Il grande progetto “Parigi 2024” è nato pochi minuti dopo la sconfitta di Team USA in semifinale negli ultimi Mondiali, quando la Germania vinse contro una selezione statunitense onesta ma inesperta, quasi completamente a digiuno di basket FIBA. Un KO che ha ribadito in maniera chiara come neanche il Paese con più talento cestistico al mondo possa permettersi di schierare le seconde o terze linee, perché la distanza tra loro e tutti gli altri è di gran lunga minore rispetto a ciò a cui siamo stati abituati da Barcellona 1992 in poi.
Non a caso, quando l’account The NBA Central ha condiviso su Instagram un fotomontaggio con nove tra i migliori giocatori statunitensi della lega immaginandoseli insieme in vista delle Olimpiadi, tra i commenti è spuntata l’emoji con due occhi sbarrati di sua maestà LeBron James.
Poco dopo sono arrivati i tweet dei soliti beninformati come Shams Charania e Adrian Wojnarowski, che preannunciavano l’intenzione di James di rendersi disponibile per Parigi 2024 per un ultimo giro di giostra alle Olimpiadi alla soglia dei 40 anni. E se si mette in gioco "il Re", allora nessun altro può permettersi di dire di no, dando al capo di USA Basketball Grant Hill e all’allenatore Steve Kerr la possibilità di scegliere tra il meglio (o quasi) della NBA con un solo obiettivo: dimostrare per i quinti Giochi Olimpici consecutivi che Team USA è ancora in vetta al mondo.
La composizione del roster
Dopo il sì di James, ben presto si è messa in moto la macchina organizzatrice per poter raccogliere le candidature di tutti gli altri. Steph Curry con ogni probabilità avrebbe partecipato a Parigi 2024 anche senza LeBron, visto che in panchina c’è Kerr e che è la sua ultima possibilità di aggiungere l’oro olimpico a una bacheca già ben fornita. Tornando in nazionale a 14 anni esatti dall’ultima volta visto che non aveva più giocato (sia per scelta che per infortunio) dopo i Mondiali del 2010. Insieme a loro due è tornato a far parte del gruppo anche il giocatore FIBA più vincente di sempre, vale a dire Kevin Durant, che al collo ha già messo tre ori olimpici consecutivi e rappresenta il terzo pilastro della formazione, l’unico insieme a James e Curry ad aver vinto sia il premio di MVP della regular season che quello delle Finals.
Grant Hill e Steve Kerr hanno poi scelto alcuni giocatori che si erano particolarmente distinti nelle ultime manifestazioni. Da Tokyo 2021 sono stati richiamati Jrue Holiday, Jayson Tatum, Devin Booker e Bam Adebayo, mentre dai Mondiali sono rimasti solo Anthony Edwards e Tyrese Haliburton, due dei pochi che si sono salvati dal disastro filippino. I Mondiali avevano esposto in maniera preoccupante la mancanza di fisicità e di centimetri degli USA, motivo per cui è stato richiamato anche Anthony Davis, che dopo l’oro olimpico del 2012 e quello mondiale del 2014 non era più tornato in Nazionale, complici anche i tanti problemi fisici. Infine, gli ultimi due spot sono andati a Joel Embiid e a Kawhi Leonard, per i quali va fatto un discorso a parte.
Embiid è stato selezionato per Team USA quasi più per toglierlo alla Francia (che avrebbe potuto selezionarlo in quanto proprietario di passaporto francese, e a cui ha telefonato addirittura Macron per provare a convincerlo a scegliere questa sponda dell'Atlantico) che non per renderlo il giocatore di punta della selezione. Certo, stiamo parlando di un perenne candidato MVP e di un giocatore sensazionale, nonché un’iniezione di chili e centimetri quanto più necessaria per una Nazionale che negli ultimi decenni ha faticato a produrre lunghi di un certo livello. Ma la sensazione è che USA Basketball fosse più interessata a impedire che la Francia lo mettesse al fianco di Rudy Gobert e Victor Wembanyama, formando un mostro a tre teste difficile da affrontare, che non per puntarci per davvero, come vedremo più avanti.
L’ultimo posto è andato invece a Kawhi Leonard, anche qui quasi più per “pedigree” che non per reale convinzione. Leonard ha concluso da infortunato la sua stagione ai Clippers, arrivando zoppicando al termine della regular season e disputando solo due gare ai playoff, ben lontano dal 100%, prima di fermarsi definitivamente. È sempre sembrato un po’ strano che volesse affrontare l’esperienza olimpica quando il suo fisico in questo momento fa fatica a reggere i ritmi di una stagione NBA, ma in ogni caso era presente al training camp di Las Vegas e solo alla vigilia della prima partita amichevole gli USA hanno deciso di fermarlo, facendo nascere peraltro un caso diplomatico con i Clippers. Nel comunicato nel quale viene annunciata la decisione, infatti, si parla di scelta condivisa con la franchigia nel miglior interesse del giocatore, versione però smentita seccamente dal capo della dirigenza Lawrence Frank pochi giorni dopo («È stata una loro decisione e a essere sinceri mi ha deluso molto. Kawhi voleva giocare e noi volevamo che giocasse»).
