Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
Tamberi l'arci-italiano
13 ago 2024
Tamberi il fachiro, Tamberi il Cristo del Corcovado, Tamberi che non beve acqua.
(articolo)
10 min
(copertina)
Foto di Song Yanhua / Imago
(copertina) Foto di Song Yanhua / Imago
Dark mode
(ON)

Nell'Olimpiade che si è appena conclusa in bellezza anche per l'Italia, con il record di 40 medaglie di Tokyo eguagliato ma con due ori in più e tante appassionanti vicende umane e sportive, dal volley femminile a Filippo Macchi passando per Alice D'Amato e Nadia Battocletti, ho incrociato dal vivo il portabandiera Gianmarco Tamberi solo una volta, nell'ultimo pomeriggio di Casa Italia, poco prima che il braciere si spegnesse e i volontari, le delegazioni, le produzioni televisive iniziassero a fare gli scatoloni e levare le tende.

Si aggirava nei corridoi silenzioso ma non certo solo, accompagnato dagli affetti più cari e dall'inevitabile codazzo di operatori e portatori di smartphone, con la stessa espressione affranta con cui l'avevamo lasciato la sera prima allo Stade de France. L'ostentata magrezza di questi giorni lo rendeva concettualmente simile a uno spettro, una specie di corrispondenza con il Fantasma dell'Opera che due settimane prima era stato il filo conduttore della lunga e avventurosa cerimonia d'apertura di Parigi 2024. E così del resto Tamberi aveva inteso vivere la sua triennale attesa verso la finale del salto in alto, messa in calendario il sabato sera, nell'ultima notte di atletica: una coincidenza che doveva essergli sembrata l'ennesimo segno del destino, lui che a Tokyo aveva trionfato sì, ma nel silenzio di uno stadio vuoto e nella banalità di una domenica pomeriggio d'agosto di quelle annoiate cantate da Paolo Conte, e ora e da tre anni aveva un solo punto all'ordine del giorno: diventare il primo saltatore in alto della storia a vincere due Olimpiadi.

Queste erano le premesse, tonitruanti, gargantuesche, di quelle che piacciono tanto a noi giornalisti che infatti con Gimbo ce la spassiamo da anni, sollazzati dai suoi show, dalla sua guasconeria, dal suo alzare sempre la posta e l'asticella fino a quote folli, insopportabili per qualunque altro atleta non solo italiano. Ha reso il salto in alto un fenomeno di costume come aveva fatto a suo tempo Alberto Tomba con lo sci, un ambiente popolato quasi solamente da austriaci o svizzeri di poche parole e improvvisamente ravvivato da quell'allegro uragano. Ha scritto per sé stesso una narrazione senza pari, risorgendo dalle ceneri dell'infortunio a Montecarlo del 2016 e vendicandosi del destino come uno spadaccino irresistibile, il Principe Mezzabarba che è diventato re dell'Olimpo, dell'Europa e del Mondo e al fin della licenza ha giustamente ottenuto il massimo onore che possa toccare a un atleta, reggere alta la bandiera del proprio Paese, e fa niente la pioggia, e fa niente la fede nuziale smarrita chissà dove nella Senna – come poi sia possibile perdere un anello mentre si sta sventolando una bandiera, è uno dei misteri meglio custoditi di questa Tamberiade tutta sospesa sullo scarto sottile tra reale e virtuale, tra concentrazione e ossessione, contemporaneamente al di là e al di qua del limite, un'asticella che traballa per due settimane e non si decide mai a cadere del tutto, come la trottola di Inception.

La mattina che dovrà evolvere nella gara più importante della sua vita (ipse dixit), il sonno di Gianmarco Tamberi viene straziato dalla seconda colica renale nel giro di pochi giorni. Si mette subito in contatto con i medici della FIDAL e inizia a quel punto una sua personale via crucis che lo porta a deragliare del tutto dai binari della corretta preparazione di una finale olimpica. Di questo calvario veniamo informati con una dovizia di particolari da agenzia di stampa, anche da parte di sua moglie Chiara il cui nome di battesimo non è l'unico punto di contatto con le saghe social dei Ferragnez: post auto-motivanti, storie Instagram da medical drama con Gianmarco in barella su un'autoambulanza, dettagli grandguignoleschi alla Aronofsky ("ho vomitato sangue due volte") che appaiono non necessari soprattutto in un contesto in cui altri olimpionici italiani hanno sostanzialmente gareggiato da infortunati, da Antonella Palmisano a Vito Dell'Aquila, e non hanno optato per alcun tipo di annuncio urbi et orbi, anche banalmente per non dare vantaggi agli avversari. Sappiamo già la risposta: Tamberi è così, prendere o lasciare, da sempre ha impostato la propria comunicazione su una sincerità strappacuore e anzi ha costruito il proprio mito muovendo da questo atteggiamento. In altre parole, o Tamberi esagera, mette in gioco tutto sé stesso in una sistematica ricerca dell'all-in e si ritrova spalle al muro (quante gare ha vinto superando misure al terzo tentativo, a volte addirittura in qualificazione?), oppure, semplicemente, non è.

