Il Barcellona di Lionel Messi ha dominato la Liga dall’inizio alla fine. La copertina del campionato dei normali se la sono invece divisa il Valencia, ritornato grande con Marcelino sia in campo sia in classifica (dove ha raggiunto la Champions League), e il Betis di Setién, che ha raggiunto l’Europa mostrando nella seconda parte di stagione il miglior gioco della competizione. La biodiversità tattica è stata ancora una volta un tema lungo tutta la parte alta della classifica, con squadre verticali per vocazione tecnica come il Villarreal di Calleja e altre di possesso puro come il Siviglia di Montella. Squadre proattive come il sorprendete Girona di Machin e squadre reattive come il Getafe di Bordalás. Squadre dall’identità fortissima come l’Eibar di Mendilibar e altre meno sicure come la Real Sociedad di Eusebio.
È stata la Liga in cui Stuani si è scoperto cecchino con il Girona e in cui Fornals rifinitore d’alta scuola con il Villarreal. Una Liga dove Kondogbia ha trovato una squadra adatta al suo calcio e in cui le scommesse Lobotka del Celta e Bardhi del Levante hanno ripagato con gli interessi ogni soldo speso. La nuova generazione spagnola ha fatto un passo in avanti: Oyarzabal, Fabián Ruiz, Odriozola, Rodri. Tutti convocati anche con la Roja.
La nostra Top XI vuole rispecchiare questa bellissima diversità tecnica e tattica nei profili dei giocatori schierati, non prendendo soltanto le storie di giovani rivelazione, ma anche quelle di riscatto e di conferma. Abbiamo scelto come modulo quel 3-5-2 con cui il Betis ha lanciato la rincorsa ai posti europei, così da avere due esterni veri e tre centrocampisti, senza dover rinunciare alla coppia di attaccanti.
Portiere: Kepa Arrizabalaga (Athletic Club)
La stagione è iniziata con Kepa con un piede fuori da Bilbao da quando il Real Madrid ha iniziato a flirtare con l’idea di farne l’erede di Keylor Navas. I giornali di partito hanno iniziato la solita pressione mediatica e il rapporto con l’ambiente è rimasto per lungo tempo appeso ad un filo. La scelta di rinnovare il contratto a gennaio ha posto però le basi per una seconda parte di stagione sgombra da distrazioni.
L’Athletic Club ha giocato una delle peggiori stagioni della sua centenaria storia, chiudendo al sedicesimo posto. La squadra non è riuscita a darsi un’identità di gioco chiara come le versioni di Valverde. Soprattutto nelle partite contro le grandi Kepa è rimasto l’unico ostacolo ad impedire la goleada e si può dire che sia stato il singolo fattore che ha fatto la differenza nel salvare la stagione dal peggio.
A 23 anni Kepa è già un portiere di alto livello a tutti gli effetti e non stupiscono le attenzioni del Madrid. Sobrio nella tecnica, restituisce l’impressione di essere sempre concentrato e ha il carisma per richiamare i compagni durante la partita. Tra i pali è una sicurezza, per riflessi e senso della posizione, e sta pian piano ampliando il suo repertorio, migliorando le uscite alte e soprattutto la tecnica con i piedi (Tra i portieri nessuno ha completato tanti passaggi lunghi nella Liga quanto i suoi 12.3 per 90’, un dato forse influenzato dalla bravura di Aduriz nei duelli aerei).
Era evidente che avesse grandi margini di miglioramento, ma il salto fatto in questa stagione (riconosciuto anche dallo status di secondo portiere della Spagna dietro a De Gea) è stato superiore alle aspettative. Dovesse proseguire su questa strada avrebbe tutto per essere uno dei migliori portieri del mondo nel breve periodo.
Centrale destro: Djené Dakonam (Getafe)
Il Getafe ha fatto la parte della squadra brutta, sporca e cattiva della Liga. Quella che nessuno vuole affrontare perché vuole farsi rispettare prima ancora che piacere. Djené sembra uno di quei giocatori venti dal futuro, con un corpo esplosivo che gli permette di mangiarsi il campo in poche falcate e così elastico da farlo scendere a terra in una frazione di secondo a prendere il pallone e risalire in ancora minor tempo. Djené è ambidestro, è veloce, è intelligente e non ha paura a prendersi responsabilità. In campo sembra quasi ubiquo.