Con ogni probabilità Team USA non era sicuro che Leonard sarebbe riuscito a reggere i ritmi della competizione e che a un certo punto li avrebbe lasciati per strada, uno scenario il più possibile da scongiurare visto che anche Durant ha saltato interamente la fase di avvicinamento a Parigi complice un infortunio al polpaccio rimediato a giugno. Per questo motivo Team USA ha deciso di chiamare Derrick White, che era già stato preallertato (si era cominciato a vociferare di una sua convocazione al posto di Leonard già alle Finals di giugno) e per questo è stato preferito anche a Jaylen Brown nonostante quest’ultimo avesse appena vinto il premio di MVP delle Finals.
Come si suol dire: prenderla alla larga.
Brown rappresenta un altro passo falso a livello di comunicazione e reputazione per Team USA, visto che la stella dei Celtics - che aveva preso parte ai fallimentari Mondiali del 2019 e poi non è stato preso in considerato per la squadra di Tokyo 2021 - al momento della convocazione di White non ha nascosto il suo disappunto, arrivando addirittura a citare Nike come “mano lunga” che ha tramato contro di lui per non mandarlo a Parigi insieme agli altri compagni di squadra con cui aveva appena vinto il titolo. Insomma: prima ancora di cominciare ad allenarsi e a giocare, l’avvicinamento ai Giochi non è stato esattamente privo di ostacoli per Team USA.
Cosa ha detto il campo fino a questo momento
Prima del training camp c’era molta curiosità per capire come avrebbe deciso di giocare Steve Kerr. Posto che raggiungere gli automatismi e la coesione di altre Nazionali è semplicemente impossibile per Team USA (anche perché i giocatori cambiano di competizione in competizione), le cinque gare amichevoli disputate fino a questo momento hanno dato delle indicazioni piuttosto chiare su quali siano le scelte di Kerr e tutt’altro che conclusive invece su come si comporterà la squadra, che ha “acceso e spento” come poche altre volte.
L’infortunio di Kevin Durant ha complicato un po’ i piani di Kerr, il quale però ha deciso abbastanza nettamente di dividere la squadra in due: da una parte c’è il quintetto base che è costruito attorno a Curry e James (compagni di squadra per la prima volta nella loro carriera e probabilmente per l’ultima), con Joel Embiid titolare visto “l’investimento politico” che è stato fatto su di lui e Jrue Holiday scelto per togliere dalle spalle di Curry le incombenze difensive sul perimetro. Il quinto posto, quello che sulla carta spetterebbe a KD, è andato alternativamente a Tatum e Booker, ma indipendentemente da chi sia sceso in campo è sembrato un po’ uno spreco di talento, avendo pochissimi palloni a disposizione per dare il proprio meglio e chiamati a essere dei tiratori piedi per terra, cosa che nessuno dei due in cuor suo è. Da questo punto di vista Durant sarebbe paradossalmente più facile da “scalare” in un ruolo di contorno pur essendo uno dei più grandi realizzatori della storia, ma meno bisognoso di palleggi per essere efficace. Con ogni probabilità anche Leonard sarebbe stato più efficace, specialmente in una metà campo difensiva che ha mostrato delle lacune con il solo Holiday lasciato a tappare i buchi degli altri membri del quintetto titolare. In questo senso, un giocatore più 3&D avrebbe fatto più comodo rispetto a un altro All-Star, ma non ci si può certo lamentare della quantità di talento a disposizione.
A questo punto va inserito poi il discorso su Embiid, forse la nota meno lieta di tutta la spedizione almeno prima di una buona prova contro la Germania. Il centro dei Sixers è sembrato essere piuttosto indietro in termini di condizione fisica e non sembra esattamente il giocatore ideale per il basket FIBA, un po’ perché il campo è più stretto rispetto a quello della NBA, e un po’ perché a livello di velocità di pensiero e di azione-reazione ha delle lacune. Embiid è un giocatore che ha bisogno di tanto volume e di tanto tempo per dare il suo meglio: tanti palloni devono transitare dalle sue mani, tanti possessi devono essergli recapitati in post dove lui può ricevere, scandagliare, guardare, fare qualche finta e poi attaccare, gestendo l’attacco coi suoi tempi. Tempi che però nel quintetto di LeBron e Curry difficilmente esistono, a maggior ragione in area FIBA, dove si giocano 8 minuti in meno rispetto alla NBA, e anche nella metà campo difensiva è sembrato meno impenetrabile rispetto a quello che ci si aspetterebbe in un basket in cui si può sostare per più di tre secondi nella propria area, venendo battuto un po’ troppo spesso al ferro per quelle che sono le sue qualità. Sia chiaro: gli USA hanno bisogno dei chili e dei centimetri di Embiid, sia per non essere battuti a rimbalzo sia per portare i blocchi che liberano le mortali uscite di Curry, e sulla strada verso una medaglia potrebbero aver bisogno della sua capacità di guadagnarsi tiri liberi e rallentare i ritmi. Il problema è capire se Embiid riuscirà a diventare un lungo “di sbattimento” o se il suo unico modo di giocare è quello che lo vede essere la stella indiscussa quando è in campo.
