Ci sono svariati motivi per non perdersi il Tour de France 2024. Il primo, che è solo un antipasto, è la storica partenza dall’Italia per omaggiare il centenario dalla prima vittoria al Tour di Bottecchia (1924-1925) e le successive vittorie di Bartali (1938-1948), Coppi (1949-1952), Nencini (1960), Gimondi (1965), Pantani (1998), Nibali (2014).
L’edizione 111 del Tour de France vedrà anche per la prima volta nella storia un inedito arrivo a Nizza per dare riposo alla capitale Parigi in vista delle Olimpiadi estive. E lo farà con un inusuale arrivo a cronometro, peraltro molto dura, tra il Principato di Monaco e Nizza.
Christian Prudhomme, direttore del Tour de France, ha dichiarato che: «Questo Tour de France ha un sapore unico che risuona in una eredità lontana, quella del Generale Giuseppe Garibaldi che affermava: “Sono Nizzardo, dunque né italiano, né francese”. Il padre dell’unità d'Italia, che ha anche combattuto nei ranghi dell’esercito francese nella guerra franco tedesca del 1870, si sarebbe dunque potuto riconoscere nell’epopea che i ciclisti avranno di fronte».
Abbiamo presentato questo Tour de France anche in Fuori Tempo Massimo, il nostro podcast sull'attualità del ciclismo condotto da Umberto Preite Martinez e Gabriele Gianuzzi.
Tralasciando i confini, i generali, le guerre e i corsi e i ricorsi storici che abbiamo di fronte, questo Tour de France ha nel suo piatto forte la lotta tra i pesi massimi del ciclismo attuale. Tadej Pogačar e Jonas Vingegaard entrambi a quota due Tour de France, l’astro nascente Remco Evenepoel e il re dell’ultimo chilometro Primoz Roglič. Una sfida annunciata a inizio anno che ha avuto percorsi di avvicinamento diversi e che a un certo momento della stagione sembrava avessimo potuto perdere ma che invece è tornata in tutto il suo splendore e ora è qui di fronte a noi.
Abbiamo quindi provato a rispondere a dieci domande per arrivare preparati alla partenza di domani.
Cosa ci dice il percorso?
Il percorso del Tour de France 2024 si presenta leggermente meno duro di quello dell’anno scorso ma comunque più duro della media dei percorsi dell’ultimo decennio. Saranno 27 i Gran Premi della Montagna dalla seconda categoria in su da scalare (30 nel 2023, 23 nel 2022) con più di 52mila metri di dislivello (circa tremila in meno rispetto all’anno scorso). Si arriverà più in alto - nel menù la Cime de la Bonette (la strada asfaltata più alta d’Europa con i suoi 2.802m di altezza) - ma meno spesso o comunque più lentamente. In generale ci sono molte salite con meno pendenze dure e ascese più lunghe e graduali.
Il primo giorno di gara più duro della storia del Tour de France (3.600 metri di dislivello) sarà seguito da una giornata interessante con la Gallisterna e il doppio passaggio sul San Luca. Alla quarta tappa avremo una cima mitica come il Col du Galibier, seppur dal suo lato “facile” intermezzato dall’eterno ma poco ripido col du Lautaret e preceduto da un passaggio sopra i 2.000 metri al Sestriere e poco sotto i 2.000 al Montgenevre. C’è insomma terreno per fare molto male nei primi quattro giorni di gara.
Gli sprinter, già chiamati in causa nella tappa 3, nonostante un non così semplice passaggio nel Monferrato tortonese e astigiano e nelle Langhe, avranno terreno per i propri denti nelle successive due tappe. La tappa 7, tra i vigneti storici e pregiati della Borgogna avrà la prima cronometro di questo Tour. Lunga 25,4 chilometri sarà caratterizzata da una côte non troppo complicata a circa metà percorso ma sarà seguita da una discesa tecnica. Le stradine strette lungo tutto il percorso potrebbero fare la differenza.
