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Top 11 Premier League
17 mag 2016
I miglior undici giocatori, ruolo per ruolo, dell'ultima stagione di campionato inglese.
(articolo)
13 min
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Questa top XI riflette l’andamento anomalo del campionato inglese, con i campioni in carica del Chelsea e le due di Manchester che hanno fallito i loro obiettivi in maniera clamorosa, Arsenal e Tottenham che a un certo punto sono sembrate in corsa per la vittoria finale, due neopromosse su tre che si sono salvate gettando nello scoramento nobili come Newcastle e Aston Villa e, infine, con gli underdogs West Ham e, sopratutto Leicester, che hanno fatto… be’ quello che tutti sappiamo.

Se l'anno scorso abbiamo dovuto tenere fuori le big six per non fargli monopolizzare anche la top XI finale, stavolta quindi abbiamo massima libertà di scelta (anche se ho cercato di non esagerare con i giocatori del Leicester e, ad esempio, ho tenuto fuori Vardy che sarebbe stato forse troppo scontato). La squadra è schierata con il 4-2-3-1, il modulo più utilizzato in Inghilterra dal 2010 a oggi, e che meglio di qualsiasi altro rappresenta la sua idea di calcio.

Portiere David de Gea (Man United)

La valutazione delle prestazioni di un portiere è di per sé un esercizio complicato: come si fa a distinguere quanta parte del successo di una fase difensiva può essere attribuito all’estremo difensore e quanta alla difesa?

Ho tentato un approccio analitico con le statistiche: se considerassimo i tiri arrivati nello specchio di ogni portiere e i gol concessi, arriveremmo per differenza al numero di interventi decisivi da loro effettuati. In questo modo sarebbe Peter Cech, che per chi se lo fosse perso ricordiamo che gioca con l’Arsenal,il miglior portiere del campionato, con il 77% dei tiri nello specchio salvati prima che il pallone varchi la linea di gesso.

Però un tiro è un tiro e dal totale è difficile separare le conclusioni più semplici da stoppare da quelle più complicate (banalmente, i tiri dalla distanza da quelli ravvicinati). E il save ratio precedentemente calcolato è un numero estremamente volatile da una stagione all’altra. Quindi non è detto che rispecchi l’effettiva abilità dell’estremo difensore, anche in presenza di tante buone prestazioni messe insieme nella stessa stagione.

Gli expected goals possono fornire una stima della qualità dei tiri subiti. Nel rapporto tra le reti che avrebbero dovuto incassare e quelle che hanno realmente subito, Schmeichel e de Gea sopravanzano il resto dei colleghi. Il portierone del Leicester, però, subisce una percentuale di gol superiore al collega nei tiri dalla danger zone, la porzione centrale dell’area di rigore dalla quale un attaccante ha maggiori chance di segnare (di riflesso, è la zona nella quale un portiere può incidere maggiormente). Schmeichel, rispetto a de Gea, ha anche avuto un’attitudine alle uscite alte e alle giocate di piede non da primo della classe. Per questi motivi la mia scelta è ricaduta sull’estremo difensore del Manchester United.

Terzino destro – Hector Bellerín (Arsenal)

Se per il ruolo di portiere ho avuto l’imbarazzo del too close to call, per il ruolo di terzino destro è stato più facile. Anche perché non ci sono molti buoni interpreti del ruolo nella lega: Branislav Ivanovic ha lasciato vacante il trono che occupava ormai da qualche anno; molte squadre non utilizzano terzini puri e ma sempre più spesso il ruolo dell’esterno basso è ricoperto da centrocampisti arretrati per le loro doti tecniche insufficienti a garantirgli il posto sull’ala a questi livelli.

Hector Bellerín è già, a 21 anni, il miglior terzino della Premier League. Ha vissuto una stagione di alto livello, seppur con una flessione nella parte centrale, dovuta all’impiego eccessivo al quale è stato sottoposto (solo in campionato ha giocato 3240 minuti, 180 più del portiere Cech). Quest’anno ha consolidato il suo gioco offensivo e ha mostrato miglioramenti nella fase difensiva: per qualsiasi avversario è stato difficile andargli via in dribbling o sorprenderlo all’interno del campo. Ormai arcinoto per la sua velocità, Bellerín si è rivelato una perfetta arma da contropiede per il nuovo gioco dell’Arsenal (anche se è strano a dirsi per un catalano).

