“Le persone tendono sempre ad innamorarsi di me
Penso soprattutto perché sono basso e un ragazzo normale”
Isaiah Thomas
Serendipity
Per spiegare che tipo di scintilla sia scattata tra i Boston Celtics e Isaiah Thomas nel momento in cui la 60esima scelta nel Draft 2011 ha scoperto di essere stato scambiato da Phoenix servirebbe un film romantico, di quelli che si facevano una volta, prima che il mondo diventasse così cinico e spietato. Ma, essendo questo un articolo, ci affidiamo al suo racconto su The Players’ Tribune:
«Era la prima volta che giocavo a Boston, ero con la squadra solo da tre partite e uscivo ancora dalla panchina. Quando ho fatto per la prima volta ingresso in campo, ho sentito questa scarica elettrica riempire il palazzo. Quando mi sono alzato per entrare in campo l’intero palazzetto si è alzato insieme a me, e sono tutti impazziti. Era la prima volta che giocavo al Garden e mi hanno tributato un’ovazione come se fossi un Celtic da tutta la vita».
Ci sono coppie sposate da trent’anni che non hanno vissuto neanche per un minuto questa liberatoria sensazione di abbandono tra le braccia dell’amato che Isaiah vive ogni volta che mette piede sul parquet del TD Garden. I più romantici per descriverlo usano il termine serendipitità (o serendipidevolezza); Kate Beckinsale davanti ad una coppa di gelato affogato la descrive come “un fortunato incidente”. Ora immaginiamo che dietro l’altra coppa di gelato non ci sia John Cusack ma Danny Ainge e che questa conversazione si svolga a poche ore dalla chiusura della trade deadline. In un clima da Vietnam, tra i tweet di Woj che esplodono come granate e gli accordi che si succedono con ritmo marziale, mentre tutti si sono distratti dall’affaire Goran Dragic, Ainge si intromette con risoluta abilità nello scambio tra Phoenix e Detroit e riesce ad assicurarsi il playmaker tascabile che tanto voleva.
Sembra un affare da poco, di quelli che si fanno all’ultimo secondo mentre impazza la frenesia dei saldi. Invece è l’ultimo atto di una lunga rincorsa. «Isaiah è un giocatore dinamico, capace sia di segnare che di costruire per i compagni, è un aggiunta perfetta ad un backcourt con Marcus Smart e Avery Bradley» dichiarerà Ainge alla stampa ad operazioni concluse. I suoi più stretti collaboratori giurano di averlo sentito sussurrare “amo l’odore del Naplam, sa di vittoria”.
Mentre Ainge si muove silenzioso in tuta mimetica, Isaiah è dentro il bus dei Suns. Sono ancora fermi, Goran Dragic ha appena salutato tutti, preso il borsone e messo su gli occhiali specchiati, pronto per Miami Beach. Isaiah sta già sognando i minuti in più che giocherà ora che lo sloveno è destinato ad altri lidi. Il suono metallico delle notifiche lo sveglia bruscamente, il più veloce è Brandan Wright, seduto un paio di file avanti a lui: «I.T. sei stato appena scambiato con Boston». Sempre Kate Beckinsale, davanti alla medesima coppa di gelato, affermava: “Gli incidenti non esistono, c’è sempre il destino dietro”.
Isaiah incontra Ainge pochi giorni dopo, durante la visita annuale all’Arco Arena di Sacramento, vale a dire il palazzetto che era casa sua fino alla stagione precedente. È uno di quei primi appuntamenti in cui inizialmente si rimane in silenzio, quelli in cui sai già tutto della persona che hai a fianco ma eviti di fare la prima mossa perché ti sei già fatto milioni di film in testa e hai paura di farti male. Ad un certo punto però, pur di non vedere giocare i Kings, si comincia con le frasi di circostanza, tipo “ma davvero questi ti hanno lasciato andare a gratis per prendersi Darren Collison?” (true story). Isaiah sorride e annuisce. Poi, mentre si è in pieno garbage time, Danny si gira verso il suo nuovo pupillo e dice «Isaiah… il modo in cui giochi a basket ti farà diventare una leggenda dei Celtics». Così, come si sussurra tra le lacrime un non ci lasceremo mai mentre la colonna sonora impenna in un trionfo di violini. Sono frasi sbilanciate, volutamente iperboliche, che gli sceneggiatori inseriscono sapientemente per farti svoltare il San Valentino. Però Isaiah è uno degli ultimi veri romantici e ci casca con tutte le Jordan. A volte è bello chiudere gli occhi e buttarsi senza rete.
