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The life(style) of Westbrook
30 mag 2016
Un’analisi del playmaker dei Thunder attraverso i suoi outfit e Kanye West.
(articolo)
15 min
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“Per essere insostituibili bisogna essere unici”

Coco Chanel

Coco lo aveva predetto: i giocatori NBA, per diventare indispensabili, hanno dovuto specializzarsi, brandizzarsi, rendersi unici. E quindi, in un trionfo di tatuaggi, fascette, sopracciglia, barbe e strette di mani da far invidia al Mossad, ognuno cerca il proprio modo per essere riconoscibile dentro e fuori dal campo di gioco. Tra tutti, colui che ha elevato il culto della propria individualità a livelli dannunziani è ovviamente il numero 0 degli Oklahoma City Thunder, Russell Westbrook.

La sua costruzione del divismo è passata attraverso qualsiasi indumento concepito dalla mente umana fino ad approdare ad uno spazio franco al di là del bene e del male dove ogni abbinamento, persino il più improbabile, è considerato accettabile al buon gusto. Non è chiaro come sia iniziata la vertiginosa rincorsa di Westbrook al trono dell’eleganza NBA, ma oramai è chiaro come nessuno possa insidiare lo scettro del giocatore dei Thunder.

La sua ossessione per la moda ha raggiunto un grado di perfezionismo folle, in cui indossa ogni singolo vestito una sola volta e poi lo regala. È entrato definitivamente nell’epoca del manierismo, dove ogni suo outfit rimanda inevitabilmente ad un altro, se non fosse che la sua innata abilità nel mescolare continuamente tra haute couture e grandi magazzini lo rende ancora inimitabile, inafferabile.

Per questo, dopo un attento studio dei suoi outfit, posso affermare con una certa presunzione che non si può ragionare sul giocatore senza considerare il suo lato fashion victim. Già Hegel ci suggeriva come il vestito renda il corpo significante, ovvero rende possibile passare da una semplice sensibilità ad una comprensione più profonda. Per questo ho cercato di dare un senso al Westbrook cestista attraverso le scelte effettuate dentro il suo armadio, che mi immagino essere lungo centinaia di chilometri.

Ma visto che spiegare Westbrook senza filtri è come guardare un’eclissi senza occhiali polarizzati, ho deciso di avvalermi della consulenza dell’unico uomo sulla terra in grado di rivaleggiare in swag con il playmaker dei Thunder. Attraverso i tweet di Kanye West cercheremo di dare un senso agli outfit indossati da Russell prima delle partite dei playoff, alla costante ricerca del senso nascosto. Siete pronti per della vera realness?

Primo Turno Gara-1: Dallas Mavericks 70 - Oklahoma City Thunder 108

Russell Westbrook: 24 punti (7/15), 5 rimbalzi, 11 assist, 5 palle perse

Quando Russell entra nei sotterranei della Chesapeake Arena manca dai playoff da più di seicento giorni, dalla finale di Conference persa contro gli Spurs nel 2014. Un’enormità. È come se Anna Wintour per due anni di seguito saltasse la settimana della moda a Parigi. L’outfit scelto è significativo quanto sobrio: tee bianca abbinata ad un paio di arab pants che non avrebbero sfigurato in una collezione di Issey Miyake di qualche anno fa. O se preferite una alla tenuta Sampei con cappello rubato a Pharrell Williams.

Questa massima zen del sensei Yeezy ci spalanca le porte della scatola cranica di Westbrook, abitata da una versione di sé stesso in miniatura che con serafica tranquillità rastrella la ghiaia del tessuto celebrale. Gli occhiali fumé e l’assenza di cuffie ci comunicano tutta l’umiltà con la quale il playmaker dei Thunder si riaffaccia ai riflettori della postseason e allo stesso tempo la sicurezza di chi ha lavorato così duramente nel dojo da non aver avuto neanche il tempo di cambiarsi.

La sfida contro i Mavericks dura giusto il tempo che serve a Westbrook di azzannare la partita accelerando a piacimento della giurassica difesa di Dallas, galleggiando in aria come chi vola sopra la nuvola kinton.

