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Il Team Sky ha cambiato il ciclismo
14 dic 2018
Sky ha deciso di abbandonare il ciclismo al termine del 2019 dopo quasi un decennio di innovazioni e vittorie.
(articolo)
18 min
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Sky lascerà il ciclismo al termine della stagione 2019. Questo non significa necessariamente la fine della squadra di Sir David Brailsford ma solo, si fa per dire, che il più grande sponsor nel mondo del ciclismo si farà da parte. Partendo dai 14 milioni del 2010 fino ai 35 milioni di sterline investiti nel 2018, la Sky ha dominato economicamente le altre squadre negli ultimi anni, a volte anche con metodi discutibili (come nel recente caso dell’ingaggio di Ivan Sosa, annunciato ad agosto dalla Trek-Segafredo e a ottobre, dopo un sospetto cambio di procuratore, passato al Team Sky fra mille polemiche), vincendo come nessun altro e superando anche le accuse di doping, che nel ciclismo vengono puntualmente rivolte a chi vince più degli altri.

Le ragioni finanziarie dietro la fine della Sky

Il Team Sky è nato nel 2010 praticamente dal nulla in Gran Bretagna, un paese che storicamente non ha mai avuto una grande tradizione nel ciclismo su strada. All’inizio il sogno era quello di portare un britannico a vincere la più prestigiosa corsa a tappe del mondo, cioè il Tour de France. C’è riuscito per la prima volta nel 2012 con Bradley Wiggins. E poi ancora per quattro volte con Chris Froome e una volta con Geraint Thomas per un totale di sei Tour de France vinti nelle ultime sette edizioni, tutti con atleti britannici. Per comprendere meglio cos’è stato il Team Sky basti pensare che al momento esiste un solo ciclista in attività non britannico ad aver vinto il Tour de France, cioè Vincenzo Nibali, e che nel 2018 tutti e tre i grandi giri sono andati a ciclisti britannici (il Giro a Froome, il Tour a Thomas, la Vuelta a Simon Yates). Comprensibilmente, quindi, l’impronta del Team Sky è destinata a rimanere a lungo nella storia del ciclismo e dello sport britannico. Allora perché un addio così improvviso?

In realtà, la decisione di Sky di lasciare il ciclismo non ha molto a che vedere con i risultati sportivi ed è diretta conseguenza in primo luogo dell’acquisizione totale dell’emittente fondata da Rupert Murdoch da parte di Comcast, cioè il più grande operatore via cavo degli Stati Uniti. Comcast ha comprato Sky nella sua totalità, compreso quindi anche quel 39% di azioni che appartenevano alla 21st Century Fox Inc. di Rupert Murdoch (il restante 61% era stato acquistato da Disney nel dicembre del 2017).

In questo spacchettamento dell’impero della famiglia Murdoch, a rimetterci è stato, tra le altre cose, il comparto ciclistico. Fu infatti proprio il miliardario australiano a voler fortemente investire nel progetto di David Brailsford e, ora che non è più lui a gestire la società, i nuovi proprietari non hanno intenzione di proseguire sulla strada intrapresa quasi dieci anni fa.

Ora dunque Brailsford dovrà trovare un nuovo sponsor, un’impresa già ardua di per sé, visto il quantitativo di milioni che Sky garantiva, e resa ancor più complicata dal fatto che la licenza Uci World Tour della squadra appartiene alla Tour Racing Limited, una holding di proprietà di Sky UK Ltd che quindi, anche se smetterà di essere sponsor, continuerà a possedere la licenza tramite la TRL (a meno che il nuovo sponsor non decida di acquistare anche la licenza). Una situazione inedita nel mondo del ciclismo, come d’altronde tante delle cose che riguardano il Team Sky.

Gli inizi

Come detto, il Team Sky nasce nel 2010, da quella strampalata idea di voler vincere il Tour de France con un pistard (cioè un ciclista su pista). Non uno qualsiasi, beninteso, ma il più forte pistard in circolazione: Bradley Wiggins, all’epoca tre volte campione del mondo nell’inseguimento individuale (2003, 2007 e 2008), due volte nell’inseguimento a squadre (2007 e 2008), una volta nell’Americana (in coppia con Mark Cavendish nel 2008) e vincitore di tre ori, un argento e due bronzi alle Olimpiadi dal 2000 al 2008 (ottenuti nell’inseguimento sia individuale che a squadre).

