Dopo tre stagioni tra Inghilterra e Spagna, quest’estate Lucas Torreira è tornato in Serie A. Un rientro mesto, per un centrocampista che aveva raggiunto la Premier come uno dei maggiori talenti del nostro calcio e sull’onda di un ottimo mondiale. Un giocatore per il quale tutti, in Italia, avremmo pronosticato un futuro radioso ad alti livelli, e che invece la scorsa estate non sembrava neanche voler giocare più in Europa: i problemi di Torreira avevano valicato il campo. Un anno fa era morta sua madre e il suo unico desiderio era stare vicino a suo padre: «Mia madre è scomparsa lo scorso marzo, dopo aver combattuto con il Covid in terapia intensiva. Avevo solo 25 anni e mi trovavo in Spagna, sono tornato subito in Uruguay. Ero in un incubo. Non volevo più tornare in Europa. Volevo mollare tutto, anche il calcio. Volevo solo stare a casa mia».
Aveva espresso il desiderio di giocare per il Boca, alla Bombonera, il suo sogno fin da bambino, in modo da ricongiungersi con la famiglia. Le richieste dell’Arsenal, però, erano troppo esose per gli argentini, e così Torreira è rimasto in Europa, tornando nella prima casa che lo aveva accolto e dove finalmente sembra rinato. Il centrocampista della Fiorentina ha ripreso il filo reciso tre anni fa riuscendo in pochissimo tempo a tornare il giocatore che avevamo imparato a conoscere con Pescara e Sampdoria, cioè uno dei migliori interpreti nel suo ruolo in Serie A.
Fatto per la Serie A
Non è casuale la sua affinità con il nostro calcio. Torreira era l’immagine di un sistema tipico solo della Serie A. Il rombo di Giampaolo, figlio dell’influenza di Sarri, era un modo unico di declinare alcuni principi del gioco di posizione: un possesso insistito, mai oltre i due tocchi, palla avanti-palla indietro, senza ampiezza, teso a valorizzare il regista, anche a costo di sacrificare con ricezioni scomode trequartisti di talento come Bruno Fernandes, Gaston Ramirez o Djuricic. Non esistevano sistemi analoghi nel resto d’Europa e nessun altro campionato ha prodotto in maniera seriale registi dai compiti così affini come Torreira, Jorginho, Valdifiori e Paredes – che negli anni, infatti, hanno dovuto diversificare il proprio gioco.
Torreira, quindi, come regista in grado di dettare il contesto con passaggi corti e ben ritmati – Angelo Ricciardi, qualche anno fa, lo aveva paragonato a «un grande batterista che non dà mai un colpo uguale ad un altro nonostante l’utilizzo di poche variazioni». Nel sistema di Italiano, però, se è ancora possibile vedere la maestria con cui Torreira gioca a uno o due tocchi, quello che viene risaltata è la qualità difensiva del suo calcio.
La Fiorentina infatti non è una squadra particolarmente ordinata in possesso e molto del suo volume di gioco passa dall’aggressività senza palla. L’acquisto di Torreira, arrivato con già Pulgar in rosa, teoricamente il titolare in quel ruolo, ha rappresentato un salto di qualità per i viola e anche per le possibilità del suo allenatore, che allo Spezia non aveva un calciatore con queste caratteristiche. Senza palla, non esiste in Serie A un metodista al livello di Torreira, e forse il discorso si può estendere a tutti i registi.
Per ritmo e verticalità, la Fiorentina gioca il calcio più estremo del campionato: l’uruguagio ha il compito di reggere l’impalcatura, in ogni fase del gioco. Il tocco di palla e la statura ce lo fanno spesso dimenticare, ma Torreira è capace di coprire il campo in maniera eccelsa, grazie a capacità di lettura e da incontrista veramente di altro livello.
La difesa in avanti di Torreira e il legame con Nico Gonzalez
Sono poche, in Serie A, le squadre abituate a portare tanti uomini sopra la linea della palla come la Fiorentina. In fase di attacco posizionale, non è raro vedere sei o sette uomini viola a ridosso dell’area rivale. Di solito, ad alzarsi sulla stessa altezza alle spalle della punta sono le due mezzali, le due ali e uno dei terzini. Dietro la linea della palla, rimangono i centrali, un terzino e Torreira, situazione potenzialmente pericolosa in caso di transizione offensiva avversaria: a volte basta un cross impreciso a restituire palla ai difensori e aprire il campo per una ripartenza contro soli quattro uomini. Se Italiano non ha paura di portare così tanti uomini nell’ultimo terzo di campo è anche perché Torreira offre uno spessore del tutto differente alla fase di riaggressione della Fiorentina. Il suo piatto forte, infatti, è la difesa in avanti. Se l’uruguagio rimane alle spalle dei giocatori offensivi, il suo compito è tamponare i possibili contropiede, con la prospettiva di recuperare subito palla e regalare una transizione offensiva corta ai suoi, o comunque di assestarne il possesso negli ultimi trenta metri.