L’esordio in maglia C’s è allo Staples Center contro i Los Angeles Lakers, la rivalità NBA per eccellenza, amplificata dal fatto che il padre di Isaiah, nato e cresciuto in California pur vivendo a Tacoma, nello stato di Washington, lo ha iniziato fin dalla culla al culto gialloviola — tanto che per una scommessa aveva deciso di chiamare il figlio Isiah come il Thomas dei Pistons, giungendo poi al compromesso con la moglie aggiungendo una “a” per renderlo biblico. Isaiah, durante l’estate 2014, aveva lanciato messaggi di amore - non corrisposti - verso i Lakers. «Sono stato sottoposto ad un lavaggio del cervello» ripete spesso, «Kobe era il mio idolo, avevo la sua maglietta autografata in camera».
Bryant questa volta non c’è, alle prese con l’ennesimo infortunio alla spalla e Thomas, uscendo dalla panchina, segna 21 punti. Ma a cinque minuti dalla fine, con i suoi sotto di quattro, viene espulso per doppio tecnico per essersi lasciato andare dopo una discutibile chiamata di passi. Rientra nello spogliatoio a testa bassa, pensa di aver tradito subito il suo nuovo pubblico. Incrocia un preparatore atletico di Boston.
«Man… I tifosi dei Celtics ti ameranno»
«Abbiamo appena perso per colpa mia, e tu dici che mi ameranno?»
«Oh yeah, man. Hai segnato 21 punti e ti sei fatto espellere nella tua prima partita? Boston ama questo tipo di cose».
Neanche il tempo di riflettere sulle parole profetiche del massaggiatore — che poi scomparirà in mille lustrini come i vecchi saggi dei film Disney tipo Maestro Oogway — subito l’NBA offre un riposante back-to-back. E visto che gli sceneggiatori sono i migliori sulla piazza, si vola a Phoenix. «Non ci sono hard feelings tra me e i Suns» dice Isaiah. La versione cestistica di “proviamo almeno a rimanere amici”. Poi però si scende in campo e le cose cambiano.
Gioco da quattro punti, recupero e lay-up acrobatico, tiri liberi per la ceralacca. Tutto negli ultimi due minuti di gioco. Amici mai.
Quando incroci la tua ex in corridoio
Lasciato per sempre il deserto dell’Arizona finalmente si atterra a Boston. È la prima volta ma è come se la conoscessi da sempre. Dentro al TD Garden l’atmosfera è surreale: una marea verde attende IT fin dal primo riscaldamento. Meno di una settimana prima era seduto in un bus fermo a Phoenix, ora tra le canotte sbiadite con dietro il 33 di Bird e quelle un po’ più nuove con il nome di Pierce comincia a spuntarne anche qualcuna con il numero 4 — scelto perché i numeri che ha indossato in carriera, il n.22 e il n.3, sono appesi al tetto del palazzetto insieme ai nomi di Ed Macauley e Dennis Johnson. Un numero già utilizzato da un altro figlio di Seattle, il suo amico Nate Robinson, del quale Isaiah aveva già indossato lo stesso numero un’altra volta, ai tempi di Washington University.
Poi ha cominciato anche ad andarci in vacanza insieme
La partita è contro New York, il perfetto sparring partner per una notte da passerella. I Knicks ci provano pure, ma verso la metà del terzo quarto beccano un parziale da 24 a 2 (!!!) che trasforma gli ultimi minuti in una celebrazione dei nuovi acquisti: Jonas Jerebko, che ne mette 20, e ovviamente Isaiah Thomas.
L’emozione è tanta e l’inizio non è dei più esaltanti («Non riuscivo a mettere un tiro»), poi grazie anche alla difesa da Washington Generals dei Knicks Thomas si scioglie e si prende tutti gli applausi del suo nuovo pubblico. Dirà poi: «Subito dopo essere stato scambiato con Boston mi è arrivato un messaggio da Isiah il Vecchio [sì, l’Hall of Famer, ndr] che diceva: “QUESTA È LA COSA MIGLIORE CHE SIA MAI SUCCESSA NELLA TUA CARRIERA. Finalmente capirai cosa significa giocare in una vera organizzazione [sorry Kings :( ] e i tifosi si innamoreranno di te”».