Primo turno Gara 5: Oklahoma Cityt Thunder 118 - 104 Dallas Mavericks

Russell Westbrook: 36 punti (13/23), 12 rimbalzi, 9 assist, 3 palle perse

Anche i Mavericks lo hanno scoperto: l’unica cosa più veloce delle accelerazioni di Westbrook sono i suoi cambi d’abito. Così come le scelte in cabina di regia, le sue selezioni nella cabina armadio non seguono alcun principio di coerenza - sono soluzioni inventate sul momento, sfruttando le sue superiori doti atletiche e di gusto. Nella partita che chiude il primo turno, ed in cui supera i punti messi a segno nei playoff da Gary Payton con la maglia Sonics, Westbrook è una scia di luce che rimbalza per tutto il campo di gioco.

Come nel film di culto della Disney, Russ si catapulta dentro un videogioco in cui tutto si muove a velocità supersonica, diventando inafferrabile per delle creature analogiche come Raymond Felton e Deron Williams. E non dite che non vi aveva avvertito: bisognava capirlo già da quando si era presentato con una specie di versione shabby-andina delle tute indossate dai protagonisti del sequel che era pronto per il salto nell’iperspazio.

Secondo turno Gara 1 - Oklahoma City Thunder 92 - 124 San Antonio Spurs

Russell Westbrook: 14 punti (5/19) 2 rimbalzi, 9 assist, 2 palle perse

Questa foto non sapevo se metterla perché il riferimento alle collezioni di Kanye era così palese da esaurirsi immediatamente. Invece rivedendola ho deciso di inserirla per spiegare meglio cosa intendo quando dico che da come si veste un giocatore dipenderà in gran parte il suo rendimento in campo. In precedenza abbiamo preso in esame solo partite in cui Russ si è espresso a livelli supersonici, ma non è un segreto che il suo gioco abbia un dark side ben più visibile di quello della luna.

Che Gara-1 contro gli Spurs sarà una disfatta lo si capisce immediatamente da questa istantanea: Wesbrook arriva a San Antonio correndo, è in ritardo, la sua valigia è stata smarrita in aeroporto, gli rimane solo il bagaglio a mano. “Il Burning Man è stato una bomba ma questo fastidioso trapano nella testa non accenna a fermarsi”, pensa mentre varca la soglia dell’AT&T Center, “mettiamo su un pò di Taylor Swift che magari ha lo stesso effetto del Bloody Mary”.

È un altro falso mito. I colletti button down della Duncan&Co. brutalizzano il patchwork in lana caprina di Wesbrook, mettendo in luce tutte le sue difficoltà nel difendere sul pick and roll.

Dopo i continui errori attaccando il ferro, Russell torna in difesa con il passo di uno che si avvicina al bancone per chiedere il quarto Negroni. Evita sempre gli aperitivi infrasettimanali, Russell, perché tra una cosa e l’altra finisci per tornare in ufficio con gli stessi vestiti del giorno prima - e sai già che sarà una lunga giornata.

Secondo turno Gara 2: Oklahoma City Thunder 98 - 97 San Antonio Spurs

Russell Westbrook: 29 punti (11/25), 7 rimbalzi, 10 assist, 3 palle perse

Il corpo in caucciù consente a Westbrook di rimbalzare dalle giornate storte con un’elasticità sconosciuta a noi mortali e di essere nuovamente pronto alla battaglia nel giro di 48 ore. I segni della sanguinosa sconfitta di Gara-2 sono evidenti sui consunti vestiti con i quali si presenta per una partita che è già un dentro o fuori: tee dei Ramones di un paio di taglie in meno, jeans con cui ha ripitturato la cucina e le sue Westbrook 0 Low. Siamo davanti ad un chiaro esempio di Full Westbrook: non c’è alcun tipo di coerenza, alcun tipo di appartenenza culturale. Il vestiario di Russell è pienamente post-moderno, è un tritacarne culturale che ha perso da tempo un rapporto diretto con il referente. Sono piuttosto sicuro che non abbia mai ascoltato una-canzone-una dei Ramones in vita sua, l’avrà trovata in qualche magazzino in cui va a rifornirsi settimanalmente e avrà pensato “Fica questa maglia con ‘sti capelloni, se ci faccio un paio di buchi è perfetta per quando andremo a giocare a San Antonio. Li queste cose vecchie piacciono”.

