Lo scorso 26 maggio, una data ormai simbolica per la scena calcistica romana, le strade del centro della città si sono tinte di giallorosso per celebrare il primo titolo della Roma in oltre quattordici anni. Sopra uno dei due bus scoperti Dan e Ryan Friedkin - con il solito sorriso rassicurante e gli iconici occhialoni neri - vengono celebrati come profeti per aver riportato entusiasmo in una piazza che negli ultimi anni si è ritrovata troppo spesso ad affrontare da sola i propri fantasmi. Intorno a loro i colletti bianchi della dirigenza giallorossa, volti confusi e indistinguibili nella testa dei tifosi della Roma, che ne hanno visti troppi nelle ultime stagioni.
Manca qualcuno, però: il general manager Tiago Pinto non è con i Friedkin, ma qualche metro più avanti seduto sul bordo posteriore dell’altro bus, quello con i giocatori brilli a torso nudo. Il portoghese sventola un bandierone giallorosso, che passa a Gianluca Mancini per prendere una lattina di Peroni, probabilmente non la prima.
In quel momento sono visibili le due le anime di Pinto. Quella più razionale da dirigente, che grazie a visione e programmazione è arrivato fino ai ruoli apicali di due grandi squadre europee a soli 37 anni, e quella più intima da tifoso passionario. Nella sua - ancora breve - carriera è sempre stato in cerca di un equilibrio in grado di farle convivere.
Quello di Tiago Pinto è un percorso atipico, segnato dai momenti in cui questo equilibrio si è rotto, come quando ha calciato lontano un pallone nel suo primo derby da direttore generale, rimediando una squalifica. La scelta di festeggiare con i giocatori, mimetizzato con la t-shirt celebrativa rossa e lontano dal bus della presidenza, è un riflesso della dicotomia che vive. Magari un tentativo di rimanere fedele al tifoso che è stato prima di diventare un dirigente.
Da Porto a Lisbona
Tiago Pinto è nato nel 1984 in una piccola cittadina nel nord del Portogallo, dove cresce aiutando il padre nel suo negozio di ferramenta. Con i primi risparmi, quando ancora aveva 16 anni e il Benfica - club di cui è tifoso fin da bambino - viveva uno dei peggiori periodi della sua gloriosa storia, compra una tessera da socio, visto che la squadra prevede l’azionariato popolare nel suo statuto. Gran parte del tempo libero di Tiago è dedicato alla sua passione per il Benfica, si può dire che ne è quasi ossessionato: affascinato dai racconti del padre - che ha vissuto il decennio d’oro di Eusebio e delle due Coppe dei Campioni negli anni ’60 - studia la storia, lo statuto e le tradizioni del club, che alimentano la sua passione e lo portano qualche anno più tardi a fondare il blog benficadepedendente (ora chiuso).
Viaggia spesso per andare a vedere le partite all’Estádio da Luz ed è molto attivo nei blog e nelle comunità di tifosi Benfiquistas, dove è particolarmente critico nei confronti del presidente Luís Filipe Vieira, che lui stesso aveva votato alle elezioni ma nei confronti del quale ormai aveva perso fiducia. Nel frattempo si laurea all’Università di Psicologia e Scienze dell'Educazione di Porto, dove inizia a lavorare come coordinatore di un programma nazionale per le scuole in contesti problematici, caratterizzati da povertà, violenza e abbandono precoce.
Nel giugno del 2012, con la squadra sconfitta per il secondo anno consecutivo dai Dragões, Tiago decide di percorrere le tre ore di macchina che separano Porto da Lisbona per partecipare all’assemblea generale dei soci del Benfica. Al termine delle votazioni per il budget prende parola di fronte ai soci e pronuncia un discorso in cui prima loda l’operato di Vieira, capace di prendere la squadra durante la crisi finanziaria di inizio millennio e portarla alla stabilità economica, per poi criticarne le scelte manageriali, come quella di essersi circondato di non-Benfiquistas nella dirigenza, di aver cacciato Nuno Gomes e di aver esautorato i poteri di Rui Costa.
Vieira si rifiuta di rispondere e fa recapitare a Pinto il suo biglietto da visita, offrendogli di affrontare le questioni in privato; Tiago rifiuta, pretendendo che il presidente affronti le questioni di fronte a tutti i soci nell’assemblea, senza però ottenere risposta.