L’ex Arsenal ha un mix di caratteristiche adatte a difendere in maniera proattiva, specie nei secondi successivi alla perdita. È innanzitutto una questione di cervello e abitudine. Cresciuto in contesti – Pescara di Oddo e Sampdoria di Giampaolo – dove in fase di non possesso le letture degli spazi e la posizione della sfera contavano più del riferimento sull’uomo, Torreira si sistema sempre in base a dove gli avversari possono recuperare palla e prevede in che direzione possano avviare la transizione. In questo modo c’è meno spazio da coprire in avanti. Così Torreira si sgancia dalla posizione di metodista e corre verso la trequarti offensiva a stroncare sul nascere eventuali ripartenze. Nelle riaggressioni di Torreira, oltre alle letture, sono evidenti anche le qualità atletiche, perfette per difendere in alto. I suoi scatti sono rapidissimi, è impressionante il modo in cui comprime gli spazi, anche di media lunghezza: 20 metri li divora in un battito di ciglia. La statura lo avvantaggia e non poco nel gegenpressing, anche perché in caso di retropassaggio, se c’è da spezzare la corsa, il baricentro basso gli permette di non risentire del cambio di direzione, di non perdere ritmo e portare l’aggressione ancora più in profondità, cambiando l’uomo da pressare.
Con la sua capacità di prevenire le transizioni, Torreira rende sostenibili sia il sistema di Italiano sia, più nel dettaglio, la presenza di Nico Gonzalez. L’ex Stoccarda è una scossa elettrica irrinunciabile per la rifinitura viola, a volte un po’ povera di soluzioni. L’argentino cerca sempre la giocata risolutiva, però deve sentirsi libero di rischiare, e quindi di sbagliare. Non è un caso che, secondo WhoScored, sia primo in rosa per dribbling falliti ogni 90’ (2,3; Saponara ne conta 2,4, ma ha totalizzato meno di 1000 minuti) e per palle perse ogni 90’ (3,6; Ikoné ne perde 4,3, ma non ha accumulato neanche 300 minuti). Spesso Nico parte da destra, a piede invertito, per convergere sul sinistro. Se perde il possesso entrando dentro al campo, rischia di regalare una ripartenza agli avversari tagliando fuori tutti i compagni sopra la linea della palla. Torreira, allora, deve raggiungere la zona in cui Nico ha perso il controllo per saltare addosso a chi ha il pallone ed evitare una transizione sanguinosa.
La rifinitura è la fase più problematica per la Fiorentina. Il livello tecnico non sempre permette di creare facilmente occasioni contro difese chiuse e a volte si appiattisce un po’ troppo sui cross. La produzione della Fiorentina, in altre parole, a volte è più quantitativa che qualitativa. La riconquista immediata del pallone, allora, è un’arma in più per generare occasioni e bypassare problemi di qualità. Torreira, in questo senso, è fondamentale per regalare possessi extra, creare transizioni corte ed aumentare il volume di occasioni della sua squadra. La sua capacità unica di portare pressione ha valore soprattutto a livello offensivo.
Non si tratta solo di un’alternativa, i suoi recuperi palla fanno parte in maniera organica della rifinitura viola. Nella concitazione successiva al possesso perso, è quasi sempre lui ad uscire vincitore dalle mischie, vuoi per l’impeto con cui arriva al contrasto, vuoi per il modo spigoloso con cui usa il corpo. Torreira può ingaggiare più contrasti nella stessa azione di pressing, e se in seguito ad un primo scontro va a terra, stupisce la reattività con cui si rialza e prova un secondo tackle, fino a ripulire definitivamente il pallone. Se c’è caos e la sfera non ha un vero padrone, l’uruguagio è il più ostinato di tutti, diventa veramente difficile scrollarselo di dosso. Torreira è come Nicky Santoro di Casinò: non importa quanto uno sia grosso, lui torna alla carica, e se lo salti ti conviene andar via, perché continuerà a tornare e tornare fino a quando uno di voi due non è morto.
Le abitudini di Torreira e le novità di Italiano
La rapidità delle gambe, unita al grande tempismo e alla capacità di tenere sempre le linee di passaggio coperte con la corsa, suggeriscono a Italiano di liberare Torreira in avanti non solo in fase di riaggressione, ma anche sul pressing alto. Contro la Juve in Coppa Italia, ad esempio, l’uruguagio lasciava la posizione di vertice basso per alzarsi direttamente su Arthur. Il brasiliano è uno specialista della protezione palla, abile a usare l’avversario come appoggio per ruotargli intorno. Eppure con Torreira ha avuto pochissimo margine di manovra. Se Torreira prende contatto, è difficile non farsi portare via la palla. Con quel fisico tozzo è in grado di insinuarsi dappertutto, di infilare le gambe tra quelle dell’avversario e di divellere la palla dai suoi piedi, fino a farlo finire per terra. Torreira non guarda in faccia nessuno, sotto la foga della sua pressione sono andati a terra calciatori ben più grossi del suo metro e sessantasei. Nonostante i centimetri, Torreira nel corpo a corpo non teme alcun confronto, può sovrastare giocatori di qualunque taglia.