In effetti l’immaginario vintage a San Antonio è dominante: nei time-out, invece del rap, il DJ smazza classici da balera come se fossimo sulla riviera romagnola. Quest’atteggiamento isolazionista è stato per due decenni la carta vincente degli Spurs, ma nulla ha potuto davanti al Diavolo della Tasmania e al suo tornado culturale. L’impatto è stato così fragoroso che da quando a San Antonio hanno scoperto il punk, gli Spurs non hanno vinto più una partita in casa.

Gara 3 - San Antonio Spurs 100 - 96 Oklahoma City Thunder

Westbrook: 31 punti (10/31), 9 rimbalzi, 8 assist, 5 palle perse

Gli Spurs si riprendono il fattore campo perso la sera prima costringendo Westbrook a mostrare la sua versione Mr. Hyde da trentuno punti con trentuno tiri, non mettendo mai in ritmo i compagni e forzando continuamente la soluzione individuale. Vista dall’esterno Gara-3 assomiglia molto ad un castello di sabbia che frana all’arrivo delle onde a Venice Beach. L’impressione è che i Thunder si stiano sciogliendo e che il duo stia giocando gli ultimi minuti insieme prima di prendere strade diverse, Durant verso la free agency e Westbrook verso le palme di Los Angeles. Lo si può intuire anche dalla scelta dei vestiti che sfoggia in conferenza stampa, una canotta simil acetato che potreste usare per la raccolta dell’umido, bandana che ti regalano con il pass per il Coachella e occhiali coordinati. Se voi non ci andreste neanche a lezione di Zumba, Yeezy ci informa che a Los Angeles è il trend dominante.

Prendete appunti se avete in programma una vacanza sulla costa ovest ma evitate le giacche, mi raccomando.

Gara-5: San Antonio Spurs - Oklahoma City Thunder

Westbrook: 35 punti (12/27), 11 rimbalzi, 9 assist, 8 TO

Avevamo lasciato Russ solo pochi giorni prima pronto a chiudere la stagione di basket e a lanciarsi nell’aerobica da spiaggia, ora invece lo ritroviamo in Texas pronto a portarsi a casa il pivotal game della serie. Gli smanicati fluo hanno rapidamente lasciato il passo al completo che dovreste indossare se mai foste invitati a casa di Puff Diddy, un all white sormontato da un coprispalla in jeans troppo stretto per le sue spalle marmoree. Un’idea del guardaroba da dove lo ha preso in prestito noi ce l’abbiamo.

Ma il vero Armani Russell lo confeziona in campo, dove guida i Thunder ad un upset che lascia tutto il mondo del basket sull’orlo di una crisi di nervi. Gli Spurs, la franchigia modello del basket professionistico, un esempio di solidità, costanza e professionalità, vengono rasi al suolo dall’impatto nucleare del numero 0. Dopo aver spalleggiato Durant per tutta la serie rinasce come un’araba fenice di lino, nella purezza del suo bianco abbagliante. Come insegna Sean Combs, trasformarsi continuamente è l’unico modo per essere sempre se stessi e Westbrook, dopo un primo tempo da brutto anatroccolo, diventa il cigno bianco che risolleva grazie alle sue possenti ali la stagione dei Thunder, espungnando nuovamente con irrisoria facilità quello che sembrava il Fort Alamo dell’NBA.

Gara-4 Golden State Warriors 94 - 118 Oklahoma City Thunder

Russell Westbrook: 36 punti (12/27), 11 rimbalzi, 11 assist, 1 TO

Quando Russell ha bisogno della super prestazione si vede che mette meno inventiva davanti allo specchio e si concentra di più sull’imminente partita. E visto che Gara-4 è una partita di una certa importanza, ecco che la scelta di Russell cade immancabilmente su un grande classico: il salopettone. (Portato a livelli di indiscusso nerdismo in questa celebre intervista con Jimmy Kimmel in cui passa due minuti a spiegare come si prepara il perfetto toast pre-partita). Ecco, quando vi chiedete il perché di determinate scelte in campo, ricordatevi che lo stesso cervello poche ore prima ha formulato soliloqui del tipo “Uff oggi non ho proprio voglia di scegliere, mi metterò un’agile salopette gessata”.

