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Thomas Ceccon aspettava questo momento da una vita
30 lug 2024
30 lug 2024
Il nuotatore vicentino ha fatto la cosa più difficile: vincere una gara che tutti già davano per vinta.
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IMAGO / Insidefoto
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Il 29 luglio 2024 era, fin dalla vigilia delle Olimpiadi, la data segnata in rosso sul calendario di ogni appassionato di nuoto. Thomas Ceccon e la finale dei 100 dorso maschili erano attesi come pochi altri eventi di Parigi 2024, uno di quegli ori certi che abbiamo trovato praticamente in tutte le previsioni del medagliere di televisioni, giornali e media in generale. Negli ultimi mesi ne hanno parlato in tanti, chi in maniera velata, come il direttore tecnico Cesare Butini («Scambierei due medaglie di Tokyo per un oro a Parigi»), chi in modo più esplicito, come il Presidente del CONI Giovanni Malagò («Ceccon è una delle punte della nostra spedizione»). Più di tutti, però, ne ha parlato il diretto interessato, Thomas Ceccon.

Quello dell’oro olimpico a Parigi è stato per lui un pensiero fisso fin dal 20 giugno 2022, giorno in cui aveva vinto i 100 dorso ai Mondiali di Budapest stabilendo il record del mondo, o ancora prima, dalla finale di Tokyo 2021, quando era arrivato quarto a 11 centesimi dal bronzo, o forse prima ancora, quando nel 2019 vinceva l’oro ai Mondiali giovanili, o nel 2018, oro alle Olimpiadi giovanili. In ognuna di queste occasioni, e in molte altre durante tutta la sua carriera sportiva, Thomas Ceccon ha avuto come unico e solo obiettivo quello di salire sul gradino più alto del podio alle Olimpiadi.


L’aneddoto in cui racconta questo pensiero è ormai famoso, perché Ceccon non manca di ricordarlo nelle sue interviste a margine delle competizioni. Lo ha fatto anche dopo la premiazione olimpica: «Avevo quattordici anni e stavo andando ad allenarmi in macchina con Alberto [Burlina, il suo coach, ndr]. Mi ha chiesto quale fosse il mio sogno, ho risposto vincere l’oro olimpico». Fino a qui tutto bene, tutto nella norma, come nei pensieri di qualsiasi ragazzino che inizia ad avere risultati nello sport. Ma poi «Alberto mi ha detto subito di calmarmi, che bisogna fare una cosa alla volta, io però ero convinto, lo sapevo che avrei potuto farcela. Partecipare è stato bello, sì, ma è solo un passo che dovevo fare verso la vittoria».

In pochissime parole, c’è tutto Thomas Ceccon.


Le interviste di Ceccon

Non solo in questa, in tutte le interviste, Thomas Ceccon non si risparmia mai. Le sue performance al microfono della zona mista sono talmente strane che sul web sono diventate una specie di tormentone, una simpatica macchietta che gira nelle pagine social degli appassionati di nuoto. L’ultima è stata domenica sera, poco dopo la sua semifinale dei 100 dorso.

Mentre le telecamere inquadravano Nicolò Martinenghi che si preparava per nuotare (e poi vincere) i 100 rana, lui diceva che «mi sono anche depilato il petto per la prima volta. E le braccia per la seconda. Più di così non so cosa fare, sono pronto». Depilarsi gambe, petto e braccia, per un nuotatore, è abbastanza normale, e serve sia per migliorare lo scivolamento nell’acqua che per aumentare la sensibilità della pelle al fluido. C’è chi lo fa anche solo per limare qualche centesimo a una gara regionale, Ceccon si è tenuto la cartuccia per la finale più importante della vita. Forse perché lo sapeva, di essere il più forte, anzi lo ha proprio detto, sempre al microfono dopo le batterie dei 100 dorso, quando aveva nuotato un tranquillo - e anche un pochino preoccupante - 53.45, dodicesimo crono della mattinata: «Sono il più forte, in teoria… anzi no, sono il più forte punto».


