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Tassonomia dei trofei
04 lug 2023
Catalogazione ragionata dei trofei sportivi.
(articolo)
12 min
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Nell’ottavo libro delle Storie Erodoto racconta che i Persiani, durante la loro invasione della penisola ellenica, si imbatterono in un piccolo gruppo di disertori Arcadi. Decisi a raccogliere quante più informazioni possibili sul conto degli Elleni, gli uomini di Serse sottoposero i prigionieri a uno scrupoloso interrogatorio al cospetto del re. Scoprirono così dell’esistenza dei Giochi Olimpici, e delle gare atletiche e ippiche che si svolgevano al loro interno. Incuriositi, vollero poi sapere in cosa consistesse il premio per i vincitori e, nel sentirsi rispondere che venivano celebrati con corone d’ulivo, rimasero piuttosto sorpresi. Il comandante Tritantacme non riuscì a trattenere la propria indignazione, e sbottò: «Oh, [generale] Mardonio! Contro chi ci hai condotto a combattere! Contro uomini che non lottano per denaro, ma per la gloria del merito!».

Difficile immaginare quale sarebbe la reazione di un uomo del V secolo a. C. davanti alla moltitudine di trofei con cui atleti e atlete vengono premiati oggi. Oggetti d’artigianato il cui inestimabile valore non è tanto legato ai preziosi metalli con cui sono realizzati, quanto agli sforzi e ai sacrifici richiesti per conquistarli.

Nello spirito dei naturalisti del Settecento abbiamo tentato una classificazione dei principali trofei, o dei più curiosi, secondo criteri prettamente estetici. Anche in mancanza di qualunque fondamento scientifico, confidiamo che questa breve guida possa aiutare a orientarsi nella selva di forme, materiali e piedistalli che è il mondo dei trofei sportivi.

I classici

Le anfore panatenaiche, donate ai vincitori delle omonime feste nate attorno al 566 a. C. durante la tirannia di Pisistrato, erano finemente decorate e riempite con olio di ulivi sacri. Sulla faccia principale era raffigurata la dea Atena nel tipico atteggiamento guerriero, una lunga lancia nella mano destra, lo scudo alzato nella sinistra e l’elmo attico sul capo; il lato secondario era dedicato alle competizioni per le quali veniva assegnato il premio. Il corpo panciuto, il collo breve e i corti manici di queste anfore hanno ispirato il gioielliere parigino Arthus-Bertrand nella realizzazione del Trofeo Henri Delaunay, che dal 1960 viene assegnato ai vincitori del Campionato europeo maschile UEFA. La coppa è intitolata a uno dei membri fondatori dell'organizzazione, che già negli anni venti aveva immaginato una competizione europea per nazioni, ma per pochi anni non ha potuto veder realizzato il suo sogno. Fabbricato in argento e dal ragguardevole peso di 8 kg, prima del restyling del 2008 il trofeo poggiava su una base cubica, rimossa perché ritenuta inutilmente pesante.

A sinistra, una delle più antiche anfore panatenaiche, l’Anfora Burgon conservata al British Museum; a destra, un ricordo felice conservato nei nostri cuori.

Rientra tra i trofei di ispirazione classica anche una delle coppe più ambite e popolari del mondo calcistico: la Champions League. «Ci vogliono quindici giorni solo per fare i manici», racconta Guerrino Giorgi, che da oltre trent’anni si occupa della fabbricazione del trofeo. A differenza del Trofeo Henri Delaunay, pezzo unico affidato alle cure della nazionale vincitrice fino alla successiva edizione degli Europei, ogni anno una copia in ottone della Coppa dalle grandi orecchie viene realizzata dalla GDE Bertoni, piccola azienda a conduzione familiare della provincia milanese. Giorgi ha costruito anche il trofeo originale, interamente in argento e riservato alla cerimonia di premiazione.

Gelosamente custodito nella sede UEFA di Nyon, il trofeo originale porta incisi i nomi dei club vincitori. Il momento in cui lo stencil in metallo viene appoggiato sulla coppa e l’incisore ne ripassa meticolosamente le lettere, è un rito solenne che ormai fa stabilmente parte del racconto televisivo della premiazione.

