E così, nel mese di agosto, il mondo ha fatto la conoscenza di Daniil Medvedev. Il tennista russo ha raggiunto la finale degli ultimi tre tornei a cui ha partecipato: aveva cominciato con Washington nella prima settimana, dove era stato sconfitto da Nick Kyrgios; ha proseguito con Montreal, dove a fermarlo in finale è stato Rafael Nadal, ed ha chiuso domenica sera, a Cincinnati, dove è finalmente riuscito a centrare la vittoria del torneo, battendo in due set David Goffin. È stato il primo Master 1000 conquistato da Medvedev, che è diventato così il secondo tennista under-25 attualmente in attività ad aver vinto un torneo di quella categoria - gli altri sono Khachanov e Alexander Zverev, il cui servizio ora si rifiuta di funzionare.
C’è poi la classifica, che oggi sembra aver perso parte del suo peso nel giudizio assoluto che si dà di un tennista, ma che ci dà una misura di quanto Medvedev non possa più essere ignorato quando si parla di giocatori di alto livello. Con la vittoria di domenica a Cincinnati il russo è ora numero 5 del ranking, alle spalle di Thiem, Federer, Nadal e Djokovic. Ma se è vero che la top-10 è comunque zeppa di giocatori i cui limiti tecnici sembrano già riconosciuti e consolidati, Medvedev è un tennista interessante proprio perché ancora non è chiaro dove possa arrivare. È questo l’aspetto più intrigante del suo talento.
In queste settimane ha ottenuto vittorie di prestigio, e impressionanti per il livello di competitività mostrato. Ha sconfitto Novak Djokovic, Marin Cilic, Karel Cachanov, Dominic Thiem, e nessuna di queste vittorie è sembrata frutto del caso.
Orso
Qualcosa che non avremmo detto neanche un anno fa, quando il russo era oltre la cinquantesima posizione mondiale e sembrava semplicemente troppo pazzo o troppo depresso per ottenere qualche risultato nel tennis di alto livello. Aveva giocato un paio di finali nei 250, una persa e una vinta, ma faceva parlare di sé soprattutto per la sua antipatia. A marzo ad esempio aveva messo in scena un tremendo litigio con Stefanos Tsitsipas, che gli aveva detto qualche parola di troppo dopo un toilet break chiesto dal russo. «Meglio che tu chiuda quella ca** di bocca. Hey, Stefanos, vuoi guardarmi e parlare? Te ne vai in bagno per 5 minuti, poi non chiedi scusa per un net. Pensi di essere un bravo ragazzo?».
Qualche mese prima, a Wimbledon, aveva incorniciato una triste sconfitta contro Bemelmans tirando monetine all’arbitro. Ancora prima si era reso protagonista di un episodio di un razzismo sconcertante; al Challenge di Savannah per protestare contro Donald Young aveva indicato un giudice di linea dicendo: «Lo so che siete amici», alludendo al colore della pelle dei due. Dopo ciascuno di questi episodi Medvedev ha chiesto scusa, e vale la pena citare solo una di queste frasi che restituisce in qualche modo quel misto tra freddezza e irrequietezza che il russo esprime in campo: «Ho imparato una lezione. Il campo da gioco non è il luogo per mostrare le emozioni, ma per dimostrare le proprie qualità».
Insomma, Medvedev rischiava di essere un altro Gulbis, la sua versione più cupa. Del resto cosa aspettarsi da uno che aveva esplicitamente dichiarato di voler essere “come Safin”? In più, non sembrava neanche sostenuto da un talento paragonabile a quello degli altri NextGen. Il suo tennis era troppo storto, troppo anomalo, troppo ricco di difetti tecnici di base. Anche solo tra i talenti del nuovo rinascimento russo Medvedev non era il più promettente: meno talentoso di Rublev, meno solido di Khachanov.
Le cose sono cominciate a cambiare esattamente un anno fa quando, dopo l’eliminazione al primo turno a Cincinnati contro Coric, Medvedev ha vinto il torneo di Winston Salem senza cedere un set. Agli US Open perderà ancora contro Coric, ma dopo aver di nuovo preso lo scalpo di Tsitsipas che è per molti versi la sua nemesi: bello, mediaticamente affascinante, dallo stile di gioco elegante e misurato. Dopo il litigio Medvedev ha detto che il greco lo ha bloccato su Instagram. In ogni caso questi risultati gli hanno permesso di entrare nelle prime venti posizioni.
Nei primi mesi del 2019 ha ottenuto risultati modesti, per poi esplodere di nuovo sul cemento americano nei tornei di preparazione agli US Open. Tre settimane di finali consecutive dimostrano certamente un eccezionale stato di forma, ma anche una solidità di prestazioni legate alla confidenza con la superficie, ma anche ad alcuni miglioramenti strutturali del suo gioco. Un aspetto sottolineato da Novak Djokovic al termine del loro confronto: «Dall’Australian Open ha migliorato molto il dritto, così come gli spostamenti in campo. Ha sempre servito bene. Mi è capitato raramente di avere di fronte un giocatore che riuscisse a servire praticamente due prime palle in modo costante nel match. Sta andando nella giusta direzione ed è per questo che ha successo».
Strano, brutto, tremendamente efficace
Medvedev è un giocatore strano da veder giocare, con le gambe lunghe e filiformi e lo sterno schiacciato somiglia a un enorme uccello alto due metri impegnato in uno sport che non dovrebbe appartenergli. Gli avversari faticano a descrivere il suo stile di gioco, se non come una specie di esperienza sgradevole: «Ha un gioco molto strano. È davvero sciatto, ma una sciatteria… buona. Può essere disturbante giocare contro di lui: ti fa sbagliare senza che tu abbia capito perché hai sbagliato» (Tsitsipas); «Gioca in un modo completamente diverso rispetto agli altri, il suo stile è davvero strano. Ti mette a disagio» (Nishikori).