Un giocatore prezioso nel contesto del calcio reattivo del Getafe, e il tecnico ci ha infatti costruito attorno il suo sistema difensivo, capace di subire solo 33 reti (terza difesa dopo Barça e Atlético).
Chiedendogli impegno nel mantenere la concentrazione, nel tenere sempre in mente che giocare semplice è il primo modo per evitare complicazioni per una squadra che non le cerca. Meglio spazzare appena può era l’invito iniziale, ma Brodalás è arrivato fidarsi anche delle ottime letture di Djené, bravo a dare la caccia al pallone nello spazio tra la linea difensiva e il centrocampo. L’aspetto mentale quindi è un punto non negoziabile del rapporto tra Djené e il Getafe, la fiducia della sua squadra nelle sue letture permettono al giocatore di giocare alla massima intensità senza troppi pensieri. Djené possiede un talento talmente evidente che è quasi incredibile sia sbocciato solo a 26 anni.
Centrale: Marc Bartra (Betis)
Bartra è tornato nella Liga a gennaio, dove ha ripreso in mano la sua carriera dopo l’esperienza in chiaroscuro al Borussia Dortmund, resa difficile anche dall’attentato subito sul pullman durante la Champions League dello scorso anno. L’acquisto di Bartra da parte del Betis si è rivelato quello più azzeccato della stagione: dal suo arrivo la squadra di Setién ha potuto sbocciare definitivamente e giocare il miglior calcio della Liga.
In un mondo parallelo dove nel calcio ci si deve rapportare soltanto al pallone, al come lo si gioca e a come lo si riconquista, Marc Bartra è uno dei migliori centrali del mondo ed è titolare da anni del Barça accanto a Piqué. Il nostro calcio però è fatto anche di altro e Bartra solo quest’anno con il Betis è riuscito finalmente a trovare un posto dove poter vedere coperti i propri difetti. Avere Bartra significa contare su sicurezza nella distribuzione e soprattutto intelligenza nelle letture, capacità quindi di essere il punto da dove costruire la propria manovra.
Con il suo arrivo e il passaggio alla difesa a 3 il Betis ha migliorato la propria uscita palla. Ha potuto quindi affidarsi molto di meno ai lanci del suo portiere e ha guadagnato un uomo in più in attacco (visto che con Bartra bastano 3 centrali). Il Betis è diventato sicuro col pallone ma ha avuto anche più tempo per finalizzare la manovra.
Centrale sinistro: Anaitz Arbilla (Eibar)
Per completare la linea difensiva ho scelto un profilo particolare: un centrale basso per il ruolo (non arriva al metro e ottanta), ma che risulta perfetto per il tipo di gioco che vuole fare la sua squadra. L’Eibar nasce con l’idea di rendere la vita difficile a chiunque si trova davanti attraverso la pressione e l’occupazione della metà campo avversaria. L’Eibar punta insomma a non far giocare bene, a sporcare la manovra avversaria e poi una volta riconquistata la palla a verticalizzare sulla trequarti per arrivare sui piedi educati di Inui e Orellana. All’interno di questa strategia quindi il centrale che guida la linea deve essere prima di tutto aggressivo nelle letture, con e senza palla. Deve saper gestire una linea altissima e tanto campo alle spalle. Arbilla a 31 anni ha l’esperienza per gestire un reparto, ma ha anche la capacità di muoversi in prima persona se necessario. Nessuno nella Liga recupera alto quanto l’Eibar, e i 2.9 intercetti per 90’ di Arbilla hanno contribuito in modo sostanziale.