Nei due giorni seguenti il Tour raggiungerà il suo punto più a nord della Francia con due tappe mosse e molto insidiose. Specialmente la tappa 9 di domenica vedrà tra gli sterrati intorno a Troyes il punto di interesse maggiore: 14 tratti di sterrato per un totale di 32 chilometri su 199 di gara sono qualcosa di molto interessante anche in ottica classifica generale. Compressa tra le tappe 10-12-13 per velocisti, la tappa 11 potrebbe essere la tappa delle sorprese grazie alle salite tra i vulcani dell’Alvernia, specialmente gli ultimi 50 chilometri saranno molto golosi. La seconda settimana si conclude nei Pirenei con le tappe 14 e 15. La tappa 14 è corta, nervosa e carica nel finale con la prima salita importante di giornata al mitico Col du Tourmalet, la tappa 15 è più lunga con molti risciacqui tra una salita e l’altra ma non per questo meno interessante.
Se il martedì successivo, durante la tappa numero 16, il vento non guasterà i piani dei velocisti, assisteremo all’ultimo sprint di questo Tour de France perché da lì in poi sarà un lungo festival alpino. SuperDevoluy e il complicato arrivo di Barcelonnette apriranno l’ultima grande battaglia della classifica generale con l’arrivo a Isola 2000 nella tappa 19 (occhio al col du Vars forse la salita più dura di questo Tour), l’arrivo al Col de la Couillole dopo Braus, Turini e Colmiane nella tappa 20 e infine la dura cronometro con La Turbie e il Col d’Èze che potrebbero rivelarsi più indigeste del previsto.
La cronometro posta l’ultimo giorno di gara è probabile che blocchi un po’ la corsa ma la tappa 19 presenta tre passaggi sopra i duemila metri e salite da più di un’ora di sforzo. Anche senza attacchi, la differenza emergerà.
Venerdì 19 luglio, se volete cominciare a segnarvelo sul calendario.
Cosa serve a Pogačar per fare la doppietta Giro-Tour?
Dopo il trionfo al Giro d’Italia, tutti gli occhi sono puntati su Tadej Pogačar. Lo sloveno ha vinto le edizioni 2020 e 2021, ed è arrivato secondo nel 2022 e 2023, battuto solo da Jonas Vingegaard mentre tutti gli altri avversari si dimostravano incapaci anche di mettersi in mezzo a quel duello titanico. Quest’anno però la preparazione di Pogacar sta seguendo perfettamente il copione prestabilito a inizio stagione: poche corse prima del Giro, la vittoria della maglia rosa e un altro lungo periodo di allenamento senza corse per arrivare abbastanza freschi al Tour de France.
L’obiettivo è centrare la doppietta Giro-Tour che nessuno riesce a fare dal 1998, quando fu Marco Pantani a iscrivere il suo nome in un ristrettissimo club composto da Coppi, Anquetil, Merckx, Hinault, Roche e Indurain. Un’impresa complicatissima, riuscita nella storia appunto solo a poche persone, pochi immensi campioni del ciclismo del passato. Tadej Pogačar vuole provare a ripetere quelle imprese, ovviamente forte dei nuovi metodi di allenamento che consentono di arrivare preparati alle gare anche senza dover rifinire la condizione in corsa, consentendogli di arrivare al Tour con molti meno giorni di gara rispetto a quanto si poteva ipotizzare in passato. Arrivare quindi meno logorato, con una preparazione fisica più “scientifica” se vogliamo usare questo termine.
La vittoria al Giro potrebbe aver lasciato delle scorie nel suo corpo, come sarebbe ovvio; ma il dominio così netto e mai in discussione di Pogacar sui suoi avversari può invece aver fatto sì che lo sloveno arrivasse a Roma con meno fatica nelle gambe - e nella testa - di quanto sperano i suoi avversari al Tour. Ovviamente la sua tenuta sulle prossime tre settimane è un mistero: Pogacar non ha mai affrontato due grandi giri nella stessa stagione in carriera, nemmeno distanziati come Giro e Vuelta; e non è quindi una situazione banale o scontata quella che si troverà ad affrontare. Certo è che i suoi principali avversari - Roglic ed Evenepoel - non sembrano attualmente essere al suo livello; e Jonas Vingegaard, l’unico in grado di batterlo dal 2020 in un grande giro, è reduce da un infortunio gravissimo e la sua condizione è ancor più avvolta nel mistero.
