecero una foto con lui. Una di loro, Kerry Smith, gli chiese cosa stesse facendo lì. "Ma lui scrollò le spalle," ha poi raccontato al Daily Mail. "E mi chiese quale fosse il risultato. Eravamo sul 4 a 0 per il Fulham, a quel punto, ma sentimmo un altro gol entrare in porta. Adel alzò gli occhi al cielo e sorrise, incredulo."

ASPETTATIVE

"Ci saranno sempre giorni in cui Adel vorrà lanciare i suoi giocattoli per terra e andarsene. D'altronde, se non ti dispiace venir sostituito... Personalmente, preferisco i giocatori come lui."

- Neil Warnock, allenatore QPR

Mi sembrava giusto, quindi, scrivere subito a Davide per chiedergli cosa ne pensasse, come se ne innamorò. "Mi sembrava il tipico giocatore di cui mi innamoro facilmente: un po' di classe, un po' di rabbia, un po' di talento sprecato e un po' di arroganza. Scuola Domenico Morfeo, eccetera,” mi ha risposto. E continua, “ho guardato il QPR per tutto l'anno della retrocessione solo per lui. Perdeva tantissimi palloni, ogni tanto azzeccava un dribbling, un assist. La trappola dei video Youtube era fascinosa e piena di colpi di classe, e li ho guardati tutti, al tempo. Poi Adel è andato al Fulham a fare panchina, e piano piano ho capito: ha fatto la differenza in Championship, grazie tante, anche Daniele Cacia ha segnato quasi 30 gol l'anno scorso.” Molti la pensavano così. Adel Taarabt sembrava un giocatore mezzo-fatto. Aveva tutte le carte in regola per essere un fallimento. Anche Davide la vedeva così, mi ha confessato. “Ero abbastanza privo di aspettative: sarebbe stato un altro Saponara (cioè: un altro mezzo pacco).” E invece, ecco la prima palla che ha toccato nella sua prima partita, in campionato, contro il Napoli:

Gira un altro video, in russo, in cui il nome di Taarabt diventa “Adil Tetadaa”. Anche a San Siro non hanno ancora ben capito come chiamarlo. In Champions, una ragazzina dietro di me l'ha chiamato "Tabat" per tutta la gara.

SORPRESE

"Spero di giocare in una delle quattro grandi spagnole l'anno prossimo: Real Madrid, Barcellona, Valencia, Siviglia. Ho dei contatti con buone squadre e so che mi stanno cercando. Ora devo solo sperare che riescano a raggiungere un accordo con il Tottenham."

- Adel Taarabt, 2010, poco prima di finire al Queen's Park Rangers

La partita la vidi con due amici, in un pub, e dopo questo gol esultai scuotendo le mani e mimando una persona che urla in un film muto. Sembravo un'imitazione di Galliani. Perdemmo, alla fine, tre a uno, con un Napoli che ci mise molto poco a capire i difetti di un sistema di gioco che Seedorf aveva solamente iniziato ad applicare a una squadra che non l'aveva ancora ben capito. Ma, mio Dio, ero felice—quel tipo di felicità che si prova quando, anche se si perde, si ha la convinzione che qualcosa di bello, forse qualcosa di bellissimo, ti aspetta dietro l'angolo. Nel mio caso particolare, poi, la mia fiducia era incentrata quasi solo sulla conferma che Taarabt sarebbe potuto diventare, per dire, "grande". Provai anche sollievo, perché la mia grande paura era di trovarci di fronte a un altro Quaresma: un maniaco del dribbling, un giocatore tecnicissimo, ma un flop epocale. Le possibilità c'erano tutte—si parlava comunque di un calciatore che aveva passato le ultime due stagioni a fare più panchina che altro. E invece, da quella partita in poi, le sorprese sono state sempre più liete. E il mio investimento affettivo in questo giocatore diventava sempre più personale.

RELATIVITÀ

"Il Milan oggi attraversa un periodo meno glorioso e non fa più parte dei top club nel mondo. Però sfondare in rossonero mi aprirebbe le porte di grandissime squadre come il Real Madrid o il Barcellona. E se pure il mio amico Boateng, che con me al Tottenham era un numero 6 e andava spesso in tribuna, gioca da 10, penso di avere qualche chance anch’io."