Ora che ha vestito la leggendaria canotta con il quadrifoglio al Garden dice: «Giocare per Boston è un esperienza per la quale non ti puoi preparare, la capisci solo quando la vivi».
Sotto la spinta del loro Pizza Guy, Boston chiude la stagione regolare al settimo posto a Est. Isaiah segna 19 punti di media in 26 minuti, tutti uscendo dalla panchina, un rendimento che lo proietta in seconda posizione nella corsa al premio di Sesto Uomo dell’Anno, dietro solo a Lou Williams. I playoff sono una novità per il roster di Boston, visto che dieci giocatori sono alla prima esperienza a cui si aggiunge anche coach Stevens. La serie con i Cavs è una learning experience, ovvero un secco 4-0 con dieci punti di scarto di media per incontro.
Alta Fedeltà
Gli amori che bruciano rischiano di spegnersi velocemente, quindi Isaiah decide di lasciare la relazione respirare e risale la corrente fino a Seattle, insieme a tutti i giocatori della città che tornano ad allenarsi in offseason. Si torna all’Università di Washington e alla ProAM, ai pick-up games che hanno rappresentato la sua infanzia. Isaiah inserisce nel suo tour una fermata nel luogo più spirituale della città dello smeraldo, la tomba di Bruce Lee.
Bruce, lui sì che capiva le donne
Nessuno saprà mai cosa si sono detti i due in quell’incontro, ma quando Isaiah torna a Boston è visibilmente cambiato. I tifosi se ne accorgono ma non dicono nulla: sarà una fase, pensano. IT invece non ha alcuna intenzione di tornare indietro. Ainge dichiara di vederlo ancora come un perfetto sesto uomo, una scintilla dalla panchina, e lui non la prende bene. Litigano in cucina, i vicini sentono il suono di qualche piatto in frantumi. Vuole rompere il cliché secondo il quale tutti i giocatori sotto il metro e ottanta sono dei giocattolini che servono a far divertire il pubblico. Isaiah invece ha lavorato una vita intera per poter competere ogni giorno con gente a cui arriva ai fianchi. Lui non vuole essere amato dal pubblico perché è come loro, vuole essere il loro leader.
Essendo arrivato in piena stagione, l’impatto con l’organizzazione è stato travolgente ma allo stesso tempo asfissiante. I ritmi a cui ti sottopone la regular season consentono al massimo di lavorare su qualche aggiustamento qua e là, figuriamoci cambiare un sistema di gioco. Quindi quando Isaiah entrava in campo si giocava un pick and roll e gli si lasciava carta bianca di inventare. Ora, dopo l’estate passata a lavorare con allenatore e compagni, questo ruolo comincia ad andargli stretto. L’attacco di Boston si regge quasi esclusivamente sulle sue scelte palla in mano e non capisce perché quella palla non dovrebbe averla dal primo minuto di gioco. Entrare a metà primo quarto gli sembra come uscire dalla porta di servizio quando rientra il marito.
Non vuole più essere l’amante, vuole sentire lo speaker chiamare il suo nome tra i titolari, a five foot nine guard from Washington University... Vuole che il suo pubblico renda ufficiale il fidanzamento. Ma nonostante le richieste del loro giocatore simbolo, la dirigenza preferisce non spezzare il rapporto magico che si era costruito la scorsa stagione e lascia le cose come sono. Boston vince la prima partita (contro Phila) ma perde le successive due. Brad Stevens, che con Isaiah ha sviluppato un rapporto simbiotico basato esclusivamente sull’amore per il gioco, capisce che è tempo di portare la relazione ad un livello diverso e lo promuove in quintetto. È l’anello di fidanzamento.
Con Isaiah dal primo minuto i Celtics alla pausa per l’All-Star Game scolpiscono un 32-23 che garantisce un comodo terzo posto a Est. È un risultato inaspettato per una squadra che dovrebbe essere in piena ricostruzione per puntare su qualche appetitosa scelta ai prossimi Draft. Invece i ragazzi di Stevens giocano ogni partita con il coltello tra i denti, fregandosene di ogni tentazione di tanking e costruendo una cultura vincente basata sul prendersi continue rivincite.
