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Perché la Corea del Sud è così forte nel tiro con l'arco?
02 ago 2024
02 ago 2024
I motivi di un dominio tirannico nelle gare olimpiche.
(foto)
IMAGO / ZUMA Press Wire
(foto) IMAGO / ZUMA Press Wire
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Sembra che gli antichi cinesi si riferissero agli abitanti della penisola coreana come dongyijok, che tradotto sta per “persone in Oriente che sono maestri di tiro con l'arco”. Settemila anni dopo nulla è cambiato (cioè è cambiato molto, ma qui parliamo di archi e frecce): i coreani (del Sud, vi dicevo che molto è cambiato) sono ancora maestri in questa antica disciplina a metà tra il passatempo sportivo e il desiderio di piantare una freccia nel collo di una persona molto distante.

Mentre scrivo, mentre cioè le Olimpiadi di Parigi sono in corso e le gare di tiro con l’arco devono ancora finire, la Corea del Sud ha vinto le prime due medaglie d’oro disponibili (a squadre uomini e donne). Nella gara a squadre femminile vincono l'oro da 10 edizioni consecutive. Se allarghiamo lo sguardo, se prendiamo cioè in considerazione il complessivo da Monaco 1972, da quando cioè il tiro con l’arco è tornato a essere una disciplina olimpica dopo alcune pionieristiche partecipazioni nelle prime edizioni del ‘900, il dominio sudcoreano è quasi tirannico: 29 ori, 9 argenti e 7 bronzi, un totale di 45 medaglie che praticamente triplica la seconda nazione in questa classifica, gli Stati Uniti fermi a 16. Praticamente se Lineker fosse stato un arciere invece che un centravanti, avrebbe potuto facilmente dire che «2 uomini (o donne: il tiro con l’arco è molto più inclusivo del calcio) tirano un po’ di frecce, e alla fine vince la Corea del Sud».

E le donne sono ancora più invincibili degli uomini

È un dominio tirannico che non ha paragoni nello sport olimpico, se non per la Cina con il tennis tavolo, ma è ancora più assurdo perché viene da un Paese che non sembra avere nessuna caratteristica - economica, geopolitica o demografica - per perpetrarlo. Se infatti a vincere tutte le gare di tiro con l’arco fossero stati gli Stati Uniti o anche la Cina, perfino la Russia, sarebbe stato più facile da accettare e comprendere, ma la Corea del Sud? Come si può spiegare? Inoltre parliamo di una disciplina a suo modo semplice: hai un arco, qualche freccia e devi cercare di avvicinarti il più possibile al centro del bersaglio. Come è possibile che una Nazione da 51 milioni di abitanti sia così più brava rispetto ai restanti 8 miliardi di persone nel resto del mondo?

L’arco come mezzo per l’epica, la difesa, la disciplina morale e il gioco

Secondo quanto riportato ne La Storia dei Tre Regni, appena nacque da un uovo (è una storia lunga) Jumong - il fondatore del regno Goguryeo, uno dei tre regni del periodo dei “tre regni” della Corea, il più vasto e importante - fece richiesta di arco e frecce per colpire alcune mosche che lo tormentavano. Jumong, ovviamente, non sbagliò neanche un colpo e da qui deriva il suo nome, che significa “abile arciere”.

Suo padre era il principe Hae Mo-su, figlio del Cielo, mentre sua madre era Yuhwa, una delle tre figlie del Conte del Fiume Giallo Habaek.

Se nel mito della fondazione coreana arco e frecce hanno un carattere divino, nella storia militare della Corea l’arceria ha un valore molto più concreto. L’arco è da sempre l’arma dell’esercito, lo strumento scelto per difendere i propri confini da tentativi di invasione che arrivavano da tutte le parti. L’arco funzionava bene come strumento di difesa per diverse ragioni: era economico da realizzare (i coreani non erano un popolo ricco) e poteva essere usato con successo sul territorio prevalentemente collinare e montano (colpire i nemici dall’alto) o nelle grandi foreste presenti sul territorio dove armi più ravvicinate erano difficili da usare.