Wiggins già dal 2001 aveva iniziato il suo avvicinamento al ciclismo su strada per poi approdare nel ciclismo che conta nel 2002 in Francia: prima la Française des Jeux, poi Crédit Agricole e Cofidis. Per la stagione 2009 firma con la Garmin ed è proprio quell’anno che Wiggins decide di provare a far classifica nei grandi giri. Durante la preparazione perde sei chili e si allena duramente sull’aumentare la frequenza di pedalate spingendo rapporti più agili in salita. In quel 2009 arriva quarto al Tour de France dietro a Contador, Andy Schleck e un redivivo Lance Armstrong (poi squalificato).

Quando Brailsford decide di mettere in atto il suo ambizioso progetto, con l’approvazione della British Cycling (la federazione ciclistica della Gran Bretagna), l’uomo più adatto al compito è senza dubbio Wiggins, che risulta infatti tra i primi nuovi ingaggi del team nel 2010. Bisogna a questo punto specificare che David Brailsford, dal 2003, era anche performance director della British Cycling.

Sir Dave Brailsford, la mente dietro il Team Sky (foto di Chris Graythen / Getty Images).

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«Invece di avere Mark Cavendish, Bradley Wiggins, Pete Kennaugh, Geraint Thomas, Ian Stannard sparsi fra i vari team, averli tutti in un unico team a un certo punto aumenterà le nostre opportunità, ad esempio, nella prova su strada alle Olimpiadi», rispondeva Brailsford a chi gli chiedeva conto degli investimenti fatti dalla British Cycling a sostegno del Team Sky: sono 26,4 i milioni di sterline ricevuti dalla British Cycling in vista delle Olimpiadi di Londra 2012, 7 quelli che risultano nel bilancio del neonato team guidato da Brailsford. L’intento dichiarato è di vincere il Tour de France entro cinque anni.

I primi a firmare per il Team Sky furono proprio i britannici Geraint Thomas, Steve Cummings, Chris Froome, Russell Downing, Ian Stannard e Peter Kennaugh, seguiti poi dagli stranieri Edvald Boasson Hagen, Thomas Löfkvist, Kurt Asle Arvesen, Simon Gerrans, Juan Antonio Flecha, Kjell Carlström, John-Lee Augustyn, Greg Henderson, Lars Petter Nordhaug e Morris Possoni. Una squadra ben attrezzata, piena di giovani interessanti, che può contare su una delle migliori strutture di allenamento al mondo e uno degli uomini più ricchi del pianeta come sostenitore (cioè Rupert Murdoch, per l’appunto).

«Immaginate se la UK Sport mi dicesse “ok, non poniamoci limiti, vogliamo vincere la prova olimpica su strada, qual è il piano?”, io direi loro che vogliamo il maggior numero possibile di ciclisti insieme in un team professionistico, che corrano insieme tutte le settimane. Cosa possiamo fare per farlo accadere? Potrebbero correre per la Gran Bretagna se la Gran Bretagna potesse pagare le centinaia di migliaia di sterline che guadagnano i ciclisti professionisti. UK Sport allora direbbe “bene, ti servirà uno sponsor per farlo”. È così che è entrata Sky, per finanziare questo team». A sentire le parole di Brailsford sembra la cosa più ovvia del mondo, e oggi ci sembra effettivamente che sia così, ma non lo era affatto 8 anni fa.

Il 2010 è però un anno avaro di soddisfazioni: al Giro d’Italia, dopo la vittoria nel cronoprologo, Wiggins naufraga quasi subito, ritrovandosi lontano dalle posizioni buone della classifica; al Tour il miglior piazzamento in classifica generale è il 17° posto di Thomas Löfkvist. Si salva giusto la vittoria di Flecha alla Omloop Het Nieuwsblad e poco altro. Ma il primo anno i meccanismi sono ancora in fase di rodaggio e gli obiettivi quinquennali del team vanno avanti senza troppi patemi. L’anno della svolta è infatti il 2011.