Qualche giorno più tardi riceve una telefonata da Vieira, che lo invita a un incontro privato che dura sei ore in cui vengono affrontate le obiezioni portate in assemblea dal giovane Pinto. «Era sorpreso da tutto quello che sapevo sul Benfica e in particolare sui meccanismi di funzionamento della società – ha detto Tiago in una delle sue rarissime interviste nel 2019 –. Abbiamo creato un rapporto e abbiamo condiviso le nostre idee sul club e per il club». Il presidente, rimasto affascinato dal coraggio di Tiago e dalla puntualità delle critiche ricevute, gli offre, in caso di vittoria nelle imminenti elezioni, di entrare nel club come consulente.
Crescita o tradimento?
L’incontro con Vieira, inaspettatamente positivo, mette Pinto di fronte a un bivio. Come si intuisce dal resoconto della chiacchierata che pubblica sul suo blog, a 27 anni sente di compromettere la sua purezza iniziando a collaborare con un presidente di cui aveva perso stima, ma si tratta di un’opportunità unica.
Inizia a ricevere critiche negli stessi blog in cui era voce autorevole - come Novo Geração Benfica, uno dei più popolari tra i tifosi - e sente di doversi giustificare pubblicando una lettera sul proprio blog: «So che molti di voi si fermeranno a leggere qui e mi catalogheranno come un venduto, come è stato detto sui blog. Il presidente mi ha ricevuto e ha risposto su tutte le questioni poste, dandomi abbastanza informazioni – confessa Pinto – per continuare a credere nel progetto che ha per il Benfica. Ha mostrato umiltà ed empatia che non sono visibili attraverso le telecamere».
È difficile stabilire quanto il primo confronto con il presidente abbia veramente cambiato le convinzioni di Pinto, forse non è nemmeno corretto farlo. In ogni caso, Vieira vince le elezioni in ottobre e a novembre Pinto lo raggiunge negli uffici dell’Estádio da Luz. Prima di trasferirsi a Lisbona scrive una lettera personale a penna per ognuno dei 250 studenti che segue nel suo lavoro di consulente scolastico, un altro passaggio che potrebbe aver vissuto come un tradimento. «Le conversazioni che ha avuto con i ragazzi per salutarli sono state dure – ha raccontato il suo amico e collega Eurico Mateus – spesso gli chiedevano di non andare via e per Tiago è stato difficile perché aveva creato dei legami molto forti».
Il primo incarico al Benfica
L’inserimento di Pinto in società non è affatto semplice. Nei corridoi incontra ogni giorno gli stessi personaggi che aveva attaccato duramente nel suo discorso davanti ai soci. «Come posso continuare a fidarmi quando la leadership è piena di non-Benfiquistas? – aveva insistito nell’assemblea generale Pinto – Il presidente ignora i nostri principi e continua a riempire la dirigenza della nostra squadra con gente che viene da altri club».
La sua mancanza di esperienza nel settore contribuisce a creare nei suoi confronti una patina di diffidenza, che solo i risultati cancelleranno, quando comincia il suo primo incarico operativo come direttore generale della divisione altri sport del Benfica. Pinto è responsabile dell’area che comprende basket, pallavolo, futsal, hockey su prato e pallamano, e decide di rimodellare profondamente la struttura organizzativa creando una rete di supporto innovativa: vengono monitorate tutte le sessioni di allenamento, ogni giocatore viene affiancato da analisti, nutrizionisti e psicologi. Poi prende delle scelte sportive nette, come quella di abbassare la percentuale di giocatori stranieri per puntare sul vivaio del club e costruire un percorso interno di crescita e formazione per lo staff. In 5 stagioni arrivano oltre 50 titoli nazionali, anche se Pinto non riesce a coronare l’ambizioso obiettivo di vincere il titolo in tutti e cinque gli sport nello stesso anno.
«Era un profondo conoscitore del mercato e sono state le conversazioni che ha avuto con i grandi giocatori a convincerli a firmare per noi – ricorda Pedro Nunes, al tempo allenatore della squadra di hockey su prato – Gli ha parlato molto di cosa rappresenta il Benfica nella società portoghese e a livello europeo; oltre alla presentazione degli aspetti più professionali, riusciva a trasmettere la sua passione per il Benfica ed è quello che li impressionava più di tutto».