I coreani utilizzavano un tipo particolare di arco inventato da loro, il Gakgung (o, appunto, arco coreano), realizzato con corna di bufalo (non chiedetemi come, né perché) e progettato per combinare flessibilità e forza, permettendo così una maggiore potenza e precisione rispetto agli archi tradizionali. Il Gakgung è caratterizzato da una curvatura a C che lo distingue dall’arco ricurvo e poteva essere utilizzato sia a cavallo che a piedi con un tipo speciale di freccia, il pyeonjeon, più piccola e maneggevole. Questo permetteva agli arcieri di scagliare i loro colpi con grande velocità e forza, tanto che la portata dei loro archi era cinque volte più ampia di quella dei nemici, arrivando fino a 350 metri. Il Gakgung e il pyeonjeon sono considerati l’arma segreta della dinastia Joseon, con cui ha difeso il proprio regno dalle invasioni giapponesi e manciù. Saper incordare una freccia e tendere l'arco era quindi indispensabile per un militare, tanto che l’esame mugwa (l’esame per gli ufficiali militari) testava i candidati in sei aree tematiche di cui tre (mokjeon, cheoljeon e pyeonjeon) riguardavano l’arceria.

Uno dei film d’azione coreani più di successo in patria si chiama “War of arrows” e sì, è trash come sembra.

Il tiro con l'arco non era però una pratica riservata esclusivamente ai militari. Lo praticavano i re e i nobili, fino alla gente comune. Nel Libro dei Riti si spiega che “il tiro con l'arco è una via della benevolenza. L'arciere cerca di essere corretto in se stesso”. Il tiro con l’arco e la sua pratica, quindi, per i coreani è da sempre un mezzo per coltivare la propria moralità, e non è un caso che fosse incluso tra le “Sei Arti” (riti, musica, tiro con l'arco, conduzione dei carri, calligrafia e matematica) che formavano la base dell'educazione dei gentiluomini confuciani (nel 1393 la Corea venne proclamata come uno stato confuciano).

Era anche una forma di intrattenimento: nei villaggi veniva organizzato un evento chiamato hyangsarye che serviva a mantenere l’ordine sociale e ruotava intorno a prove e gare con il tiro con l’arco. La gente godeva di questi spettacoli e scommetteva sull’esito delle gare. Una tradizione, quella dell’arco come gioco, che è continuata anche in tempi più recenti: come scrive Stewart Culin nel suo libro Korean Games, agli inizi del ‘900 l’arco era praticato come gioco in Corea con il nome di Hpyen-sa-ha-ki (tiro di lato). C’erano accese competizioni tra villaggi vicini o quartieri delle grandi città, che sceglievano i più abili nel tiro con l’arco per sfidarsi. Il bersaglio (koan yck) era una tavola quadrata, con un quadrato nero al centro. Ogni giocatore aveva tre turni da cinque frecce, se colpivano il centro, erano due punti, se colpivano fuori dal centro, uno. Se vi ricorda il tiro con l’arco alle Olimpiadi, beh: è praticamente quello (non che esistano tanti altri modi di divertirsi con un arco, a meno che il vostro concetto di divertimento non sia particolarmente sadico).

Intermezzo: cose che si possono fare con un arco e una freccia oltre che vincere un oro olimpico

Aggredire la Polizia (non consigliato)

Dipingere (non consigliato, non siete Pollock)

Caccia al muflone (pensavo il muflone fosse un animale mitologico, in ogni caso sul tema etico della caccia valutate voi)

Cosplay di Robin Hood (consigliato, soprattutto se rubate ai ricchi per dare ai poveri)

Cosplay Cupido (questo sarebbe sinceramente strano)

Rifare la cosa della mela di Guglielmo Tell (totalmente sconsigliato)

L’arco come propaganda

Se ho fatto tutta questa lunga digressione storica un po’ è perché, come avrete intuito, non so davvero come rispondere alla domanda iniziale di questo articolo, ma anche per spiegare come è stato possibile che negli anni ‘60 del Novecento il tiro con l’arco sia diventato uno strumento della propaganda nazionalista del governo sudcoreano. Dopo la guerra di Corea, e la divisione in due diversi stati della penisola (Corea del Nord e Corea del Sud per i meno attenti), la Corea del Sud costruì uno Stato altamente militarizzato e con una forte carattere nazionalistico (anche la Corea del Nord, ma non ha avuto lo stesso successo nel tiro con l’arco, quindi non ci interessa).