La prima vittoria con Wiggins

Dopo la delusione dell’anno precedente, nel 2011 Wiggins salta il Giro per focalizzarsi sul Tour ma, dopo aver vinto il Delfinato, cade alla settima tappa ed è costretto al ritiro. Nel frattempo c’è un altro nome che inizia a farsi notare ed è quello di un giovane inglese nato e cresciuto in Kenya, con una strana malattia che ne aveva fino a quel momento frenato la crescita (la bilharziosi, una malattia parassitaria che si trasmette tramite il contatto con acque infette), e cioè quello di Chris Froome.

Alla Vuelta 2011 il Team Sky decide di schierarlo a supporto del capitano, Wiggins, che ha prontamente recuperato dalla frattura della clavicola e tappa dopo tappa consolida il suo primato alla Vuelta. Almeno fino all’Angliru, dove un sorprendente Juan José Cobo Acebo riesce a metterlo in difficoltà al punto da fargli cedere il passo in classifica generale non solo allo spagnolo ma anche al suo giovane compagno di squadra, che chiuderà quella Vuelta al secondo posto.

Sembra un altro passaggio a vuoto, ma in realtà è la rincorsa prima del salto. Nel 2012 Wiggins e Froome si presentano al Tour de France in grandissima forma. Froome è mostruosamente più magro rispetto agli anni precedenti ed entrambi sfoggiano sulle salite di Francia un nuovo stile di pedalata, più agile e con un impressionante numero di giri al minuto.

In realtà, quella di provare ad aumentare la frequenza con un rapporto più agile non è una novità nel ciclismo moderno. L’esempio migliore di questa particolare specialità fu senz’altro Lance Armstrong, che riusciva a risparmiare preziose energie spingendo rapporti più agili rispetto ai suoi avversari. Una tecnica che Wiggins prima e Froome poi porteranno all’estremo, anche a costo di pagare lo scotto di una più veloce usura delle fibre muscolari nel lungo periodo. È anche grazie a scelte come questa che gli uomini del Team Sky sbaragliano la concorrenza al Tour de France 2012.

Fabian Cancellara vince il prologo e tiene la maglia gialla fino alla settima tappa, con l’arrivo alla Planche des Belles Filles. Ed è proprio questo momento questo lo spartiacque della storia del Team Sky e, di conseguenza, del ciclismo del nuovo millennio. All’inizio di quella salita il Team Sky si sistema con i suoi uomini a fare l’andatura in testa al gruppo. Mentre Richie Porte tira davanti, il gruppo comincia a perdere pezzi anche pregiati: si stacca la maglia gialla di Cancellara, cedono Frank Schleck e Samuel Sanchez e davanti rimangono davvero in pochi. A due chilometri dal traguardo è il turno di Froome e il gruppo esplode definitivamente: alla ruota del ciclista nato in Kenya rimangono solo Wiggins, Nibali, Evans e Taaramae.

Evans parte lungo, Wiggins chiude in prima persona. Poi, da dietro, Froome si mette in proprio e va via da solo. L’immagine del suo caschetto giallo che sbuca fuori dall’asfalto pochi secondi prima che compaiano sullo sfondo le sagome dei suoi inseguitori è una delle immagini simbolo più ricorrenti nella narrazione dell’ascesa del Team Sky. Tappa a Froome, maglia a Wiggins.

L’esultanza di Froome, quel giorno, fu di una spontaneità disarmante. Un tipo di gioia liberatoria che gli si è rivista sul volto, e nei gesti del corpo, solo dopo l’impresa con cui ha ribaltato l’ultimo Giro d’Italia (foto di Lionel Bonaventure / Getty Images).

Da lì in poi il Tour de France del Team Sky procede speditamente verso il trionfo. Alla cronometro della nona tappa Wiggins vince annientando tutti i suoi avversari; al secondo posto chiude Chris Froome davanti a Fabian Cancellara. I diretti rivali per la classifica generale sono molto più indietro: Evans perde 1’43”, Nibali 2’07”. In classifica generale Cadel Evans è al secondo posto in mezzo ai due uomini Sky. L’australiano però crolla a La Toussuire, 11ª tappa, e cede il posto sul podio a Vincenzo Nibali, terzo a oltre due minuti.

