Dopo il match point Stan Wawrinka, mentre sta per alzare le braccia al cielo, si accorge di avere ancora la racchetta in mano e la getta via, come fosse rovente. Ho fatto caso a questo dettaglio quando a fine partita, ancora scosso, stavo cercando da qualche parte la causa di quello che avevo appena visto. Ho pensato che si trattasse di un oggetto magico.
Per quanto legittimo lo stupore di fronte a quello che è successo domenica, bisogna ricordare che non si è trattato della prima volta in cui Wawrinka e Djokovic salgono su un livello di tennis simile. Nessuna magia, quindi, al limite alchimia di coppia.
Quarti dell’Australian Open 2014, una partita dall’andamento curiosamente simile. Stan poi vincerà il torneo.
Il fatto che il tennis sia uno sport individuale fa passare in secondo piano che la partita, in sé, è un microcosmo complesso formato dall’unione delle variabili balistiche di entrambi i tennisti. Quando Djokovic e Wawrinka sono insieme sullo stesso campo, il tennis diventa questa cosa qui: un gioco in cui bisogna tirare più forte possibile ogni colpo, in angoli sempre più impossibili del campo.
Un gioco affascinante da guardare da entrambe le prospettive: da quella di Djokovic, costretto ad aumentare la propria flessibilità in fase difensiva e di contrattacco; da quella di Wawrinka, che trova nella tenuta difensiva di Nole il presupposto per ostinarsi in escalation di accelerazioni sempre più folli e pesanti.
L’uscita da uno scambio vincente è un ruggito di chitarra elettrica in una notte di fuoco e ghiaccio.
Queste condizioni di base sono state esasperate dalla superficie. La terra rossa ha allungato gli scambi, fino a farli diventare uno spettacolo assurdo e spaventoso.
Nole e Stan come esperienza mistica
La partita in realtà è entrata nel vivo solo alla fine del secondo set. Nole è sceso in campo con l’intensità rilassata, quasi zen, che lo ha contraddistinto per tutto il torneo. Il modo in cui si è sbarazzato di Nadal ai quarti di finale era quello di un giocatore ai limiti dell’onnipotenza, che dava l’impressione di aver compreso a fondo la chiave del tennis contemporaneo.
In questa fase della sua carriera, Nole si piazza alla base della linea di fondo e controlla i flussi della partita, tennistici ed emotivi, come il comandante di una nave. Sale di livello quando gli viene richiesto, scende e rifiata senza darne l’impressione, assorbe le folate degli avversari senza scomporsi. Un buon esempio di questo matrix tennistico è stata la semifinale contro Murray: lo scozzese ha portato la partita fino al quinto set, ma non ha davvero mai dato l’impressione di poter vincere. Arrivati al set decisivo, Nole ha mostrato di poter attingere a una riserva ancora profonda di energie, mentre il suo avversario aveva già dato tutto per poter rimanere in qualche modo attaccato alla partita.
Competere con Nole in questo momento è una questione di trascendenza: di tratta di superare i propri limiti, e bisogna farlo continuamente, senza calare d’intensità.
Wawrinka è entrato in campo consapevole di questa necessità, con l’idea assurda di poter raggiungere un livello di tennis che evidentemente nella sua testa è sempre esistito. Nel primo set è stato domato dalla razionalità di Djokovic, poi però il suo gioco è salito. I vincenti, sparati da ogni angolo del campo, hanno lentamente frantumato la corazza di Nole, entrandogli sotto pelle, facendolo oscillare dal nervosismo alla rassegnazione.
Il secondo set è stato una partita nella partita, in cui le parabole d’intensità del tennis dei due giocatori si sono toccate. Un set giocato su pochi punti, nel quale Stan ha trovato la ferocia di vincere quelli decisivi e allungare una partita che sembrava poter finire presto.
Poi nel sesto gioco del terzo set c’è stato lo strappo decisivo, quello che forse ha piazzato nella testa di Djokovic l’idea di non poter vincere quella partita. Tre vincenti da incubo, uno dopo l’altro.
Questo è il momento in cui la racchetta di Stan ha preso fuoco e le sue palline lasciavano sul campo solchi di fiamme e cenere.
Da lì in poi la partita si è assestata su un livello in cui il WTF?! è diventato il massimo slancio interpretativo possibile. La traduzione in numeri di quello che ha fatto lo svizzero può rendere l’idea: 60 vincenti, una mostruosità, specie su terra rossa, specie contro Novak Djokovic.