In effetti lo stile dei suoi colpi è poco ortodosso. Il dritto, con impugnatura eastern, ha un’aria anacronistica. Fila quasi completamente piatto, ed è semplice e pulito come un dritto di trent’anni fa. Sono palle che rimbalzano poco e tolgono il ritmo agli avversari. «Quando vedo i miei video mi capita di dire “Ma cosa sto facendo?!» ha detto Medvedev in un’intervista al canale dell’ATP, quasi non riuscisse a specchiarsi nella sua bruttezza. Il rovescio è invece il suo colpo migliore, eseguito con una pulizia tecnica finissima. In un sondaggio condotto dal New York Times, che ha interrogato alcuni tennisti del circuito, il rovescio di Medvedev è apparso fra i dieci migliori del circuito.
Medvedev lo gioca con tute le soluzioni: lungolinea, incrociato saltando sopra la palla (a un’altezza che rende il colpo una specie di schiacciata a due mani) e inside-out. Quest’ultimo è sempre di difficile lettura per gli avversari, ed è un colpo raro nel tennis maschile.
Una risposta che sintetizza il suo talento istintivo e autentico con il rovescio.
Istinto distruttore
Ma Medvedev nell’ultimo anno è migliorato soprattutto nella gestione tattica delle partite, arrivando a uno stile quasi unico nel circuito. Nonostante i due metri, muove le gambe con grande elasticità e intelligenza, e negli scambi lunghi si trova più a suo agio di quanto il suo corpo lasci immaginare. Non avendo un dritto particolarmente risolutivo - sebbene sia migliorato molto - Medvedev è soprattutto attento a tenere i colpi profondi, a non concedere angoli, a non aprire troppo il campo in uno scontro a chi tira il vincente più forte. È bravo a togliere ritmo e geometrie agli avversari, che vengono illusi di comandare lo scambio. Medvedev crea un contesto complicato, entrando sotto pelle ai suoi avversari. Per questo le sue sfide con Djokovic sono già circondate di un’affascinante epica distruttrice.
Prima di batterlo a Cincinnati, e anche sulla terra di Montecarlo, Medvedev lo aveva fatto sudare agli Australian Open in una partita chiusa in 4 set. Al termine del match Nole aveva commentato: «È stata dura avere la meglio; è stato come giocare al gatto col topo per grossi tratti della partita. È stata lunghissima, ci sono stati scambi da 40-45 colpi».
Nonostante il fisico suggerisca quindi uno stile classico da colpitore da fondo, Medvedev ha sviluppato un tennis più complesso e cerebrale. A volte sembra farsi sbattere di proposito fuori dal campo, lasciandosi comandare in maniera passiva, ma non è davvero passivo e sta solo cercando il modo per uscire vincitore dallo scambio. Secondo Thiem: «Sulle superfici dure, dove non viene messo in difficoltà dalle rotazioni, non sbaglia un colpo. Devi andare in ogni scambio sui 25,30 colpi per avere la meglio».
La partita a Montreal contro Khachanov riassume bene la differenza tra Medvedev e un colpitore puro, mandato ai pazzi.
Quando deve descrivere il suo gioco, Medvedev stesso riconosce un impulso più distruttore che creativo: «Non servo male, ma mai sopra le 130 miglia. È più la consistenza del tutto. La mia tattica è far soffrire il mio avversario».
A volte questa cerebralità si trasforma in vera passività, e questo è un suo difetto. Nel match contro Djokovic a Cincinnati ha cominciato a far girare la partita nel momento in cui è avanzato di qualche metro in risposta, un colpo che peraltro qualche anno fa lui definiva come il suo migliore. Ma l’aggressività e la sicurezza dovranno per forza passare anche per qualche ulteriore miglioramento tecnico col dritto.
Nel tennis contemporaneo però è impossibile ottenere certi risultati senza qualche colpo che ti regali punti “facili”. Per Medvedev è il servizio. Un altro gesto che gioca con perizia tecnica, intelligenza nelle variazioni e grande, grandissima consistenza. Nel terzo set della partita contro Djokovic ha giocato la seconda palla a una media di oltre 190 chilometri orari: «Non direi che ha migliorato il rendimento della seconda palla, ha semplicemente giocato due prime da un certo punto della partita fino alla fine», ha commentato Nole. Cercare di risolvere i problemi attraverso il suo colpo migliore in fondo è un altro sintomo della sua razionalità.
Medvedev anche col servizio dimostra una certa creatività, e una tendenza a pensare fuori dagli schemi. Un esempio è il servizio in slice esasperato mettendo all’angolo destro del campo.
Nella conferenza post-partita Djokovic ha definito Medvedev uno dei migliori tennisti al mondo, e nell’enfasi con cui gli ha fatto questi complimenti e stretto la mano alla fine della partita c’è il riconoscimento verso un giocatore più simile a lui di quanto si pensi.
In un tennis alla disperata ricerca di volti nuovi, che prova aggrapparsi alla bellezza di Zverev, alla seduzione di Tsitsipas, all’istrionismo di Kyrgios, Medvedev si candida a interpretare la parte del cattivo. Con le fattezze di un monaco ortodosso dei film di Tarkovskij, Medvedev sembra più vecchio dei suoi 23 anni. Ha l’aria tetra e poco sorridente che associamo ai russi usando gli stereotipi, e nei video in cui l’ATP cerca di farlo apparire simpatico la cosa più divertente che fa è mostrare l’altoparlante con cui l’allenatore gli urla contro. Se non vi basta sappiate che in russo “Medvedev” significa “Orso”. Ai prossimi US Open nessuno vorrà affrontarlo.