I tanti anni di carriera in squadre medio-piccole come Rayo Vallecano, Espanyol e ora Eibar hanno sempre tenuto sotto traccia la sua caratteristica principale: la sua capacità di calcio. Arbilla è praticamente ambidestro e preciso nella distribuzione del pallone e soprattutto nel lancio (ha tentato 16.1 lanci lunghi per 90’ e di questi ne ha completati 9.7), utilissimo quindi per il gioco verticale dell’Eibar che vede in lui l’iniziatore della manovra dopo il recupero. Una caratteristica che ha permesso all’Eibar di utilizzarlo anche come terzino nelle emergenze. A proposito del suo calcio, batte lui le punizioni dal limite per l’Eibar e ha segnato quest’anno sia contro il Levante che contro il Siviglia.
Esterno destro: José Luis Morales (Levante)
Per spiegare la stagione di Morales bisogna prima accennarne il contesto: nella stagione ’15/’16 è stao il miglior giocatore di un Levante privo di talento. Ha giocato lungo tutta la fascia dall’ala al terzino, sia a sinistra che a destra. Ha messo a referto 7 gol e 6 assist, ma la squadra è comunque retrocessa. Morales è rimasto fedele, è sceso in Segunda nonostante le richieste. Diventato vice-capitano, ha giocato prevalentemente ala sinistra in un campionato dominato dal Levante. Quest’anno è stato nominato capitano del Levante, gioca a sinistra, a destra e perfino come seconda punta. Ha chiuso la stagione con 10 gol e 8 assist, entrambi record personali, e il Levante è riuscito a salvarsi.
La storia di Morales è quella di un giocatore dal talento evidente, che ha però faticato a trovare una propria forma prima della piena maturità. Ora che a 30 anni ha trovato la sua casa può finalmente esprimersi completamente. Parliamo di un esterno dalla conduzione potente e dal dribbling sicuro, in grado insomma di coprire tutto il campo e di saltare l’uomo 2.7 volte per 90’ (su 5.3 tentativi per 90’). In una squadra come il Levante che ha pochi punti fermi per poter assicurare la manovra offensiva, che fatica a generare pericolo offensivo se non a palla ferma, la sua presenza è un viatico sicuro per poter disordinare gli avversari o arrivare alla conclusione. Morales è un giocatore trascinante nel vero senso della parola, un giocatore su cui tutto l’ambiente può fare affidamento.
Mezzala destra: Daniel Parejo (Valencia)
In pochi mesi Parejo è passato da sembrare un ex giocatore in campo a gestire la rinascita del Valencia da capitano ed emanazione in campo del suo allenatore Marcelino. Forse di tutto il grandissimo lavoro di Marcelino per far tornare grande il Valencia, l’aver ridato alla Liga la miglior versione di Parejo è la sua opera maestra. Il Valencia si muove come un blocco unico, accorciando sul pallone il più possibile per poi cercare ampiezza con le ali e verticalità con le punte una volta recuperato. Per gestire con precisione questa strategia c’è bisogno di un ingranaggio fondamentale al centro del meccanismo. Parejo è stato questo. Il regista che si muove per il campo (liberato dalla presenza rassicurante dell’altro rinato Kondogbia) per distribuire il pallone e farlo muovere con precisione e verticalità.
Parejo ha un calcio preciso, in grado di arrivare ai quattro angoli del campo, che però non si comporta come una macchina spara palle. È invece capace di dettare i tempi di gioco, di capire quando serve la pausa per organizzare il contropiede e quando serve l’accelerazione per dare il cambio di passo all’attacco posizionale. Con la sua precisione nel calcio è in grado di rendere praticamente qualunque calcio piazzato un’occasione da gol (ha fatto 7 assist da calcio piazzato). La Liga è un campionato migliore con Parejo in grado di esprimersi al suo meglio.
Centrocampista centrale: Rodri Hernández (Villarreal)
La Liga è il campionato dei mediocentros, quei giocatori che da davanti alla difesa gestiscono le fasi posizionali e di transizione della propria squadra, guidandone l’esecuzione. Il Villarreal per anni ne ha avuto uno dei migliori in Bruno Soriano, maestro assoluto di quest’arte. Il lungo infortunio che ha tolto dai giochi Bruno Soriano ha avuto la buona notizia di permettere l’esplosione di un nuovo interprete del ruolo. Rodri si è disimpegnato come la cosa più vicina a Busquets in campo nella Liga, sia per la struttura fisica longilinea che per l’interpretazione del ruolo. Quando la sua squadra ha la palla a disposizione Rodri è abile nel farsi facilitatore del sistema di gioco, ponendosi alla base e distribuendo la palla nel posto giusto, al momento giusto e nel modo giusto; quando la squadra perde la palla è bravo a difendere in avanti, è aggressivo nel recupero e non ha paura di fidarsi delle sue letture per tentare l’anticipo.