Nella conferenza stampa prima dell’inizio Pogačar ha ammesso di essersi allenato come voleva e di sentirsi bene ma che le ultime settimane sono state complicate. Dopo una settimana di relax alla fine del Giro è andato a Isola 2000 per gli allenamenti in altura ma ha dovuto viaggiare in Slovenia per la morte del nonno. Al ritorno, circa dieci giorni fa ha avuto anche il covid, non più forte di un brutto raffreddore ma c’è stato. Insomma, dice di sentirsi bene ma l’avvicinamento non è stato rose e fiori come voleva.
Come sta Vingegaard?
Quanti avrebbero scommesso sul rientro alle corse di Jonas Vingegaard al Tour de France? Il suo percorso di recupero è stato lungo, delicato ma costante e senza sosta. Dopo dodici lunghi giorni nell’ospedale di Vitoria/ Gasteiz, ha affrontato il rientro in Danimarca dove i primi esercizi sono stati di stretching e rinforzo muscolare. Alla fine di aprile un dolce approccio alla bici, prima in casa e in seguito all’aperto, gli ha permesso di ricominciare a prendere confidenza con il mezzo lontano dalle pressioni mediatiche e vicino alla sua famiglia. È seguito il periodo a Mallorca dove il danese ha iniziato a macinare chilometri in un luogo perfetto: bel clima, strade movimentate, qualche salita ripida e la giusta atmosfera rilassata di un’isola ancora lontana dalla sua alta stagione.
Il suo preparatore Tim Heemskerk ha dichiarato a L’Équipe: «Cerchiamo di aumentare la sua resistenza, aggiungendo ore e intensità ma non è ancora in grado di compiere un allenamento completo da cinque ore e quindi lo spezziamo in più sessioni». Rispetto alla preparazione abituale al Tour, dove il danese era abituato a tre giorni duri seguiti da uno più semplice, Vingegaard ha dovuto seguire un ritmo inferiore: due giorni duri e un giorno più rilassato.
Infine Tignes, altura, uno dei comuni più in alto d’Europa, dove la sua squadra prepara regolarmente i grandi appuntamenti della stagione. Qui Vingegaard si è potuto allenare anche con i compagni di squadra che l’avrebbero accompagnato nell’avventura del Tour de France. Quella che a tutti gli effetti potremmo definire una cronometro a squadre, di tutta la squadra, per potergli permettere di essere al via da Firenze. Rispetto al programma di inizio stagione Vingegaard ha perso un blocco di allenamento in altura a Sierra Nevada e il Delfinato. È molto probabile che questi buchi si faranno sentire ma la motivazione che lo ha spinto fino a Firenze lo accompagnerà per tutto il Tour de France.
Nella conferenza stampa della vigilia, Jonas Vingegaard ha espresso i suoi sentimenti riguardo a questo periodo: «È stato il momento più duro della mia carriera. Ho pensato solo a lottare per tornare e a non piangermi addosso. La mia famiglia mi è stata molto vicina e la squadra anche. Abbiamo strutturato un piano di supporto. La parte più difficile è stata tornare al livello di prima. Perché una cosa è uscire in bici e altra cosa è allenarsi. Sono contento di essere al via. Per me è già una vittoria essere qui. Non so se sia possibile vincere. Ho fatto molto lavoro, mi sento bene, ma a partire da qui è tutto un bonus».
Che speranze hanno Evenepoel e Roglič?
Fra i due litiganti proveranno a infilarsi altri due scomodi pretendenti alla maglia gialla. Il primo è Roglič, uno che il trionfo al Tour l’ha sfiorato nel 2020 dopo averlo assaporato per tre settimane. Dopo quel tonfo non è più davvero riuscito - per un motivo o per l’altro - a rendersi protagonista alla Grande Boucle. Quest’anno però ha cambiato squadra, abbandonando la Visma per diventare il nuovo uomo-simbolo della Red Bull che ha preso possesso di quella che fu la Bora-Hansgrohe.
Nella sua nuova squadra, Roglič è finalmente di nuovo il capitano unico e indiscusso. L’abbiamo visto al Delfinato poche settimane fa, quando Jai Hindley e Alexander Vlasov hanno messo da parte le loro ambizioni personali mettendosi a lavorare per Roglic - e spianandogli la strada verso la vittoria. La squadra è buona, quindi, e appare anche compatta e tatticamente preparata tanto da ricordare quella Jumbo-Visma che nel 2020 addormentò il Tour de France. Il percorso gli si addice, l’avvicinamento è stato migliore del previsto dopo la caduta di aprile al Giro dei Paesi Baschi. Però la vittoria al Delfinato è arrivata in modo un po’ scialbo, Roglic ha vinto ma non ha pienamente convinto. Ha lasciato anzi la sensazione di non essere più in grado di fare davvero la differenza sulle montagne limitandosi quindi a controllare la corsa con i suoi gregari di lusso e poi regolare il gruppetto dei superstiti allo sprint.