Il secondo momento iconico nella storia dell’ascesa del Team Sky arriva il 19 luglio alla 17ª tappa, la Bagnères de Luchon - Peyragudes, e in particolare sull’ultima salita di quel Tour de France.

Alejandro Valverde è da solo in testa con un vantaggio di circa un minuto quando da dietro Chris Froome fa partire il forcing. Il gruppo dei migliori tentenna e si sfilaccia mentre l’unico a seguire le ruote del britannico è il suo capitano in maglia gialla. Ma da quel momento in poi c’è qualcosa che inizia ad andare storto. Froome continua a macinare la salita finale mentre Wiggins per la prima volta sembra non riuscire a tenere il passo del suo giovane compagno di squadra. A quel punto Froome è in piena trance agonistica, vede la vittoria di tappa sempre più vicina e gli avversari staccarsi sempre di più. Si volta ripetutamente per cercare Wiggins, per incitarlo a seguire il suo ritmo: vorrebbe poterlo caricare di peso e trascinarlo su fino al traguardo. Nella sua foga non riesce a percepire la fatica di Wiggins, forse non comprendendo ancora di essere il più forte tra i due. Alla fine Valverde ne approfitta e vince la tappa, mentre Froome e Wiggins vanno avanti fino al traguardo nel loro strano tira e molla.

Ci sarebbero tante cose da dire rivedendo queste immagini. Ci sono soprattutto due premesse da fare: Valverde non rappresentava in quel momento nessun pericolo per la classifica generale né per il primo né per il secondo posto e tutti i diretti avversari pericolosi non avevano seguito l’azione di Froome ed erano quindi rimasti staccati dalla coppia del Team Sky. In una situazione normale probabilmente Wiggins sarebbe rimasto tranquillo a controllare i suoi rivali gestendo il vantaggio mentre Froome avrebbe potuto lanciarsi da solo all’inseguimento di Valverde per provare a vincere la tappa. Oppure Froome avrebbe potuto semplicemente fare un passo più regolare e tranquillo per accompagnare il suo capitano fino in cima.

Ma la situazione del Team Sky in quel momento non aveva nulla di normale. Era la prima volta che si trovavano a dover gestire una situazione del genere sul palcoscenico più importante del mondo. Tutta la squadra era stata costruita per quel momento lì, tutti gli investimenti di Sky erano stati sfruttati per portare un uomo solo, Bradley Wiggins, alla vittoria del Tour de France. Con il risultato a portata di mano, dopo anni di sacrifici e di lavoro, David Brailsford non voleva rischiare per nulla al mondo che qualcosa si potesse intromettere nei suoi programmi.

La rigidità dell’organizzazione del Team Sky si trovò in quel momento in crisi di fronte a una situazione non prevista. Questo e la poca attitudine di Chris Froome al ruolo di gregario crearono quello che fu allo stesso tempo il coronamento di un grande sogno proibito e la fine del rapporto su cui si basava tutto il progetto. Quel giorno fu per Brailsford il momento in cui raggiunse finalmente il suo obiettivo. Ma fu anche per Sir Bradley Wiggins, il primo ciclista britannico a vincere il Tour de France, il giorno più umiliante della sua lunga e meravigliosa carriera.

Una nuova vita

Dopo quell’episodio, Chris Froome chiese e ottenne di correre da capitano unico al Tour de France 2013 e, per questa ragione, Bradley Wiggins fu dirottato al Giro d’Italia. Le ambizioni del ciclista britannico, però, si scontrarono contro un Nibali forse al top della sua carriera e tutte le previsioni di vittoria scivolarono via sull’asfalto bagnato dal maltempo che quell’anno colpì duramente la Corsa Rosa. A tenere alti i colori Sky fu il colombiano Rigoberto Uran, che chiuse al secondo posto.