Rodri ha fatto un passo in avanti in termini di peso nel sistema di Calleja, che lo ha inserito alla base del suo rombo a centrocampo. Da lì è andato in crescendo fino alla convocazione in Nazionale. Anche per la Federazione è lui l’erede di Busquets e sono bastati pochi mesi per far sì che Simeone lo scegliesse come erede di Gabi, portandolo dalla prossima stagione a Madrid. Rispetto a Busquets è ancora forse troppo irruente nella scelta dei tempi di pressione, cosa che gli costa qualche fallo di troppo, ma questo suo modo assertivo di giocare ha permesso di farci vedere una creatività nel giocare il pallone in verticale inaspettata. Non è solo quindi una macchina da distribuzione sicura, ma è in grado anche di disimpegnarsi in passaggi ambiziosi. Proprio come il maestro Bruno Soriano.
Mezzala sinistra: Fabián Ruiz (Betis)
Fabián a 14 anni è cresciuto 30 centimetri in una sola estate ed è passato da essere un rifinitore tecnico e sgusciante a sembrare uno di quegli insetti dalle gambe lunghe che cammina sull’acqua. Per come tratta la palla questo giocatore di 190cm, per come pensa il calcio, sembra un poeta andaluso che si esprime attraverso il pallone. Sente il ritmo di gioco e lo interpreta a modo suo, cambiandone la velocità e l’intensità a piacimento. Neanche i più ottimisti si sarebbero aspettati un’intesa tale tra Fabián e Setién, che più di tutti ha capito come sfruttare il sublime talento del giocatore.
Grazie ad una tecnica invidiabile nel controllo della palla e alla sua indole associativa, Fabián è un giocatore che può essere inserito ovunque si voglia, sarà sempre in grado di fare parte del lato forte o di rendersi utile alla manovra. Più palloni tocca la sua squadra, meglio Fabián sarà in grado di aiutare la manovra. Questo l’ha capito Setién e dal passaggio alla difesa a 3 ha dotato quindi Fabián di ancora più margine di manovra, facendolo muovere come mezzala con facoltà di alzarsi o abbassarsi a piacimento. È un giocatore intelligente, che sembra maneggiare concetti di gioco complessi a piacimento. Si muove per il campo toccando la palla e tastando la manovra della sua squadra e si inserisce in un assolo dove pensa sia necessario.
Una protezione del pallone per far salire la squadra, una conduzione per sbloccare una situazione statica, un tiro che finalizzare la manovra. Fabián è l’uomo dell’hockey pass, del passaggio prima dell’assist, ma è anche l’uomo che resiste alla pressione, quello che tenta di creare superiorità numerica dove serve.
Centrocampista sinistro: Gonçalo Guedes (Valencia)
Era impossibile che mantenesse un rendimento costante per tutta la stagione, all’inizio era sembrato la cosa più vicina al primo Cristiano Ronaldo. La stagione Guedes però rimane un grandissimo successo, per lui che ha lanciato la sua carriera come stella nascente e per il Valencia, che si è trovato a disposizione un giocatore fondamentale nel piano di rilancio ideato da Marcelino. Probabilmente senza le entusiasmanti cavalcate di Guedes non avremmo avuto una squadra tanto dominante nella trazione offensiva come questo Valencia.
Guedes è stato il modo più veloce per far arrivare di peso il pallone da un punto A ad un punto B, senza doversi preoccupare di cosa ci fosse nel mezzo. Praticamente imprendibile in campo aperto, gestendo la fascia sinistra con il terzino Gayà, Guedes ha alternato conduzioni esterne per portare il pallone a fondo campo a sovrapposizioni nel campo per arrivare all’area di rigore.