- Adel Taarabt, 2012

Adel ha giocato altre due partite, con Bologna e Sampdoria, segnando un altro gol, giocando bene, a sprazzi benissimo, facendo intuire la sua genialità. E le giocò tutte da titolare, tutte rimanendo in campo dall'inizio alla fine della gara. Con l'Atletico, in Champions, è stato il migliore in campo, dispensando i due potenziali assist per i due pali colpiti da Kakà e Poli nel primo tempo e risultando un pericolo costante sulla fascia sinistra, saltando quasi sempre il suo uomo e, molto spesso, saltandone anche due o tre, creando così una pressochè costante superiorità numerica e numerosi momenti di panico nella difesa avversaria. Da quando è al Milan, è diventato uno di quei giocatori che ti fanno tenere il fiato, quei giocatori elettrizzanti che alimentano un senso di possibilità e di pericolo ogni volta che toccano il pallone. Di quei giocatori, il campionato non ne ha molti. Personalmente, non guardando regolarmente alcuna squadra che non sia quella rossonera, mi limito a dire che Balotelli è l'unico che conosco che riesce a creare quell'effetto—a volte. L'ho visto anche in Paul Pogba, in Carlos Tevez, e in Alessio Cerci. Un tempo per noi milanisti c'era Ibra, il re assoluto di quel tipo di sensazione. Oggi, ci accontentiamo di meno. Come ha scritto un raffinatissimo commentatore inglese sotto il video del gol di Taarabt su YouTube, "Italian football is shit nowadays if this fat fucker can score goals." E, per quanto il linguaggio lasci a desiderare, forse c'è qualcosa di vero in quello che ha scritto. La paura, con Taarabt, è quella. È davvero forte? O sembra forte perché le difese italiane non sono più quelle di un tempo? O sembra forte perché il Milan quest'anno ha giocato talmente male che ormai ci eccitiamo ogni volta che un trequartista salta l'uomo? Taarabt sarà solo, per citare quello che mi ha scritto Davide, un altro Domenico Morfeo? Sarà un giocatore eccellente in due cose e tremendamente mancante in altre? Domenica il Milan incontrerà la Juventus, e settimana prossima ci sarà il ritorno contro i colchoneros: il vero test sarà proprio vedere se quanto ha dimostrato di buono fin'ora sarà confermato nei prossimi mesi. Qual è il suo vero potenziale? Qual è, per rubare un termine applicato agli sport americani, il suo ceiling?

I CINQUE TALENTI

"Il mio procuratore parla con Galliani, ma dipende da Robinho e di nuovo da Pastore. In Italia non ci sono mai stato, ma a parte il San Paolo, vedo in tv che la maggioranza degli stadi sono tristi, vuoti. Rinuncerei a quelli inglesi solo per il Milan. Ammiro il lavoro di Conte ma preferisco la cultura milanista. Con la Juve non ci sono contatti. In Italia, mi piace Cassano."

- Adel Taarabt, 2012, appena sentito del primo interesse da parte del Milan, la quindicesima volta in cui Robinho sarebbe dovuto tornare in Brasile

Esiste un modo di definire i giocatori di baseball che si basa prettamente sul numero di cose che sanno fare bene. Il concetto si chiama “the five tools”; volendo lo si potrebbe tradurre come “i cinque strumenti”, ma in realtà avrebbe più senso dire che si tratta di cinque “talenti”. L'idea è semplice: il baseball è uno sport molto strutturato, e per essere un buon giocatore bisognerebbe possedere un insieme variabile di cinque cose nettamente separate, che costituiscono l'essenza del gioco. Ogni giocatore ne possiede un'insieme diverso. Eccole: 1. correre (running), 2. avere forza del braccio di lancio (arm strength), 3. mantenere una buona media di battuta (hitting for average), 4. battere fuoricampo (hitting for power), 5. giocare in difesa (fielding). Ad esempio, si potrebbe dire che Willie Mays è largamente considerato come il più grande “five-tool player” nella storia del baseball, cioè uno di quei pochi giocatori che riesce ad eccellere in ognuna di queste cinque caratteristiche. Il giovane Mike Trout degli Angels e Matt Kemp dei Dodgers sono i due più noti “five-tool players” di oggi. Nel baseball—è questa la cosa interessante—è cosa ben nota che per essere un buon giocatore con una carriera decente, puoi tranquillamente essere un “two-tool player”. Uno che batte con una buona media, e che è anche abbastanza veloce da arrivare alla prima base con una certa regolarità, avrà una lunga carriera professionistica, anche se non sa colpire un fuoricampo e non sa giocare in difesa. Pensiamo a Big Papi, David Ortiz, la stella dei Red Sox freschi di vittoria nell'ultima World Series. È un giocatore con un braccio grosso come il mio torace, la schiena grossa come un portone. Nessuno si aspetta che Big Papi colpisca tanti lanci per mantenere una buona media, o che corra velocissimo—pesa 113kg.