I gazzanighiani

Sculture di metallo lavorate e fuse come antiche statue di atleti in movimento rendono i trofei disegnati da Silvio Gazzaniga immediatamente riconoscibili. Quando venne a sapere che la FIFA stava raccogliendo progetti per un nuovo trofeo, Gazzaniga era il direttore creativo della già citata GDE Bertoni. Era il 1971, l’anno precedente la nazionale brasiliana di calcio si era assicurata il terzo titolo mondiale e, con esso, anche il diritto di portarsi a casa l’allora Coppa Rimet. Serviva una nuova coppa del mondo, e il progetto di Gazzaniga fu uno dei 53 provenienti da sette paesi. «Il trofeo rappresenta due giocatori che alzano le braccia verso l’alto nella gioia esultante della vittoria. Racchiude in sé il dinamismo, la forza e la velocità dell’azione, lo sforzo sportivo e l’emozione, l’esaltazione di trovarsi in cima al mondo». Con queste parole l’artigiano milanese descriveva la sua Coppa del Mondo, quella che oggi qualsiasi calciatore sogna di poter stringere tra le mani. Il trofeo misura 36.8 centimetri ed è realizzato in oro con due lastre di malachite alla base. Alla GDE Bertoni vengono affidati anche il restauro e, come nel caso della Champions League, la realizzazione delle copie in ottone per i vincitori. I nomi delle nazionali sono incisi concentricamente in un disco dorato posto sotto la base della coppa, anche se resta da capire come si comporterà la FIFA quando, dopo i mondiali del 2038, lo spazio a disposizione sarà esaurito.

Gazzaniga sapeva descrivere le sue opere in modo rigoroso e sofisticato; basta leggere poche sue righe per formarsi una nitida immagine dei suoi trofei nella mente: «Un insieme corale di atleti in movimento dinamico fa da supporto alla slanciata coppa esagonale sostenendola con slanciate cuspidi allungate verso l’alto». Difficile fare migliore ritratto alla coppa assegnata ai vincitori dell’Europa League. La stessa UEFA mette in guardia sul fatto che si tratti del più pesante tra i suoi pezzi d’argenteria - ben 15 kg, distribuiti in 65 cm di altezza -, per di più sprovvisto di manici che ne facilitino il sollevamento. La coppa in argento poggia su una base di marmo giallo circondata da piccole bandiere degli stati europei: un trofeo iconico per la più iconica delle competizioni.

I didascalici

Esistono anche trofei la cui estetica rimanda, in maniera più o meno esplicita, allo sport per il quale vengono assegnati. Due tra i maggiori rappresentanti di questa categoria provengono dagli Stati Uniti: il Larry O’Brien Championship Trophy e il Vince Lombardi Trophy. Larry O'Brien è stato il terzo, leggendario commissioner della NBA; nel corso del suo mandato, dal 1975 al 1984, ha contribuito a rendere la lega il colosso sportivo e mediatico che conosciamo. Nell’onda di questo rinnovamento, nel 1977 la NBA ha sostituito lo storico trofeo intitolato Walter A. Brown - primo proprietario dei Boston Celtics e tra i fondatori della lega - con l’attuale Larry O’Brien Trophy. A differenza del suo predecessore, a metà tra un grande calice e una corona medievale, il nuovo trofeo si è riappropriato dei due elementi cardine del basket: la palla e il canestro. Sette chili di argento placcato in oro a 24 carati, modellati nella tipica palla a spicchi appoggiata su una struttura a cuneo in cui è incisa la retina di un canestro. Quest’anno, in occasione dei 75 anni della NBA, il trofeo ha subito un restyling a cura del designer losangelino Victor Solomon e della Tiffany&Co., cui è affidata la realizzazione del trofeo sin dalla sua introduzione.

È sempre di Tiffany la realizzazione del trofeo che dal 1971 è dedicato alla memoria di Vincent Thomas Lombardi. Figlio di immigrati italiani, Lombardi è stato uno degli allenatori più vincenti e influenti della NFL; famoso per le sue estenuanti sedute di allenamento e per un frasario che ha dato origine ad aforismi quali «La perfezione non è raggiungibile, ma se inseguiamo la perfezione possiamo arrivare all'eccellenza». Il trofeo, assegnato alla squadra vincitrice del Super Bowl, è realizzato nella stessa lega di argento del suo omologo assegnato dalla NBA, e richiama in maniera altrettanto essenziale la componente principale del proprio sport: la palla ovale. Questa poggia su un piedistallo a formare una struttura di 56 cm dal peso di poco più di tre chili. L’assenza di placcatura in oro esalta il potere riflettente dell’argento, particolarmente evidente quando i campioni si avvicinano per sollevare e baciare il trofeo.

La scuola di Birmingham

Nella seconda metà del diciannovesimo secolo la città di Birmingham, patria dei più abili orafi e argentieri del Regno, è diventata il polo di riferimento per la creazione di trofei sportivi. Con il Rosewater Dish realizzato per il torneo femminile di Wimbledon del 1864, la ditta Elkington ha conquistato il favore dell’All England Tennis Club, che ha deciso di affidarle anche la realizzazione di un nuovo trofeo maschile. Entrambi i precedenti, la Field Cup e la Challenge Cup, appartenevano ormai, secondo il regolamento dell’epoca, a William Renshaw, che per ben due volte era riuscito a vincere tre edizioni consecutive del torneo. Il nuovo trofeo, realizzato nel 1883 e acquistato dal Club per 100 ghinee nel 1886, da allora non ha più cambiato proprietario. Al vincitore è concesso di tenerlo solo per qualche ora, ma ne potrà conservare una copia in scala ridotta. Nonostante le modeste dimensioni - appena 19 centimetri di diametro per 46 centimetri di altezza - il trofeo di Wimbledon è adeguato all’aristocraticità del torneo di tennis più antico del mondo. Realizzato in argento placcato d’oro, con complesse modanature, elmi alati alla base dei manici e uno sfarzoso coperchio misteriosamente sormontato da un ananas, porta incisa la solenne iscrizione All England Lawn Tennis Club Single Handed Championship of the World insieme ai nomi dei vincitori.