Oggi queste parole fanno pensare immediatamente alle conversazioni che devono esserci state durante la trattativa con Paulo Dybala, convinto, oltre che dalle ormai celebri telefonate di Mourinho, dai colloqui che ha avuto proprio con Pinto, che lo ha rassicurato sulle prospettive del progetto di cui è principale architetto, riuscendo magari anche in questo caso a trasmettergli la passione del tifo giallorosso (anche se, ovviamente, per lui non può essere la stessa cosa della squadra che ha tifato da bambino).
La tempra da tifoso
Sconfitta la diffidenza iniziale con un lavoro quotidiano e meticoloso lungo cinque anni, nell’estate del 2017 viene nominato direttore generale della divisione calcio del Benfica. Nei primi mesi però viene fuori la sua inesperienza: la dicotomia tra le due anime di Tiago emerge ad esempio il derby tra Porto e Benfica vissuto a pochi metri dal campo, a dicembre di quell’anno.
All’Estádio do Dragão, con la squadra di Lisbona in vantaggio nei minuti di recupero, preso dalla concitazione della situazione, Tiago Pinto perde il contatto con il suo ruolo istituzionale e calcia lontano un pallone capitato dalle sue parti per rallentare la ripresa del gioco. A quel punto viene spintonato dall’attaccante del Porto Moussa Marega – non proprio un fuscello – e si scatena una rissa che coinvolge almeno venti tra giocatori e membri dello staff, a cui segue la meritata espulsione e sospensione decisa dalla federazione.
Solo poche settimane prima, in una trasferta a Madeira a ottobre, aveva rimediato una prima squalifica di dieci giorni per aver protestato con troppa veemenza nei confronti del quarto uomo, reclamando due rigori per il Benfica che aveva pareggiato 1-1 quella partita contro il Marítimo. Tra dicembre e gennaio ne rimedia altre due, nella partita di Coppa di Portogallo contro il Rio Ave e in quella di campionato contro il Guimarães, sempre per proteste eccessive.
Il gesto di Pinto esaspera anche un tifoso del Porto, che nel caos generale entra in campo per cercare vendetta prima di essere catturato dagli steward.
Una situazione che si è ripetuta anche in Italia, al termine del terzo pareggio consecutivo in campionato della squadra di Mourinho nello scorso febbraio, quando il general manager ha lasciato spazio al tifoso che è dentro Tiago Pinto.
«Non puoi assolutamente arbitrare così. Sei uno mandato dalla Juventus» ha urlato Pinto a Pairetto sulla scia del gesto del telefono costato l’espulsione a Mourinho contro il Verona, evocando la parentela dell’arbitro con Alberto, fratello dirigente della squadra di Torino, e Pierluigi, designatore arbitrale ai tempi di Calciopoli.
Il general manager, che è stato addirittura trattenuto a forza da Mourinho nel tunnel, è stato squalificato per due giornate "per avere, al termine della gara, nel tunnel che adduce gli spogliatoi, affrontato in maniera irruenta l'Arbitro e, pur trattenuto dal proprio Allenatore, indirizzato allo stesso gravi insinuazioni; infrazione rilevata anche dai collaboratori della Procura federale".
Torniamo però alla fine della stagione 2017/18. Finito al centro delle polemiche per le quattro squalifiche rimediate, con diversi giornali che si chiedono se non sia troppo giovane e inesperto per il ruolo che occupa, Pinto decide di limitare le interviste e le apparizioni pubbliche. Da quel momento, diventerà più diffidente nei confronti dei media e preferirà restare quanto più possibile nell’ombra.
A stretto contatto con il direttore sportivo Rui Costa, sfrutta la notorietà dell’ex numero 10 di Milan e Fiorentina per defilarsi e concentrarsi sulla strategia del club: amplia l’area scouting e ristruttura l’Academy – già molto produttiva – che sotto la sua gestione porta in prima squadra giocatori come João Félix, Rúben Dias, Florentino Luis e Gedson Fernandes. Le mosse della dirigenza del Benfica vengono comunque criticate, soprattutto per la reticenza a investire per sostituire i giocatori venduti, anche con grosse plusvalenze, come Ederson, Viktor Lindelof e Nélson Semedo.