Ceccon Cecconing, verrebbe da dire: essere sincero e senza filtri, al limite del sembrare fuori contesto, è una parte determinate della sua personalità. Come quando ha osservato la semifinale del cinese Xu Jiayu, che aveva nuotato meglio di lui prendendosi la corsia 4 per la finalissima olimpica: «Si va bene, si sa che lui passa forte, ma un ritorno come il mio non ce l’ha nessuno». Ha detto la verità, pura e semplice, e nella finale ha messo in pratica tutto quanto.

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La gara

Se nelle interviste Ceccon non si risparmia, in gara invece è un maestro della strategia. Le sue batterie, spesso nuotate con un atteggiamento rilassato, possono dare l’idea di una certa malavoglia, di una superficialità che non accosteremmo ad un campione dello sport come lui, abituati come siamo a vedere i grandissimi mettere la mano davanti in ogni possibile occasione. Chi conosce Ceccon sa che non è così, ma sa anche che ogni sua mossa ha un unico scopo, la vittoria finale. Semplicemente lui prende una strada diversa rispetto a quella degli altri, ma non per questo meno efficace.

Ceccon dice che il suo momento preferito delle gare sono «le semifinali, perché puoi nuotare come vuoi, liberamente e senza pressioni mentali». Ceccon ha bisogno di usare la fantasia e riesce, in uno sport come il nuoto che sembra chiuso nei suoi schemi, a spaziare, a vedere chiaro dove gli altri non arrivano. La finale olimpica ne è stata la dimostrazione esemplare e il risultato era già previsto tutto nelle sue parole.


Ceccon aveva detto che Xu era forte nel passaggio a metà gara e che «sono in due a giocarsela con me, gli altri non mi preoccupano». L’altro era Ryan Murphy, americano campione a Rio 2016, che lo aveva battuto ai mondiali di Fukuoka 2023, lasciandogli un po' di amaro in bocca. Tutto vero: Xu ha tentato di ammazzare la gara passando in 24.88, Murphy lo seguiva in 25.04 ma Ceccon era lì attaccato, 25.10, come a voler scalfire le poche certezze degli avversari. Una volta effettuata la virata e usciti dall’apnea - a proposito, impressionante vedere quanto i dorsisti vadano vicini al fondo della vasca, costruita con una profondità minore rispetto al solito - il grosso del lavoro era fatto. Perché, sempre per confermare le sue parole, non c’è nessuno che abbia un ritorno come il suo, nessuno al mondo (nemmeno i russi assenti) che riesca a progredire nella seconda parte di gara con la stessa incredibile e fluida potenza, che riesca a far girare le braccia all’indietro senza arrivare a sbracciare, senza andare mai fuori giri.


Ceccon a dorso è la sublimazione della tecnica natatoria, e il finale delle sue gare sono materiale di studio nei corsi per istruttore e allenatore: il rollio delle sue spalle, le mani che cercano di muovere acqua più in profondità possibile, la gambata che accompagna il movimento senza mai interferire: tutto è praticamente perfetto. Ceccon è un piacere per gli occhi e per il cronometro, e il 52.00 che ha nuotato è comunque miglior tempo dell’anno, anche se non è il record del mondo (finora nessuno lo ha fatto a Parigi). Ma non importa, perlomeno non oggi che si ritrova finalmente l’oro olimpico al collo.


Il percorso per arrivare all'oro

Thomas Ceccon è nato il 27 gennaio 2001 a Thiene, in provincia di Vicenza, e di lui si parla nel mondo del nuoto fin da quando era un ragazzino. Ai Criteria, i campionati italiani giovanili in vasca da 25 metri, ha fatto incetta di titoli in praticamente qualsiasi specialità, dal delfino allo stile libero, per passare naturalmente dal dorso. Di lui si diceva che fosse il Phelps italiano, e sappiamo bene quanto questo genere di paragone sia poco edificante soprattutto per un giovane atleta ancora tutto da formare. Con Phelps però condivideva un’incredibile poliedricità in acqua, dote che faceva pensare ad un naturale dirottamento delle sue forze verso i misti, specialità in cui sembrava in grado di eccellere anche a livello internazionale.

