Se non esistessero gli ultimi 5 minuti. La vittoria della Svezia ha dell'incredibile: si sono qualificati per l'Europeo con il gol all'88' di Lewicki che ha fatto ammutolire la più titolata (e forte) Francia di Kurzawa; ha sconfitto l'Italia con il rigore di Kiese Thelin all'86' e pareggiato con il Portogallo a un minuto dal termine per superare il girone.
È stato l'Europeo della sorpresa Svezia, ma anche dell'ottima Repubblica Ceca di Dovalil (anche se cacciato dalla Federazione ceca) e delle delusioni delle cosiddette grandi. Per questo terrò fuori da questa top 11 la Serbia, partita senza tre big come Nastasic, Markovic e Mitrovic, ma ricca di qualità inespressa (un solo lampo dopo 7 minuti di Djuricic, poi il buio); l'Inghilterra, in cui l'uragano Kane ha mostrato di poter dominare la scena (18 tiri), ma di predicare nel deserto (uniche note positive Lingard e Chalobah); escludo anche la Germania che di giocatori interessanti ne aveva: ter Stegen, Ginter, Emre Can, Volland, che però hanno avuto nello stesso ruolo, in questo stesso Europeo, giocatori che hanno fatto meglio di loro.
A essere realmente penalizzati dalle mie scelte sono solamente Joshua Kimmich (centrocampista del '95, ora al Bayern) e Amin Younes (esterno del '93 di cui sentiremo parlare a lungo). Il primo paga l'uscita della sua squadra in semifinale, il secondo il modulo per questa top 11, preso in prestito direttamente da Rui Jorge, lo scientifico 4-3-1-2. Il suo Portogallo è l'ultima emanazione dell'epopea negativa nazionale degli ultimi 20 anni: ha vinto tutte le partite della fase preliminare, compresi i playoff contro l'Olanda, nella fase finale non ha mai perso, ha subito solo una rete, ma non ha vinto l'Europeo.
Portiere: José Sá (1993, Portogallo-Marítimo)
Senza di lui, i discorsi relativi agli schemi di Rui Jorge o i numeri offensivi di Bernardo Silva sarebbero stati inutili. Per José Sá parla una partita in particolare: quella contro l'Italia, coronata dall'uscita bassa sui piedi di Biraghi all'ultimo respiro. Posizione, reattività e sicurezza, un solo gol preso (quello fatale proprio per l'Italia) deviato, e la sfortuna di quattro rigori davvero ben tirati nella finale di Praga.
Resta sua però la parata più bella (qui a 1.41.40) della finale: John Guidetti salta l'uomo e si presenta solo, defilato sulla sinistra. Apre l'interno per incrociare, proprio mentre Sá sta uscendo. Interessante notare la tecnica che usa per bloccare la palla con la mano sinistra, che non si trova là per caso. Si chiama uscita "a croce iberica" e viene direttamente dal futsal. Non si esce a valanga o con la faccia rivolta ai piedi dell'avversario. Si cerca invece di rimanere in piedi, non lasciando spazi sotto le gambe, chiudendo con il busto il primo palo mentre le mani occupano la parte superiore alla testa e l'incrocio del tiro. Manuel Neuer la usa.
Le sue parate sono costate caro agli uomini di Di Biagio.
Terzino destro: Pavel Kaderábek (1992, Repubblica Ceca-Hoffenheim)
Sulla fascia destra, per il posto di miglior terzino, è stato da subito uno scontro tra due '92, Davide Zappacosta e Pavel Kaderábek, e l'eliminazione di entrambi nella fase a gironi non li ha danneggiati. Ha prevalso il secondo, capace di intepretare alla perfezione non solo la fase offensiva (nei cross l'italiano ha forse qualcosa in più), ma soprattutto quella difensiva, con diagonali portate a sostegno dei due centrali anche dopo corse di 60 metri.