Ok, tutto chiaro? Salopette, risvoltino e sei in pole position. Non preoccupatevi dell’effetto Principe Abusivo di Bel Air o di sembrare il benzinaio più grosso del mondo. Preoccupatevi invece di andare in doppia cifra in almeno tre categorie statistiche, magari segnando anche un trentello ai campioni in carica, roba che nei playoff ti regala la tessera ad un club molto esclusivo, tanto che l’ultima fu firmata a nome Charles Barkley nel 1993.

L’epica della salopette ha raggiunto la vastità delle opere omeriche, quindi ritengo quasi superfluo farcela commentare da Kanye. Sfrutterò questo spazio per delle riflessioni che mi tengo dentro da tempo.

Punto primo: il disco di Chance è incredibile e tutti quelli che leggeranno quest’articolo devono ascoltarlo. Punto secondo: come per Kanye, spesso si sbaglia nel considerare Russell una sculturea marmorea scolpita nell’ego. Nonostante entrambi abbiano un atteggiamento da semidei caduti per sbaglio su un pianeta sconosciuto, la popolazione di questo pianteta è divenuta estremamente importate per loro. Anzi, vitale. E la passione con la quale cercano ogni giorno di migliorare tutto ciò che li circonda è commovente, sono degli uomini in missione.

Come Kanye twitta euforico sul suo fratellino Chance con genuino disinteresse di chi ama sentire buona musica, allo stesso modo Russell nell’intervista a fine partita con Craig Sager parla di tutti i suoi compagni tranne che di se stesso. Nonostante Kanye sia colui che ha spinto l’hip hop verso una riflessione post-moderna sulle sue estetiche, tra tutte le superstar odierne rimane quella più vicina alla purezza delle origini. E Russell nel suo moto centrifugo di gestire pallone e compagni cerca di mettere la squadra nella miglior posizione possibile per vincere la partita usando la sua migliore qualità, un dinamismo esagerato che finisce per contagiare tutti quelli che indossano la sua stessa maglia.

Non sarà mai il playmaker dirigista che molti invocano appena sbaglia una scelta in transizione, come Kanye non sarebbe mai entrato a far parte della Tribe neanche se fosse nato nel Queens. Semplicemente perché hanno delle qualità diverse e hanno dovuto adattarle per rimanere loro stessi all’interno di quell’universo dalle infinite tonalità che alcuni chiamano basket e altri Hip Hop. Guardate Gara-4 e la sua pulizia con la quale gestisce la squadra in un primo tempo perfetto in cui segnano 72 punti ai Golden State Warriors dei record. È un coro Gospel guidato dalla voce stentorea di Westbrook, che risuona limpida nelle perfette armonizzazioni dei Thunder. La sua è una tripla doppia umile, di quelle a servizio dei compagni, come ci aspetteremo da uno che gira in salopette.

Gara-6: Golden State Warriors 108 - 101 Oklahoma City Thunder

Russell Westbrook: 28 punti (10/27), 9 rimbalzi, 11 rimbalzi, 5 TO

I greci la chiamavano hybris, Dante la superbia e l’Internet l’ha stigmatizzata nell’espressione “mai ‘na gioia”. È la caduta che condanna chi osa sfidare la legge divina, è la sorte avversa che coglie chi decide di indossare una giacca tigrata nella partita più importante della stagione. Dopo aver passato un’intera serie a nascondersi nei quadrettoni di flanella da uomo comune dell’Oklahoma, ecco che Russell decide di sfidare apertamente l’ira degli Dei nel momento più sbagliato.