All’interno di questa propaganda la pratica del tiro con l’arco, per tutti i motivi elencati fin qui, divenne un perfetto strumento per stimolare l'orgoglio nazionale e creare il buon sudcoreano. Il tiro con l’arco serviva per allenare il fisico e la mente, e in più poteva essere rivendicato come parte integrante della cultura sudcoreana. Le scuole iniziarono allora a investire in strutture e programmi per la pratica del tiro con l'arco, dato che usarlo davvero per le forze militari, a quel punto della storia, sarebbe stato il modo migliore per farsi davvero invadere. Uno sforzo anche economico che si intensificò dopo che al paese vennero assegnate le Olimpiadi del 1988, con la creazione di un sistema altamente organizzato e competitivo per la formazione di formidabili arcieri.

Questa politica credo unica al mondo, l’idea di inserire il tiro con l’arco nei programmi scolastici è quantomeno peculiare, ha creato il falso mito che oggi in Corea del Sud tutti a scuola praticano tiro con l’arco come se fosse matematica. Non è così: i club legati a scuole elementari sono un centinaio (a Seul, per dire sono cinque), ma è il modo in cui i bambini che si avvicinano a questa disciplina a essere diversa dal resto del mondo, nel bene o nel male.

Ha raccontato Kim Je Deok, vincitore di due medaglie d’oro a Tokyo a 17 anni (gara a squadre e squadre miste), e di un’altra pochi giorni fa a Parigi (squadre miste), di aver iniziato a praticare tiro con l’arco in terza elementare: «Dopo aver frequentato le lezioni scolastiche regolari al mattino, le lezioni di tiro con l'arco iniziavano nel pomeriggio. Se c'erano competizioni in arrivo, mi allenavo anche nei fine settimana». In quel periodo, cioè da quando aveva 8 o 9 anni, Je Deok tirava tra le 300 e le 500 frecce al giorno per almeno cinque giorni a settimana. Per arrivare a Tokyo, facendo una stima a spanne, dovrebbe aver tirato all’incirca un milione di frecce in meno di 10 anni.

A questo punto si entra un po’ in un tema delicato. La Corea del Sud è così forte nel tiro con l’arco perché culturalmente è portata ad accettare come normale questo tipo di ripetitività e fanatismo nella pratica? Discorsi simili si possono fare per tutti i grandi sportivi (le ore passate in palestra o in acqua o provando e riprovando una singola mossa), ma certamente che un bambino venga inserito in un “sistema” costruito solo e unicamente alla ricerca dell'eccellenza ad appena 7-8 anni è qualcosa che per noi occidentali non è facile capire. Uno dei motivi per cui, si dice, siano così tanto superiori agli altri Paesi, è che per i primi mesi di lezioni un bambino non toccherà mai arco e frecce, ma si allenerà con un elastico per apprendere e padroneggiare il gesto biomeccanico del tiro. Ora immaginate di dire a vostro figlio/figlia di 8 anni che tutto quello che deve fare è tirare e poi lasciare un elastico per ore e ore. E che deve farlo con un movimento ben preciso, altrimenti diventerà un perdente.


Fin da piccoli per gli arcieri della Corea del Sud il loro sport è prima di tutto ripetizione e competizione, e più vanno avanti - ci sono club per allenarsi alle scuole medie, al liceo e all’università (con borse di studio per gli arcieri più meritevoli) - più dovranno ripetere e competere a un livello sempre più alto e con più pressioni. Questo permette anche di sviluppare in chi riesce ad andare avanti, un livello di durezza mentale che è fondamentale in questo sport. Se infatti più o meno tutti gli arcieri che arriveranno alle Olimpiadi sanno come tirare una freccia sul 10, farlo nel momento decisivo richiede un controllo del proprio corpo, dei propri nervi e delle proprie emozioni da robot. E i sudcoreani sono, o pensano di essere (non c'è grande differenza, credo), molto forti in questo.