A Casa Italia, elegante quartier generale della delegazione azzurra al centro del Bois de Boulogne dove trovano asilo anche molti giornalisti, le notizie arrivano confuse e frammentarie fino al primo pomeriggio. Si direbbe che Tamberi non risponde ai messaggi, e questo è comprensibile alla luce di quel che gli sta capitando; ma visto quanto è contemporaneamente loquace sui social, la mancanza di notizie e di certezze viene vista come una contraddizione e dà la stura a un inevitabile complottismo. Sta davvero male? O forse è la sua ennesima versione del "viaggio dell'eroe" che abbiamo imparato dai banchi di scuola? Quello nella foto è davvero un modello di autoambulanza in dotazione agli ospedali francesi? Prendendo alla lettera i suoi post, pare impossibile che possa gareggiare: quale medico sportivo darebbe il via libera a un atleta che poche ore prima ha "vomitato sangue due volte"?

Eppure nulla è impossibile per quello spiritaccio di Tamberi, uno che due mesi prima, nella finale Europea, aveva finto di infortunarsi in mondovisione e invece era una gag per tirare fuori le molle dalle scarpe: la sua natura burlona autorizza qualunque congettura, come il Perozzi di "Amici Miei" che in punto di morte faceva la supercazzola al prete giunto per l'estrema unzione. In fondo Gimbo c'est nous, al suo meglio e al suo peggio: Tamberi è l'arci-italiano, come Tomba, come Alberto Sordi. I sospetti di molti si rinfocolano quando intorno alle quattro, a tre ore dalla gara, giunge l'ennesimo incredibile post Instagram: "I will be there", in inglese come un eroe della Marvel. La curiosità è alle stelle: qualcuno ipotizza anche il dipanarsi di una sceneggiatura complessa che parte da lontano, già dalla cerimonia d'apertura ("vedrai che vince la medaglia e tira fuori la fede davanti alla moglie"). Per essere chiari e onesti fino in fondo, chi vi scrive è tra questi: la vicenda stava diventando talmente implausibile che ho pensato alla messinscena più italiana che si potesse immaginare, e ho continuato a pensarlo fino ai secondi immediatamente precedenti al suo ingresso in gara a 2 metri e 22, quando aveva risposto all'annuncio dello speaker con gestualità da Cristo del Corcovado.

Tamberi, non è un mistero, ha preparato i Giochi mettendosi una pressione insostenibile per quasi tutti gli atleti del mondo, compreso il suo amico e compagno di medaglia d'oro nel 2021: il qatariota Mutaz Essa Barshim, pure lui arrivato a Parigi in condizioni precarie, ha scelto un profilo molto più basso, e del resto la differenza di carattere e temperamento è piuttosto lampante. Tamberi non aveva alcun bisogno razionale di mettersi in croce, avendo già raggiunto a Tokyo il massimo risultato possibile per un atleta, ma ha deciso ugualmente di alzare la posta allo spasimo. In furibonda ricerca di uno stato di grazia che doveva portarlo a saltare almeno 2 metri e 38, misura a cui si poteva essere sostanzialmente certi di un oro stavolta non condiviso, ha scelto consapevolmente la strada di una preparazione fisica massacrante, informandoci puntualmente dei suoi progressi verso una percentuale di massa grassa sempre più bassa, fino ad assumere le sembianze fisiche e morali "di un fachiro", come ha scritto Emanuela Audisio su Repubblica. «Nella settimana della competizione arrivo a bere un solo bicchiere d'acqua al giorno», aveva detto già a dicembre, «nel salto in alto dobbiamo essere leggeri, anche i liquidi possono essere un problema». Di fronte a questo furore che lo ha portato (lo ha detto lui) a mettere in secondo piano per almeno un anno qualunque altra questione fondamentale della sua vita, il CONI, la FIDAL, il suo team, i compagni di squadra e anche gli affetti più vicini sono risultati tutti più o meno impotenti. In queste settimane, nel mondo tamberi-centrico che Gimbo si è costruito anche con un certo successo vista la carriera che sta avendo, non sembra esserci stato spazio per il dissenso. E tutti da fuori l'hanno lasciato fare anche un po' per godersi lo spettacolo, «perché Tamberi è fatto così», perché quel che a tutto il mondo sembra un inutile estremismo psico-fisico nel suo caso diventa benzina, le molle per volare sempre più alto – qualsiasi suggestione con il mito di Icaro, benché piuttosto telefonata, non è campata in aria.