In panca: un giocatore che terrei d’occhio per la prossima stagione è sicuramente il rookie Cédric Soares, che il Southampton ha acquistato dallo Sporting Lisbona la scorsa estate. Soares è un buon terzino tuttofare, ha numeri p90 persino migliori di Bellerin per contrasti vinti, intercetti, passaggi chiave e cross riusciti. Non ha mezzi fisici straordinari (è alto 172 cm), forse per questo Koeman gli ha spesso preferito Martina. Ma ha le caratteristiche tecniche per imporsi nella Premier League.

Centrale difensivo d’impostazione – Toby Alderweireld (Tottenham)

Questa è l’unica nomina davvero no contest di tutto l’undici scelto qui: Alderweireld è stato senza dubbio il miglior centrale del campionato.

La sua abilità superiore nel calciare lungo, abbinata alla capacità di correre nello spazio di Alli e Kane, è stata una delle chiavi del successo del Tottenham, oltre ad essere la qualità più visibile del difensore belga ex Atletico Madrid. Alderweireld ha anche un senso della posizione sviluppato e messo alla prova da un sistema difensivo che opera spesso con la difesa alta sul campo e con tanti metri alle spalle da difendere. I tre soli cartellini gialli collezionati in tutto il campionato (tutto, alla lettera, perché Alderweireld è stato sempre impiegato nei 3420 minuti disputati dal Tottenham in questa Premier League) sono una testimonianza della bontà delle letture difensive del difensore degli Spurs.

Per non far mancare un’alternativa possiamo portare in panchina Daley Blind del Manchester United. Che non sarà un centrale di ruolo, e avrà le sue lacune in fatto di marcatura (osservatelo nelle situazioni da palla inattiva, la metà delle volte perde il suo uomo); ma uno così, con quel piede sinistro e la testa sempre alta, in rosa lo prendo sempre.

Centrale di marcatura – Nicolas Otamendi (Manchester City)

Non dev’essere stato facile giocare al centro della difesa del Manchester City quest’anno. Senza uno come Kompany a guardarti le spalle per la maggior parte della stagione e senza un’aiuto efficace dai centrocampisti, con metri di spazio in ampiezza e in lunghezza da sorvegliare. Ciò nonostante, Otamendi è stato uno dei migliori centrali del campionato, al suo primo anno in Inghilterra. Mettiamola così: semmai Otamendi avesse patito il peso della valutazione esorbitante con la quale il City si è assicurato le sue prestazioni, questo è stato controbilanciato dal compito di facile esecuzione che lo attendeva: cancellare ogni ricordo di Mangala dalla testa dei suoi tifosi.

Anche se paga qualcosa quando si alza la palla (il miglior centrale del campionato per duelli aerei è l’olandese del Southampton van Dijk) e le sue letture tattiche non sono state sempre perfette (anche se, come detto, non è stato aiutato dai compagni), Otamendi ha saputo supplire alle lacune con grinta e fisicità da marcatore puro: è il miglior difensore della Premier League per numero di tackle riusciti (3 a partita) e il secondo migliore dopo Koscielny per numero di intercetti (3.5 a partita). Si goda questo momento, il buon Nicolas, che sotto Guardiola potrebbe patire almeno quanto Mehdi Benatia al Bayern (uno che in Italia avevamo osannato per le sue qualità in uscita dalla difesa, che si sono rivelate insufficienti per il calcio secondo Pep).

Riserva: Craig Cathcart, galvanizzato per aver portato la nazionale nordirlandese all’Europeo, ha disputato una stagione più che solida nel Watford neopromosso.

Terzino sinistro – Christian Fuchs (Leicester City)

La fase difensiva del Leicester City non ha riguardato un uomo solo, né un singolo reparto, ma ha coinvolto tutta la squadra. Fuchs si è distinto dai suoi compagni, e dagli altri terzini sinistri del campionato, perché ha rappresentato una risorsa solida a cui affidarsi in entrambe le fasi. Fuchs non primeggia davvero in nessuna delle statistiche difensive, ma è nei primi posti in tutte: i suoi numeri alti nei cross bloccati e negli intercetti trasmettono l’idea di un giocatore dal grande senso della posizione.