“Iron” Stan ha mostrato quanto il tennis possa diventare un gioco semplice e brutale: tirare più forte possibile agli angoli estremi del campo, un colpo dopo l’altro. La rabbia con cui l’ha fatto è stata a tratti spaventosa. Nella conferenza post-partita ha detto una frase che sembra banale ma che invece può essere significativa: «Sono ancora sorpreso, perché penso di aver giocato in modo incredibile oggi. Ero molto nervoso, ma non al punto da essere oppresso dal nervosismo».
Stan ha portato il nervosismo fuori da sé, sfogandolo su ogni pallina in uno stato di invasamento mistico. Nel farlo però non è sembrato meno umano, o meno antieroe del solito. Stan sembra un personaggio di Raymond Carver: non solo per l’aspetto trascurato, i pantaloncini presi da un brutto pigiama sotto una maglia non coordinata, l’aria di chi passa dei pomeriggi assolati sul divano a guardare la tv con una lattina di Lone Star sempre in mano. Ma anche per l’atteggiamento da depresso, da passivo-aggressivo, placidamente violento e al tempo stesso profondo come gli alcolisti dei racconti di Carver. Solo che nei racconti di Carver il tennis non esiste.
La partita di Wawrinka ha avuto l’intensità furiosa di un raptus, che una volta conclusa si fa fatica a realizzare: «Ci vuole tempo per rendersi conto della vittoria. È il simbolo della mia carriera, ma è molto difficile guardarsi indietro».
Una sintesi più efficace del match.
Come questa partita può cambiare il tennis
La partita apre anche alcune questioni importanti per il tennis. In ordine sparso:
1. In alcuni momenti il rovescio di Wawrinka è stato così dominante—anche nella diagonale contro uno dei rovesci migliori del circuito—che è diventato ragionevole sospettare che la nuova generazione di tennisti potrebbe tornare a giocarlo a una sola mano. Nella conferenza stampa Stan è stato interrogato su questo aspetto: «Non so se la prossima generazione di giocatori avrà il rovescio a due mani, non sono del tutto sicuro».
2. I tornei attualmente sono meno scontati di quello che potevamo sospettare. Stan ha dimostrato che, anche fuori dai big four, si può salire su un livello di gioco in grado di rompere pronostici e oligarchie. Questa finale è un esempio per tutte quelle seconde linee ATP ancora a digiuno di titoli importanti.
3. Il tennis è arrivato a un momento della sua evoluzione in cui un giocatore con quel fisico (leggermente tarchiato, non esplosivo, pesante) può vincere uno slam sulla terra che si gioca su una lunghezza di 3 set su 5.
4. In partite del genere è difficile capire dove finisce la grande prestazione del vincitore e inizia quella non abbastanza eccezionale dello sconfitto. Eppure rimane nella testa un tweet di Brian Phillips, che potrebbe essere molto più di una provocazione: «Il miglior Wawrinka potrebbe in realtà essere meglio del miglior Djokovic». Nole è un giocatore complessivamente migliore, che vincerà un numero di slam imparagonabile a quello di Stan, questa sconfitta ridimensiona solo parzialmente il suo attuale dominio nel circuito maschile. Ma in definitiva è legittimo domandarsi: Djokovic ha mai raggiunto e raggiungerà mai quel livello incredibile di tennis toccato da Stanislas Wawrinka, anche solo per qualche ora, nella finale? Ci aspettano altre generazioni di giocatori continui e dominanti sul lungo (o lunghissimo) periodo, o è possibile un tennis di freak irraggiungibili ma solo per un numero limitato di partite? Cosa preferiamo?
Miglior attore non protagonista
Se questo Roland Garros ha espresso un leggero riequilibrio di alcune gerarchie del tennis maschile è anche grazie ad Andy Murray. Le speranze a inizio torneo di vedere nello scozzese un possibile antagonista di Djokovic hanno trovato conferma: Murray ha perso solo in cinque set da Nole in semifinale e ha mostrato un gioco centrato e meno autodistruttivo del solito.
La partita difficile per lui non era la semifinale contro Nole, nella quale in fondo aveva il privilegio di non essere costretto a vincere, ma quella precedente. Ed è stata sorprendente la sicurezza con cui Murray ha spazzato via un Ferrer in buone condizioni, che non aveva mai battuto sulla terra e che poteva metterlo in difficoltà mentalmente.
Una prova notevole di solidità mentale, questo si chiedeva a Murray.
A questo punto, con un gioco che si adatta bene alla superficie, Murray ha delle possibilità consistenti di vincere di nuovo Wimbledon, che a oggi sembra lo slam dal pronostico più incerto.
