Nonostante la rotonda vittoria contro il Brescia (4-0) nell’ultima giornata, il Torino sta attraversando un avvio di stagione parecchio complicato, difficilmente ipotizzabile pochi mesi fa. L’anno scorso la squadra di Mazzarri è stata infatti una delle sorprese del campionato grazie soprattutto a una fase difensiva di altissimo livello, fatta di marcature a uomo aggressive a tutto campo e contraddistinta da una intensità con pochi eguali, che consentivano al Torino di essere ai vertici delle classifiche dei palloni recuperati nella metà campo avversaria e in quella del PPDA. I granata hanno comunque chiuso il 2018/19 con una evidente overperformance difensiva, dovuta innanzitutto alla clamorosa annata di Salvatore Sirigu, che ha consentito alla sua squadra di subire molti meno gol rispetto alle occasioni effettivamente concesse. La solidità difensiva del Torino era riuscita a compensare una fase offensiva molto elementare, figlia di un atteggiamento conservativo che portava pochi giocatori sopra la linea della palla e creava occasioni da gol di scarsa qualità.
È ancora lo stesso Torino, nelle intenzioni
Con Mazzarri ancora in panchina e una rosa poco influenzata dal mercato estivo in entrata o uscita (con l’eccezione di Verdi, acquisto più oneroso della storia del club), non è sorprendente vedere che anche quest’anno il Torino si poggi sugli stessi principi di gioco che hanno portato i buoni risultati della scorsa stagione: difesa prevalentemente composta da tre centrali (con rari passaggi a quattro per alcune partite, in corso d’opera, contro ad esempio Cagliari e Napoli), atteggiamento identico nell’assegnazione delle marcature e fasi offensive orientate fortemente all’individualità.
Anche le statistiche evidenziano queste analogie: in questo momento, il Torino è infatti la seconda squadra del campionato per PPDA (con un valore pari a 11.90 a partita, dietro solo al Bologna) e ha un punteggio accettabile sotto il punto di vista dei recuperi palla offensivi (13.20: ottavo valore). Così come lo scorso anno è ai vertici anche negli intercetti (quarto, 43.01), nei duelli aerei (primo, 42.78), nei dribbling tentati (secondo, 31.14), nei cross (terzo, 18.58). Di contro, il Torino è al terzultimo posto per passaggi progressivi a partita (63.38) ed è la squadra più fallosa del torneo (15.07).
Il dato che forse fa più impressione, considerato l’orientamento prevalentemente difensivo della squadra di Mazzarri, è il numero di xG concessi su azione (1.41 a partita): peggio hanno fatto soltanto il Lecce e il Genoa. Anche quest’anno, Sirigu è un fattore determinante: con una media di 4.5 parate a partita, è il primo portiere del campionato insieme a Gabriel del Lecce, un dato che rivela la quantità di occasioni a cui viene esposto. Nella partita contro la Juventus ne sono arrivate ben 9, record personale per il portiere sardo dal 2009.
Se da una parte questo permette a Sirigu di esaltare le sue grandi qualità, dall’altra si tratta di un aspetto negativo perché indica che il Torino tende a concedere troppe occasioni a partita, anche contro avversari sulla carta meno temibili.
La fase difensiva è peggiorata?
Il fatto di avere un portiere così forte probabilmente può essere anche un elemento di alimentazione del rischio, nel senso che il Torino può essere arrivato a costruire la propria identità difensiva in maniera così tanto aggressiva, puntando tutto sui duelli uomo su uomo, anche grazie alla consapevolezza di avere una piovra tra i pali e dei difensori centrali altrettanto dominanti (Izzo è il quinto difensore del campionato per numero di intercetti per 90 minuti, 2.6).
Uno dei problemi del Torino attuale sembra però legato alla capacità di rendere efficace il proprio atteggiamento difensivo con continuità nell’arco della partita: in un sistema di marcatura che tiene parecchio in considerazione il movimento dell’uomo, la struttura difensiva risulta necessariamente malleabile, e tutti devono essere abilissimi nelle scalate per evitare di lasciare un avversario libero in spazi pericolosi. Ovviamente i rischi più grandi possono arrivare da squadre più esperte nelle rotazioni posizionali, che portano i diretti marcatori anche molto lontano dalla propria zona di competenza.
Alcune situazioni di difesa troppo passiva del Torino, con una mancata intesa tra i compagni sui tempi di aggressione e le coperture, che genera spazi pericolosi tra le linee. Nella prima slide il Cagliari affonda con una semplice triangolazione sulla fascia, nella seconda la Lazio può disporre facilmente di tre uomini tra le linee in grado di attaccare frontalmente la linea, nella terza la costruzione del Napoli viene pressata male e con pochi uomini, senza nemmeno una protezione adeguata alle spalle della prima linea.