Se per Roglič quindi l’età avanza inesorabile - 35 anni quest’anno - per l’altro pretendente è ancora un numero a cui si guarda con il sorriso. Remco Evenepoel ha compiuto 24 anni a gennaio, sta entrando quindi nel pieno della sua maturità fisica ed è lecito aspettarsi anche nei grandi giri un salto di qualità che nelle classiche ha già fatto da tempo. Certo, ha vinto la Vuelta nel 2022, ma nel corso della sua carriera il suo rapporto con i grandi giri non è stato di certo idilliaco: al Giro 2021 si presentò all’esordio dopo il bruttissimo incidente dell’agosto 2020 e non riuscì mai a ingranare; al Giro 2023 stava andando forte prima che il covid lo fermasse sul più bello; alla Vuelta di quell’anno si presentò quindi solo come ripiego per salvare una stagione complicata, finendo per sbattere la testa contro il muro - metaforicamente parlando.
È il suo primo Tour de France, fattore che potrebbe comunque incidere. L’avvicinamento non è stato dei migliori nemmeno quest’anno: è caduto anche lui ad aprile al Giro dei Paesi Baschi rovinandosi la primavera, poi qualche malanno di troppo nelle ultime settimane che hanno rallentato la sua preparazione. Ha dalla sua parte i quasi 60 chilometri a cronometro, specialità nella quale è sempre andato fortissimo, e un percorso abbastanza atipico e con pochi tapponi veri e propri in cui in passato aveva sofferto più del dovuto. Vedremo.
Quanto conteranno le squadre?
In un Tour de France in cui i quattro favoriti sono così traballanti, un ruolo chiave potrebbero giocarlo le squadre. Sia per supportare al meglio eventuali flessioni dei capitani, sia per giocare di tattica qualora la situazione lo dovesse richiedere. La strategia della Bora di Roglič sarà molto chiara: tenere chiusa la corsa il più possibile e poi sfruttare il lavoro di Vlasov e Hindley per tenere alto il ritmo e impedire gli scatti fino alla fine. La squadra per farlo ce l’hanno, ma il problema è che la UAE vorrà invece far saltare il banco molto presto. Pogacar ha tanti nomi a disposizione per imporre il proprio canovaccio tattico e probabilmente il piano sulle grandi montagne sarà alzare il ritmo da subito con Soler o Wellens, poi strigliare ancora con Almeida prima di dare le due frustate conclusive con Ayuso e Adam Yates. Il britannico sarà probabilmente l’ultimo uomo di Pogacar ed è in effetti il suo gregario più fidato in una squadra che sulla carta è perfetta ma nella pratica rischia di essere una polveriera: Soler in passato è stato una bella gatta da pelare per le sue squadre, Almeida soffre molto il suo ruolo di gregariato e approfitterà di qualsiasi occasione per prendersi i suoi spazi; Ayuso è giovane ma molto ambizioso. Insomma, Yates alla fine è quello che più di tutti ha accettato il suo ruolo subalterno all’interno della UAE di Pogacar e sarà sicuramente l’uomo più prezioso per lo sloveno.
Yates, in maglia gialla, trionfa in parata con Almeida al Tour de Suisse pochi giorni fa. La UAE ha dominato la corsa a tappe svizzera schierando tutti gli uomini che dovranno supportare Pogacar al Tour de France.
Dall’altra parte la Visma ha perso invece anche Sepp Kuss, mentre Van Aert ha avuto una stagione tormentata e non sarà probabilmente il solito carro armato. Matteo Jorgenson è quindi l’unica vera alternativa se le cose per Vingegaard dovessero mettersi male, anche se poi le tre settimane non sono proprio il terreno di caccia preferito dallo statunitense. Landa sarà invece l’uomo chiave per le sorti di Remco Evenepoel, per il quale la Soudal Quick-Step sta gradualmente costruendo una squadra adatta a dare l’assalto a un grande giro.