Il gioco del Leicester dipendeva dai suoi piedi (oltre che dalle sue lunghissime rimesse con le mani) nella misura in cui il pallone spesso usciva dal suo lato, anche per l’ottima intesa col compagno davanti a lui, Albrighton.

Menzione d’onore a Robbie Brady, che non ha potuto evitare la retrocessione del suo Norwich, ma ha comunque disputato la migliore stagione della carriera. Brady, DNA da ala, è stato utilizzato con successo da Alex Neil nel ruolo di terzino di spinta nel 4-2-3-1 o come laterale a tutta fascia nel 3-4-2-1. Sfiderà l’Italia agli Europei con la sua Irlanda.

Mediano di copertura – N’Golo Kanté (Leicester City)

Steve Walsh, l’ormai celebre capo degli osservatori del Leicester, ha chiosato così sulla tattica della sua squadra: “Noi giochiamo con tre centrocampisti centrali: Drinkwater in mezzo e Kanté su entrambi i lati”. Le eccezionali capacità aerobiche di Kanté, associate ad una grande diligenza tattica, sono uno dei segreti dell’exploit del Leicester.

Kanté ha effettuato 4.7 tackles a partita e 4.2 intercetti, nessuno ha fatto di meglio nei cinque maggiori campionati. Se in fase di riconquista della palla e di rilancio dell’azione Kanté è stato fondamentale, non si può trascurare che sia stato un giocatore importante anche nella costruzione delle azioni. Kanté è un giocatore sorprendentemente tecnico, capace di dribblare e mette il compagno in condizioni di tirare verso la porta avversaria.

Se non vi fidate di me, fidatevi almeno di Sir Alex: “N’Golo Kanté è, by far, il miglior giocatore della Premier League di quest’anno”.

Pensierini per la nuova stagione: mi piacerebbe vedere Idrissa Gueye in una squadra meno disorganizzata dell’Aston Villa di quest’anno. Il senegalese ex Lille è stato uno dei pochi a salvarsi nell’annus horribilis vissuto dai Villans.

Playmaker – Andrew Surman (Bournemouth)

Col Leicester che vince il campionato dopo la salvezza dell’anno prima, è difficile sostenere che il Bournemouth sia stato la sorpresa del campionato. Però per certi versi è così: Bournemouth è un piccolo centro del sud, la cui tradizione calcistica è stata offuscata, oltre che dagli scarsi risultati, dalle squadre delle vicine Southampton e Portsmouth. Nel primo anno di Premier League della loro storia, il Bournemouth è riuscito a raggiungere la salvezza con molte giornate d’anticipo, nonostante le ristrettezze economiche e gli infortuni subiti dai loro giocatori migliori a inizio stagione. Si è salvato perché ha dato fiducia al gruppo storico di giocatori, al quale sono stati fatti pochi innesti di qualità; inoltre ha una struttura tattica evoluta ed è allenato da un manager giovane e inglese. Concedetemelo, il Bournemouth è davvero la mosca bianca del calcio d’Oltremanica.

Andrew Surman è stato il faro, nella posizione davanti alla difesa tenuta da inizio campionato; ma lo è stato anche quando Howe ha cambiato sistema di gioco man mano che recuperava giocatori dall’infermeria. Il legame tra Surman e Howe somiglia a quello che c’era tra Valdifiori e Sarri nell’anno magico di Empoli, e questo forse non è un caso.

Come regista di riserva mi concedo il lusso di portare in panchina Mousa Dembelé, che a 28 anni suonati ha finalmente trovato la sua collocazione definitiva al centro del gioco: grazie Pochettino!

Ala destra – Riyad Mahrez (Leicester City)

C’è ancora qualcosa da dire sulla stagione mostruosa di Riyad Mahrez? L’algerino ha finalmente liberato il suo potenziale e ha fatto letteralmente quel che ha voluto nelle 37 partite giocate in questa Premier League. Mahrez ha movenze da ballerino, leggero sulle caviglie, quando punta l’avversario palla al piede; ma sa esplodere un suo sinistro secco e potente.

Chi pensa che Mahrez sia un giocatore tutta tecnica ed estro, di quelli che non hanno coscienza della propria posizione in campo o che si disinteressano dello sviluppo dell’azione, si sbaglia Il gioco di Mahrez è tutto fondato sul tempo della giocata, che sia un dribbling, un assist vincente o un tiro, e questo presuppone una comprensione superiore di quello che accade in campo.

