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Il Torino ha terrorizzato il Milan
29 apr 2019
La squadra di Mazzarri ha determinato il contesto e quella di Gattuso non è riuscita a cambiarlo.
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Inter-Juventus non è stata la partita più importante di questo turno di campionato. Con le prime tre posizioni già consolidate, Torino-Milan assumeva connotati fondamentali per la lotta al quarto posto: la Roma aveva battuto agevolmente il Cagliari scavalcando i rossoneri, mentre i granata distavano appena tre punti dagli uomini di Gattuso. Insomma, il Milan con una sconfitta sarebbe stato catapultato al sesto posto, col rischio concreto di diventare settimo stasera dopo Atalanta-Udinese, dopo settimane in cui era sopravvissuto in quarta posizione anche grazie ai demeriti degli avversari.

Il Torino era forse l'avversario più difficile da affrontare per i rossoneri in questo scorcio di stagione: privi delle proprie certezze col pallone, avrebbero incontrato la squadra che in Italia riesce meglio di tutti a negare all'avversario una manovra pulita, forte di un atletismo e di un'organizzazione in fase di non possesso davvero di alto livello. La strategia del Toro d'altronde l'aveva spiegata Tomas Rincon a fine primo tempo, quando l'impatto fisico della partita era sembrato già insostenibile per il Milan nonostante il momentaneo 0-0: «Ci siamo messi a uomo, non vogliamo farli giocare a centrocampo, dobbiamo stare attenti sull'uno contro uno con Cutrone, ma è la gara che vogliamo fare. Dobbiamo continuare così, aggressivi, essere più lucidi davanti e sfruttare le occasioni»

Nelle parole del venezuelano, in breve diventato un pretoriano della mediana di Mazzarri come Pazienza e Palombo prima di lui, ci sono tutti i temi tattici di una partita in cui il Milan ha accettato il contesto imposto dai padroni di casa senza mai dare l’impressione di poterlo cambiare.

Le contromisure di Gattuso

Non dovremmo però commettere l’errore di dare troppi demeriti al Milan per togliere meriti ai granata. Quasi tutte le loro partite quest'anno hanno seguito questo canovaccio: persino la Juve ha avuto difficoltà, nonostante la vittoria di dicembre, a reggere l'impatto fisico degli uomini di Mazzarri. Non fa eccezione il match dell'andata, quando il Torino non aveva concesso nessuna occasione al Milan, in quel momento convertito temporaneamente al 4-4-2 per ovviare all'assenza di Bonaventura. Era stata una partita condizionata dalle marcature a uomo del Toro, efficaci già sul primo possesso avversario; il Milan aveva difficoltà a uscire dal pressing, e quando lo aveva fatto Nkoulou aveva controllato magistralmente Higuain.

Anche stavolta il contesto del match lo hanno dettato le marcature a tutto campo dei granata. Gattuso era tornato all'undici a lui più caro: Conti al posto dell'infortunato Calabria, Bakayoko in mediana, Paquetà di nuovo mezzala destra, Calhanoglu ala davanti al brasiliano e, sorprendentemente, Cutrone punta. Una scelta con un preciso senso tattico ma che ha funzionato solo a sprazzi. Mazzarri aveva risposto con un 3-4-1-2 in fase difensiva che ha creato duelli a tutto campo contro il 4-3-3. Le due punte, Berenguer e Belotti, si accoppiavano con i centrali di difesa. Gli esterni, De Silvestri e Ansaldi, dovevano avanzare fin nella metà campo avversaria per aggredire Rodriguez e Conti. A centrocampo i due mediani, Meité a sinistra e Rincon a destra, controllavano rispettivamente Kessié e Paquetà, le due mezzali. Lukic, più avanzato, prendeva in consegna Bakayoko. Dietro Izzo, Nkoulou e Moretti accettavano l'uno contro uno con i tre attaccanti.

Le marcature a uomo del Torino sul rinvio di Donnarumma. Il portiere calcia lungo verso Calhanoglu che perde il contrasto aereo con Nkoulou.