È arrivato all'Europeo come secondo miglior giocatore ceco, dietro all'ex compagno di squadra Lafata ma davanti a Tomás Rosický; ha esordito già nella Nazionale maggiore (e ha anche un gol all'attivo) e nei preliminari di Champions con lo Sparta Praga, e ha totalizzato con la maglia granata 72 presenze, 8 gol, 15 assist. All’inizio dell'Europeo però già non era più sul mercato. Tre milioni e mezzo per volare poco più in là, direzione Hoffenheim, paesino di 3.000 anime, dove va a trovare un gioco simile a quello impostato da Jakub Dovalil nell'Europeo di casa, fatto di aggressività e recupero palla rapido.
https://www.dailymotion.com/video/x2ubt71_pavel-kaderabek-goal-czech-republic-1-0-denmark-euro-u-21-17-06-2015_sport
Il suo gol nella giornata di esordio.
Centrale destro: Daniele Rugani (1994, Italia-Empoli)
Di gran lunga superiore a tutti gli altri giovani interpreti del suo ruolo. In tre partite non ha sbagliato nulla: 2,7 tackle a partita, 1,3 gli intercetti, 10 volte ha sbrogliato situazioni pericolose in area di rigore, ma soprattutto 0 falli. Continua, dopo le 38 partite di campionato senza un giallo, a mostrarsi come un difensore atipico, che sulla capacità nell'anticipo e nell'intelligenza tattica vuole costruire una carriera folgorante. Non è mai sopra le righe, non esagera con gli interventi duri pur mostrando, sia con Guidetti che con Kane, la capacità di battagliare e vincere ad alta quota. Nell'uno contro uno tende a limitare le scivolate, preferendo rimanere sulle gambe pronto a usare i piedi o il fisico (1.88 per 77 kg).
Una giocata sublime (qui al minuto 50.40) per la semplicità con cui è stata eseguita in Italia-Portogallo, forse la sua miglior prestazione: puntato dal rapido Carlos Mané, Rugani indietreggia, ma arrivato sul limite dell'area si ferma e attacca il portoghese (in molti invece attendono fino agli ultimi metri, quando ormai può succedere di tutto), lo costringe ad allargarsi e sfrutta una sua indecisione per frapporre il proprio corpo tra lui e il pallone. Chiude l'azione e il primo tempo annullando l'avversario.
Saranno felici gli juventini.
Centrale sinistro: Jannik Vestergaard (1992, Danimarca-Werder Brema)
Vicino a Rugani sarebbe da affiancare il capitano della Danimarca Jannik Vestergaard. Mancino, alto 1,99 cm, è stato il colosso di una squadra non troppo impenetrabile, anche se i pericoli per la squadra di Thorup sono sempre venuti da zone del campo che non hanno direttamente coinvolto Vestergaard. Esemplare è l'ultimo incontro con la Svezia: rigore su fallo del compagno Scholz, buco del terzino Knudsen sul secondo e poi contropiedi in assenza del gigante di Copenhagen, rimasto in avanti. Ogniqualvolta si trovava nell'area avversaria per un calcio piazzato la Danimarca andava vicina al gol. E Vestergaard ha segnato il primo gol della competizione per i suoi.
Gioca in Germania al Werder Brema, alla bravura nel gioco aereo e in marcatura non associa una particolare abilità palla al piede, ma dalla sua parte ha l'esperienza: dopo le trafile danesi, con l'inevitabile passaggio per il Brøndby, si è strutturato calcisticamente in Germania all'Hoffenheim, in prima squadra già dal 2011 a 18 anni. Due anni dopo una scelta decisiva: poteva optare per la selezione di Joachim Löw, ma Morten Olsen ha anticipato tutti convocandolo nel 2013 nella Nazionale maggiore.
Ricorda Simon Kjaer, con la speranza che a differenza sua modernizzi il proprio gioco.
Terzino sinistro: Raphaël Guerreiro (1993, Portogallo-Lorient)
Raphaël rappresenta una delle scelte più azzeccate di Rui Jorge (che da giocatore era proprio terzino). Lo ha voluto e lo ha portato con il suo Portogallo, nonostante fosse nato in un quartiere a nord di Parigi, non avesse la doppia cittadinanza (unico nella sua famiglia) e non parlasse una parola di portoghese. Pur non essendo propriamente portoghese incarna alla perfezione il prototipo del laterale difensivo lusitano: poca copertura e grande qualità in fase offensiva. Tanti hanno già abusato del paragone con Fábio Coentrão, anche per la sua passione mai celata per il Real Madrid, ma lo differenzia una maggiore agilità a discapito di un fisico molto gracile.