Quello di cui Team USA ha bisogno da Embiid…
…e quello di cui non ha bisogno
Il quintetto base è andato molto a folate, alternando momenti apatici ad altri di assoluto dominio in particolare quando si sono accesi Steph Curry (come contro la Serbia) e LeBron James (contro il Sud Sudan e contro la Germania). La sensazione però è che sia ancora molto dipendente dal momento emotivo della partita e da come le due superstar riescano a influenzarlo con il loro carisma, galvanizzando e portandosi dietro il resto della squadra nel momento in cui il loro talento prende il sopravvento. In altre occasioni, invece, è sembrato andare fortemente in difficoltà dal punto di vista atletico, specialmente in transizione difensiva dove comunque i limiti di Curry, James ed Embiid vengono esposti, e Holiday da solo difficilmente potrà reggere se a quei tre verrà aggiunto anche Durant.
Una second unit difficile da affrontare
Se il quintetto base ha lasciato più di qualche dubbio, al contrario la “second unit” (se così vogliamo parlare di un quintetto che potrebbe benissimo vincere l’oro da solo) ha dato le indicazioni più positive a Kerr, che si è innamorato perdutamente della coppia formata da Bam Adebayo e Anthony Davis. Invece di alternarli come lungo di riferimento alle spalle di Embiid, Kerr li ha sempre schierati insieme e i due sono risultati sorprendentemente complementari, specialmente quando la linea da tre punti più vicina riesce a sbloccare il tiro perimetrale di Adebayo come accaduto nella partita contro la Serbia.
“Bam Bam Splash” è il nuovo soprannome coniato dal "Re".
I due lunghi di Heat e Lakers assieme forniscono una versatilità del tutto diversa a Team USA, visto che sono perfettamente intercambiabili in difesa dividendosi i compiti di protezione del ferro, e nei loro giochi alto-basso con Adebayo da passatore e Davis da ricevitore possono fare male a qualsiasi panchina avversaria. Con due così sotto canestro, Kerr può permettersi di sperimentare sul perimetro: l’unico certo del posto è Anthony Edwards, che finora è stato usato quasi esclusivamente con la second unit e insieme a Curry e James solo nei finali di partita, mentre Haliburton e White vengono alternati in base alle esigenze (se serve più attacco gioca il leader dei Pacers, se serve più difesa dentro la guardia dei Celtics) e nel ruolo di 3 viene schierato quello che non gioca titolare tra Tatum e Booker. Fino a questo momento Kerr ha schierato tutti i suoi giocatori — complice anche l’infortunio di Durant — e ha pressoché sempre operato dei cambi “stile hockey”, con cinque sostituzioni alla volta alternando i quintetti ogni cinque minuti. Una volta finita questa fase di sperimentazione, sarà molto interessante vedere quali scelte opererà sulla sua rotazione e come e quanto verranno mischiati i due quintetti che finora sono stati separati.
In generale, Team USA arriva alle Olimpiadi da chiara favorita per l’oro, ma anche con la certezza che arrivare a vincerlo per la quinta volta in fila non sarà per nulla facile, anzi sarà con ogni probabilità il percorso più difficile della loro storia. Gli Stati Uniti sono forti ma non così più forti degli avversari che affronteranno, almeno per quello che si è visto negli ultimi 20 giorni, e se non fosse stato per un paio di quarti periodi d’autore di LeBron James alla O2 Arena di Londra ci sarebbe stata molta più pressione su Steve Kerr e il suo staff, che non hanno ancora trovato la chiave per far funzionare al meglio la squadra che è stata costruita.
A 39-anni-quasi-40 nessuno gliene avrebbe fatta una colpa se avesse passato la sua estate a bere vini su uno yacht in mezzo al Mediterraneo, invece è ancora in campo con più voglia degli altri a spiegare cosa vuol dire essere GOAT. Il modo in cui ha spazzato via i campioni del mondo negli ultimi 4 minuti è stato allucinante.
Allo stesso modo, anche le squadre che affronteranno Team USA avranno già ben delineato il piano partita da attuare: correre il più possibile (specialmente contro i titolari), mantenere sempre alto il numero di conclusioni da tre punti (che la squadra di Kerr un po’ fatica a generare con continuità, specialmente quando Curry non è in campo), muoversi tanto lontano dal pallone e andare forte a rimbalzo offensivo. Non è detto che basti, perché comunque c’è troppo talento dall’altra parte e il carisma di James, Curry e Durant può cambiare l’inerzia di ogni partita, ma una strada per batterli c’è.
Forse il torneo olimpico non è mai stato così divertente come quello di quest’anno.