Non l’hanno mai pensata così né lui né Alberto Burlina, il suo tecnico, che ha sempre dichiarato di puntare tutto sui 100 dorso, anche contro l’opinione di gran parte degli addetti ai lavori. «Thomas è un malato di nuoto», ha detto Burlina ai campionati nazionali a marzo «studia le gare, guarda video, pensa solo ai 100 dorso. A volte è un pò esuberante ma a me piace così, contenerlo fa parte del mio lavoro». A partire proprio da quella volta in macchina in cui gli disse che voleva vincere le Olimpiadi.


Il sogno di Ceccon e Burlina era così reale che nel 2017, quando Ceccon aveva sedici anni, hanno deciso di trasferirsi a Verona per nuotare al centro Federale nel quale si allenava anche Federica Pellegrini (e prima di lei Domenico Fioravanti). Da quel momento, ogni anno è stato un avvicinamento al 29 luglio 2024: prima le medaglie a livello internazionale giovanile (20), poi gli ori europei, i mondiali, il record del mondo e le medaglie olimpiche, che prima di oggi erano già tre, tutte nelle staffette.

Oggi Thomas Ceccon è il sesto atleta italiano a vincere un oro olimpico nel nuoto, e raggiunge Massimiliano Rosolino a quota quattro medaglie totali ai Giochi. Nei 100 dorso ha fatto il grand slam (oro europeo, mondiale e olimpico) e detiene anche il record del mondo, come solo Federica Pellegrini è riuscita nei 200 stile. A soli 23 anni è già nel discorso per il migliore italiano di sempre nel nuoto.

Oggi ci sembra tutto scontato, infatti, ma vincere una gara che era già data per vinta in partenza, paradossalmente, è una delle imprese più complicate e pesanti dello sport. Quando tutti si aspettano da un atleta niente di meno che la vittoria la pressione da sopportare è altissima, ed è ancora maggiore quando il primo a pensarla così è l’atleta stesso. Non è un caso che siano moltissimi i nuotatori di livello che hanno problemi di salute mentale, attacchi di panico e depressione.

Adam Peaty, Kristof Milak, Caeleb Dressel e lo stesso Michael Phelps: tutti sono concordi nel dire che la pressione ai vertici è altissima e a tratti insopportabile. Sia Dressel che Peaty sono tornati a nuotare dopo lunghi stop, e hanno ripreso a sorridere solo dopo aver accettato il fatto di non essere più invincibili come prima. Ceccon tutta questa pressione l’ha sostenuta ancor prima di vincere l’oro olimpico, e gran parte se l’è messa addosso da solo. Una volta salito sul podio di Parigi 2024 con la medaglia al collo, è arrivato il momento dell’inno nazionale, e lì abbiamo visto un Ceccon inedito, commosso, che a stento tratteneva le lacrime. La sua bocca si muoveva in modo impercettibile, come se i muscoli volessero cantare insieme al pubblico de La Défense Arena ma qualcosa lo bloccasse da dentro. Il suo oro è molto diverso da quello di Nicolò Martinenghi, che aveva sognato di vincerlo ma che in questo sogno era quasi da solo. Ceccon ha sognato insieme a un Paese intero che lo voleva vincitore e che anche solo per un argento lo avrebbe criticato, in chissà che modo.


Chissà quante volte si è preparato l’intervista, le mosse da fare alla premiazione, l’esultanza da mettere in atto al tocco della piastra. Chissà quante emozioni ha dovuto tenersi dentro per dare l’idea di essere solido come una roccia, inattaccabile, ogni volta che nuotava un tempo non da record del mondo. E chissà se poi, una volta che tutto è andato per il verso giusto, quei momenti di gioia se li è goduti veramente o se si è dovuto invece trattenere.

La risposta, forse, ce l'ha data proprio lui, nell'intervista dopo la premiazione: «Mi chiedo spesso, cosa fanno i campioni come Marchand, una volta che hanno vinto? Vanno a letto e riescono a dormire lo stesso anche se da domani sono costretti a vincere ancora? E cosa farò io stasera dopo aver vinto? Beh, di sicuro giocherò un po' a carte, e poi da domani si preparano i 200. Perché se poi in gara faccio schifo a cosa è servito il titolo olimpico?».

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