Lo stato di salute del movimento tennistico azzurro non si misura solamente con i recenti risultati ottenuti da Jannik Sinner. La traiettoria dell’altoatesino per certi versi rappresenta la punta dell’iceberg del rendimento complessivo di tanti altri colleghi italiani che non hanno la sua popolarità e la sua posizione nel ranking. Il 2023 può essere senza dubbi considerato l’anno dell’affermazione di Matteo Arnaldi, diventato il terzo tennista d’Italia secondo la classifica ATP raggiungendo, lo scorso 30 ottobre, la posizione numero 41: la sua crescita fa ancora più effetto se pensiamo che il sanremese lo scorso gennaio era numero 134 e in quel momento probabilmente non pensava neanche di poter essere in grado di competere con gente del calibro di Casper Ruud, Diego Schwartzman e Cameron Norrie (e figuriamoci di batterli). Ancora più inverosimile pronosticarlo come protagonista a certi livelli in Coppa Davis e singolarista vincente nella finale che ha regalato all’Italia la tanto attesa insalatiera, a fine novembre.
La progressione di Arnaldi è merito dei miglioramenti ottenuti a poco a poco nel circuito Challenger, anche grazie alla bontà di alcune scelte nella programmazione degli impegni fatte durante l’anno. Nell’ultimo biennio ha collezionato sei finali vincendone quattro, tra cui tre su terra rossa (Francavilla al Mare, Murcia ed Heilbronn) e una sul veloce (Tenerife). Un grande traguardo personale dopo tutti i progressi ottenuti nel 2022 è arrivato a fine anno con la partecipazione alle Next Gen ATP Finals di Milano, in cui si è messo in mostra senza però vincere nemmeno un match dei tre della fase a gruppi. Cimentarsi settimana dopo settimana nei circoli “minori” per molti è obbligatorio, anche se è una tappa che può durare più del previsto (ne sa qualcosa un veterano di questo genere di tornei come Paolo Lorenzi, a differenza di Arnaldi esploso molto più tardi con l’età) e non sempre permette di effettuare il definitivo passaggio nella vera élite. Come Arnaldi i giovani tennisti italiani che gravitano nel circuito Challenger fortunatamente sono tanti, nonostante le molte difficoltà economiche legate alla sopravvivenza denunciate più volte anche dagli stessi giocatori, le stesse che hanno convinto l’ATP a muoversi per tutelare i tennisti di seconda fascia, aumentando i montepremi di alcuni tornei e lanciando il programma Baseline, una sorta di salario minimo garantito per fornire loro maggiori introiti certi durante l’anno.
A proposito del rinascimento tennistico italiano di cui si parla tanto hanno fatto riflettere le parole di Brad Gilbert, riguardo il momento luccicante del nostro movimento. L’allenatore statunitense, celebre per aver lavorato, tra i tanti, con Andre Agassi, Andy Roddick, Andy Murray e Coco Gauff, nel corso degli Internazionali d’Italia 2023 ha citato proprio i due tennisti che hanno regalato la Davis all’Italia evidenziando come «se oggi l'Italia al vertice può vantare una punta come Sinner e un giovane che sta bruciando le tappe come Arnaldi, entrato in Top 100 a maggio e già a un passo dalla Top 50, è merito del lavoro fatto alla base». «Quello che più vi ha aiutato» ha continuato Gilbert «è l'aver organizzato molti Futures e Challenger. In Italia vincere partite nei Challenger dà fiducia, aiuta più di ogni cosa. È iniziato tutto da lì».
E in effetti, numeri alla mano, nel 2023 in nessun Paese del mondo si sono disputati tanti tornei Challenger come in Italia, ben 23 considerando anche quello di San Marino (che fa parte della categoria 125 così come quelli di Sanremo, Perugia, Parma, Genova e Olbia, e fino al 2018 Caltanissetta). L’Italia ha beneficiato anche della possibilità di organizzare, a Cagliari e a Torino, due dei cinque Challenger 175 in programma in tutto l’arco dell’anno, caratterizzati da un montepremi ancora più ricco e da un cut-off bassissimo, e dunque competitivi anche più di alcuni ATP 250.
La conseguenza è stata quella di aver coinvolto un numero estremamente alto di tennisti italiani (con picchi di 20 su 32 in un tabellone principale, come successo all’Aspria Tennis Cup di Milano) a prescindere dall’utilizzo delle wild card, garantendo così un incremento partecipativo, oltre che qualitativo. Con oltre una ventina di giocatori che hanno stabilmente occupato le posizioni di classifica tra la 100esima e la 300esima è stato quasi inevitabile vedere trionfare alcuni di loro: hanno vinto almeno un titolo dodici giocatori diversi. Oltre ai tre vinti da Arnaldi, si contano i due di Matteo Gigante, Luca Nardi e Luciano Darderi e poi quelli conquistati da Raul Brancaccio, Giulio Zeppieri, Alessandro Giannessi, Franco Agamenone, Mattia Bellucci, Andrea Pellegrino, Flavio Cobolli e Fabio Fognini, che nell’ultima parte di stagione è tornato a disputare dopo oltre un decennio (ne ha vinti sei tra il 2008 e il 2010) tornei ‘di seconda fascia’ a causa del suo ranking.
Guardandoci intorno, se consideriamo i successi individuali, solo i francesi hanno avuto un rendimento paragonabile nel 2023. I dati, paragonati al 2022, sono più o meno simili anche in relazione ad altre voci come quella dei Next Gen che hanno vinto almeno un titolo, 6, alle finali perse da tennisti azzurri, 16, e alle finali tutte italiane, 2.