A guidarli è colui che più di tutti vive con la pressione addosso di dover dimostrare di meritare ogni minuto sul parquet, e in molti si accorgono che se li merita davvero. Si comincia a formare un fronte comune, che parte da Boston e arriva fino nella natìa Seattle, per sponsorizzare la candidatura di IT per l’All-Star Game di Toronto. In prima linea ovviamente tutti quelli che hanno tatuato “206” sul corpo, a partire dai suoi mentori Jamal Crawford, Nate Robinson e Jason Terry, fino ad arrivare al suo sponsor Numero Uno, Floyd Mayweather. E quando si ha “Money” al proprio angolo la sconfitta non è un’opzione.
La love story tra Isaiah e Mayweather, scoccata durante un concerto di Robin Thicke, merita una trattazione a parte, per ora accontentatevi di un esempio dell’Instagram di Nate Robinson.
La sera in cui può esibire davanti al suo pubblico la canotta numero 4 che indosserà nel weekend a Toronto ci sono i Clippers in città: stimolato dallo scontro diretto con CP3, Thomas gioca una delle migliori partite della sua carriera, si prende la squadra sulle spalle e guida una furiosa rimonta conclusa con successo nei supplementari. Ai microfoni dichiarerà «Siamo un gruppo di ragazzi che sono stati sottovalutati per tutta la loro carriera e usiamo questa benzina per far girare il nostro motore». Isaiah è il loro profeta.
La Isaiah Mania supera velocemente i confini della Bean Town, del Massachusettes e degli States. A Toronto, tre giorni dopo, diventa il primo Celtics a giocare in un All-Star Game dall’epoca dei Big Three, il secondo sotto il metro e ottanta dopo Calvin Murphy nel 1979 a scendere in campo tra i ventiquattro migliori giocatori dell’anno.
Il trionfo dell’amore sull’odio e l’invidia. È una rivincita, ma non ha il sapore della vendetta. Non sembra essere rivolta contro qualcuno in particolare se non contro le stesse leggi biofisiche del gioco. La struttura di Isaiah non è adatta al basket, ma lui se ne frega e gioca comunque. Non è più l’underdog, è il giocatore per cui si va allo stadio.
“Voglio che le persone dicano: Wow, mi piace vedere Isaiah giocare”
Ma anche in Canada, con la sua bella casacca biancoblu con il 4 cucito in rilievo, Thomas è per prima cosa un Celtic: ad ogni intervista nel weekend ci tiene a precisare quanto il contesto sia stato fondamentale e che il suo non è altro che un premio al duro lavoro di tutta la squadra.
La coesione del gruppo è l’ingrediente magico dello stregone Stevens. La prestazione che definisce al meglio lo spirito del gruppo “No Ego, No Beef” coniato da Isaiah è rappresentata da quella con cui fermano la striscia di vittorie dei Golden State Warriors all’Oracle Arena, che andava avanti da 53 partite. Boston è la prima a sconfiggere i Dubs non solo sul loro campo ma anche sul loro terreno, ovvero sfruttando le armi che solitamente la squadra della Baia usa per mettere alle corde i propri avversari. Ritmo folle, grande applicazione difensiva ed esecuzione sotto pressione.
Dopo un primo tempo contrassegnato da errori forzati da ambo le parti, con Curry costretto a sette palle perse, appena i giocatori tornano in campo per il terzo quarto la partita esplode. Steph segna due triple in meno di un minuto, infiammando il pubblico di casa. Ma nel momento in cui Golden State lancia il suo “quarto d’ora granata” (cit.), Isaiah, che non aveva segnato un singolo punto nel primo tempo, ribatte colpo su colpo. I suoi 18 punti nel quarto tengono in linea di galleggiamento Boston, che nel concitato finale riesce ad eseguire meglio ed esulta appena la tripla non contestata di Curry sbatte sul ferro.
«Ho cambiato le scarpe all’intervallo, quelle di prima non avevano canestri dentro» dichiarerà poi in pieno stile Isaiah
I Celtics chiudono la stagione con un record di 48-34, a pari merito con Hakws, Hornets e Heat, ma a causa della classifica avulsa, sono sesti.