Giù dal trono: Nadal e Federer
Su Nadal avevamo speso fiumi di parole già prima dell’inizio di Parigi. La detronizzazione era immaginabile, anche se le modalità sono state più drammatiche del previsto. Per uno che aveva uno score di 57-1 in questo torneo, uscire ai quarti senza vincere neanche un set rappresenta una sentenza dura. Il dato negativo però è soprattutto mentale: aver subito una superiorità così evidente da parte di Djokovic potrebbe condizionare anche i confronti futuri.
Se escludiamo però questo risultato, in fondo largamente preventivabile, il torneo di Nadal non ha dato segnali solo negativi. È evidente, ad esempio, che Rafa sta lavorando sul proprio gioco, cercando di costruire un tennis capace di renderlo competitivo nonostante la normalizzazione atletica. Siamo ancora in una fase di transizione, ma chissà che non sia la strada giusta sul medio-lungo periodo. Del resto dopo la sconfitta ha dichiarato: «C’è solo una cosa sicura: voglio lavorare ancora più duramente di prima per tornare più forte». Frase di circostanza?
Invece, per quanto riguarda Roger Federer, basta la vittoria del torneo di Wawrinka per mettere la sua sconfitta sotto una nuova luce?
La realtà è che questo torneo ha evidenziato, più di qualunque altro, i limiti di Roger Federer. Il Maestro, nonostante debba difendere molti punti da qui a fine stagione, è ancora saldamente numero due del mondo e, anche negli ultimi mesi, ha dimostrato di potersela giocare con tutti su una lunghezza 2 set su 3. Quando però il gioco si fa duro, le partite diventano più lunghe, e il livello degli avversari sale, Federer mostra un livello di agonismo, tanto mentale quanto atletico, che difficilmente tiene botta. È allora legittimo pensare che probabilmente, quello che sta per arrivare, è l’ultimo slam in cui potrà giocarsi qualche possibilità di vittoria.
I migliori colpi della seconda settimana (qui quelli della prima)
5. Gasquet vs. Djokovic
La partita tra Gasquet e Djokovic è stata un massacro. Sembrava di vedere la sfida tra un giocatore con la racchetta moderna e uno che preferiva mantenere il legno e le corde in budello. Nonostante questo, una partita con Gasquet in campo può riservare in qualsiasi momento piacevoli momenti di velleità tennistiche.
Qui per esempio va in recupero su uno smash di Nole dal lato del dritto, attende che la parabola si ammorbidisca e, a mezzo passo dal limite estremo del campo, tira un passante in chop di dritto molto elegante.
4. Monfils vs. Federer
Anche in questo Roland Garros abbiamo perso l’occasione di vedere Gaël Monfils nelle fasi calde del torneo. Per fortuna ha avuto il tempo di arrivare almeno alla seconda settimana per entrare in classifica con questa palla corta fintata. Se nel tennis esistesse un “premio della critica” lo darei a Monfils tutti gli anni.
3. Murray vs. Ferrer
Il dominio di Nadal nel torneo negli ultimi anni ha mascherato un cambiamento lento ma inesorabile: la scomparsa dei grandi difensori, che sulla terra rossa avevano dominato fino a metà degli anni Duemila.
Con anche Nadal fuori gioco ci ha pensato Murray a tenere in piedi la categoria, con queste difese aggressive che ci fanno pensare che sarà difficile che prima o poi non vinca questo torneo.
2. Tsonga vs. Wawrinka
Se questo è il primo torneo di tennis che seguite nella vostra vita e cercate un giocatore da tifare guardate questo colpo e scansate ogni dubbio:
In questo colpo c’è molto Tsonga: da uno spostamento laterale lento e leggermente indolente nasce un passante tutto polso, che stupisce per la totale assenza del movimento con il braccio. Tsonga è il giocatore del circuito che meglio sintetizza la citazione: «Sta mano po’ esse fero o po’ esse piuma», e in questo caso “è stata piuma”.
1. Wawrinka vs. Djokovic
Dopo questo colpo Adriano Panatta, che commentava la partita su Eurosport, ha detto: «Questa è la palla dell’anno». Si potrebbe fare un pezzo meraviglioso mettendo in classifica solo tutti i rovesci vincenti che Wawrinka ha tirato in questo torneo: sarebbe il giusto tributo al miglior rovescio a una mano del tennis moderno.
Questo colpo è il più spettacolare perché fa parte di quel genere letterario, particolarmente apprezzato, dei colpi che aggirano la rete. I colpi di Stan a questo Roland Garros però sono stati così forti e penetranti da sembrare giocati tutti a lato della rete.