Pinto segue da vicino la squadra e soprattutto i giovani. Recentemente Rúben Dias, parlando di quanto sia importante il supporto psicologico per i calciatori, ha raccontato un aneddoto dei tempi del Benfica: «Il giorno del mio debutto sul campo del Boavista c’era molta pressione su di me. Ero calmo ma leggermente ansioso, Tiago Pinto se n’è accorto e mi ha preso da parte per dirmi “So che non sei nervoso come pensano, ti sei preparato per questo momento quindi entra e divertiti”».
Nel gennaio del 2019 il Benfica affronta la prima grande crisi da quando Pinto è direttore generale. Rui Vitória, in carica dal 2015, viene esonerato e la dirigenza nomina Bruno Lage, allenatore della squadra B, come suo sostituto, seguendo la filosofia perseguita da Tiago nella divisione altri sport del club. Il risultato va oltre le migliori aspettative: la squadra di Lage vince 17 delle 18 partite rimanenti in campionato con 73 gol fatti e 16 subiti (perde punti solo nel pareggio 2-2 con il Belenenses) e conquista il titolo con le vittorie simboliche sui campi di Porto, Sporting e Braga in quella che viene ricordata come la stagione della Reconquista.
Per oltre un anno sembra funzionare tutto perfettamente: la squadra gioca un calcio moderno e offensivo, in rosa ci sono moltissimi calciatori prodotti nel vivaio pronti al grande salto e le finanze della squadra sono solide, soprattutto grazie alle grandi plusvalenze. Ma il crollo nella seconda parte della stagione 2019/20, condizionata dall’interruzione per la pandemia, porta all’esonero di Lage a quattro giornate dalla fine del campionato.
Il controverso esonero dell’allenatore mette in luce il lato più integralista del carattere di Pinto, che fino all’ultimo prova a impedire l’allontanamento di Lage, mentre il presidente Vieira decide di riportare a Lisbona Jorge Jesus nonostante il parere negativo del suo general manager. Una scelta che ridimensiona il progetto sportivo costruito da Tiago, scalfito nell’orgoglio e poco disposto a collaborare con Jesus.
Nella sua testa magari tornano i dubbi su Vieira di qualche anno prima perché, per provare a vincere nel breve periodo con Jesus investendo 100 milioni di euro, il presidente vuole abbandonare un percorso lodevole fondato sull’eccellenza del vivaio e pochi - anche onerosi - acquisti mirati, che nella visione di Pinto avrebbe portato la squadra a dominare in Portogallo e scalare gerarchie in Europa.
Nell’estate del 2020 Tiago comunica la volontà di lasciare la squadra e quando si sta per concretizzare il suo addio il presidente diventa ostile nei suoi confronti, addirittura non gli parla per più di una settimana prima di arrendersi: «Jorge Jesus era stato approvato da tutti – ha raccontato recentemente a CMTV Vieira – l’unico contrario era Tiago, se n’è andato per questo e ha detto: “Rovineremo tutto quello che abbiamo fatto”. È stato sicuramente il general manager più completo che ho avuto al Benfica».
Anche Pinto, in un’intervista a Benfica TV, ha parlato della complessità di quei giorni: «È stato un periodo difficile. Le persone sanno che rapporto ho con il presidente, tutto quello che ho conquistato nel calcio lo devo a lui e gli sarò eternamente grato. Senza la sua benedizione non sarei mai potuto andare via».
Vieira, che è sotto processo per reati fiscali da un anno e ha lasciato la presidenza a Rui Costa, ha parlato del suo pupillo dicendo che «sicuramente un giorno Pinto sarà al Real Madrid, al Manchester United o al City».
L’uomo nuovo della Roma
Alla fine della sua esperienza al Benfica è uno dei dirigenti più promettenti del panorama europeo, ha la fama di essere molto abile nella programmazione ma restio a mettere discussione le sue idee.
Viene contattato da Charles Gould, fondatore e CEO della Retexo Intelligence, compagnia specializzata nella creazione di strategie per società sportive, con cui affronta una serie di colloqui per un generico posto nel management sportivo, senza sapere chi fosse interessato a lui. Dopo una serie di interviste positive in cui ha accesso a sempre più informazioni, incontra per la prima volta i Friedkin, che hanno da poco acquistato la Roma per 591 milioni di euro e lo scelgono per disegnare le strategie sportive del nuovo corso. A ottobre viene annunciato come nuovo general manager dei giallorossi e prende possesso del suo nuovo ufficio il 4 gennaio 2021.