Le prime due gare ad Atlanta sono un disastro completo. In Gara 1, dopo essere sprofondata nel primo tempo a -19, Boston torna a contatto sul rettilineo finale prima che Avery Bradley venga costretto ad uscire dal campo aggrappato alle braccia dei suoi compagni di squadra. Stiramento, serie finita. Cosa c’è di peggio di una serata in cui tiri 12/52 nella prima frazione? Segnare 7 punti di squadra nel primo quarto, ad esempio, peggiore prestazione dei C’s nei playoff da quando è stata fondata l’NBA. Isaiah ci mette del suo, segna 16 punti con 15 tiri e contribuisce al 18% da tre che sacrifica Boston a una lunga processione di stoppate dei lunghi di Atlanta.
Sotto due a zero, senza il loro miglior difensore perimetrale e perfetto complemento a I.T., Boston torna in Massachusetts con la speranza di allungare la serie tra le mura amiche ma senza avere le giuste contromisure per inceppare i meccanismi di Coach Bud. La cronica incapacità dei verdi di aprire il campo dall’arco li costringe infatti a sfidare Atlanta del pitturato, dove il confronto tra i lunghi è ancora più impari. Per far esplodere le trincee degli Hawks l’unica scintilla può arrivare dal loro All-Star, che al Garden viene accolto come il Salvatore.
Contro una difesa costruita unicamente per ingabbiarlo, Isaiah mette sul parquet quell’incoscienza tutta Seattleite che ti porta a giocare sui playground cittadini in pieno inverno, a prendere (e mettere) i tiri che pesano una stagione e a caricarsi sulle spalle l’orgoglio di un’intera città. Isaiah, davanti al pubblico che lo invoca, non delude mettendo su un personalissimo show circense: IT scappa costantemente alla guardia dei suoi avversari come nei cartoni animati, con una studiata coreografia di giravolte, acrobazie al ferro, prove di astuzia e test di velocità che illustrano ma non spiegano come può un giocatore che non raggiunge il metro e ottanta decidere singolarmente uno scontro di playoff.
Ma come fai, dimmelo tu, col tuo pallone a volare lassù
Già, esattamente come fa un personaggio da cartoon a segnare a volontà contro avversari che al confronto sembrano dei Monstars? Anche senza aiuto di Michael Jordan e della sua pozione miracolosa Isaiah ha la confidenza di far canestro ogni volta che si affaccia nella metà campo avversaria. Pur essendo fisicamente limitato le sue abilità offensive sono praticamente illimitate. Può punire in arresto e tiro fermandosi su una moneta da 10 centesimi trovata per caso sul parquet, può inserire il NOS e battere qualsiasi avversario in palleggio. Negli anni ha messo su un campionario di soluzioni creative, di gesti atletici non proprio ortodossi che gli consentono di ribaltare la disparità atletica.
Thomas ha convertito il 58% dei suoi tentativi al ferro durante l’anno, superando in tale categoria dei freak atletici come Russell Westbrook o John Wall, nonostante non sia mai riuscito ad aggrapparsi al suddetto ferro. La sua capacità di creare separazione tra di sé e il marcatore prima di rilasciare il pallone rende inutili le tentacolari braccia dei suoi rivali. Andando verso il corpo del difensore prima annulla il tempo di salto, poi trova la fessura attraverso cui far passare il pallone usando la sua figura come protezione. In aria ingaggia una danza rituale roteando il pallone e poi, all’improvviso, con un colpo secco di polso disegna una dolce semicurva che termina col rumore del cotone.
All’atterraggio il pubblico applaude come a Fiumicino.
Il suo controllo di corpo degno di Gigi la Trottola gli permette di ammortizzare gli urti che subisce nel pitturato senza far neanche spostare la fascia che gli cinge la testa rasata alla Slick Watts. Anzi, Isaiah ricerca costantemente l’impatto per generare la forza cinetica necessaria per allontanarsi dall’avversario e per garantirsi i fischi arbitrali. La frequenza di viaggi in lunetta è da pendolare stakanovista: solo in tre hanno segnato più tiri liberi di lui in stagione.
L’astuzia con la quale capitalizza ogni singolo vantaggio acquisito dalle situazioni di gioco dimostra quanto le capacità di lettura siano vitali per sopravvivere nella giungla. Non c’è errore avversario che non sfrutti, cambio vantaggioso che non attacchi. Attraverso un fitto arsenale di finte, esitazioni e rapidi cambi di direzione batte il suo uomo e mette estrema pressione sull’aiuto, che solitamente ha una velocità di piedi molto diversa dalla sua. Le spaziature di Stevens poi gli concedono il giusto timing per operare, scegliendo se arrivare al ferro o aprire per i tiratori.
