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La peggior squadra di sempre
21 gen 2021
Storia della disastrosa stagione in Bundesliga del Tasmania Berlin.
(articolo)
8 min
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La differenza tra il Tasmania e una coccinella?

La coccinella ha più punti.

Quando ha vinto l’ultima volta il Tasmania?

Chiedi a tuo nonno.

Battendo per 4-0 l’Hoffenheim il 9 gennaio, lo Schalke 04 ha interrotto una striscia di 30 partite senza vittorie. Prima di quello sull’Hoffenheim, l’ultimo successo dello Schalke era arrivato un anno fa, il 17 gennaio 2020 contro il Borussia Mönchengladbach. Insomma, in quest'ultimo anno lo Schalke è stato un disastro. E in Germania, quando una squadra va male, per capire quanto va male, c’è un unico termine di paragone: un vaso di Pandora della sconfitta, che raccoglie in sé ogni possibile statistica negativa e le aggrega all’interno della stessa stagione, nella stessa squadra, totalmente autosufficiente a se stesso. Quando, dunque, ci si chiede quanto è andato male lo Schalke 04 nel 2020, bisogna chiedersi: peggio del Tasmania Berlin del 1965/66?

La Germania arriva incredibilmente in ritardo rispetto al resto d’Europa nella creazione di un campionato a girone unico che unisca le migliori espressioni del calcio nazionale, a causa delle pressioni delle potenti federazioni regionali. Fino alla seconda guerra mondiale le squadre si qualificano su base geografica a un playoff nazionale per decretare il vincitore; dopo la creazione delle due Germanie, a Est già dal 1948 nasce un girone unico all’italiana, mentre a Ovest bisogna attendere il ’63 per la prima Bundesliga, 16 squadre – una per città – che si affrontano a girone unico per decretare il campione nazionale. Tra le 16 squadre prescelte, un posto è chiaramente assegnato a una rappresentante della vecchia capitale, Berlino.

C’era una squadra che in quegli anni stava facendo bene: il Tasmania, tre volte campione nei cinque anni precedenti, e negli altri due comunque seconda. La squadra prende il suo curioso nome dal sogno dei suoi fondatori, di riuscire un giorno a toccare le coste dell’Australia. Nell’attesa, si accontentarono di fondare un club a Neukölln, allora località a sud della capitale. L’altra grande favorita per il posto è l’Hertha Berlino, che forte di un opaco sistema di punteggi e di importanti appoggi politici, riesce infine a guadagnarsi la chiamata in Bundesliga.

Vivere a Berlino Ovest, in quegli anni, è tutt’altro che attraente. La città è un’enclave recintata nel territorio della Germania Est, un villaggio di Asterix circondato da legioni ostili, a 160 km in linea d’aria dal primo avamposto occidentale. Per convincere i giocatori a trasferirsi, si può puntare solo sul tintinnio del denaro. L’Hertha spende e prova a migliorare il proprio status, senza successo: nelle prime due stagioni chiude al terzultimo posto, l’ultimo valido per salvarsi. Nel tentativo (fallito) di creare una squadra competitiva, l’Hertha sborsa stipendi e premi ben al di là del consentito. E così un’analisi delle carte nell’estate del ’65 porta all’esclusione della squadra dal campionato.

Senza Berlino, però, la Bundesliga non può stare. Il ruolo politico dell’ex capitale è troppo importante, e il calcio è chiamato – come sempre – a fare da megafono di battaglie più grandi di lui. Senza più l’Hertha, per trovare la sostituta bisogna andare a pescare dalla classifica della lega berlinese, uno dei campionati in cui si articola la seconda divisione tedesca. La prima è il Tennis Borussia Berlin, che ha giocato – in quanto vincitrice della lega – i playoff promozione, uscendone sconfitta. La seconda è lo Spandauer SV. Entrambe declinano però gentilmente l’offerta. I dubbi sono essenzialmente economici: il secondo livello è completamente amatoriale, le squadre non sono pronte a un salto improvviso. A due settimane dal campionato, si decide di andare a pescare la terza classificata: il Tasmania Berlin, che tanto bene aveva fatto negli anni precedenti alla fondazione della Bundesliga. La dirigenza accetta: Berlino resta in Bundesliga, ma ora c’è da correre. La prima cosa da fare è richiamare i calciatori dalle vacanze che ciascuno sta trascorrendo insieme alla propria famiglia, chi sulle coste baltiche, chi in Spagna, chi in campeggio in Austria. Gli annunci di radio Germania, quelli di radio Lussemburgo e il passaparola riescono capillarmente a raggiungere tutti i tesserati, che in pochi giorni rientrano in Germania.

Un’altra, incombenza, prima del campionato, è licenziarsi dal lavoro, quello vero; contrattare, quantomeno. La seconda lega tedesca è completamente amatoriale, ma ora si va a fare i professionisti. Non ci sono grandi illusioni: tutti i coinvolti hanno capito in fretta che quella in Bundesliga sarà poco più che un’avventura in una notte di metà inverno. Il capitano Hans-Günter Becker, tornato dopo essere stato avvisato della convocazione in Bundes dal vicino di spiaggia, si presenta dal suo capo, chiedendo otto mesi di part-time, con la promessa di tornare alla normalità subito dopo. Per sua fortuna, l’offerta è accettata. Poi Becker si presenta dalla società, e prevedendo un’annata difficile contratta stipendi più alti e premi partita più bassi, in controtendenza con il costume dell’epoca, che metteva in relazione l’ingaggio dei giocatori con le loro prestazioni sul campo. Vince anche questa. Ora il Tasmania è pronto.