Detto questo, sarebbe miope non ammettere che senza Okazaki non ci sarebbe stato questo Mahrez. Il giapponese, che al Mainz era una prima punta con un’unica missione (segnare gol), al Leicester ha saputo reinventarsi giocatore a tutto campo: è stato un eccellente complemento per Vardy come per Ulloa, attaccanti diversissimi; e i suoi movimenti intelligenti a liberare lo spazio per l’inserimento palla al piede di Mahrez sono stati sempre efficaci. Okazaki si è anche caricato del lavoro difensivo di un Mahrez non sempre irreprensibile, scalando per rinforzare la linea dei quattro centrocampisti.

In panchina porto Willian, forse l’unico a salvarsi nel naufragio Blues.

Trequartista – Mesut Özil (Arsenal)

Per il ruolo di trequartista centrale avevo l’imbarazzo della scelta: avrei potuto impalmare Sadio Mané, autore di 8 reti nelle ultime 8 di Premier League, un giocatore che difficilmente resterà al Southampton dopo una stagione così; oppure avrei potuto scegliere Dele Alli, ma credo che verrà buono per il Best XI dei prossimi dieci anni.

Alla fine ho scelto Mesut Özil, che a inizio stagione sembrava aver compiuto il salto di qualità, di personalità e di mentalità, che tutti aspettiamo da anni: un giocatore superbo quando si tratta di muovere la palla in verticale con rapidità, che finalmente sembrava aver piegato il gioco di tutto l’Arsenal alla sua volontà. Poi, però, è ricaduto nell’apatia che riconosciamo come sua. Ad esempio, dei 18 assist stagionali solo 4 sono stati realizzati nel 2016. Mesut è come una ragazza della Milano/Roma/Napoli bene: bellissima, distante. E visibilmente annoiata.

Ala sinistra – Dimitri Payet (West Ham)

Indolente, indisciplinato, indisponente: le tre etichette che Dimitri Payet ha avuto appiccicate addosso per tutta la carriera. Come avrebbe potuto sopravvivere uno così nel campionato più intenso e pazzo del mondo? Payet si è aggrappato alla sua tecnica e ha costituito una risorsa per il West Ham, la cui stagione non era partita coi migliori auspici: un ritiro estivo largamente anticipato a causa dei preliminari di Europa League, persi poi con disonore.

Payet, a 29 anni, ha dato un pizzico di follia ad una squadra troppo lineare, che pure aveva in sé valori importanti, portati dal suo allenatore (un leader carismatico ed ex giocatore del club) e dal suo capitano (Noble è nato a pochi passi dal Boleyn Ground in una famiglia di tifosi Hammers). La sua abilità nel saltare l’uomo – anche più di un uomo, anche in zone di campo dove sarebbe stato pericolosissimo perdere palla – basta da sola a creare superiorità numerica. Bilic è stato intelligente nel capire che bisognava concedergli tutta la libertà che desiderava prendere: seguendo l’istinto, Payet vagava per il campo fino a trovare la zona più congeniale per piazzare la sua giocata.

E dato che i giocatori d’estro non bastano mai e, se posso, in squadra prendo anche Dusan Tadic, che da solo conferma il vecchio adagio secondo il quale i calciatori serbi sarebbero i sudamericani d’Europa.

Centravanti – Sergio Agüero (Manchester City)

Ma come si fa a scartare Harry Kane dopo una stagione così? Basta essere accecati d’amore per El Kun. Nonostante gli infortuni a ripetizione e la stagione altalenante del Manchester City, spezzata in due dall’annuncio del cambio in panchina, Agüero ha piazzato 24 gol in campionato, con una media di 0,91 gol ogni 90 minuti (Kane si ferma a quota 0,67/p90), persino superiore della sua media carriera di 0,84 gol/p90.

Contro il Newcastle, lo scorso 19 aprile, Agüero ha segnato la sua centesima rete in 147 presenze: nella storia della Premier League solo Alan Shearer ha impiegato meno partite per toccare quota 100. Al contrario di Kane e Vardy, che hanno dato l’impressione di concretizzare il lavoro di tutto un collettivo, Agüero è sembrato quasi procurarsi le occasioni da gol da solo.

All’interno dei sedici metri, è di gran lunga il miglior attaccante della Premier League.

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