Se è vero che il Valencia di Marcelino pone come cardine della sua strategia la capacità di sfruttare sia l’ampiezza che la profondità, allora Guedes è il simbolo della stagione del Valencia. Un fisico esplosivo e un calcio simile ad un tifone che spazza via l’avversario diretto e che costringe tutta la linea avversaria a mettersi al riparo. Guedes possiede un bagalglio tecnico già in grado di assicurargli di condizionare il contesto di gioco, in grado di trovare risposte al tipo di difesa che gli si pone davanti.
Se lo si marca stretto, non ha problemi a prendersi la distanza e battere in velocità l’avversario diretto; se lo si raddoppia, non ha problemi a mettersi spalle alla porta e a partire da fermo o sfruttare un compagno per uscire con la palla attaccata al piede. Il PSG l’ha mandato in prestito al Valencia per fargli fare esperienza e costruirne un’opzione futura, ma lui è tornato già come progetto di fenomeno.
Seconda punta: Iago Aspas (Celta)
La presenza di Maxi come punta centrale ha allontanato Iago Aspas dal centro per dirottarlo seconda punta o sulla fascia destra. Dall’estero parte per sfruttare le attenzioni che Maxi porta sui centrali avversari e ricevere per giocare il suo delizioso mancino al servizio della squadra o direttamente contro la porta avversaria. Non aveva mai segnato tanto (con 22 gol è il miglior attaccante spagnolo della stagione) e soprattutto Aspas si esalta nelle grandi partite. È stato il singolo giocatore ad aver dato più problemi al Barcellona dominatore della Liga.
Non è solamente l’attaccante spagnolo con più talento, è una risorsa continua per la sua squadra: una figura carismatica sul quale appoggiarsi, che sa dare la pausa alla manovra e sa allo stesso tempo affondare in profondità quando serve. Sa insomma come e dove intervenire, come e quando utilizzare un determinato gesto tecnico. È creativo, scaltro, sgusciante, al limite del cattivo con arbitri e avversari. È l’idolo della tifoseria, il primo tifoso che da figliol prodigo è tornato a casa, diventando capitano e anima della squadra.
Iago Aspas dice apertamente di essere ossessionato dal calcio: si ferma a vedere le partite delle giovanili e poi a casa si guarda quelle in tv. Comprende il gioco come pochi ed è cresciuto nelle letture ogni anno da quando è tornato al Celta: ora è a un livello veramente inimmaginabile per impatto sulle partite.
Prima punta: Gerard Moreno (Espanyol)
Fino alla scorsa stagione Gerard era un attaccante classico, specializzato nel colpo di testa, che nella scorsa stagione aveva segnato 6 dei suoi 13 gol da dentro l’area piccola. Ora non solo è il primo attaccante dell’Espanyol a superare i 15 gol a stagione dall’ex eterno capitano Raúl Tamudo nel 2006-07, ma è anche un vero e proprio totem offensivo in grado da solo di reggere tutto un attacco.
Moreno sembra moltiplicarsi per il campo per offrire alla squadra tutto quello di cui ha bisogno. Offre sempre una linea di passaggio ai compagni e finisce sempre in area per concludere. Moreno ha giocato 35 giornate consecutive senza essere mai stato neanche sostituito, ha giocato sempre tutti i 90’.
L’Espanyol ha iniziato la stagione puntando all’Europa ed è invece finito nella mediocrità totale. La squadra aveva una manovra poco fluida con la palla e poche energie senza. In questo contesto è uscito fuori con prepotenza il talento di Gerard Moreno. L’Espanyol ha chiesto alla sua punta un lavoro incredibile, con e senza palla, e lui ha risposto con sua migliore stagione personale. Gerard per l’Espanyol è stato contemporaneamente il primo giocatore per tiri (2.8 per 90’), il secondo giocatore per dribbling (1.7 riusciti per 90’), il terzo per passaggi chiave (1.2 per 90’) e il primo per duelli aerei (8 per 90’ di cui 3.6 vinti). È riuscito nell’impresa titanica di essere in grado da solo di tenere in piedi un attacco, oltre i gol, di una squadra allo sbando tatticamente, in un campionato esigente come la Liga.