Chi non raggiunge gli standard necessari, o per qualche motivo rallenta, viene tagliato come un ramo secco e costretto a smettere. Alla base infatti c’è l’idea che il tiro con l'arco deve garantire vittorie olimpiche e mondiali, quindi chi non rispetta quel canone di eccellenza, non è utile alla causa. Un modo di dire comune tra gli arcieri sudcoreani è che è molto più difficile entrare nella squadra che rappresenta il loro Paese alle Olimpiadi che non vincere una medaglia d’oro olimpica, perché la competizione interna è molto più forte di quella esterna.

Esistono altre discipline da fare con arco e frecce oltre al tiro alla targa? Certo, ecco qui:

Tiro di Campagna: le gare si svolgono all’aperto, in boschi o alti scenari naturali, con bersagli posizionati in pendenza, a diverse distanze che possono essere conosciute o sconosciute.

3D: nelle gare 3D si tira esclusivamente su sagome tridimensionali che raffigurano animali.

Archery golf: come il golf, ma con le frecce (se ci pensate, ha senso).

Tiro clout: si deve cercare di arrivare il più vicino possibile a una bandiera lanciando una freccia (molto simile all’archery golf, ma per qualche motivo diverso).

Tiro flight: si lancia una freccia, chi arriva più lontano ha vinto.

Ski archery: si scia di fondo, poi ogni tanto ci si ferma e si tirano delle frecce verso un bersaglio. Se state pensando al biathlon, non siete gli unici.

Run archery: stesso di sopra, ma non c'è la neve e quindi correte sulle vostre gambe.

Il sistema

Se superiamo le implicazioni morali, questo “sistema” funziona. Se lo chiamo così, è perché così l’ha definito Lee Eun-Kyung, vincitrice dell’oro a Barcellona, quando ha provato anche lei a rispondere a questa domanda, e cioè perché sono così bravi in quello che fanno. Forse, più che il sistema in sé, è la fiducia che hanno atleti e istituzioni in esso a essere alla base di tutto. Tutto infatti è regolato e deciso dall’alto, dalla cura nella creazione di strutture all’avanguardia, al lavoro capillare dei maestri per riconoscere il talento, dall’allenamento costante per entrare nell’élite della disciplina, alla gestione della vita dei migliori atleti.

Il manuale della Federazione è un libro di 700 pagine, che spiega e regola in maniera minuziosa ogni singolo momento dell’atleta, dal suo arrivo al centro nazionale alla gara, ma che si sofferma anche a come gestire il rapporto con la stampa e come comportarsi quando si è all’estero a rappresentare la Corea del Sud. Gli allenatori controllano tutto, dalla condizione fisica all’alimentazione fino ai più minimi dettagli degli allenamenti.

Le squadre olimpiche, per dire, a volte si allenano in stadi da baseball pieni di tifosi per abituarsi a tirare con il chiasso. Prima delle Olimpiadi di Londra, la Federazione ha studiato le condizioni climatiche del campo da gara, cercando un luogo con condizioni simili nel Paese dove allenarsi, lo stesso prima di Tokyo. Per ogni prova o allenamento vengono raccolti infiniti dati e la selezione di chi andrà a gareggiare è fatta quasi su base scientifica più che fidarsi di cose come esperienza, intuito, carisma. Puoi essere anche il più famoso arciere del Paese, ma se qualcuno ha lanciato una freccia più vicina di un millimetro della tua o ha parametri migliori sarà lui a competere (per dire, sembra che vengano premiati gli arcieri con dati migliori negli spareggi, perché sempre più gare vengono decise così).

