Prima di iniziare a lavorare a The First Slam Dunk, Takehiko Inoue ha voluto essere sicuro. Ha cercato una storia, un protagonista e un titolo. E intanto ci ha pensato, ci è tornato su, ha cambiato, rivisto, riprogettato. Aveva problemi con i suoi manga: non riusciva più a disegnare e non sapeva perché. Era in crisi. Una crisi nera, profonda, da cui gli sembrava pressoché impossibile uscire.
La prima volta che la TOEI l’ha contattato per proporgli di fare un film su Slam Dunk, la sua serie pubblicata in Italia da Planet Manga, è stato nel 2009. Negli anni successivi, la TOEI gli ha mandato altri reel con un’elaborazione animata dei personaggi, e alla fine Inoue si è convinto. Se mi impegno, si è detto, forse riuscirò a ricreare Hanamichi, il protagonista, esattamente come l’ho immaginato. Per Inoue è sempre stato fondamentale il realismo delle azioni e dei movimenti. È partito dalle singole espressioni dei personaggi ed è arrivato alla partita di basket di cui si parla nel film.
Ha lavorato con gli animatori e ha sfruttato la motion capture, ma ci ha messo un po’ prima di sentirsi completamente soddisfatto del risultato. Se ha deciso di dirigere, curare e scrivere The First Slam Dunk è stato perché sapeva che, senza di lui, difficilmente sarebbe stato possibile andare oltre la storia originale e aggiungere qualcosa di nuovo. Di più: sapeva che, se avesse rifiutato l’offerta, non se lo sarebbe mai perdonato. Voleva rendere felici i suoi lettori, ha detto. Avrebbe potuto limitarsi a riprendere, passaggio dopo passaggio, quanto aveva già raccontato nel manga. E invece ha scelto di spostare il punto di vista e di concentrarsi su Miyagi Ryota.
Sentiva di non avergli reso giustizia nel fumetto – con pubblicazioni settimanali, diventa veramente complicato riuscire a dire tutto quello che si vuole dire. E allora è tornato su di lui, sulla sua vita e l’ha usato come trampolino di lancio per creare un film che è tante cose insieme: un racconto sullo sport e sul Giappone, ma pure uno spaccato sulla famiglia, sul rapporto che si può instaurare tra fratelli (quelli di sangue e quelli che, invece, ci si sceglie su un campo di gioco) e sull’importanza di credere ai propri sogni nonostante tutto.
Perché a The First Slam Dunk non manca niente
The First Slam Dunk è uscito in Giappone nel 2022, e in Italia per una breve finestra al cinema l'anno scorso. Oggi che Prime Video lo ha reso disponibile sulla sua piattaforma streaming, però, è possibile vederlo con tutta tranquillità direttamente a casa. È un film, The First Slam Dunk, assolutamente completo. E lo è per diversi motivi. Come nel manga, Inoue si è riappropriato del basket per esaltare due elementi centrali all’interno della narrazione: il gioco di squadra, e quindi il collettivo visto come personaggio indipendente; e i singoli individui. Le varie parti devono funzionare insieme, e sebbene ci siano tantissime citazioni di partite e di giocatori ben più famosi – Inoue non ha mai nascosto la sua passione per i Chicago Bulls di Michael Jordan – The First Slam Dunk resta qualcosa di unico nel panorama cinematografico contemporaneo. E non solo per il Giappone.
L’animazione è il linguaggio ideale per dare concretezza al trauma e, allo stesso tempo, alla rivalsa. Il ritmo è fondamentale, proprio come lo è nel basket. I giocatori si muovono fianco a fianco, come un corpo unico, e si guardano, si studiano, si capiscono. Il sospiro di uno è il sospiro dell’altro; la stanchezza che morde le gambe del lungo è la stanchezza che risale lungo la schiena del playmaker. Ogni passaggio è una sfida; ogni nuovo punto è una piccola guerra. E non è finita finché non è finita. Inoue si è infilato in quella materia complicatissima che è l’epica romantica, e ha sfruttato tutto ciò che poteva sfruttare: la plasticità delle espressioni, i primi piani; un montaggio serrato ma pieno di pause e di sospensioni; la musica, i rumori del parquet e delle scarpe da ginnastica, le voci e i respiri.