Altrove invece bisognerà tenere d’occhio le strategie della Ineos: Carlos Rodriguez è il nome forte dei britannici, Tom Pidcock ha dichiarato in conferenza stampa che punterà alle vittorie di tappa ma che non perderà del tempo appositamente per uscire di classifica; Bernal è tornato su buoni livelli ma è tutto da verificare e Thomas ha dichiarato che vorrà aiutare la squadra e perché no cercare una fuga buona. Il gallese ha dichiarato che non sarà la INEOS del passato con il trenino ma piuttosto cercherà di sfruttare il fatto di non essere favorito per essere nelle fughe giuste e poter essere d’aiuto ai compagni quando la corsa entrerà nel vivo. Se le gambe di tutto il team dovessero iniziare a girare bene, ci sarà da divertirsi.
Chi dobbiamo seguire con più attenzione al di fuori di questi quattro favoriti?
Il bello di questo Tour de France è che oltre ai già citati c’è un nutrito gruppo di ciclisti che, almeno all’inizio puntano alla classifica generale. In varie forme, la maggior parte di loro vede in un posto nei primi cinque/dieci classificati una grande occasione di crescita e/o di riscatto.
Felix Gall, per esempio, che ha sperimentato un approccio al Tour de France diverso dall’anno scorso perché aveva trovato molto duro il periodo tra il Tour de Suisse e l’inizio del Tour de France. Quest’anno dice di arrivare fresco perché è stato più scarico seppur inserendoci una settimana di altura. Avrà più responsabilità quest’anno ma, dice lui: «anche più fiducia in me stesso. So che cosa sono capace di fare e che cosa è possibile fare». La sua squadra, in effetti qualche responsabilità in più gliel’ha data e mica poca. Il direttore Vincent Lavenu ha dichiarato in conferenza stampa che l’obiettivo è la top 5 e che questo comporta lottare contro i quattro citati sopra. Secondo Gall la lotta si aprirà dal primo giorno e crede che uno dei fattori determinanti sarà il caldo: «Perché nessuno è già abituato alle temperature che si prospettano davanti a noi».
Poi c'è Enric Mas. Quest’anno ha cambiato vita diventando papà ma ha lo stesso obiettivo di sempre: vincere al Tour de France. Ora, in questi anni non è che questo obiettivo gli abbia calzato a pennello però non gli è andata neppure così male. È un corridore solido: nelle undici partecipazioni nei grandi giri fatte in carriera in due occasioni si è ritirato (gli ultimi due Tour de France), due volte è finito fuori dalla top 10 (il primo Tour e la prima Vuelta) e in ben 7 occasioni ha centrato la top 10, tre volte arrivando a podio. Sono numeri che danno l’idea della regolarità dell’atleta maiorchino. E la regolarità in un grande giro conta molto, se non tutto. Questa stagione non ha brillato, per usare un eufemismo, ma al Tour de Suisse ha dimostrato di essere in crescita. Potrebbe arrivare un nuovo piazzamento in top 10?
Santiago Buitrago ha il sogno di correre il Tour de France. Quest’anno non solo debutterà ma lo farà da leader della sua squadra, che quest'anno è una grande squadra. Jack Haig e Wout Poels potranno dargli la tranquillità di avere due spalle esperte in montagna. Pello Bilbao, che partirà con il co-capitanato, sarà la sua spalla nei momenti più delicati. L’alta montagna non lo spaventa e in questo Tour de France farà la differenza, e sembra aver fatto anche dei miglioramenti sulla cronometro, che è il suo storico punto debole.
Richard Carapaz, infine, ritorna al Tour dopo averlo abbandonato troppo presto l’anno scorso, alla seconda tappa. Quest’anno ha vissuto una stagione di alti e bassi e la squadra costruita dalla EF sembra dirci che la fiducia in lui non è totale. Ci sono infatti più cacciatori di tappa che gregari veri e propri. Si può argomentare che per una squadra come la EF la necessità di gregari sia limitata: perché portare qualcuno che verosimilmente si staccherà prima se puoi sfruttare il lavoro delle squadre o dei tuoi avversari? Per lottare con i migliori la necessità principale saranno le gambe. Vedremo se saranno quelle degli anni migliori.