Da lui si aspettano solo fuoricampo.

IL MITO DEL CALCIATORE COMPLETO

"È un ragazzo che merita. Quando ero ancora al QPR mi confidò che voleva cambiare aria, lasciare l’Inghilterra che riteneva un po’ buia per lui. Trattai col Marsiglia, poi ho visto che è invece finito al Fulham. Beh, non è che a Milano troverà molto sole."

- Flavio Briatore

Ovviamente, il calcio e il baseball sono due sport molto, molto diversi—uno è statico e strutturato e composto da diciotto tempi di gioco a loro volta divisi in nove istanze ciascuno, uno sport che vive di lunghissime pause che esplodono in pochissimi secondi d'energia. L'altro è fluido, sempre in movimento, con poche pause, diviso in due soli, lunghissimi tempi di gioco. In uno le fasi di attacco e difesa sono separate nettamente, nell'altro, l'attacco e la difesa coesistono nello stesso spazio e allo stesso tempo. Quindi perdonatemi questo lungo escursus nel baseball, forse penserete che sia poco utile a un articolo che parla di calcio. Ma fatemi spiegare. Quello a cui voglio arrivare è che il calcio di oggi vive del mito dei “five-tool players”. Campioni come Arturo Vidal costituiscono l'essenza del centrocampista moderno, quello che “sa fare tutto”—che sa passare la palla, che sa tirare, che sa inserirsi in attacco, che fa gol, che sa recuperare palloni in difesa, uno potente e atletico che è veloce sia con la palla tra i piedi che senza, che possiede un buon dribbling, che è forte di testa. È finita, si dice, l'era dei calciatori che si specializzano in una sola cosa. I registi lenti, geniali, che impostano il gioco in maniera intelligente, ma che hanno bisogno di supporto dal resto del centrocampo per giocare, sono praticamente scomparsi. I mediani cagnacci di un tempo necessitano di uno con i piedi buoni al loro fianco, e se quel metronomo non sa difendere e quel mediano non sa impostare, ti ritrovi con una coppia di centrali di centrocampo fatta da due mezzi giocatori. Vi assicuro che, in quanto milanista, ne so qualcosa. Ma, se un giocatore è bravissimo a fare una, due cose, è importante che impari anche altre cose? Che si dedichi al "completarsi"? O è meglio che si specializzi ancora di più in quelle, per raggiungere l'apice di quel particolarissimo talento, a discapito del resto della sua vita professionale?

DOMANDE

"Tutti dicono che ho talento e che già da tempo avrei dovuto passare in un grande club. Qualche anno fa ho avuto la chance di andare al Psg, ma Briatore non volle cedermi, credeva in me. Ora sono al Milan, spero sia l'occasione per dimostrare quanto valgo. Ho un idolo e si chiama Zinedine Zidane, perchè sono cresciuto a Marsiglia. Ora il Milan oltre al Balotelli italiano avrà anche il Balotelli marocchino."

- Adel Taarabt, 2014, nel giorno della presentazione al Milan

Quanti tools, quanti talenti possiede Adel Taarabt? È molto tecnico, ed è bravissimo nel dribbling. Ottimo tiro. Buon lanciatore. Ha i piedi buoni, sa giocare con le suole dei piedi come pochi altri, sa spostarsi attorno al pallone per difenderlo, e sa saltare l'uomo. Atleticamente, non vale mezzo Vidal. Ad oggi non ha dimostrato di saper reggere novanta minuti di intensità agonistica, sparendo quasi sempre dopo l'inizio del secondo tempo. Non è velocissimo. Il gioco sembra vederlo bene, sembra capire dove andare, dove mettere la palla, dove passarla. Ma chiede la palla incessantemente, in campo sbraccia, si fa sentire, anche se è appena arrivato. È arrogante. È carismatico. È un casinista? Questo, ad oggi, non l'abbiamo ancora visto. Però abbiamo visto l'insolenza. Sbuffa, manda a quel paese i centrocampisti che non gliela danno. Però, poi, quando gli arriva la palla, succede quasi sempre qualcosa di fantastico. Esempio:

Una delle giocate che oserei definire più "Taarabtiane", contro il Bologna.