Gattuso si aspettava le scelte di Mazzarri, sapeva che il Torino avrebbe cercato di impedirgli di giocare il pallone in maniera precisa già sui primi passaggi. Invece di provare a rendere più sofisticato il possesso, con qualche rotazione in più per portare fuori zona i granata e oliare la circolazione bassa, Gattuso ha provato a sfruttare le marcature a uomo per far arrivare subito la palla alle punte. Con la palla a Donnarumma o a uno dei centrali, i centrocampisti del Torino seguono da dietro ogni avversario. Resta solo il passaggio sui terzini, con De Silvestri e Ansaldi pronti ad aggredire dopo aver concesso la traccia verso l'esterno.

Conti e Rodriguez, invece di rigiocare il pallone verso il centro, avevano il compito di lanciare subito in verticale verso gli attaccanti, Cutrone in particolare, isolati contro i difensori. I centrocampisti sulla prima costruzione venivano incontro non per offrire linee di passaggio, non percorribili data la marcatura alle spalle, ma per allontanare i mediani granata dalla difesa. Le tre punte dovevano allungare la difesa con movimenti in profondità.

Senza grandi doti nel dribbling e contro tre centrali forti nell'uno contro uno, gli isolamenti degli attaccanti più che creare vantaggi immediati nel duello servivano a portare la palla in avanti e quindi a dare ai compagni il tempo di avanzare e di far alzare il baricentro rossonero, ricreando le condizioni per la costruzione sulle catene laterali con ala, mezzala e terzino vicini. Questa necessità dunque spiega la scelta di Cutrone titolare. Il classe 98' è più veloce ed efficiente rispetto a Piatek nell'attacco alla profondità, anche su distanze più lunghe. Calhanoglu o Suso, a seconda del lato, si muovevano incontro per portare il terzo centrale fuori zona e lui scattava in verticale per dettare il passaggio lungo a Conti e Rodriguez. Una volta ricevuto, senza il necessario talento nell'uno contro uno Cutrone rallentava, aspettava i compagni e scaricava per permettere al Milan di costruire nella trequarti granata e, eventualmente, di perdere palla lontano dalla propria porta.

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Come all'andata

Occasioni pulite però non ne sono mai nate. Il Torino ha imposto la propria superiorità fisica in molti duelli, minando ogni certezza rossonera. Quando i rossoneri si avvicinavano all'area Meité e Rincon si compattavano, soffocando ogni spazio intorno a sé. Il modo in cui coprivano le linee di passaggio, i loro contrasti, metteva fretta ai rossoneri, che non erano mai liberi di controllare, alzare la testa e trovare buone soluzioni. Le loro ombre poi si facevano ancora più ingombranti quando portavano la pressione nella metà campo avversaria e recuperavano palla in zone più avanzate. La precisione delle scalate sull’uomo dei giocatori del Torino li faceva sembrare ancora più forti fisicamente.

I tre difensori spesso anticipavano gli attaccanti, annullando le contromisure di Gattuso: Izzo si è concesso un paio di uscite in grande stile, di cui una di petto nel primo tempo da vero caudillo sudamericano, con un incredibile senso dell'anticipo. Il rigore di Belotti nasce da due anticipi in pochi secondi dei difensori che hanno soffocato sul nascere i tentativi di ripartenza rossoneri. Tutto parte da una rimessa laterale lunga di De Silvestri, con la palla risputata dalla difesa e con Moretti che anticipa Cutrone. Il centrale di prima apre verso Rincon che prova a saltare Rodriguez. Lo svizzero mette il piede e sposta il pallone in avanti verso Calhanoglu. Izzo però, già in zona palla, manda a terra il turco nel contrasto con facilità disarmante, come se il milanista fosse un ragazzo dei giovanissimi e non della prima squadra. Spinto dall'impeto di una prestazione esaltante, il napoletano scodella in area su Berenguer che porta fuori zona Romagnoli. Nello spazio liberato si fionda Izzo stesso, marcato da Kessié. L'ivoriano sul cross mette le mani sulla sua schiena e concede il rigore.

Il gol del vantaggio è indicativo di come il Torino non abbia bisogno di costruire in maniera pulita per generare occasioni da gol. La supremazia atletica è tale da poter generare vantaggi da ogni palla contesa. Non è un caso che molte volte Sirigu rinunci alla costruzione bassa, nonostante abbia davanti a sé tre centrali abituati a giocare palla a terra, per lanciare verso la trequarti e generare seconde palle. Sui rinvii del portiere Meité o Rincon e Lukic si avvicinavano alle punte per avere superiorità numerica e fisica nella zona di caduta. Dalle seconde palle usciva spesso vincente il Torino, che così riusciva a sistemarsi con molti uomini a ridosso dell'area avversaria.