Le prime avvisaglie si erano palesate nella conferenza stampa dopo la sconfitta in Gara-5 a Oakland, che costringeva i Thunder a chiudere la serie in casa per evitare di tornare a giocarsi le Finals nella boglia della R-Oracle. Alla domanda di una giornalista sulla difesa di Curry scoppia in una risata imbarazzata che dimostra tutta la sfrontatezza e allo stesso tempo l’ingenuità del play dei Thunder. Lo sanno tutti che Curry ha protezioni molto in alto, ma perché mettersi di traverso? Perché non dire che sì, è un difensore sottovalutato nonostante tu lo possa battere in palleggio ogni volta che vuoi e basta, al massimo strizza l’occhio a Kevin e passa oltre. Perché poi la punizione arriva, crudele e puntuale, dal Martello di Thompson. Invece no, scegli anche di arrivare allo stadio travestito da domatore del circo Togni. È frustrante amare Westbrook perché dopo tutto il sostegno tradisce la tua fiducia con errori da principiante, ma nonostante tutto noi puoi far a meno di stare sempre dalla sua parte.

Non voglio sostenere che i Thunder abbiano perso Gara-6 per la fashion hybris di Westbrook, ma è una possibilità che non si può ignorare dopo tutto il percorso che abbiamo fatto per arrivare, outif dopo outfit, fino a qui. E comunque ha lo stesso diritto di cittandinanza delle teorie secondo le quali a scelta o lui o Durant siano il problema della franchigia dell’Oklahoma.

Visto che i Thunder vivono sempre con l’incubo che qualcuno possa inavvertitamente premere il pulsante dell’autodistruzione in ogni momento, quella di stanotte potrebbe essere l’ultima partita della coppia Westbrook-Durant oppure potrebbe essere l’inizio di una nuova era del basket, con i due alla conquista del primo anello. Se la seguite in diretta, sorseggiando il caffè date un occhiata a come arriverà vestito Russ; se invece avete pianificato un complesso sistema per isolarvi dal mondo e rivederla domani mattina senza SPOILER, state molto attenti a non incrociare con lo sguardo i Vine in cui Westbrook arriverà nei corridoi della Oracle Arena - perché vedendolo camminare spavaldo vi passerà di fronte l’intera partita. E non importa poi molto se sarà l’ultimo catwalk della sua stagione o se ci attende un’altra serie superposh con i Cavs: Westbrook continuarà a lasciarci a bocca aperta con un altro improbabile vestito trovato chissà dove nello stesso modo in cui ci costringe ad alzarci dal divano quando si lancia in campo aperto.

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Roland Barthes scriveva che la moda consiste nell’imitare ciò che, in un primo momento, si presenta come inimitabile. Significa che andremo tutti vestiti con salopette leopardate o con ponchi bucherellati o, peggio ancora, il basket sarà dominato da point guard vicine ai due metri più brave a chiudere un alley oop piuttosto che alzarlo? Preferirei avvalermi della facoltà di non rispondere. A volte l’unicità di Westbrook rende inutile tentare di spiegarlo attraverso paragoni o metafore, perché anche le più ardite si scontrano con le leggi della fisica che rendono impossibile intrappolare in strutture linguistiche un corpo che viaggia costantemente alla velocità del suono, dentro e fuori dal campo. Nonostante ciò ci provo lo stesso.

In uno dei miei film preferiti - The Social Network - durante una riunione preliminare con gli avvocati Mark, stanco di perder tempo dietro a beghe burocratiche, si rivolge direttamente ai gemelli Winklevoss, che gli stanno facendo causa per furto di proprietà intellettuale, e tenta di tagliare il nodo della questione: “Se voi foste gli inventori di Facebook, avreste inventato Facebook”. È una tautologia che cortocircuita quanto detto finora in qualcosa del tipo “se esistesse qualcosa di simile a Westbrook sarebbe Westbrook stesso”. È una forma pura dello swag, senza alcun idea di cosa sia una coscienza o il senso del ridicolo.

Se fra dieci anni sarà il cervello creativo di una Maison di moda e scriverà su Twitter cose come “Please Mark Zukerberg invest millions in Russell Westbrook ideas”, o finirà come Charles Foster Kane a cercare Rosebud nel dedalo della sua sconfinata cabina armadio. Nessuno può dirlo. Sarà sicuramente ancora Russell Westbrook e noi ci scervelleremo ancora per capire da quale pianeta venga.

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