Quando non sono impegnati con la Nazionale, gli arcieri sudcoreani continuano con questo tipo di vita. I migliori (circa 130) sono infatti atleti professionisti che competono in squadre professionistiche, che gli pagano stipendi e seguono i loro progressi (sempre in contatto con la Federazione). Queste squadre vengono finanziate da grandi compagnie private o enti governativi attraverso un sistema di donazioni benefiche per cui sono previsti vantaggiosi sgravi fiscali (non entro nel dettaglio, fatico a capire il mio commercialista, non mi sbilancio con la fiscalità sudcoreana).

Questo "sistema" ovviamente crea anche delle storture: quando nel 2001 la squadra maschile si rifiutò di partecipare a un allenamento chiamato “della paura” da svolgere sott’acqua (sembra che ci fossero pratiche simili con serpenti e bungee jumping, con l’obiettivo di abituare i battiti del cuore) non ci fu nessun tipo di discussione o venire incontro alle necessità degli arcieri. Tutta la squadra venne squalificata dalla Federazione e al loro posto ai Mondiali fu mandata la squadra B che, come potete immaginare, vinse tutto.

Perché forse è nella qualità la vera risposta a questa domanda. La Corea del Sud non ha più praticanti di altri paesi. Sebbene spesso si legge che il tiro con l'arco è lo sport nazionale, i praticanti non si avvicinano neanche lontanamente a quelli di altri sport e anzi sembra sia anche molto difficile praticarla da amatori. La differenza è che la Corea del Sud ha molti più praticanti incredibilmente specializzati rispetto agli altri Paesi. I centri di allenamento professionali sono 300 e sembra che siano 3000 i sudcoreani che in questo momento potrebbero fare centro lanciando una freccia da 70metri. Anche per questo, se nell’individuale possono essere battuti, farlo nelle gare a squadre è praticamente impossibile (l’Italia lo ha fatto nel 2012, nel maschile, e forse avremmo dovuto dare più credito a quell’oro).

Come detto, poi, nel femminile il dominio è ancora più netto, e questa sarebbe una domanda nella domanda: perché le sudcoreane sono ancora meglio degli uomini? (l'unica risposta che ho trovato è perché nel resto del mondo le donne non praticano tiro con l'arco quindi hanno meno competizione, ma sinceramente non so quanto sia centrata). In ogni caso quando si è trattato di scegliere l'arciere del secolo, la FITA, la federazione internazionale, ha scelto una donna sudcoreana, Kim Soo-nyung, capace di vincere ben 6 ori olimpici (record per la disciplina).

Perché creare una base così solida in uno sport che consente a pochissimi atleti di partecipare alle competizioni più importanti? O in Corea del Sud credono fortemente in quella massima di Einstein («Non so con quali armi verrà combattuta la terza guerra mondiale, ma la quarta verrà combattuta con clave e pietre») e vogliono portarsi avanti, oppure lo fanno per le medaglie olimpiche.

E qui torniamo alla questione del nazionalismo. Per i cittadini della Corea del Sud è scontato vincere gli ori olimpici nel tiro con l'arco come per noi lo è nel campionato mondiale della pizza. È semplicemente qualcosa in cui pensano di essere superiori a livello "genetico", se mi passate il termine. Per questo il governo e le grandi compagnie (che oltre a finanziare le squadre, pagano premi aggiuntivi ai vincitori delle medaglie) investono in maniera così massiccia in uno sport che, anche qui passatemi il termine, minore.

Se tutta questa mole di nozioni storiche e informazioni non vi ha convinto, tranquilli: non deve necessariamente esserci una risposta, alcune cose sono così, finché non cambiano: magari nei prossimi anni qualche altra nazione prenderà il posto della Corea del Sud, perché comunque lo sport è in continua evoluzione come tutto il resto. Quello che mi preme di avervi fatto capire, però, è che no: non arriverete alle Olimpiadi se oggi iniziate a tirare con l'arco nel vostro tempo libero come vi piace pensare. A meno che non abbiate un po' di sangue sudcoreano nelle vene. In quel caso, che state facendo? Andate a rimediare arco e frecce.

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