È capace di alternare all'interno della stessa partita più giocate, come la corsa verso il fondo supportata dalla sua rapidità e da un ottimo cross con il mancino, o la ricerca della soluzione centrale in appoggio diretto verso le punte. È una scelta tattica proprio di Rui Jorge, che ha voluto sfruttare il suo istinto per il dribbling. Dal suo lato, a centrocampo, ha giocato sempre il capitano Sérgio Oliveira, che tendeva ad accentrarsi al fianco di William Carvalho per gestire il pallone e permettere proprio a Guerreiro continui inserimenti sulla sinistra. Sembra già essere pronto al salto in un top club dopo il Caen in Ligue 2 e la positiva esperienza a Lorient. È un predestinato e lo ha dimostrato già nella sua prima uscita del novembre 2014 con il suo idolo Ronaldo. Il teatro e gli attori prescelti sono quelli importanti, Old Trafford, amichevole contro l'Argentina; anche il finale dell'opera non è niente male: vittoria 1-0 dei portoghesi al 90', rete di Raphaël Guerreiro.
https://www.dailymotion.com/video/x2ajkfh_le-but-du-lorientais-raphael-guerreiro-pour-le-portugal-1-0_sport
Il suo primo gol in Nazionale.
Mediano: William Carvalho (1992, Portogallo-Sporting Lisbona)
Anche José Mourinho ha provato, sia al Real che al Chelsea, in quella zona del campo a più riprese i suoi centrali difensivi, i più abili tecnicamente: Sergio Ramos, David Luiz e Zouma, sono tre esempi dello stesso tentativo. Il più riuscito, però, tra i difensori spostati a centrocampo sembra proprio William Carvalho. Quasi 80 passaggi a partita, più di 10 rispetto al secondo (Ginter) e 15 sul primo centrocampista (Jõao Mário), con un precisione, data inevitabilmente anche dalla vicinanza degli appoggi, dell'87%. Ha esperienza, gioca già in pianta stabile con la Nazionale maggiore (con cui è andato al Mondiale brasiliano) allenata da Paulo Bento e ha una grande competenza tattica che lo porta raramente fuori posizione.
Nato a Luanda, Angola, William è utile per controbilanciare il calcio offensivo dei suoi compagni, per anticipare i movimenti avversari, intercettare e far ripartire il contropiede verticale tipico del modulo di Rui Jorge. Può affermarsi a grandi livelli, e non a caso molti club, su tutti l'Arsenal, lo seguono anche a cifre importanti (circa 30 milioni), non solo per le sue doti fisiche, tecniche e tattiche, ma anche per la mentalità che lo contraddistingue: «Ho disputato 52 partite in questa stagione, ma se fossero state 100 non avrebbe fatto alcuna differenza. Non ci si può mai sentire stanchi quando si indossa la maglia della propria Nazionale. Sono qui con il cuore e con l'anima».
Un assaggio di ciò che potranno vedere in Inghilterra in futuro.
Mezzala sinistra: Abdul Khalili (1992, Svezia-Mersin Idman Yurdu)
Abdul Khalili nel centrocampo a 4 ha giocato come esterno a sinistra (solo la prima a destra). Chi però ha visto le partite della squadra di Ericson sa che in realtà il palestinese naturalizzato svedese era solito accentrarsi andando a formare un centrocampo a tre (con Hiljemark e Lewicki) mentre Tibbling sulla destra si spostava in fase offensiva a comporre un momentaneo tridente. Al contrario, in fase difensiva si schiacciava accanto al suo terzino di sinistra riducendo gli spazi di inserimento e mostrando tutte le sue capacità in copertura. Senza impressionare con giocate tecniche al pari di Bernardo Silva, ha mostrato l'importanza dell'intelligenza tattica e dell'impegno in un calcio veloce come quello U-21.
Poca esperienza internazionale, nessuna vittoria di rilievo, ma si è presentato lo stesso al grande evento europeo con l'intensità e il carattere necessario per accompagnare la squadra a una vittoria inimmaginabile. Come Weah nella Coppa d'Africa del 1996 ha posticipato il Ramadan, sacrificio obbligato secondo lui per essere al top con i suoi compagni. La Palestina sogna un suo territorio e una sua Nazionale di calcio, Khalili è stato inserito in un'ipotetica formazione araba. Chissà.
La finale poteva deciderla lui...
