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Come procede l’inserimento di Tobias Harris
28 mar 2019
L’ultimo arrivato potrebbe essere il fattore decisivo per il salto di qualità dei Philadelphia 76ers.
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Photo by Jesse D. Garrabrant/NBAE via Getty Images
(copertina) Photo by Jesse D. Garrabrant/NBAE via Getty Images
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Lo scorso 6 febbraio il General Manager Elton Brand ha portato Tobias Harris ai Philadelphia 76ers, scambiano asset preziosi per aggiungere una pedina di livello assoluto a un roster che poteva già contare su tre All-Star affermati come Joel Embiid, Ben Simmons e Jimmy Butler. Normale, quindi, che nelle ultime settimane le aspettative sulla franchigia della Pennsylvania abbiano subito un’ulteriore impennata in un biennio folle che li ha visti passare da squadra in fondo alle classifiche a contender per il titolo.

Nonostante l’hype che circonda Philadelphia, storicamente non è quasi mai successo che l’inserimento di un singolo giocatore a stagione in corso sia risultato tanto decisivo da portare una squadra al titolo. L’ultimo caso che risale alla memoria è quello di Rasheed Wallace con i Pistons nel 2004, ma è quasi più unico che raro.

Per questo motivo abbiamo provato a capire se Harris possa in qualche modo rappresentare per Philadelphia quello che ‘Sheed ha rappresentato per quei Pistons: il tassello mancante che alza il livello di una squadra già competitiva e che la trasforma rapidamente in una vera e propria contender.

Primo impatto

Elton Brand ha deciso di smontare a metà stagione una squadra che procedeva spedita verso un buon piazzamento ai playoff, sacrificando la profondità del roster per alzarne la qualità. Tobias Harris, secondo il GM dei Sixers, valeva la candela per tanti motivi: ha un alto QI cestistico, attacca bene il ferro, è letale dal perimetro, efficiente dalla media distanza e clutch nei minuti finali delle partite.

Complice anche l’infortunio al ginocchio occorso a Joel Embiid che ha costretto il camerunense ai box per 8 partite, le qualità da realizzatore di Harris si sono rese da subito indispensabili per i nuovi compagni. Nelle 20 partite giocate con i Sixers, Harris è rimasto in campo in media per 36 minuti, realizzando 19 punti, tirando con il 49% dal campo e il 36% da 3, a cui ha aggiunto 8 rimbalzi e quasi 3 assist a partita. E per Philadelphia, nonostante la rivoluzione nel roster e l’assenza prolungata di Embiid, sono arrivate 13 vittorie e 7 sconfitte, abbastanza per risalire la classifica superando di slancio Boston e poi Indiana, conquistando il fattore campo ed evitando così lo spauracchio dei Celtics al primo turno.

Sin dalle prime uscite Harris è sembrato perfetto per garantire una nuova dimensione al gioco di Philadelphia, dando l’impressione di poter gestire incarichi diversi a seconda delle specifiche necessità della squadra. Gli ultimi minuti della partita vinta dai Sixers sul campo degli Oklahoma City Thunder sono esemplificativi della sua versatilità offensiva.

Con Embiid ai box e il punteggio in parità con poco meno di cinque minuti da giocare, Philadelphia si affida a Ben Simmons in post. Appena la difesa dei Thunder porta l’aiuto, Simmons fa partire una fucilata per Tobias Harris, appostato fuori dal perimetro in attesa di essere servito dal compagno. L’ex Clippers riceve la palla con due metri di spazio e infila la tripla del +3.

Neanche un minuto dopo il numero 33 porta un blocco a J.J. Redick, costringendo Dennis Schroeder e Russell Westbrook a cambiare. Appena Redick si rende conto del potenziale mismatch consegna il pallone ad Harris. L’ex Clippers mette immediatamente la palla per terra, attacca il centro dell’area e sfruttando la superiorità di stazza nei confronti del tedesco segna il floater del +5.

Dopo 60 secondi Harris agisce da portatore di palla in un pick and roll con Mike Scott. Schroder resta su Scott e Adams si ritrova a dover marcare Harris. Il prodotto di Tennessee pensa inizialmente ad una penetrazione, poi legge la situazione, si ferma e vedendo la posizione leggermente arretrata di Adams, e non esita a prendersi la tripla. Canestro e partita virtualmente in cassaforte.