Chris Froome vinse invece la centesima edizione del Tour de France con 4’20” di vantaggio sul secondo classificato, il giovanissimo colombiano Nairo Quintana. Se il trionfo di Wiggins aveva significato il successo del progetto di Brailsford, la vittoria di Froome aprì una nuova strada per il Team Sky. Non più un progetto a termine, con un obiettivo preciso, ma una squadra vera e propria pronta a competere con i vecchi maestri del ciclismo mondiale su ogni terreno.

Nel 2014 David Brailsford lascia il suo incarico alla British Cycling e, come conseguenza, negli anni successivi la Sky sembra in parte abbandonare la sua politica filo-britannica. Fra il 2015 e il 2016 arrivano al Team Sky tanti grandi nomi stranieri come Mikel Landa, Wout Poels e Michal Kwiatkowski, e la squadra britannica inizia a vincere anche le grandi classiche: la Liegi-Bastogne-Liegi nel 2016, la Milano-Sanremo e il San Sebastian nel 2017, sono solo alcune fra le più importanti vittorie nelle corse di un giorno ottenute dagli uomini del Team Sky negli ultimi anni. Nel microcosmo delle classiche dominato da sempre dalla Quick Step e da Alejandro Valverde anche queste poche ma importanti vittorie assumono una certa rilevanza.

Probabilmente la vittoria più sorprendente del Team Sky, con Wout Poels davanti a Michael Albasini alla Liegi-Bastogne-Liegi 2016 (foto di Kenzo Tribouillard / Getty Images).

Vittorie che dimostrano innanzitutto le capacità di Brailsford nel saper sfruttare lo strapotere economico del suo sponsor per assicurarsi alcuni fra i migliori ciclisti in circolazione, creando una squadra piena di gregari di lusso che, come si dice spesso, sarebbero i capitani in tante altre squadre World Tour.

Nessun uomo al mondo può al momento vantare il pacchetto di gregari di Chris Froome, che, proprio grazie alla forza della sua squadra, nel 2018 ha potuto tentare la doppietta Giro-Tour (mancata non di molto, 1° al Giro e 3° al Tour) dopo aver già chiuso quella Tour-Vuelta nel 2017. Imprese che hanno bisogno di un fuoriclasse per essere anche solo pensate, ma che nel ciclismo di oggi sarebbero impossibili senza una squadra ben attrezzata come il Team Sky. E se i detrattori continueranno a puntare il dito sul fatto che alla fine non ce l’ha fatta, rimane comunque il dubbio che se Froome ci avesse provato un paio di anni prima probabilmente ci sarebbe riuscito davvero.

Anche a livello giovanile la Sky ha negli ultimi anni messo sotto contratto alcuni dei migliori talenti in circolazione andandoli a volte a scippare alla concorrenza anche con metodi discutibili, anche acquistandoli senza attendere la scadenza naturale del contratto (nel ciclismo il mercato si fa solo con gli svincolati, non esiste il ciclomercato come nel calcio). Un sistema controverso e dominante, che lascia perplessi molti degli addetti ai lavori e anche tanti appassionati che vorrebbero un maggiore equilibrio delle forze in campo.

Egan Bernal è il fiore all’occhiello della nuova generazione di talenti del Team Sky, acquistato nel 2017 dalla Androni di Gianni Savio subito dopo la vittoria al Tour de l’Avenir. A fine stagione lo ha raggiunto anche Pavel Sivakov, vincitore in quel 2017 del Giro della Valle d’Aosta e del Giro d’Italia U23. A loro bisogna aggiungere il britannico Tao Geoghegan Hart e l’altro colombiano Ivan Sosa, arrivato sempre dalla Androni.

Tornando ai “grandi”, il rinnovo quinquennale fatto firmare a Egan Bernal a ottobre di quest’anno è il segno che Brailsford ha individuato in lui il futuro della squadra nelle corse a tappe. Non è un britannico, e già questo dovrebbe far capire quanto è cambiata la filosofia alla base del Team Sky dal 2010 a oggi, è giovanissimo (ha solo 21 anni), ma ha già dimostrato ampiamente di essere uno di quei talenti purissimi che nascono una volta ogni mezzo secolo (ma, come sappiamo, tra questo e una carriera di successo c’è comunque un abisso da colmare).