Questa remissività si riflette anche nelle transizioni difensive: il Torino sembra essere abbastanza lento ad accorciare sul portatore a palla persa e gli avversari vengono fuori dalla riaggressione senza faticare troppo, avendo quindi la possibilità di generare chiare occasioni da gol. Sebbene sia una squadra ancora temibile sotto il profilo dei possessi recuperati nella metà campo avversaria, il Torino soffre di più se costretto a difendere in un blocco basso, soprattutto nella gestione dello spazio tra le linee contro avversari più qualitativi.
Gli stessi problemi in attacco
Così come lo scorso anno, il Torino continua a raccogliere poco dalle proprie azioni offensive: con 0.77 xG prodotti su azione a partita, è la seconda peggiore squadra del campionato dopo il Brescia. La qualità e la quantità delle occasioni prodotte dalla squadra di Mazzarri sono dunque scarse, e la ragione può essere ricercata proprio nella tipologia dell’approccio offensivo scelto.
Il Torino affida l’esito di gran parte dei suoi attacchi alla capacità del singolo di risolvere le situazioni di inferiorità o parità numerica, attraverso dribbling (e come abbiamo visto si tratta di una delle squadre che ne tenta di più) e duelli aerei, per sfruttare soprattutto la supremazia di Belotti in questo fondamentale: con 3.4 duelli aerei vinti per 90 minuti su una media di 6.4 tentati, Belotti è uno dei giocatori più coinvolti del campionato. Belotti è l’autentico deus ex machina dell’attacco: la sua propensione al sacrificio lo porta ancora a defilarsi molto in entrambe le fasi, ed è per questa ragione che conclude relativamente poco per essere praticamente l'unico riferimento offensivo della propria squadra (2.6 tiri per 90 minuti) e spesso da posizioni sconvenienti. L’intesa con Zaza è parsa in crescita ma non sembra essere ancora sufficiente per rendere le azioni del Torino più pericolose, e in generale per ottimizzare le potenzialità di finalizzazione del "Gallo".
Ancora una volta, il Torino sembra trasformare il dominio tecnico di un singolo in un limite. Troppe volte i granata finiscono per rinunciare totalmente a qualsivoglia tipo di palleggio costruito, pur di verticalizzare per andare poi a caccia delle seconde palle, un pattern offensivo troppo poco vario per una squadra con ambizioni europee.
Spesso il Torino si ritrova ad attaccare in situazioni complicate e con pochi uomini, e i singoli si ritrovano a dover forzare la verticalizzazione o la soluzione individuale. A causa di un supporto centrale spesso mancante o in ritardo, i granata esasperano le uscite attraverso la fascia anche in situazioni di evidente disparità.
Nelle poche azioni manovrate che riesce a imbastire, il Torino porta comunque pochi uomini in accompagnamento, forse per non sovraccaricare la zona di possesso e rischiare inferiorità numeriche nelle retrovie a palla persa. Il risultato è comunque negativo: oltre a non riuscire ad attaccare in maniera pulita, anche le transizioni difensive sembrano essere un limite di questa squadra, forse proprio a causa dello scarso numero di giocatori coinvolti in zona palla in fase di possesso.
Infine, il dato sullo scarso numero di passaggi progressivi è ulteriormente indicativo sia dello stile offensivo scelto che del periodo negativo dei granata. Nemmeno l’acquisto di Verdi è finora servito a qualcosa.
L’unico giocatore oltre a Belotti che sembra avere un impatto significativo sulla creazione di occasioni offensive è ancora Cristian Ansaldi, secondo giocatore della Serie A per cross tentati (7.2 per 90 minuti) e uno dei giocatori difensivi con più dribbling tentati (2.7 p90). L’argentino abbina la possibilità di creare superiorità numerica attraverso dribbling a quella di associarsi con i compagni con precisione, sia sul corto che sul lungo, grazie all’utilizzo di entrambi i piedi. Ansaldi incontra però le stesse difficoltà di tutti gli altri, a causa di una fase offensiva ancora troppo scarna e individualista.
Per raddrizzare la stagione, il Toro dovrà innanzitutto ritrovare le certezze difensive dello scorso anno e ridurre il numero di occasioni concesse a partita, per poi poter lavorare sul miglioramento degli atavici difetti offensivi che si trascinano da tempo. Solo in questo modo potrà cercare di ritrovare la strada europea dello scorso anno.