Nel frattempo, il Karlsruher e lo Schalke 04, ultime della precedente stagione, non sono però d’accordo con l’idea di dover far spazio a una squadra senza meriti sportivi. D’altronde, non si può negare alle neopromosse Bayern Monaco e Borussia Mönchengladbach l’opportunità di iniziare a scrivere la loro storia sui libri del calcio tedesco. A soli due anni dalla fondazione, la Bundesliga si espande, da 16 a 18 squadre: Tasmania al posto dell’Hertha, Bayern e ‘Gladbach promosse, Karlruher e Schalke ripescate. Si può iniziare.

Se la squadra è più preoccupata che emozionata, Berlino freme di vedere all’opera i suoi nuovi rappresentanti. Il calendario è favorevole, perché la prima avversaria è il Karlsruher, anch’esso ripescato pochi giorni prima dell’avvio del campionato. Nell’improvvisazione si realizza l’impensabile: davanti agli 81500 spettatori che hanno riempito lo stadio Olimpico di Berlino, il Tasmania vince 2-0 grazie alla doppietta di Wolf-Ingo (“Ringo”, per gli amici) Usbeck, metà del bottino che accumulerà in stagione. Il problema? Con quei quattro gol sarà il capocannoniere della squadra. Ma intanto, per una settimana, il Tasmania è in testa alla classifica della Bundesliga.

La sbornia passa in fretta. Nelle successive sei giornate la realtà si riallinea alle attese. La squadra subisce 26 reti (per quattro volte sono più di cinque). Di lì in avanti, le partite che portano punti si contano sulle dita di una mano: un pareggio a ottobre, uno a gennaio, uno a marzo, uno ad aprile. Nella penultima giornata arriva il secondo successo, ai danni del Borussia Neunkirchen – la seconda retrocessa. La classifica finale recita 8 punti, -14 dalla penultima, -16 dalla salvezza. Ma sono i numeri di contorno a raccontare l’agonia del Tasmania: 15 reti segnate e 108 subite, un solo punto ottenuto in trasferta (unica squadra della storia tedesca a non aver ottenuto almeno un successo fuori dalle mura amiche), peggiore sconfitta interna nella storia della Bundesliga (0-9 contro il Meidericher SV), 12 sconfitte complessive in casa, 31 match consecutivi senza vittoria e chissà cos’altro.

Molti di questi numeri sono stati quantomeno pareggiati - quando tra il 1999 e il 2000 l’Arminia Bielefeld ha eguagliato le 10 sconfitte consecutive, i tifosi si autoincoronarono Tasmania Bielefeld - ma nessuno è mai riuscito a metterli tutti insieme, all’interno dello stesso anno.

Ovviamente era stato cambiato l’allenatore, e anche il portiere, ma niente fu capace di invertire la rotta del Tasmania. Non ci riesce neppure Horst Szymaniak, centrocampista tedesco passato anche per Catania, Inter e Varese, perno della nazionale tedesca sul finire degli anni ’50. A Berlino mancano stimoli e ambiente, i giocatori staccano da lavoro e vanno ad allenarsi: Szymaniak si perde, raccontano anche che arrivi al campo di allenamento alticcio. Un campo, peraltro, amatoriale anch’esso, senza illuminazione e in cui bisogna colorare il pallone di bianco perché si possa distinguere dal pietrisco nero. Il sogno di giocare in Bundesliga si sfilaccia, se non lo si può onorare a dovere: «Ho perso interesse per il calcio. Mi mancava il lavoro, non sapevo come occupare tutto quel tempo libero» racconta Prosinski, il secondo portiere.

Anche l’entusiasmo in città svanisce in fretta. Dagli oltre 80mila degli esordi, a gennaio sono soltanto in 827 a seguire il pareggio interno contro il Mönchengladbach – neanche a dirlo, altro record negativo del campionato tedesco. Chissà se tra quelli c’è anche il tifoso che il 30 aprile, nella sfida contro l’Eintracht, deposita una corona di fiori celebrativa dietro la porta di Prosinski nell’esatto momento in cui la squadra subisce il 100esimo gol di quella lunghissima stagione. Il finale è in dissesto. La trasferta a Gelsenkirchen si fa in giornata, 1100 km complessivi, dormendo in pullman, perché l’albergo costa. Sono indizi che il passo più lungo della gamba è tornato indietro a portare il conto: troppo difficile sostenere la Bundesliga senza una struttura adatta. Di lì a sette anni il Tasmania Berlino fallirà, ripartendo per iniziativa dei tifosi dalle serie amatoriali, dove milita ancora oggi, lasciandosi alle spalle forse la peggiore stagione che un campionato professionista di massima serie ricordi.

Giocare in Bundesliga è un onore ma anche un enorme peso, per chi non è pronto a sopportarlo. Magari anni dopo sarà possibile trovare la replica della propria maglia su Amazon, ma il viaggio è un calvario che pone una pietra angolare nella storia del calcio tedesco, forse mondiale: una pietra che costringe a chiedersi, quando ci si imbatte una squadra che va molto male: «Peggio del Tasmania?».

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