Mezzala destra: Jõao Mário (1993, Portogallo-Sporting Lisbona)
Credo che Jõao Mário sia stato il giocatore migliore della competizione. È un '93, ha già esordito in Nazionale maggiore e gioca stabilmente nello Sporting. Non trovo altra definizione per lui migliore di "calciatore cerebrale": non corre molto palla al piede pur avendo un'ottima tecnica di base, fa muovere molto la sfera ma si distingue per la sua capacità in fase di non possesso di spostarsi sul campo, facendosi trovare dove è più utile per la squadra. Sa essere il regista occulto della formazione, ma anche il terminale a sorpresa del giro palla. Per questo sembra tatticamente sembra superiore a tutti gli altri, perchè si trova sempre dove si svolge il gioco.
Pur giocando da intermedio di destra, i suoi movimenti dovevano tendere sempre più sull'esterno, lasciando spazio centrale al gioco di Sérgio e creando superiorità sulla fascia assieme a Esgaio e Ricardo. L'allenatore ha lasciato ai suoi piedi, ma soprattutto al suo cervello, la possibilità di scegliere quando e come entrare in area accentrandosi. Due reti all'attivo, ma potevano essere di più se non ci fossero stati gli errori contro l'Italia e la Svezia. Cerebrale anche nella fase difensiva, che seppur lasciata maggiormente a William, lo ha portato a grandi ripiegamenti. La scivolata (qui al minuto 1.59.45) nei tempi supplementari su Kiese Thelin è un esempio fin troppo lampante. Fino al 2018 ha un contratto con lo Sporting, che si è sbrigato a riprenderselo quest'anno dopo il prestito a Setúbal.
Parte della sua indimenticabile stagione.
Trequartista: Bernardo Silva (1994, Portogallo-Monaco)
Recentemente gli è stato chiesto: «Qual è la tua caratteristica migliore?». «Forse la capacità di prendere la decisione migliore in campo. Cerco sempre di prendere la decisione più intelligente, quando c'è da aumentare o diminuire il ritmo, quando bisogna spingerci tutti avanti o invece giocare il pallone indietro per riorganizzarci». In questa risposta c'è di più del giocatore tutta tecnica e dribbling che immaginavamo. Il modulo di Rui Jorge ha ridato agli amanti del calcio un numero 10 classico, da troppo tempo relegato e limitato dal gioco sulle fasce. Lo ha fatto anche in questo Europeo contro l'Italia, ma per minor tempo e per la necessità di costringere Zappacosta a una posizione bassa.
1.73 m per 65 kg, da piccolo era chiamato Cabeças per la sua testa grande rispetto a un corpo minuto. Guilherme Matos, suo ex compagno, ricorda come sia sempre stato il più piccolo di tutti, non vincesse mai un duello e temesse i contrasti. Sembra una storia già sentita, quando si è costretti a sopperire con la qualità tecnica a ciò che Madre Natura non ti ha dato. È stato così ad esempio per Leo Messi e non a caso Bernardo è soprannominato "O Messizinho". L'avversario lo devi non solo saltare ma anche evitare: il suo intervento non ti deve neanche sfiorare se sai che un suo colpo potrebbe farti male. La posizione in campo da vero numero 10 lo ha liberato di molti oneri tattici, ma lo ha caricato di tutte, o quasi, le decisioni offensive determinanti. Indirizza i movimenti della squadra, e questo gli piace, come abbiamo letto nelle parole iniziali. Sente di dover aderire in pieno al motto della squadra per cui fa il tifo, il Benfica, che lo ha ceduto al Monaco per quasi 16 milioni lo scorso gennaio: E pluribus unum, da tanti uno solo. Se lo è anche tatuato.
Messizinho. Vedere per credere.