A Philadelphia, prima dell’arrivo di Harris, difficilmente un singolo giocatore sarebbe potuto essere il protagonista di tutte e tre queste azioni. Harris, invece, si sta dimostrando il giocatore adatto per integrare contemporaneamente la solidità dal midrange di Butler, l’efficacia dal perimetro di Redick e le capacità in penetrazione di Simmons.

Cambiamenti

Al momento della trade tra Clippers e Sixers, non era scontato che Harris si inserisse velocemente nei meccanismi di Philadelphia. Oltre al non facile compito di dover entrare in punta di piedi in uno spogliatoio pieno di personalità esplosive, era soprattutto la convivenza con il gioco di Brett Brown a destare qualche perplessità. Infatti il gioco con cui Doc Rivers sta portando i Clippers ai playoff, e con cui le performance di Harris sono sensibilmente migliorate, è agli antipodi rispetto a quello di Brett Brown, che richiede movimenti incessanti di palla e giocatori.

I Clippers sono primi in NBA per utilizzo di pick and roll e il primo a trarne benefici era proprio Harris, che per la prima volta in carriera ha avuto la possibilità di attaccare con continuità le difese da sinistra, la sua zona preferita. Philadelphia, al contrario, è ultima in NBA nell’utilizzo dei giochi a due, anche per le caratteristiche peculiari di uno come Ben Simmons. Nelle 20 partite con i Sixers questo trend si è confermato: Harris è stato coinvolto in 2.6 pick and roll di media da portatore di palla, che sono la metà di quanti ne giocava con i Clippers. Ed è diminuita anche la frequenza con cui Harris conclude queste situazioni di gioco con un canestro: dal 47.1% al 43.4%. Considerata l’elevata quantità di talento a disposizione di Brett Brown, come era prevedibile è calato anche il numero di isolamenti a partita di Harris: dai 2.2 con i Clippers all’1.5 con Philadelphia.

Complessivamente, la sensazione è che sia meno coinvolto a livello offensivo e a dimostrarlo c’è anche il dato relativo al suo Usage, che ora si attesta al 20.1% rispetto al 23.5% in maglia Clippers.

Tale diminuzione era in un certo senso preventivabile: Harris è passato dall’essere il fulcro offensivo dei Clippers insieme a Danilo Gallinari a dover condividere il parquet con tre superstar, ognuna delle quali è efficace soprattutto con la palla in mano. Tuttavia, diversamente da quello che ci si potrebbe aspettare, il rendimento di Harris, se si esclude un leggero calo nella percentuale da 3 punti, non è peggiorato qualitativamente. A cambiare è stata la tipologia di azioni in cui è coinvolto.

Per sfruttare meglio le caratteristiche di Simmons, Philadelphia cerca di spingere il più possibile in transizione. In quest’ottica l’arrivo di Harris è stato un miglioramento per i Sixers, considerata la sua abilità nel leggere le scelte errate delle difese e nel posizionarsi velocemente nella zona libera del campo per aprire lo spazio a una eventuale penetrazione di Simmons o per aspettare lo scarico del compagno.

Correre con Simmons è sempre remunerativo quando sai dove andare a cercare il giusto spazio.

Se da una parte la presenza di tanti giocatori di talento nella squadra ha limitato parzialmente la presenza offensiva di Harris, dall’altra gli permette di giocare con una marcatura meno stretta da parte degli avversari. Con il pallino del gioco nelle mani di Simmons e di Embiid, le qualità da realizzatore di Harris in situazioni di spot up risultano fondamentali per le spaziature della squadra. E in questa situazione Harris si conferma come uno dei migliori giocatori della NBA (95° percentile), mettendo a segno 1.28 punti per possesso con una percentuale effettiva del 63.6%.

Nonostante le caratteristiche migliori di Harris si notino soprattutto nella metà campo offensiva, anche in difesa l’ex Clippers sta cercando di dare il suo contributo. Malgrado la concentrazione non sia il suo punto di forza e la rapidità di gambe non eccelsa lo limiti negli spostamenti laterali, Harris si è rivelato un buon difensore nel pitturato, dove riesce a sfruttare la sua stazza per limitare gli avversari in post basso.

Qui limita quel bulldozer di Julius Randle in post e dimostra di saper usare bene le mani per sporcare le linee di passaggio.