Cosa aspettarsi da Van der Poel e Wout Van Aert?
Quello fra il belga e l’olandese è un duello che va avanti da tanti anni, fra strada e ciclocross. Van der Poel ha spesso mostrato di essere superiore al rivale quando si tratta delle corse di un giorno, ma Van Aert dal canto suo si è sempre rivelato un elemento preziosissimo per la squadra al Tour de France, sia quando c’era da lavorare in salita sia per le vittorie di tappa in volata o con azioni da classicomane duro e puro. Il dibattito quindi si riaccende quando si avvicina il Tour: meglio la completezza di Van Aert o il talento brutale di Van der Poel?
L’anno scorso l’olandese si è riscoperto anche un fenomenale apripista per il suo velocista di punta, Jasper Philipsen. Quest’anno si presenta al Tour de France con la maglia di campione del mondo sulle spalle e forse questo dettaglio lo dovrà spingere a cercare di mettersi in mostra anche in prima persona. L’obiettivo però è arrivare in forma alle Olimpiadi di Parigi, quindi potrebbe prevalere un po’ di prudenza. I suoi obiettivi dichiarati sono quelli di vincere una tappa - si accontenta di poco, evidentemente - e poi aiutare Philipsen nelle volate di gruppo. Le occasioni per vincere però sono poche per un uomo dalle sue caratteristiche. Le prime tappe italiane sono troppo dure, più probabile che lo vedremo prendere l’iniziativa sugli sterrati di Troyes alla tappa 9. Per il resto non credo sia possibile aspettarsi molto di più da Van der Poel.
Wout Van Aert invece arriva al Tour con tanti punti interrogativi sulla testa dopo una primavera condizionata da una brutta caduta alla Dwars door Vlaanderen - semiclassica belga di fine marzo. È rientrato a maggio al Giro di Norvegia prima del quinto posto ai campionati nazionali in linea. Se Vingegaard starà bene è certo che lo vedremo là davanti ad aiutare il suo capitano, rinunciando del tutto forse alle sue ambizioni personali. Se invece dovesse avere carta bianca, potrebbe lanciarsi in qualche sprint di gruppo o cercare anche lui la fortuna nella tappa di Troyes.
Chi la spunterà invece fra i velocisti?
Il Giro d’Italia appena passato ci ha fatto vivere delle intense sfide fra alcuni dei migliori velocisti al mondo, come Milan o Tim Merlier. Il Tour de France come da tradizione però non sarà da meno da questo punto di vista. Pur mancando il vincitore della maglia Ciclamino del Giro - che è in fase di preparazione delle Olimpiadi di Parigi dove dovrà difendere il titolo nell’inseguimento a squadre - ci sono altri grandi nomi nella startlist. Il faro delle volate sarà ovviamente Jasper Philipsen, vincitore di quattro tappe e della classifica a punti al Tour dell’anno scorso. Anche quest’anno sarà pilotato da Mathieu van der Poel, un lusso che nessun altro può vantare. Cavendish ha il sempreverde Michael Mørkøv che cercherà di condurlo alla vittoria che gli manca per scavalcare Eddy Merckx in cima alla classifica dei ciclisti con più vittorie di tappe al Tour; ma gli anni d’oro della coppia Astana sono ormai alle spalle e sarà molto complicato per loro contrastare la concorrenza, anche fosse solo per una singola vittoria di tappa.
Per battere Philipsen quindi forse dobbiamo puntare sul giovane toro della Lotto Dstny, Arnaud De Lie. Il classe 2002 è alla prima esperienza in una grande corse a tappe perché la sua squadra finora l’ha da una parte preservato per farlo crescere con calma e senza pressioni; dall’altra l’ha sempre spedito a caccia di punti per la classifica UCI nelle corse minori mentre gli avversari più blasonati se le davano di santa ragione nei grandi giri. Il salto di livello sarà quindi tutto da vedere, ma De Lie ha un talento sconfinato, fa della tenuta su sprint molto lunghi il suo punto di forza più che nella velocità di punta. La settimana scorsa ha battuto Jasper Philipsen in una volata lunghissima ai Campionati Nazionali del Belgio, ma lì il capitano della Alpecin non poteva contare sul supporto di Van der Poel che in quanto olandese non poteva ovviamente essere presente.