A 21 anni, Bernal ha già vinto fra i professionisti quest’anno il Giro di California ed è arrivato 2° dietro a Primož Roglič al Tour de Romandie. Ha corso il Tour de France per la prima volta piazzandosi 15° in classifica generale dopo 21 tappe passate da gregario a trascinare su e giù per le montagne Geraint Thomas e Chris Froome, e l’anno prossimo dovrebbe correre il Giro d’Italia come capitano, pronto a sfidare le vecchie glorie del ciclismo mondiale per costruire una nuova pagina di storia di questo sport.

Il presente e il futuro del Team Sky, o quel che sarà (foto di Jonh Bonilla / Getty Images).

E ora?

Adesso, però, la crescita del Team Sky, che sembrava inarrestabile fino a solo pochi mesi fa, è stata recisa di netto. L’annuncio dei nuovi proprietari è stata una sorpresa anche per lo stesso Brailsford, che ora avrà solo pochi mesi a disposizione per trovare un rimpiazzo che riesca a garantire lo stesso esborso economico e, allo stato attuale delle cose, è improbabile che ci riesca.

Seppur sia difficile che una squadra del genere non riesca a trovare uno sponsor, è possibile invece che il successore di Sky ridurrà l’ingente investimento complessivo garantito fino ad oggi dall’emittente di Murdoch. Se questo dovesse accadere, il nuovo team dovrà fare delle scelte e probabilmente ridurre il monte ingaggi. Una situazione che potrebbe riportare un maggiore equilibrio fra le squadre World Tour ma che non basterebbe comunque da solo a rendere il ciclismo meno prevedibile di quanto lo fosse sotto il dominio Sky.

In ogni caso, il lascito del Team Sky al ciclismo non sarà certo sepolto nei libri di storia e dimenticato. In realtà, quella avviata dagli uomini di Brailsford può essere considerata una vera e propria rivoluzione tecnica, che ha cambiato il ciclismo per come lo conoscevamo e che ha già contagiato altre squadre.

Tom Dumoulin e la sua Sunweb, ad esempio, sono probabilmente l’esempio più calzante della tendenza dei tecnici a cercare di spingere il fisico degli atleti costantemente al limite nel tentativo di migliorarne le capacità. È un’operazione che viene fatta costantemente sugli uomini da corse a tappe, indotti a perdere peso in maniera drastica anche a costo di perdere potenza. E, di conseguenza, la tendenza a sfruttare dei rapporti sempre più agili con frequenze sempre più alte, proprio per sopperire al calo di potenza dovuta al peso. Sono tante le tecniche di programmazione che la Sky ha inserito nel mondo del ciclismo, a partire dalla disidratazione controllata (una particolare tecnica che abitua il corpo a bere di meno al fine di perdere peso per essere più performanti in salita) fino all’uso sistematico dei misuratori di potenza.

Sky ha provato a innovare il ciclismo in continuazione, anche correndo il rischio di andare incontro a fallimenti economici e sportivi, come ad esempio l’esperimento del camper personale per il capitano dei grandi giri, una pratica eccessivamente costosa per i pochi benefici che portava (forse nulli, vedendo i risultati di Richie Porte in quel Giro d’Italia 2015).

Alcune di queste pratiche hanno fatto sorgere più volte nell’opinione pubblica il sospetto che la Sky facesse uso del cosiddetto “doping di squadra”, mascherato e spacciato per metodi innovativi. Accuse che sono spesso partite dallo stesso Regno Unito per poi essere accolte a braccia aperte in Francia e nel resto d’Europa alimentando un’antipatia quasi viscerale, che è sfociata più volte per le strade del Tour in aggressioni fisiche ai ciclisti in gara. Il caso della non negatività di Froome durante la Vuelta 2017, con la successiva piena assoluzione arrivata solo a giugno 2018, non ha fatto che alimentare questo clima di ostilità.

Al di là di come la si pensi, comunque, la rivoluzione culturale apportata dal Team Sky è innegabile. La squadra britannica non ha solo raccolto un’incredibile quantità di vittorie (tante o poche a seconda dei punti di vista), ma ha soprattutto cambiato il modo di fare e intendere il ciclismo.

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