Kessie gli rende quasi venti centimetri e almeno una ventina di chili. Eppure...
Guidare il pressing e definire l’altezza del baricentro non è una novità per lui, già abituato a farlo con Giampaolo. Italiano, però, gli ha ritagliato delle consegne nuove, che amplificano ulteriormente la sua centralità nella Fiorentina. Particolare, ad esempio, il modo in cui può trovarsi a difendere se la Fiorentina abbassa il blocco. Italiano può esasperare o meno il riferimento sull’uomo nella propria zona. Ci sono state gare in cui Torreira si è concentrato su un avversario per seguirlo anche lontano dal centro del campo. Contro l’Atalanta, ad esempio, fin quando è rimasto in campo si è occupato di Koopmeiners. L’olandese agiva da trequartista ma anche da punta, così Torreira si è trovato spesso in posizione più arretrata rispetto ai difensori Milenkovic e Igor: in alcuni spezzoni della partita, la difesa viola passava difatti a tre. Con un riferimento più marcato sull’avversario, il regista della Fiorentina si è prodigato in tentativi di anticipo davvero da centrale, dove ha fatto valere la propria ruvidezza nel corpo a corpo.
Per Torreira questo tipo di difesa è una novità. L’abitudine a concentrarsi sul pallone e a scivolare in orizzontale, invece che a uscire aggressivo in verticale, in un sistema che stava usando di più l’uomo come riferimento, ha rischiato di creare scompensi.
Sempre a proposito di nuove abitudini, rispetto ad un’interpretazione più ortodossa del ruolo di metodista, in fase di possesso Italiano chiede a Torreira di sganciarsi in avanti per raggiungere il limite dell’area. Spesso si ritrova anche in posizione più avanzata rispetto alle mezzali. È una variante che rende meno prevedibile il possesso viola, di solito attiva con il terzino in possesso: la palla è sull’esterno e allora la salita di Torreira offre una linea di passaggio verso il centro che gli avversari non si aspettavano di dover coprire. L’uruguagio, in carriera, non era mai stato così presente negli ultimi sedici metri. Emery aveva provato a farlo avanzare, ma non con questa frequenza ed efficacia; soprattutto, all’Arsenal partiva spesso da mezzala o in una coppia di mediani, non da vertice basso. Oggi Torreira è un centrocampista offensivo in più, spesso riempie l’area in occasione dei cross ed è in grado di decidere le partite, come domenica scorsa contro il Bologna.
Ancora una volta, l’uso di questo tipo di soluzione, dipende dalla sua capacità di garantire equilibrio difensivo. Se Italiano può permettere al suo metodista di alzarsi sopra la linea della palla, è perché il suo metodista, a differenza di molti pari ruolo, ha un dinamismo straordinario: Torreira, infatti, è rapido anche nei recuperi all’indietro, impiega poco a rientrare in posizione e magari a rinvenire in prima persona sull’uomo in possesso.
La varietà di modi in cui può interpretare la fase difensiva, unita ad un talento da regista di livello altrettanto alto, rendono Torreira un animale raro, di valore indiscutibile – Emery lo aveva riconosciuto, Arteta inspiegabilmente non lo ha mai considerato. Simeone non ci ha neanche provato.
Torreira offre eccellenti doti fisiche e di lettura in fase di non possesso. In più, le riveste di quella patina di coraggio che di solito conquista il cuore dei tifosi. Che si tratti di pressare o di recuperare in tackle, Torreira trasmette una sensazione di sacrificio estremo, di essere devoto alla causa fino alla morte. Forse è per l’incredibile capacità di mandare a terra a spallate avversari ben più corpulenti. O forse è per il suo modo di correre, col petto in fuori, una metafora del suo ardore, con quel torace sporgente come la carena di un volatile. O forse è per la nostra idealizzazione degli uruguagi, per l’immagine degli ultimi mondiali di Torreira disposto a mettere la testa laddove gli altri stavano mettendo la gamba.
Con Torreira alla Fiorentina, la Serie A ha ritrovato uno dei suoi figli prediletti. Se il sistema vive un momento di crisi economica, che allontana sempre di più i talenti e rende le squadre italiane subalterne in Europa, avere giocatori che solo il nostro calcio ha saputo svezzare e valorizzare è ancor di più un motivo d’orgoglio per la Serie A.