A riprova della sua estrema duttilità, Harris è uno dei pochissimi giocatori nella lega a potersi permettere di passare almeno il 10% dei suoi possessi difensivi contro ogni tipologia di giocatore avversario: dalla point guard al power forward. E lo stesso vale per Simmons. Entrambi sono a loro agio nel difendere in situazioni molto diverse e questo permette di cambiare marcatura senza concedere mismatch, cercando anzi di volta in volta di individuare quale accoppiamento difensivo possa essere il migliore per la squadra.

Anche in prospettiva playoff, l’arrivo di Harris a Philadelphia è un incubo per tutte le migliori squadre dell’Eastern Conference. Adesso gli avversari non possono limitarsi a tenere un giocatore attaccato a lui sul perimetro, devono farlo marcare da un difensore bravo. Prima, solitamente, gli avversari dei Sixers identificavano in Wilson Chandler il giocatore da far marcare ai difensori meno dotati difensivamente. Con Boston, per esempio, era Kyrie Irving a prendersi cura di Chandler per nasconderlo da accoppiamenti più dispendiosi. Ora, naturalmente, non può essere Irving a marcare Harris, che deve essere preso in consegna dal Jaylen Brown o dal Jayson Tatum della situazione. In sostanza, la sola presenza di Harris impedisce alle squadre avversarie di trovare zone franche in cui nascondere i difensori meno efficienti - un vantaggio che tornerà particolarmente utile nei playoff, limitando di fatto i cattivi difensori ai soli minuti delle second unit.

Va anche detto che avere un quintetto di quelle dimensioni crea un “buco” nel momento in cui si vanno ad affrontare le point guard di alto livello che infestano la NBA contemporanea, dove più o meno tutti hanno un playmaker in grado di creare per sé o per gli altri. Nelle ultime gare è stato principalmente Butler a prendere in consegna queste tipologie di giocatori, ma il buzzer beater segnatogli in faccia da Trae Young nella sconfitta contro Atlanta non fa ben sperare in ottica playoff.

Il collante

Philadelphia ha vinto sette delle nove partite in cui hanno giocato sia Harris che Embiid, e addirittura nei 150 minuti in cui è sceso in campo il quintetto composto da Embiid, Harris, Butler, Redick e Simmons (che negli Stati Uniti non hanno esitato a chiamare Phantastic 5) hanno distrutto gli avversari con un Net Rating di +15.7.

A poco più di un mese dal suo trasferimento, Harris è diventato il “Connector” dei Sixers: è così che l’ex Clippers, in un’intervista per The Athletic, ha definito il suo ruolo all’interno del gioco e dello spogliatoio di Philadelphia. «Aiuto i ragazzi a restare uniti. Ormai è da un po’ che sono nella lega, sono all’ottavo anno e ho giocato con personalità diverse e compagni di squadra diversi. Ormai so relazionarmi con tutti». Le doti comunicative del prodotto di Tennessee sono evidenti anche dentro al campo, dove in breve tempo è riuscito a ritagliarsi un ruolo importante per ognuno dei suoi compagni.

In un certo senso, a differenza di Butler, Simmons and Embiid, che risplendono sempre di luce propria, il più grande talento di Harris non consiste nel fornire prestazioni individuali di ottimo livello, ma nell’esaltare le qualità tecniche dei suoi compagni di squadra. Ed è proprio questa caratteristica così unica ad aver convinto Elton Brand a puntare tutte le sue chips su di lui anche in ottica estiva, quando andrà rifirmato con un contratto molto pesante.

Complessivamente, anche se i 20 match giocati da Harris con la canotta dei 76ers hanno dato indicazioni positive in chiave presente, non hanno eliminato del tutto i dubbi sul prossimo futuro. Risulta difficile pensare che la scarsa profondità del roster di Philadelphia alla fine non pesi sulle gambe dei giocatori nei momenti topici del playoff. Così come è complicato ipotizzare che gli interrogativi legati alla free agency di Harris e Butler non diventino un problema con il proseguire della stagione.

Detto questo, vincere le partite nei playoff è soprattutto una questione di equilibrio di squadra e di successo nei singoli accoppiamenti. E in quest’ottica, da quando è arrivato Tobias Harris, i 76ers non hanno più niente da invidiare alle altre squadre della lega.

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