In Olanda invece a vincere il titolo nazionale ci ha pensato Dylan Groenewegen, velocista di punta del Team Jayco AlUla, capace di avere la meglio su Olav Kooij. Arriva al Tour con una squadra da dividere con Simon Yates ma ha a disposizione uomini in grado di pilotarlo nei finali di tappa. Ovviamente dovrà cercare di sfruttare il lavoro altrui, magari piazzandosi bene nei treni battezzando la ruota giusta. Un altro che dovrà muoversi in questo modo è Biniam Girmay, corridore più atipico, meno velocista puro rispetto agli altri. Così come Mads Pedersen, che probabilmente proverà spesso a partire lungo, anticipando le mosse degli avversari per sfruttare la sua abilità nel rilanciare l’azione su distanze più lunghe.
Le speranze francesi sono ancora una volta affidare a Coquard e Démare, che partono però un po’ più indietro rispetto ai nomi che abbiamo fatto in precedenza. Così come il tedesco Ackermann o l’irlandese Sam Bennett, due che dopo qualche anno difficile sono tornati su buoni livelli. Sam Bennett è molto contento di essere di nuovo sul Tour de France dopo molto tempo e vuole ringraziare la sua squadra per avergli dato fiducia vincendo una tappa. Quest’anno ha corso bene ed è in forma, come tutta la sua Decathlon.
A proposito di speranze francesi: può essere l’anno della prima vittoria al Tour per la Arkea B&B Hotels?
Le squadre francesi alla partenza di questo Tour de France si presentano tutte con l’ambizione di dare battaglia dal primo all’ultimo giorno con l’intenzione di vincere il maggior numero di tappe possibili. La Groupama ha David Gaudu per la generale e Lenny Martinez a fare da scheggia impazzita anche se aveva impostato la sua preparazione per la Vuelta prima di essere dirottato al Tour. La Decathlon punta su Gall per la generale, con un occhio di riguardo per il giovane Lapeira, fresco campione nazionale francese. Per la Arkea B&B sarebbe già un sogno poterne vincere una, la prima della loro storia. Ne hanno le potenzialità, perché hanno portato una squadra che può lottare su più terreni. Da un lato il blocco della montagna con Christian Rodriguez, Raul Garcia Pierna e Clement Champoussin proverà ad aiutare il giovane Kévin Vauquelin (prima partecipazione al Tour) a stare il più a lungo possibile collegato alla classifica generale e perché no a cercare qualche successo nelle tappe più mosse.
Quest’anno il ventitreenne normanno dopo un inizio di stagione molto solido ha avuto il momento di massimo splendore con il secondo posto alla Freccia Vallone. Alla rivista francese Pédale ha rivelato che nella sua testa ogni tanto ripensa a quel momento, a che cosa avrebbe potuto fare meglio per vincere e che si sente molto motivato a non ripetere lo stesso errore. La classifica generale è un’ambizione chissà forse troppo elevata per quest’anno ma il suo percorso di crescita prosegue senza sosta e le sue abilità a cronometro possono essere un jolly niente male. È migliorato molto dal suo passaggio al professionismo e lui stesso ha rivelato di aver capito alcuni errori nella sua preparazione e nella sua attitudine alla vita da atleta. Quest’anno ha cambiato, nell’alimentazione per esempio e nella ricerca delle giuste ore di sonno e questo sembra star dando i suoi frutti.
Non di sole ambizioni montanare vivrà la squadra bretone. A questo Tour de France la Arkéa B&B avrà anche un solido gruppo di ruote veloci. Oltre a Mozzato che dopo lo straordinario secondo posto al Giro delle Fiandre ha avuto qualche passaggio a vuoto ma sarà sicuramente della partita negli sprint più complicati, ci sarà al via anche Arnaud Démare che ha una voglia matta di dimostrare in primo luogo che la sua carriera non è agli sgoccioli e in secondo luogo che può dire la sua anche al Tour de France dove ha vinto solo due volte (2017-2018). Non avrà il suo treno perfetto perché Florian Senechal non è stato selezionato dopo aver contratto il covid al Delfinato ma Amaury Capiot e Daniel McLay potranno guidarlo verso la vittoria.
Secondo voi chi vince?
Umberto Preite Martinez: Tadej Pogačar.
Gabriele Gianuzzi: Primož Roglič.