COCCOLE

"Lo conosco bene. È stato lui che ha fatto fare al mio QPR il salto verso la Premier League. Un fenomeno. Il Milan ha fatto un grande acquisto. Ma è un talento che va gestito, che va protetto, coccolato. Ne ho parlato io con Galliani: gliel'ho descritto in maniera positiva."

- Flavio Briatore

L'aggettivo più comune che Clarence Seedorf, allenatore del Milan, sta usando nei confronti di Mario Balotelli è "dolce". Del tipo, "Mario non è un bad boy. Mario è un ragazzo dolce, che va seguito." Frasi che trovo bellissime, e vere—quanti dei "problemi" che vengono affrontati dai ragazzi giovani hanno a che fare con la loro malriposta sensibilità? Secondo me: moltissimi. E quindi, come dice Briatore, (e mai nella mia vita avrei pensato di scrivere queste tre parole in fila) Taarabt è un giocatore che va coccolato. Non è un caso se si trova male con gli allenatori che non lo fanno giocare, e che dica di trovarsi da Dio al Milan, dove ha giocato ogni partita nella quale era schierabile, titolare, dal primo al novantesimo minuto. È così che ci si sente coccolati, amati. L'ego, l'insicurezza, i dubbi rimangono. Taarabt è stato capace di prendere una multa dal QPR perché s'è rifiutato di pesarsi. Sapeva di essere più forte degli altri giocatori, eppure li guardava dalla panchina. È questo, Adel Taarabt. Colpi di classe sopraffina che lasciano intravedere un potenziale immenso, o forse un immenso talento sprecato. Sicuramente, le cose che sa già fare, le sa fare bene. Ma le altre? Riuscirà a fare così male, negli altri aspetti, da rendere il suo talento tanto splendente quanto inutile, tutto sommato? O crescerà? Ha ancora senso parlare di "crescita" quando si parla di un uomo di 25 anni? Dovremmo aspettarci di più, da lui? Può essere che, essendo allenato da un ex-trequartista, Taarabt riesca a crescere e diventare un giocatore completo? O almeno, quasi completo? Le motivazioni, le ha? E poi, è davvero così importante che Taarabt diventi un calciatore completo? Ha senso farlo allenare per avvicinarlo a un ideale di calciatore moderno, quando forse sarà solo tempo sprecato? Dobbiamo accontentarci del suo genio, delle sue giocate, e lasciar perdere sulle sue mancanze? O dovremmo aspettarci di più?

BIG PAPI

Forse, essere innamorati dei giocatori bloccati tra genio e sregolatezza è il risultato di una visione romantica del calcio. Da un punto di vista un po' più realistico, però, forse è solo adolescenziale. Il "confine tra genio e sregolatezza" è un'espressione di per sè immatura, forse banale, forse è più un'invenzione della nostra cultura popolare che un'analisi matura della psicologia di un atleta. Probabilmente il "confine tra genio e sregolatezza", oltre a essere un clichè, non esiste proprio. Prendi David Ortiz, Big Papi, la stella dei Boston Red Sox: un giocatore che ha vinto premi, trofei, milioni e milioni di dollari, l'amore incondizionato di un'intera città. Un "two-tool player". Stufo di essere sminuito in quanto "poco completo", Ortiz ha concesso un'intervista a Yahoo Sports, poco prima di una partita contro gli Yankees decisiva per la stagione che ha portato i suoi Red Sox a vincere la World Series per la terza volta in un decennio dopo più di ottant'anni di fallimento. "Non sono un five-tool player. Non ho cinque talenti, cinque strumenti, lo so," ha detto. "Forse ne ho solo due," ha ammesso. E poi ha concluso, "ma uno dei due sta proprio qua," mentre si batteva lentamente la testa con la punta dell'indice.

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