Voleva il realismo di una partita di basket, e l’ha ricreato. Artificialmente, certo. In un’altra forma e con un’altra consistenza. Ma ci è riuscito. L’ha fatto. E più che uno scultore che incide la pietra, si è mosso come un pittore che, pennellata dopo pennellata, capisce come fare per dare un ulteriore spessore alla propria opera. Che sembra ferma, limitata, costretta nella bidimensionalità della tela. E che invece, sorpresa, è viva, vibrante, così fascinosa e fulminante da colpire chiunque si ritrovi a osservarla.
The First Slam Dunk è sia una riproposizione di una storia che abbiamo già visto e che conosciamo già (la partita tra lo Shohoku e il Sannoh) sia, poi, una rivoluzione totale del mezzo e del linguaggio dell’animazione. Se c’è una cosa difficile da fare, in un film pieno di personaggi come questo, è dare a tutti lo stesso spazio e la stessa importanza. Anche se in The First Slam Dunk il racconto è chiaramente sbilanciato verso Ryota, a ciascuno dei protagonisti viene offerta la possibilità di venire avanti, di mostrarsi nella sua complessità e di presentarsi al pubblico.
Il trailer del film.
Il basket si trasforma in un gioco ancora più spettacolare del solito. Perché qui, rispetto alla realtà quotidiana, Inoue può rallentare, mettere in pausa, andare in altri luoghi e in altri tempi, aggiungere allo strato emotivo dello scontro un altro livello di tensione e di sentimenti. In un certo senso, siamo noi Ryota: possiamo guardare la partita attraverso i suoi occhi, e la sorpresa che gli attraversa la faccia, dopo una giocata di Rukawa o dopo l’ennesimo colpo di scena, è la nostra sorpresa. E la sua commozione, la sua passione e la sua rabbia appartengono, in qualche modo, anche a noi. Le sentiamo quando passa la palla, quando dribbla, quando sfugge ai suoi avversari e quando il palleggio diventa il suo unico alleato. S’infilano lì, sotto pelle, e non vanno via. Ryota è con la sua squadra, sì, ma allo stesso tempo è da solo: Davide contro Golia, il più piccolo in campo, messo sotto pressione sia fisica che psicologica dai suoi avversari, scavando dentro di sé per trovare un modo di uscirne.
In due ore, Inoue ci presenta una riflessione profonda sulla creatività e sullo sport, su ciò che il basket può rappresentare per le persone – dopo aver perso suo fratello e suo padre, Ryota non aveva altro a cui aggrapparsi per andare avanti – e sulla differenza che ognuno di noi, nel proprio piccolo, può fare. The First Slam Dunk è come una lunga rincorsa: carica di ansimi, sospiri e grida. Carica di adrenalina e tensione, di tristezza e felicità. Carica, insomma, di speranza per il futuro e di rimpianto per il passato. E ha quella bellezza aliena che hanno certi montaggi della NBA, dove i giocatori sembrano eroi moderni: tesi, sudati, apparentemente invincibili, simboli di riscatto e di meraviglia, incarnazione dell’uomo che sfida le leggi della fisica e che riesce – anche se per poco, anche se per un solo momento – a spiccare il volo.
Soprattutto, però, è l’esaltazione definitiva di quello che l’impegno, il talento e l’attenzione per i dettagli possono fare insieme. Inoue, per questo film, si è preso tutto il tempo del mondo; e lo sapeva che fuori, nelle loro case, i lettori del suo manga lo aspettavano. Voleva però creare qualcosa di speciale, qualcosa che giustificasse tanta curiosità e tante aspettative. Ha trasformato una palla da basket nel centro dell’universo; ha preso i suoi personaggi e li ha portati su un altro livello grazie all’animazione, ed è comunque stato in grado di chiudere un cerchio: The First Slam Dunk inizia in bianco e nero, come in uno storyboard qualsiasi, e finisce nello stesso modo. Il rumore della matita che graffia sul foglio sostituisce il rumore della palla che rimbalza sul parquet, e l’essenzialità del tratto in evidenza diventa il segno che separa il passato dal futuro facendosi presente.