Nel 1859 un’altra ditta del Jewellery Quarter di Birmingham, la Vaughton, è salita alla ribalta. Quell’anno i londinesi dell’Aston Villa erano riusciti ad aggiudicarsi la FA Cup, una delle più antiche e iconiche competizioni calcistiche per club, solo per vedersi rubare il trofeo dalla vetrina del negozio in cui lo avevano esposto. La Football Association aveva quindi ordinato al club di procurare un nuovo trofeo, e l’Aston Villa si era rivolta alla Vaughton. Fortunatamente la ditta possedeva un calco in gesso della coppa, e ne ha realizzato la copia che è stata utilizzata fino al 1910. Il trofeo attuale, progettato dalla ditta Fattorini di Bradford, sembra condensare l’estetica degli Elkington e quella dei Vaughton. Il calice si è fatto più tozzo e piriforme, e il suo caratteristico profilo è ripreso dal pomello che sormonta l’elaborato coperchio, simile a quello del trofeo di Wimbledon e ugualmente rimovibile. Strizzano l’occhio al lavoro degli Elkington anche la forma dei manici e le modanature con grappoli d’uva e foglie di vite - prova, secondo alcuni, che il progetto iniziale dei Fattorini fosse per un raffinato secchiello da champagne.

I piatti

Il già citato Rosewater Dish è uno dei più illustri rappresentanti di una categoria di trofei esteticamente appaganti, ma poco maneggevoli. Assegnato alla vincitrice del torneo femminile di Wimbledon, il trofeo è ispirato al Bacino della Temperanza di François Briot. Partendo da una copia dell’originale, gli artigiani della Elkington ne hanno riprodotto la forma posando l’argento e l’oro uno strato per volta, secondo una tecnica detta dell’elettroformatura. Dal diametro di circa 48 centimetri, il piatto raffigura al centro la Temperanza, circondata da rappresentazioni dei quattro elementi e delle sette arti liberali. Chissà se nei concitati momenti che seguono la premiazione le campionesse riescono a trovare il tempo per ammirare questo gioiello in tutti i suoi splendidi dettagli.

Splendide sono anche le finiture del Meisterschale (“ciotola principale”), assegnato alla squadra vincitrice della Bundesliga, massima serie del campionato tedesco di calcio. Il trofeo ha sostituito la Viktoria, una riproduzione della dea alata seduta su un piedistallo, scomparsa in circostanze misteriose mentre il campionato era fermo a causa del secondo conflitto mondiale. Prodotto a Colonia, il piatto è in argento, ha un diametro di 59 centimetri per 11 chilogrammi di peso ed è impreziosito da 16 tormaline incastonate concentricamente. Il primo club a fregiarsi del Meisterschale è stato il Norimberga nel 1947, ed è difficile non vederci l’opera di una qualche beffarda divinità calcistica.

I giganti

Fanno parte di questa categoria i trofei che spiccano per le loro dimensioni, e non stupisce che molti di questi vengano assegnati nel sumo, sport che associamo automaticamente all’immagine di giganteschi corpi in movimento. In particolare, la Coppa del Primo Ministro, a discapito di una forma alquanto semplice, priva di manici ed elaborate finiture, è così grande da sembrare il calice di un gigante. Assegnata al campione della massima divisione (makuuchi), è possibile intuirne il peso dalla malcelata sofferenza sul volto del Primo Ministro che cerca di sollevarla nella foto di premiazione.

Con i suoi 69 centimetri di altezza, anche il trofeo della Coppa America della vela ha tutte le ragioni di essere incluso in questa categoria. Noto anche come Auld Mug (“vecchia tazza”), ha la forma di una brocca in stile vittoriano che troneggia su di un alto piedistallo dai profili sinuosi. Realizzato nel 1851 dalla ditta londinese Gerrard - i gioiellieri della Regina Vittoria -, è il più antico trofeo internazionale. A dispetto del nome, veniva inizialmente messo in palio durante le regate intorno all’Isola di Wight, ed è stato donato agli Stati Unito solo dopo la vittoria di un veliero del New York Yacht Club chiamato America.

Per finire, una carrellata di trofei e delle loro somiglianze.

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