Cobolli e Nardi, dopo essere stati riserve rispettivamente nel 2021 e nel 2022, hanno approfittato dei forfait di Carlos Alcaraz, Holger Rune, Ben Shelton e Lorenzo Musetti e sono diventati i rappresentanti azzurri alle Next Gen ATP Finals da poco disputate a Jeddah. In questa competizione gli italiani possono vantare un piccolo record: nelle cinque edizioni già svolte - e in questo ha sicuramente influito la possibilità di poter assegnare una wild card nelle quattro organizzate a Milano - nessuna Nazione ha potuto vantare così tanti partecipanti come l’Italia (gli altri sono stati Gianluigi Quinzi, Liam Caruana, Jannik Sinner, Lorenzo Musetti, Francesco Passaro e Matteo Arnaldi). Nel torneo di fine anno dedicato ai migliori tennisti under 21 del mondo entrambi hanno collezionato un solo successo nella fase a gruppi: Cobolli ha sconfitto nel suo primo match Dominic Stricker mentre Nardi ha battuto proprio il suo connazionale, mettendo a segno quello che forse sarà ricordato come il punto di tutto il torneo.
La loro stagione è stata contraddistinta da alti e bassi e qualche frenata di troppo, e anche se qualcuno si aspettava i loro exploit già da un pezzo visti alcuni brevi cameo nel circuito ATP i due hanno avuto bisogno di tempi di maturazione più lunghi che il sottobosco dei Challenger ha potuto garantirgli. Tra i due Cobolli è quello che ha guadagnato più posizioni, ben 76, riuscendo ad entrare tra i migliori 100 del mondo dopo la finale conquistata ad Olbia e a giocare il suo primo Slam, a Parigi. La sua crescita è stata evidente soprattutto negli ultimi mesi, e ha avuto il suo coronamento in questi Australian Open, dove è venuto a capo di un'epica battaglia con Nicolas Jarry per vincere, al quinto set, il suo primo match in uno Slam.
Nardi invece, che in molti avevano ammirato contro Stefanos Tsitsipas ad Astana nell’ottobre 2022 (il pesarese giocò alla pari del greco ma perse 7-6 7-6), è stato in grado di migliorarsi ‘solo’ di venti gradini toccando quota 115, fallendo l’ingresso negli Slam. Alle qualificazioni degli Australian Open ha battuto Maestrelli per poi cedere a Sweeney in due set.
Cobolli, Nardi, Darderi, Zeppieri, Maestrelli, Passaro, Gigante e Bellucci hanno in comune non soltanto una certa costanza di rendimento ma anche l’età (sono tutti nati tra il 2001 e il 2003), che potrebbe presto permettergli di spiccare il volo. Ma come è normale che sia, hanno vissuto momenti diversi e hanno caratteristiche differenti. L’italo-argentino Darderi, reduce da un finale di 2023 in crescendo (solo i connazionali Francisco Comesana e Facundo Diaz Acosta hanno vinto più match di lui nell’anno solare) potrebbe sfruttare al meglio i primi tornei di stagione sulla terra rossa, la sua superficie preferita, e non sorprenderebbe vederlo ottenere qualche buon risultato già a febbraio quando si disputeranno i primi tornei in Sudamerica.
Per quanto riguarda Zeppieri, Maestrelli e Bellucci invece ci si può attendere una loro svolta sul veloce, dove si esprimono al meglio. I discorsi sul terreno di gioco più congeniale sono comunque relativi: Zeppieri per esempio ha ottenuto sulla terra i suoi migliori risultati (la semifinale all’ATP di Umago nel 2022 e la vittoria contro Alexander Bublik al Roland Garros 2023) ma poi è stato costretto a rallentare parecchio a causa di un infortunio alla caviglia sinistra durante la finale del Challenger di Karlsruhe, sempre sulla terra. Zeppieri è riuscito a qualificarsi al tabellone principale degli Australian Open ed esordirà contro Lajovic.
Passaro nel 2023 è un po’ regredito, sia come classifica (da 119esimo a 200esimo) sia come risultati (una sola finale in singolare, quella persa a Trieste, e pochi altri highlights): nel 2024 avrà sicuramente nuovi stimoli per recuperare. Tra quelli appena elencati, Gigante è forse il tennista più indecifrabile, che non è chiaro dove possa arrivare.
In attesa di vedere all’opera i frutti delle annate 2004 e 2006, nella stagione appena conclusa sono riusciti a farsi notare soprattutto al di fuori dei confini nazionali il classe 2005 Gabriele Vulpitta e il classe 2007 Federico Cinà. Sono entrambi originari del sud Italia, visto che il primo è della provincia di Taranto (la terra natale di Thomas Fabbiano e Roberta Vinci) mentre il secondo è palermitano (e figlio d’arte). Vulpitta si è particolarmente distinto nel doppio, riuscendo a vincere Wimbledon dopo aver perso la finale del Roland Garros in coppia con Lorenzo Sciahbasi. Cinà agli US Open si è fermato in semifinale, ha raggiunto la finale della Coppa Davis Under 16 (insieme ad Andrea De Marchi e Matteo Sciahbasi, fratello di Lorenzo), mentre a fine anno è rientrato tra gli otto partecipanti alle ITF World Tour Junior Finals nonostante avesse uno-due anni in meno rispetto a tutti gli altri concorrenti. Tutti e due nel 2023 hanno disputato il Trofeo Bonfiglio, dove gli italiani erano ben undici, e si sono arresi alle teste di serie numero 1 e numero 4, Rodrigo Pacheco Méndez e Yaroslav Demin: a penalizzarli un fisico ancora acerbo e non al livello del proprio gioco. Nel corso quest’anno, nel circuito Challenger potrebbero affacciarsi anche loro.