Batte Bazemore passando dietro la schiena, usa il corpo per difendere il pallone tenendo aperto il palleggio, abbassa il baricentro come in una gara di limbo e due passi dopo approfitta del mancato aiuto dal lato debole per salire in aria e appoggiare due comodi punti
Poi c’è anche la freddezza di prendersi i tiri che contano
In due gare al Garden segna 70 punti e pareggia la serie.
Purtroppo ad Atlanta si balla tutta un’altra musica e i C’s rimediano l’ennesima sconfitta in trasferta. Ma c’è di più: IT, ricadendo, subisce una storta alla caviglia sinistra. Difendere ulteriormente il Garden diventa un’impresa impossibile.
L’amarezza per un’altra eliminazione al primo turno rimane sul palato più amara di quella dell’anno precedente. Queste learning lessons cominciano ad essere un po’ troppe, e Isaiah vuole arrivare a giocarsi le partite che contano davvero. In cuor suo sa che Boston è il posto giusto per farlo.
Infatti non ha passato l’estate in completa solitudine come un monaco buddista o facendo a gara di flessioni con Nate. Questa è stata l’estate della certificazione del rapporto, in cui rinunci alla vacanza con gli amici e parti per una romantica settimana solo voi due, e ne sei quasi contento. Ormai hai fatto la tua scelta e non c’è più modo di tornare indietro.
Ah, intanto Isaiah si è davvero sposato quest’estate!
Gli tocca anche partecipare a tutte le attività di famiglia e Isaiah lo fa di buon grado, accettando l’invito di Danny Ainge di spendersi durante la free agency per convincere i pezzi grossi a vestirsi di verde la stagione successiva, oltre che a comparire nel video di un rapper mormone fissato con l’autotune. I Celtics hanno come obiettivo primario Kevin Durant ma sembra più un modo per farsi salire l’autostima piuttosto che un target plausibile.
Il vero colpo è invece Al Horford, che Thomas ha insistentemente reclutato dal weekend dell’All-Star Game, e che diventa il Free Agent più prestigioso della storia biancoverde. Da All-Star a All-Star, un rapporto nuovo che gestisce con l’esperienza del veterano, dando l’impressione che quando smetterà di giocare potrà diventare un GM migliore del suo quasi omonimo (non che ci voglia molto). Ora dovrà confermare di avere le stesse doti di leadership in campo di Zeke perché lui e i C’s non si possono più nascondere: per la prima volta avranno spesso i favori del pronostico e dovranno dimostrare di meritare le grandi aspettative che tutti ripongono su di loro.
L’innesto di Horford garantisce a Stevens un lungo multidimensionale che si adatta perfettamente allo stile di gioco dell’ex coach di Butler e li proietta nella fascia di squadre che si contenderanno la finale ad Est contro i campioni in carica di Cleveland. Lo stesso Isaiah al Media Day ha sottolineato come il suo scopo sia di vincere un titolo per la città di Boston e diventare il miglior little man di sempre, restando fedele a ciò che Allen Iverson - il miglior giocatore pound for pound della storia, come vuole la vulgata- gli ha scritto sulla maglietta. Di essere un Killer.
In pochi anni Boston ha completato il percorso di ricostruzione passando per la strada più inusuale e lo ha fatto sottobraccio al giocatore più inusuale, uno che può sinceramente affermare di essere partito dal fondo risultando più credibile di Drake. Se dobbiamo credere a John Cusack (e bisogna sempre credere a John Cusack) tutte le storie d’amore, nel bene o nel male, sono una ripetizione della prima. Quindi per Isaiah tornare al Garden per la prima partita stagionale contro i Nets sarà come entrarci per la prima volta, con i tifosi già in piedi ad applaudirlo prima che gli speaker lo introducano strillando il suo nome.
Ma non potrà essere come la prima volta, perché nel frattempo la relazione è maturata, si è consolidata. Non è più tempo dei mazzi di rosa ai primi appuntamenti, dei baci rubati nelle ultime file dei cinema. Ora si contano gli anniversari, si litiga sul colore dei tappetini. Si fa sul serio insomma, e Boston ha scelto il suo cavaliere per il gran ballo. L’altezza per una volta non è mezza bellezza.