In queste ore si discute anche molto del fatto che forse le due coliche che hanno intralciato l'avventura parigina di Tamberi potrebbero essere diretta conseguenza della dieta estrema delle settimane precedenti. Su Instagram (e dove sennò) l'atleta ha escluso qualsiasi nesso, collegando semmai i calcoli renali all'obesità, ma va detto che anche un'eccessiva disidratazione può diventare un fattore di rischio. Chi vi scrive non è un dietologo né un urologo e non ha alcun titolo per partecipare al dibattito: mi risultano più interessanti le conseguenze dell'accompagnamento mediatico di questo percorso. Interessanti perché didascaliche, nel senso letterale del termine: cioè possono insegnarci qualcosa, in un'Olimpiade in cui tanti atleti hanno dovuto fare i conti con la pressione di un pronostico e le aspettative di migliaia di persone, in diversi casi facendosene schiacciare. Tamberi quella pressione non solo non l'ha voluta scacciare ma se l'è andata proprio a cercare, credendo ingenuamente che non ci fosse un limite alla forza di gravità da cui farsi schiacciare, convinto davvero che alla fine l'avrebbe girata al contrario, librandosi in volo nel cielo dello Stade de France. Una visione del mondo ego-riferita (molti grandissimi atleti lo sono), lambendo sinceramente la mitomania (alcuni grandissimi atleti lo sono).

Ma Tamberi non è un narcisista: se lo fosse, avrebbe continuato a prendersela con la sfortuna, magari con la medicina o con le stelle come il Don Ferrante di Manzoni che nel penultimo capitolo dei Promessi Sposi moriva di peste senz'aver preso alcuna precauzione per evitarla. Invece già a caldo aveva ammesso di aver sbagliato qualcosa. Il passo da fantasma con cui l'abbiamo visto avanzare la sera dopo sulla moquette di Casa Italia, così lontano dalla spavalderia dei giorni migliori, era l'andatura di uno che si stava rendendo conto di aver commesso un gigantesco errore di valutazione. Ha pensato che Parigi valesse bene non solo una Messa, come Enrico il Grande, ma l'intera cattedrale della sua spettacolare vita da personaggio che ha finito per divorare la persona (il confine sottile tra persona e personaggio, e su come si debba fare per gestire una situazione di grande mediaticità, è uno dei punti toccati in queste ore con grande sensibilità da Julio Velasco riferendosi a Paola Egonu e anche un po' a sé stesso).

C'è caso di augurarsi che non sia finita, come lasciava trapelare delusissimo sabato sera. Los Angeles è ancora lontana, ma se ha superato il crack molto più traumatico del 2016 ha tutte le carte in regola per riprovarci: quale posto migliore di Hollywood per un drama king di tal fatta? Se sarà rinsavito da queste settimane di alta pressione, scoprirà che la sua disciplina non è regolata da un sistema tamberi-centrico: un altro italiano che non è lui ha sfiorato il podio piazzandosi quarto, e Kerr e McEwen hanno dato spettacolo fino in fondo giocandosi l'oro allo spareggio senza inscenare il remake del "volemose bene" italo-qatariota di Tokyo. Per fortuna la vita, proprio come il salto in alto, ti concede sempre una seconda e una terza chance.

Dopo il tilt arriverà il reset, e da lì un Tamberi meno ossessivo e più distensivo, magari seguendo il consiglio di Nanni Moretti alla fine di Caro Diario: la mattina, prima della colazione, fa bene bere un bicchier d'acqua.


Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura