Antonio Conte guarda fisso il suo tablet, mentre con un dito schiaccia compulsivamente qualcosa sullo schermo. È ripreso di nascosto da uno smartphone inclinato, mentre è seduto al suo posto su un aereo che lo sta portando da Londra all’Italia. Lo sguardo è cupo, la mascella serrata; solo poche ore prima ha rilasciato alcune delle dichiarazioni più dure della sua carriera, diventate la pietra tombale sulla sua esperienza al Tottenham.
Come se sentisse un’urgenza dal profondo, sabato Conte si è seduto al suo posto davanti ai microfoni in sala stampa e ha parlato a ruota libera per quasi 10 minuti. Col suo inglese carico di inflessione italiana ha bruciato tutto. In carriera non è nuovo a dichiarazioni polemiche, sbrocchi improvvisi, travasi di bile, ma mai fino ad ora era stato così diretto e violento verso i suoi calciatori. In un impeto di rabbia seguito un pareggio 3-3 con il Southampton ultimo in classifica, con due gol subiti negli ultimi minuti, Conte li ha definiti «egoisti», accusandoli di giocare «solo per loro stessi», di non mostrare «nessun senso di appartenenza». Se la società ha responsabilità per il mercato e gli allenatori hanno le loro, «Dove sono i giocatori?» si è chiesto. La risposta è arrivata subito dopo: «sono abituati così, non giocano per qualcosa di importante, non vogliono giocare sotto pressione. È facile in questo modo: la storia del Tottenham è questa, da 20 anni non hanno mai vinto qualcosa».
Cosa pensare di un allenatore che attacca così duramente i suoi giocatori? Che abdica al suo ruolo in maniera così disarmante? Negli ultimi mesi al Tottenham abbiamo scoperto un Conte diverso, più oscuro, meno battagliero. È stato strano vederlo così, rinunciatario, fiaccato nello spirito e nel corpo. È difficile indagare le ragioni di questo crollo, che sembra molto differente da altri matrimoni finiti all’improvviso. Allenare ad alto livello deve essere un’esperienza usurante, soprattutto per uno con la sua intensità, ma sembra esserci qualcosa che va oltre la stanchezza, un’ombra cupa che lo accompagna.
È stata una stagione dura per Conte, anche se all'inizio non sembrava. Alla fine della seconda giornata, dopo un 2-2 contro il Chelsea, si è scontrato con Thomas Tuchel nel modo più Antonio Conte possibile, per una presa di mano che era durata troppo a lungo. È strano che quel momento faccia parte della stessa stagione che stiamo vivendo adesso, che Conte sembra il simulacro di se stesso. Forse hanno inciso i suoi problemi personali. A ottobre all’improvviso, è venuto a mancare il suo storico preparatore atletico Gian Piero Ventrone, stroncato da una leucemia fulminante che lo ha portato via in pochi giorni. Lui e Conte si erano conosciuti quando era ancora un calciatore della Juventus e poi avevano lavorato insieme al Bari, Atalanta e Siena, prima di ritrovarsi a Londra.
Ventrone era riconosciuto come una figura carismatica all’interno dello spogliatoio. Kane lo aveva definito «un uomo straordinario», Son lo ringraziava spesso per i suoi «consigli di vita», addirittura Richarlison diceva che «era stato fonte di ispirazione». Due giorni dopo la sua morte il Tottenham era sceso in campo contro il Brighton e Conte aveva pianto durante il minuto di silenzio. «Questa situazione mi ha colpito molto sotto l’aspetto emotivo» aveva detto dopo la partita, «Difficile nascondere i miei sentimenti ai giocatori, alle persone che lavorano con me».
A metà dicembre era stata invece la morte di Sinisa Mihajlovic a colpirlo. I due erano molto amici e l’ex allenatore del Bologna, prima di peggiorare, aveva in programma un viaggio di aggiornamento in Inghilterra, proprio per andare a trovare Conte. Il tecnico l’aveva salutato su Instagram: "Guerrieri si nasce e tu lo sei sempre stato in campo come nella Vita. Buon viaggio Sinisa". Pochi giorni dopo invece era venuto a mancare Gianluca Vialli, un uomo con cui Conte aveva diviso alcuni dei migliori anni della sua carriera alla Juventus. Una morte che ha colpito tutto il mondo del calcio, ma che per l’allenatore del Tottenham deve essere stata particolarmente significativa, come si capisce dallo struggente saluto dedicatogli.
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La perdita, nel giro di pochissimo tempo, di tre persone care ha portato Conte «a una riflessione profonda sul mio futuro», come confidato in un’intervista al Guardian. «Molte volte diamo troppa importanza al lavoro e dimentichiamo famiglia e amici. Dimentichiamo che dobbiamo avere più tempo per noi» ha continuato. Parole che è stato strano sentir pronunciare a Conte, un uomo che ha fatto dell’ossessione per il lavoro il segreto del suo successo. Conte ha raccontato di sentire la mancanza della moglie e delle figlie, che sono rimaste in Italia mentre lui è a Londra, ma dalle sue parole traspare qualcosa di più urgente. Inevitabilmente Conte deve aver iniziato a riflettere sulla sua di mortalità, dopotutto Vialli, Ventrone e Mihajlovic hanno condiviso una parte della loro vita con lui e avevano un’età simile. «Quando lavori e il lavoro è al primo posto [...] ci dimentichiamo di stare con la famiglia e gli amici. Questa è la nostra passione e per la passione abbiamo perso molte cose [...] forse è bene dedicare più tempo alla tua famiglia e ai tuoi amici, e anche a te stesso. Il lavoro non è tutto nella vita».
Ovviamente queste dichiarazioni hanno fatto pensare che tra lui e il Tottenham fosse finita, che avesse nostalgia dell’Italia. Nei giorni precedenti Conte aveva fatto trapelare tutta la sua insoddisfazione per la stagione. Dopo una sconfitta con l’Aston Villa aveva parlato di «sesto, settimo posto». La richiesta di investimenti, «almeno due top player a stagione» era tornata a essere insistente, così come la necessità di creare un contesto vincente: «Le persone pensano che arrivi e vinci. Questo può succedere per una squadra abituata a vincere. Ma se non lo sei, devi creare i presupposti. E per farlo ci vuole tempo».
Se dichiarazioni simili non sono nuove per lui, ad accompagnarle c’era meno furore del solito, meno speranza di vedere esauditi i suoi desideri e più voglia di mettere le mani avanti. Nei giorni successivi sono arrivati quelli che poi saranno definiti “pesanti dolori addominali” a seguito dei quali Conte è stato costretto a sottoporsi a un’operazione di colecistectomia. Un altro colpo, questo fisico. L’allenatore ha dovuto rinunciare alla quotidianità del campo, lasciare l’onere a Stellini, il suo secondo. Conte era tornato per vedere il Tottenham perdere 4-1 con il Leicester e poi subito dopo 1-0 col Milan, nell’andata degli ottavi di Champions League. Dopo la partita l’allenatore non era tornato con la squadra a Londra, ma era rimasto in Italia per un periodo di pausa. «Ho sottovalutato l'intervento. Il mio fisico ne ha risentito e ora sono costretto a fermarmi nuovamente fino al mio totale recupero» aveva scritto sui propri canali social, quasi a giustificarsi.
Conte aveva seguito dall’Italia il brutto stop contro lo Sheffield in FA Cup, l’ennesimo trofeo sfuggito per una squadra che sembra non poterne vincere mai, prima di tornare, e quello in Premier con il Wolverhampton. Era tornato in panchina per il ritorno in casa contro il Milan, una partita che ha confermato in maniera lampante come in questa stagione il Tottenham sembra avere solo i difetti di Conte (un brutto rapporto con l’Europa, un gioco stitico) e nessun pregio. A White Hart Lane erano arrivati anche i primi fischi per Conte, un allenatore invece abituato ad aizzare la folla invece che subirla. Dopo l’eliminazione l’allenatore aveva parlato praticamente da allenatore esonerato, sottolineando la differenza storica tra i due club - uno tra i più titolati al mondo, l’altro tra i meno - e confermando in qualche modo l’idea per cui è impossibile essere vincenti al Tottenham, una tesi sostenuta prima o poi da tutti gli allenatori che sono passati in panchina negli ultimi anni. Nello stesso momento, intanto, Richarlison lo accusava di averlo preso in giro, di avergli promesso che avrebbe giocato per poi metterlo in panchina. Anche il rapporto coi giocatori, per la prima volta, è diventato problematico per Conte, uno che finora era stato raccontato come molto schietto, capace di trattare in maniera onesta anche chi non rientrava nei suoi piani.
Neanche un anno fa, battendo l’Arsenal di Arteta 3-0 e superandolo in classifica, sembrava che la Premier League fosse il posto di Conte. Che il suo calcio adrenalinico mandasse ancora a scuola le nuove scuole tattiche del campionato inglese. Sembra passata una vita da quel giorno: oggi Arteta è considerato a livello di Klopp e Guardiola, mentre Conte sembra già il passato, superato anche da De Zerbi nella considerazione per gli allenatori italiani in Inghilterra. Certo, non è un caso che sia successo al Tottenham, un club che forse è davvero inallenabile, eppure è impossibile non vedere come qualcosa si sia spezzato in Conte.
Forse è solo stanchezza o una stagione difficile, ma oggi sembra essere rimasto pochissimo dell'allenatore che ha risollevato squadre e ravvivato spogliatoi. È difficile immaginarlo a breve su un'altra panchina, lui che odia stare fermo, ma forse è anche difficile pensare che qualche squadra di altissimo livello possa pensare a lui. Conte sembra arrivato a uno stallo. E anche se al momento sembra un'esagerazione, negli ultimi giorni è apparso talmente stanco e svuotato che vale la pena chiederselo: il Tottenham è stato l'inizio del suo declino?