Da lì in poi gli sviluppi avvenivano soprattutto sulle fasce, in particolare quella di Ansaldi. Oltre ai tornanti, verso l'esterno si muovevano anche il centrocampista più vicino e una delle due punte, sempre disposte a muoversi in orizzontale verso la zona palla. Il Torino non cercava combinazioni sofisticate: a volte riuscivano a risalire il campo proprio a partire dai contrasti, magari dopo aver recuperato in avanti una palla contesa o dopo aver resistito al duello spalla a spalla. Le triangolazioni erano piuttosto semplici, senza troppi scambi di posizione, e l’obiettivo era ricavare lo spazio per il cross. Se non bastavano i semplici passaggi, allora si cercava di sfondare con i dribbling e le conduzioni. Fondamentale in questo senso è stato Ansaldi: a suo agio sia col sinistro che col destro, l'argentino, primo del Toro per dribbling riusciti in campionato, cercava spesso la sterzata con cui mandare fuori tempo l'avversario. Se la giocata riusciva, allora riusciva a creare lo spazio per il traversone, preferibilmente per il taglio “alla Maggio” di De Silvestri sul secondo palo - il cross di un esterno per l’esterno opposto, forse il pattern offensivo più riconoscibile del calcio di Mazzarri.

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La capacità di contrastare sempre in avanti e di saltare l'uomo sulla fascia hanno portato al secondo gol. Il Toro all’inizio ha costruito a destra con un rombo formato da Meité vertice basso, De Silvestri largo, Rincon interno sinistro e Belotti vertice alto. Lo sviluppo non è preciso e Romagnoli rinvia. Calhanoglu e De Silvestri si contendono il pallone alto e la palla rimbalza sui piedi di Meité, che permette ai granata di restare nella trequarti milanista. Il francese attira il turco e lo salta senza problemi in conduzione. Poi, chiuso da tre uomini, scarica su Rincon che crossa verso il secondo palo. Conti rinvia addosso ad Ansaldi che sterza e crossa di sinistro. Musacchio respinge di testa ma serve un assist a Berenguer, che controlla e calcia sul secondo palo.

Il contesto del Torino

Il Torino quindi ha vinto perché ha giocato nel contesto più congeniale al suo calcio. Gattuso forse ha ritenuto i suoi giocatori non abbastanza talentuosi per aggirare palla a terra l'atletismo granata, per questo ha accettato la partita di Mazzarri, con la speranza di speculare sui difetti strutturali delle marcature a uomo. Non è andata bene, perché così come il Milan non ha la tecnica per mandare a vuoto il Torino nella prima circolazione, allo stesso modo non ce l'ha per sorprenderlo nell'ultimo terzo di campo.

Gli ospiti hanno finito per consegnarsi nelle mani degli avversari. Lo dimostra un dato semplice, il numero dei falli: 23 a 19 per i rossoneri, terzultimi in Serie A nell'apposita graduatoria e abituati a commetterne appena 11,8 a partita. Senza sapere come gestire la fisicità del Toro, il Milan si è mostrato più sgraziato nei duelli fisici, meno abituato a una gara così sporca, e questo è forse un paradosso se guardiamo Gattuso con la lente dei luoghi comuni su di lui, che per molti dovrebbe essere da allenatore quello che era da calciatore.

Il Torino invece, che spende 16,6 falli per match ed è primo nella statistica, li ha usati in maniera intelligente per spezzare il gioco e mantenere bassi i ritmi. Qualche fischio di troppo è arrivato per i tentativi di recuperare il pallone con i contrasti, ma in generale i padroni di casa intervenivano con una naturalezza nel corpo a corpo estranea ai milanisti: aver commesso meno falli in una partita così ricca di duelli è indicativo di una maggior conoscenza dell'arte del contrasto.

Il Torino insomma ha terrorizzato il Milan. Non è la prima volta d'altronde: chiunque in Serie A teme la fisicità degli uomini di Mazzarri. In un campionato in cui domina la paura e in cui, per questo, si rinuncia al pressing alto e a trame offensive sofisticate, è naturale che stia avendo successo la squadra che più di tutte riesce a incutere timore negli avversari e a mettere sul piano fisico.

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