Attaccante: Jan Kliment (1993, Repubblica Ceca-Stoccarda)
«Quando ho segnato l'ultima tripletta? Non ricordo». Jan Kliment sarà l'attaccante di movimento in questa top 11, senza essere realmente una punta. Le statistiche parlano per lui: zero reti nella Superliga slovacca due anni fa, due l'anno scorso con il FC Vysocina in Repubblica Ceca. Il c.t. Dovalil lo ha scelto e inserito nel contesto di una formazione competitiva senza grandi nomi, ma con un gioco estremamente moderno. In realtà Kliment sarebbe slovacco (di Myjava), ma era già nell'orbita delle giovanili ceche. Dovalil lo ha scelto dopo il forfait di Vydra, ex Udinese ora al Watford. Gli serviva una punta, ma è andato a prendersi un centrocampista. Nonostante il 9 sulle sue spalle, Kliment ha sempre giocato esterno destro in un ipotetico centrocampo a quattro: doveva stare al fianco dell'unico vero giocatore top della squadra, quel Václav Kadlec che tanto bene aveva fatto in Germania.
Nella prima con la Danimarca si è distinto non tanto per le giocate palla al piede, quanto per la capacità di fare a "sportellate" con Vestergaard, nonostante l'evidente differenza fisica. L'alternanza tra profondità e movimenti incontro al centrocampo hanno portato i frutti con il cambio modulo della seconda giornata. Il 4-2-3-1 più congeniale agli esterni Frydek e Krejci, ma soprattutto capace di favorire i terzini Kaderábek e Hybs, hanno quasi inevitabilmente portato alla sua prima tripletta tra i professionisti. Lo Stoccarda ne ha da poco ufficializzato l'acquisto. La scommessa di Dovalil è stata vinta, ora Kliment ne potrà beneficiare.
Dentro l'area di sinistro, con un tap in, saltando elegantemente Dmitrovic.
Attaccante: John Guidetti (1992, Svezia-Celtic)
Ha un carattere che a volte sconfina in una pazzia genuina (sembra abbia imparato da un altro svedese, anche lui di origini non proprio nordiche...) e un ego che già prima di questo Europeo era abbastanza gonfio. Protagonista da bambino con il pallone tra i piedi, come ballerino negli spogliatoi del City, come rapper al fianco di un rapper (cosa che lo ha portato a scrivere assieme a un certo Dani M niente meno che l’inno ufficioso della Nazionale svedese), idolo di un pubblico esigente e di carattere come quello scozzese del Celtic. Ora la vittoria dell'Europeo sembra aver dischiuso le ali del suo narcisismo: la vittoria sulla Danimarca lo aveva portato a un'intervista post-partita da pazzo: «È tempo per loro di andare a casa, siamo noi i migliori al Nord, questa è la peggiore squadra che abbiamo incontrato durante l'Europeo». Allo stesso intervistatore si è presentato poi dopo la finale sfoggiando una parruccia gialloblù e occhiali neri di rito. Tutto questa personalità è stata però positiva per una squadra come quella svedese, a cui serviva una scossa. Si è comportato da leader quando c’era bisogno di stare vicino al mister quando in molti non erano convinti delle sue scelte, e ha dato sicurezza ai compagni: «Andremo all'Europeo per vincerlo. Abbiamo giocatori forti e un gruppo molto unito. La squadra ha sempre la meglio sui singoli». Queste le sue parole a marzo.
Ha combattuto in ogni partita, nel girone è stato sostituito in tutte e tre i match, due volte addirittura per crampi. Rispetto a Kiese Thelin ha mostrato maggior volontà di coprire, di interpretare il ruolo di primo difensore della squadra. Ha una buona tecnica, che gli permette di gestire il pallone e far salire la squadra, ma ciò che lo contraddistingue in campo oltre al carattere è il fiuto del gol. All'Europeo non lo ha mostrato molto, se non nelle qualificazioni, ma nell'unica volta che lo ha fatto, l'Italia lo ha pagato a caro prezzo. Con padre e nonno italiani, John ha sempre detto di sentirsi un po' italiano e di tifare per gli azzurri in assenza della sua Svezia, e la prima partita importante che ha visto era della Lazio di Sven-Göran Eriksson.
Una "leggenda" racconta che mentre si trovava a Stoccolma il 6 giugno di quest'anno, un bambino di otto anni lo abbia fermato per giocare a calcio. John spiega che ha fretta, vuole vedere la finale di Champions, ma gli promette che se lo aspetterà sveglio, dopo giocheranno assieme. Il padre vede in queste parole una bugia a fin di bene, ma il piccolo ci crede e non cede al sonno per tutto il match. Cakir fischia la fine e lui schizza fuori verso il campetto. Come in un film, John lo aspetta lì per giocare. Sarebbe bello se fosse una storia vera.