In meno di due anni nella capitale Pinto ha rilanciato le ambizioni di una squadra passata da una proprietà americana che ormai aveva perso contatto con il proprio pubblico a un’altra proprietà americana ansiosa di conquistarne subito la fiducia. Il primo grosso problema è il contrasto evidente tra l’approccio riservato con cui Pinto gestisce il lavoro e quello chiassoso e morboso con cui vengono seguite le vicende della Roma a Roma. Deve adattarsi a un contesto in cui media e giornalisti sono abituati ad avere - e quindi pretendono - un filo diretto con la dirigenza e un canale di accesso preferenziale alle informazioni.
Bisogna trovare un compromesso tra la sua attitudine silenziosa e riservata e le richieste dell’ambiente: Pinto, allora, accetta di tenere una conferenza stampa per rispondere alle domande alla fine di ogni sessione di mercato, inoltre tiene un breve discorso alla presentazione dei nuovi acquisti e per rispettare gli accordi sui diritti tv parla ai microfoni prima e dopo le partite.
Il suo approccio comunque distaccato crea qualche malumore tra i media, ma gli consente di lavorare in modo diverso dai suoi predecessori, portando avanti il proprio progetto sottotraccia. È così che il 4 maggio 2021 riesce a ufficializzare l’arrivo di Mourinho nella capitale senza che nessun giornalista abbia nemmeno annusato l’esistenza della trattativa tra lo Special One e la Roma.
Pinto ormai padroneggia perfettamente l’italiano e alla presentazione si è lanciato in un goffo gioco di parole con il soprannome di Dybala.
Uno degli aspetti chiave del suo successo al Benfica è stato la capacità di comprendere e far comprendere il legame tra la città e il club, armi che utilizza per convincere personalità come Mourinho e Dybala, nomi che fino a poco tempo fa i tifosi potevano solo immaginare con i colori giallorossi. Se da consulente scolastico doveva capire di cosa avesse più bisogno un ragazzo in difficoltà, in qualità di general manager è stato in grado di capire su quali tasti spingere per convincere i giocatori; lo stesso Dybala ha detto: «Tante squadre si sono avvicinate, poi il direttore è venuto a Torino ed è cambiato tutto».
Non ci sono voluti molti mesi nella capitale per capire che uno dei problemi principali della Roma fosse psicologico, legato a doppio filo alla mentalità maniacale e teatrale con cui vengono vissute le vicende della squadra. La scelta di portare Mourinho, un allenatore controculturale rispetto a quelli che ha messo alla guida del Benfica – e per certi versi simile a Jorge Jesus, che lo ha portato a lasciare il club – forse è nata dalla necessità di cambiare la mentalità dell’ambiente, mettendogli davanti una figura autorevole, quasi incontestabile.
Sotto questo punto di vista, almeno alla luce di quanto visto finora nella sua esperienza alla Roma, Pinto sembra aver smussato quei lati del suo carattere troppo rigidi che lo avevano limitato a Lisbona. Sembra aver trovato il giusto compromesso tra il proprio carattere e il contesto ambientale e societario in cui si muove.
«In questo lavoro ogni decisione è un rischio» ha detto Pinto alla fine dello scorso mercato estivo. Per ora – al netto delle interviste mancanti, di qualche acquisto poco azzeccato e delle reazioni troppo focose – quella dei Friedkin di mettere alla guida della Roma un giovane dirigente con un’anima da tifoso in una piazza piena di tifosi dirigenti si è rivelata una scelta estremamente felice.
«Pinto è bravo a creare legami tra le persone. A prescindere da quale sia il loro lavoro in società, tutti sentono che stanno lavorando per un obiettivo comune – ha detto Bruno Lage del suo ex general manager – ha la visione generale delle cose e l’abilità di anticipare e risolvere i problemi, anche quelli di cui non ti accorgi nemmeno».
Nell’estate del 2018 Pinto ha ideato insieme al reparto marketing del Benfica il claim “Reconquista” per lanciare la stagione che avrebbe riportato la squadra al titolo. A Roma c’è una parola che per scaramanzia nessuno pronuncia ad alta voce, magari sarà proprio Pinto il primo a dire che c’è un altro titolo che vuole riconquistare.